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venerdì 17 luglio 2020

39 - "L'Alibi Perfetto" ("The Perfect Alibi", 1934) di Christopher St. John Sprigg

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
La crime story in generale può subire innumerevoli variazioni e affrontare e approfondire i temi più disparati, declinandosi secondo la tradizione britannica dell'enigma puro e classico; secondo l'innovativo sottogenere della crime novel di stampo psicologico (thriller) che tanto successo ha avuto in America e adesso anche in Europa; oppure secondo le contaminazioni con altri tipi di narrativa, da quella avventurosa (per capirci, la saga di Jack Reacher può essere un esempio) a quella scientifica "alla Kay Scarpetta". Eppure, qualunque sia la natura del libro che un appassionato di letteratura crime decida di leggere, alle fondamenta della vicenda ci dovrà essere sempre un aspetto inscindibile del mistero che essa tratta: l'indagine basata sulla verifica degli alibi dei sospettati e, di conseguenza, sulla scoperta dell'inganno perpetrato dal colpevole per proteggersi. Questo è il fulcro vero e proprio di ogni romanzo del mistero che si consideri tale, e forse l'elemento che più viene tenuto in considerazione dal vastissimo bacino di lettori che ama tale genere letterario. I miei stessi compagni e amici lettori, infatti, tendono perlopiù a giudicare la qualità di un giallo in base alla solidità e all'astuzia con cui l'enigma viene presentato; e se esso non risponde ai loro standard, pur essendo accostato a una caratterizzazione straordinaria dei personaggi, a un'ambientazione suggestiva e a uno stile arguto e ironico, non si fanno problemi a bocciarlo in toto senza pietà. Da parte mia, sono convinto che la crime novel ideale non si limiti a raccontare un mistero, ma riesca a restituire a chi legge un assaggio della vita e della società nelle quali essa viene calata; non per niente, la mia preferita è "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers, con il suo suggestivo racconto della vita di campagna inserito perfettamente nell'indagine.

Quindi, diciamo che io sono più incline a perdonare qualche divagazione di troppo o qualche piccola imperfezione a favore del risultato complessivo, nonostante a volte mi renda conto di non trovarmi davanti a uno straordinario capolavoro, ma "solo" a un libro nella norma. In ogni caso, questo non significa che per me il caso investigativo sia, all'interno di un giallo, qualcosa di meno importante del resto, e capisco benissimo quanti possano restare delusi da un eventuale enigma scadente. Finché ci capita di trovarci di fronte a un mistero con qualche piccolo errore, possiamo ancora passarci sopra; ma se ci accorgiamo di aver capito chi sia l'assassino prima della metà della storia e alla fine scopriamo di essere stati nel giusto, magari senza aver goduto di alcuna aggiunta significativa alle vicende, allora sì che è un peccato e una delusione! Spesso è proprio la natura del delitto che ci spinge a provare un nuovo libro, e per questo esso dovrebbe soddisfare le aspettative che ci costruiamo. Per fortuna, nella classica crime story ciò accade di rado, poiché i giallisti della prima metà del Novecento sapevano fare molto bene il loro lavoro e sviare con abilità l'attenzione e i sospetti del pubblico, pur fornendo soluzioni adeguate alle premesse; soprattutto sfruttando la primigenia natura "meccanica" del giallo della Golden Age. In quest'ultimo, infatti, la maggior parte delle indagini verteva su finti alibi e inganni perpetrati dall'omicida di turno, in modo da procurarsi un'ancora di salvezza e un paravento da eventuali dubbi del poliziotto e dell'investigatore dilettante dediti alla soluzione del caso. Certo, si trattava di un metodo che, dando un maggior peso al "come-era-stato-fatto", spesso metteva in secondo piano la sorpresa dovuta alla scoperta dell'identità del colpevole; oppure dava vita a una narrazione in cui i fatti venivano trattati in un modo molto secco e senza fronzoli. Penso, ad esempio, all'opera di Freeman Wills Crofts e dei cosiddetti autori "Humdrum", dove i delitti assomigliano a congegni ad orologeria in quanto a costruzione, sviluppo e soluzione, ma essi vengono inseriti in contesti dove lo sviluppo psicologico dei personaggi non viene molto contemplato. Oppure ad alcuni romanzi di Christopher Bush e di John Rhode, in cui la meccanica del delitto gioca un ruolo di primo piano nella trama, a discapito degli altri elementi.

Ogni tanto, tuttavia, sono accaduti piccoli miracoli. Esistono romanzi gialli che mettono insieme una leggera, ironica pennellata nella descrizione del colore locale e nella rappresentazione del carattere dei personaggi, con magistrali parti mentali in fatto di omicidi efferati e delitti straordinari ma fittizi. Questi libri, tra cui includerei "Gli Occhi Verdi del Gatto" di Sayers (ancora "di transizione" rispetto agli altri suoi capolavori) e quello che recensisco oggi, "L'Alibi Perfetto" di Christopher St. John Sprigg (Polillo Editore, 2012), riescono a giocare sulla sottile linea che separa il romanzo puro, inteso in senso vittoriano e rappresentante la società, da quello del mistero più classico, considerato alla stregua di un cruciverba o un rebus da sciogliere con l'uso della tecnica. In particolare, il libro di Sprigg tratta una storia originale, in cui l'occhio del lettore non si sofferma su un solo punto di vista, ma cambia di volta in volta pur senza abbandonare mai l'indagine che sarà risolta dal giovane giornalista e segugio dilettante Charles Venables. Il fulcro della vicenda si focalizza sul decesso di Anthony Mullins, un ricco ingegnere, e sulle innumerevoli possibilità che potrebbero spiegare la sua morte violenta: incidente, suicidio e omicidio, ad opera di una, due, tre persone, vengono presi in considerazione in tutte le loro declinazioni, simili a tessere di un mosaico da incastrare al posto giusto, permettendoci di comprendere quante possano essere le alternative pratiche che la polizia si trova a dover affrontare. Eppure, nonostante questo, non viene meno un sarcastico e divertente ritratto delle persone coinvolte nel caso e della fauna che popola i tipici sobborghi dell'estrema periferia di Londra, il quale tratteggia con maestria le originali personalità che circondano la figura elusiva di Anthony Mullins.

Shepherd’s Cottage, Firle, East Sussex by Eric Ravilious,
1934, simile a The Turrets di Fairview Estate
La trama, come dicevo, è incentrata sulla morte di questo ricco ingegnere, socio di un'enorme stabilimento specializzato nell'invenzione e produzione di armi di distruzione di massa. Un bel mattino, mentre nei dintorni di Fairview Estate (ex Hake End) tutti quanti sono impegnati in faccende personali, il garage di The Turrets prende fuoco all'improvviso e, nel corso dello spegnimento delle fiamme e della confusione creata dai pompieri e dalla folla che si è radunata nel vasto cortile, un corpo carbonizzato e appena riconoscibile viene rinvenuto al volante dell'auto in esso contenuta. Le testimonianze del socio in affari e della bellissima giovane moglie di Mullins lasciano pochi dubbi riguardo l'identità del morto; ma se l'identificazione può sembrare il passo più difficile da compiere in queste circostanze, ben presto la polizia si rende conti di essere soltanto all'inizio di un'indagine complessa e strana. Infatti, se in un primo momento il decesso ha tutta l'aria di essere la conseguenza di un incidente (causato da un cortocircuito del sistema elettrico delle luci esterne) oppure un suicidio messo in atto dallo stesso Mullins, disperato a causa della presunta infedeltà della moglie con il giovane nipote, la scoperta di un proiettile nella testa del cadavere apre una nuova serie di possibilità alle congetture degli agenti. Ma non è finita qui, poiché grazie al fugace intervento di Charles Venables (impegnato in un'altra indagine, ma incuriosito dagli eventi di Fairview Estate), poco dopo viene scoperto un ingegnoso congegno predisposto a creare appositamente un cortocircuito nell'impianto di accensione delle luci della baracca in cui era contenuta la macchina dei Mullins. Certo, questo può avvalorare l'ipotesi del suicidio; ma allora che fine hanno fatto la chiave che ha chiuso la porta del garage e la pistola che ha esploso il proiettile fatale, visto che non sono state ritrovate assieme al corpo?

Sembrerebbe proprio che qualcuno si sia impegnato a mascherare il proprio violento operato. E i sospetti riguardo questo qualcuno, fin da subito, ricadono su Patricia Mullins e Ralph Holliday, le persone più vicine alla vittima e che dovrebbero essere destinatarie della fortuna di Mullins. Peccato che il magnate avesse da poco cambiato testamento, escludendo del tutto lui e anche la donna nel caso in cui egli fosse morto per cause non naturali, e lasciando ogni cosa al segretario di uno stabilimento ingegneristico, tale James Constant. In tutto questo, dunque, l'ispettore Trenton e il giovane agente Laurence Sadler non riescono a trovare una pista decente da seguire: tutto pare portare a un vicolo cieco, dalla mancanza di un movente che potrebbe aver guidato la mano di Mrs Mullins e del suo amante (il quale sembra diventato inafferrabile), alla presenza di alibi inattaccabili per tutti gli individui coinvolti nel caso e che potevano ottenere un vantaggio alla morte di quel piccolo borioso di Anthony Mullins. La gente dei dintorni, tra cui un Pari decaduto sempre in bolletta e dedito alla promozione delle sue terre (Lord Overture), un dottore appassionato di misticismo e filosofia esotica (il dottor Marabout), un'anziana zitella che ha messo su una scuola per pugili professionisti (Mrs Murples), un perfetto padre di famiglia (Eyton) e un artista dal temperamento focoso (Frank Filson), sembra avere un'idea precisa sui fatti accaduti a Fairview Estate, che si riconduce al carattere violento del morto: contro ogni logica, deve per forza essersi ucciso. Tuttavia Sandy Delfinage, la proprietaria di un maneggio dedita alla coltivazione del pettegolezzo locale, nutre qualche dubbio e decide di aiutare il suo amico Sadler a scoprire la verità. Insieme a Venables, in procinto di partire per una nuova indagine nei Balcani, i due giovani si troveranno davanti a un caso diabolicamente astuto e quasi inestricabile, il quale metterà a dura prova la loro pazienza e li porterà a mettere in dubbio ogni alibi all'apparenza inattaccabile. Perché di una cosa sono certi: qualcuno è riuscito a ingannare tutti quanti e a nascondere agli occhi della mente un movente insospettabile, il quale apparirà chiaro solo al momento della soluzione finale.

Copertina dell'edizione pubblicata da
Moonstone Press
A differenza di "Sei Oggetti Misteriosi", il suo ultimo e anomalo romanzo, "L'Alibi Perfetto" incarna in pieno il tipo di libro che Sprigg scrisse nel corso della maggior parte della sua carriera. Infatti, se nel tratteggiare il caso della morte violenta del medium Michael Crispin, l'autore aveva già adottato una fede politica severa e cinica, la quale considerava la realtà secondo un punto di vista cupo e disilluso, e l'analisi di alcuni temi aveva assunto la priorità sulla costruzione di un enigma del tutto valido, al momento dell'ideazione del "Mistero del Garage Incendiato" egli teneva ancora in alta considerazione la letteratura di genere giallo e il suo intento era chiaramente quello di dare vita a storie divertenti e ingegnose. Pertanto, come vediamo in "L'Alibi Perfetto", in un contesto caratterizzato dall'ironia e da una narrazione piena di dettagli e colore locale, troviamo un enigma complesso e pieno di sfaccettature, che non si limita a dare vita a un'indagine che viaggia su un solo percorso, ma genera attorno a sé tanti altri piccoli misteri che in qualche modo abbelliscono quello principale. Qualcosa del genere era accaduto anche in "Omicidio a Kensington", dove l'uccisione della proprietaria di un albergo che dava sui Kensington Gardens si intrecciava con i loschi movimenti di alcuni tra i personaggi, tra cui un sinistro orientale e un'anziana signora con la mania dei gatti, i quali provocavano equivoci su equivoci che distoglievano l'attenzione di Venables. Eppure, in quel frangente, la complessità del caso centrale non si avvicinava per niente al vero e proprio tour de force che il lettore si ritrova ad affrontare in "L'Alibi Perfetto". Penso sia proprio questa la caratteristica che permette a quest'ultimo di spiccare in mezzo all'opera complessiva dell'autore: la sua capacità di dare vita a un indagine in cui praticamente ogni possibile sfaccettatura del crimine può essere in qualche modo inserita, affrontando ogni ipotesi che possa venire in mente a un lettore di gialli. Mi spiego meglio.

All'inizio, quando scopriamo che il garage ha preso fuoco e che Mullins temeva il fatto che la moglie avesse intrecciato una relazione clandestina con il nipote, all'ispettore Trenton (e implicitamente a noi lettori) viene il dubbio che l'ingegnere si sia potuto togliere la vita per vendetta nei confronti della consorte fedifraga. A dare man forte a quest'idea, poi, scopriamo che egli aveva cambiato il testamento a favore di una tra le tante società che si occupano di invenzioni e scoperte scientifiche e che popolano la società, diseredando gli accusati nel caso egli fosse stato eliminato in modo violento. Quindi, in un primo momento, viene presa in considerazione la probabilità di un suicidio legato ai rapporti sentimentali tra Anthony Mullins e Patricia. Tuttavia, poco dopo ci viene fatto notare che la mancanza della chiave del garage e della pistola (pistola che ha senza alcun dubbio sparato un colpo in testa al cadavere, nonostante esso sia stato quasi carbonizzato dalle fiamme) mettono fuori gioco questa prima ipotesi, oltre al fugace pensiero che il caso possa ricondurre a un incidente. Infatti, poteva essersi trattato di una pura coincidenza, il fatto che Mullins si fosse sparato un colpo mentre maneggiava l'arma; ma alla prova della probabilità, quest'idea deve essere scartata. Pertanto, nel giro di pochi capitoli, abbiamo già affrontato un paio di ipotesi che, prese una alla volta, potrebbero costituire una parte considerevole di un delitto inteso in senso comune. Voglio dire, sia l'incidente sia il suicidio avrebbero potuto essere accostati all'omicidio e dare vita a una storia a parte. Eppure, Sprigg ha deciso di metterle insieme per complicare la situazione e, come apprendiamo non appena esse vengono messe da parte, si fa in avanti aggiungendo pure l'unica possibilità che resta agli investigatori: l'uccisione volontaria della vittima per mano di terza persona.

Ipotesi ideale per il racconto di un'indagine da romanzo giallo, essa apre alla solita domanda: chi avrebbe potuto farlo, e per quale motivo? E qui, dove le cose sembrerebbero sbrogliarsi un po' in seguito alla confusione generata dal pasticciato sospetto suicidio-incidente, la faccenda diventa ancor più astrusa e complicata. Già; perché ci accorgiamo tutti noi, assieme all'ispettore Trenton, Sadler e Venables, che le possibilità all'improvviso si riducono a zero, in quanto a possibili colpevoli. Paradossalmente, ce ne erano di più quando si pensava che avesse fatto tutto da sé Mullins. Nel corso delle indagini, infatti, veniamo a sapere che tutti (ma proprio tutti) i possibili sospettati di un certo rilievo e importanza possiedono un alibi di ferro, che sembra impossibile da sciogliere. E anche nel momento in cui alcuni di questi alibi vengono meno, sembra proprio che il caso non riesca a proseguire, poiché si dissolvono la possibilità materiale di commettere il delitto oppure i moventi che all'inizio avevano tutta l'aria di essere solidi. Nella costruzione della storia si nota benissimo l'inventiva (molto apprezzata dagli appassionati del romanzo del mistero) che Sprigg possedeva nella creazione degli intrecci e il sottile acume che lo distingueva dall'uomo comune; non solo nell'ideazione, verifica e conferma/demolizione degli alibi dei sospetti, dove egli ha dimostrato di non essere da meno degli autori della corrente "Humdrum" come Crofts, Rhode e Connington, ma anche nella straordinaria e apparente scioltezza con cui aggiunge congegni tecnici e nozioni di balistica, scienza, ingegneria, grafologia e aeronautica alle vicende, dando vita a trame ricche di dettagli che risultano dense e davvero complesse da comprendere e tentare di sciogliere. Inoltre, la serrata attività della polizia descritta in ogni dettaglio, con i continui dubbi che si affacciano nella mente degli inquirenti, contribuisce a restituire un ritratto veritiero del lavoro dei poliziotti e a rafforzare questo senso di stabilità delle vicende, imprimendo al caso quell'implicita somiglianza con il rebus e il cruciverba enigmistici e risolvibili con l'uso della logica.

Anche per questo motivo Sprigg può essere considerato come una sorta di epigono di Crofts e i suoi colleghi, poiché indubbiamente il fine ultimo del racconto che emerge dalla lettura si focalizza sulla risoluzione dell'enigma. Tuttavia, allo stesso tempo, non si può fare a meno di notare come l'autore si sia impegnato ad alleggerire e controbilanciare quest'indagine forse fin troppo severa e massiccia. Se avesse trattato la morte di Mullins concentrandosi sempre e solo sul lavoro degli agenti, probabilmente la storia sarebbe risultata monotona e pesante da digerire per il lettore. Così, invece, pur senza rinunciare all'ingegnosità di un indagine strutturata in modo simile a una partita a scacchi (forse per alcuni soporifera, ma di sicuro all'altezza delle aspettative di un appassionato di romanzo giallo), Sprigg ha inserito un racconto ironico, addirittura sarcastico, del colore locale di Fairview Estate e di una piccola parte di Londra, soffermandosi con precise digressioni non solo sugli aspetti tecnici del delitto, ma pure sulle personalità dei personaggi e sui luoghi in cui sono ambientate le vicende. La leggerezza dei dialoghi, delle descrizioni delle persone e delle personalità originali ed eccentriche dei protagonisti e delle comparse della storia, riescono a smorzare l'oppressione della serrata attività della polizia, mentre il divertimento che traiamo dal vivace resoconto delle avventure vissute dagli abitanti della periferia di Londra ci permette di tirare un sospiro di sollievo. Con la costruzione dell'enigma, l'ironia è l'altra grande caratteristica dell'opera di Sprigg; tanto insita nella sua narrazione, che nemmeno in "Sei Oggetti Misteriosi" l'autore riesce a tenerla a freno, benché la colori di toni più cupi e cinici. In conclusione, la spensieratezza e una certa audacia incosciente fanno da contraltare alla solidità dell'indagine, riuscendo a smorzare i toni seriosi della routine della polizia grazie ai tentativi maldestri di Sadler e Sandy di sondare il pettegolezzo locale, oppure attraverso le vicende che vedono protagonisti gli originali abitanti di Fairview Estate. Si verifica un sorta di piccolo miracolo, poiché il caso resta intricatissimo e centrale nonostante la presenza di piccole interruzioni di carattere spensierato e leggero.

Christopher St. John Sprigg, nato nel 1907 e
morto nel 1937

Lascia l'amaro in bocca che un autore tanto divertente come Christopher St. John Sprigg, negli ultimi anni della sua vita, abbia affrontato una trasformazione tale da risultare quasi irriconoscibile.
 Nato nel 1907 a Putney, nella zona sud-ovest di Londra, dopo aver lasciato la scuola a quindici anni, a causa del licenziamento del padre dalla redazione del Daily Express, egli divenne prima giornalista per lo Yorkshire Observer, ed in seguito direttore di un giornale per conto proprio: l'Aircraft Engineering, una testata che si occupava di aviazione, argomento del quale lui era un grande appassionato. Lettore voracissimo, versatile romanziere, scrittore di poesie e opere teatrali, oltre che di trattati filosofici, scientifici, critici e ovviamente romanzi gialli, all'età di 27 anni Sprigg si appassionò alle teorie marxiste ed iniziò a studiarle a fondo, segnando la sua vita nel bene e nel male. Impiegò un decennio prima di pubblicare, sotto lo pseudonimo di Christopher Caudwell, il suo primo saggio a riguardo, "Illusione e Realtà", dove accostava la sua visione della società a quella dell'impegnata cerchia di poeti guidati a W.H. Auden; nel frattempo, tra un volume di poesie e un saggio sugli aerei, tra il 1933 e il 1937 si dedicò alla pubblicazione di sette crime novels, la maggior parte caratterizzate da uno stile brillante e personaggi vivaci che gli procurarono gli elogi di altri colleghi quali Dorothy L. Sayers (con la quale intrattenne uno scambio di corrispondenza per un breve periodo), Michael Innes e Nicholas Blake. Con quest'ultimo condivise l'impegno sociale e politico nel campo della narrativa: oltre a "Illusione e Realtà", infatti, avrebbe dato alle stampe ancora molti manuali e testi di critica in questi ambiti. Peccato che non ne avrebbe visto nessuno: a partire dal 1934, l'attivismo politico iniziò a consumarlo lentamente, tanto da capovolgere le sue idee riguardo le opere fittizie fino a considerarle come "spazzatura" da buttare giù solo per i soldi. Le opere più importanti, secondo lui, erano i tomi pesanti e seri sulla teoria del comunismo. Inoltre, l'attivismo per conto del partito e l'intenzione di lavorare attivamente per la sua Causa lo spinsero a recarsi, nel 1936, fino in Spagna, dove guidò un'autoambulanza e si fermò in modo stabile per essere di supporto ai compagni. Fu laggiù che, un anno dopo, venne ucciso il primo giorno della battaglia di Jarama, nonostante i disperati tentativi del fratello Theodore di convincere il segretario del partito comunista di richiamarlo in patria; ormai si era perso nella sua guerra personale, ma perlomeno morì combattendo per qualcosa in cui credeva con passione.

Lasciò in eredità ai posteri una grande quantità di opere di vario genere, ma al giorno d'oggi le più ricordate sono quelle appartenenti al genere della crime story: "Omicidio a Kensington" (1933), "Omicidio in Fleet Street" (1933), "L'Alibi Perfetto" (1934), "Morte di un Aviatore" (1934), "The Corpse with the Sunburnt Face" (1935), "Death of a Queen" (1935) e "Sei Oggetti Misteriosi" (1937). Si tratta di libri che, fino a poco tempo fa, erano molto rari da ottenere in lingua inglese (figuriamoci in italiano); forse a causa del fatto che Sprigg morì giovane e, come Dorothy Bowers, non ebbe il tempo materiale per promuovere a dovere la propria opera, al fine di evitare che essa venisse ingoiata dal vasto numero di gialli che a quel tempo venivano pubblicati. Il personaggio principale dei suoi gialli fu il giornalista ed investigatore dilettante Charles Venables, spesso affiancato dall'ispettore Bray si Scotland Yard. Tuttavia, in un paio di casi essi occuparono un ruolo secondario all'interno della trama, oppure non vennero nemmeno sfruttati. Un esempio è quello di "Sei Oggetti Misteriosi", dove l'inchiesta viene condotta dall'ispettore Morgan; l'altro riguarda proprio "L'Alibi Perfetto". In questo libro, infatti, l'indagine viene portata avanti dall'ispettore Trenton, ma soprattutto da un terzetto di personaggi insospettabili: l'agente semplice Sadler, la determinata Sandy Delfinage e l'irruento artista Frank Filson. Devo ammettere che, in un primo momento, questo stratagemma mi ha lasciato spiazzato: come era possibile, mi chiedevo, riuscire a tracciare una storia avvincente se Venables, il protagonista e personaggio principale, fa una comparsa veloce all'inizio del libro, investiga un po' per poi abbandonare la partita e torna nel finale per mettere insieme tutti gli indizi e risolvere il caso? Ebbene, Sprigg è riuscito ad essere convincente lo stesso, sfruttando il caso precedente e quello successivo nella cronologia delle indagini del suo segugio dilettante (fino a citarli indirettamente, uno stratagemma che ho molto apprezzato, pp. 21, 111, 167-168, 172, 266-267) e la sua straordinaria capacità di tratteggiare i personaggi con vivacità e descrizioni a tutto tondo, così da farti affezionare a loro. Sono costoro un punto di forza di "L'Alibi Perfetto": infatti non si sente mai troppo la mancanza di Venables, poiché ognuno degli attori in scena è divertente, originale e strano abbastanza per essere ricordato, come ha pure osservato Dorothy L. Sayers in una sua recensione: a partire dalle comparse a Fairview Estate e negli uffici londinesi, come il dottor Marabout, Mrs Murples, Lord Overture, Binns e la folta fauna di inquilini di Annette Vanguard, i quali movimentano la faccenda e danno un tocco simpatico al racconto attraverso le spassose digressioni di cui sono protagonisti, fino ai sospettati principali (Patricia Mullins, Eyton, Holliday, Constant) e agli investigatori improvvisati e non, tra cui Trenton, Sadler, Filson e Sandy, ogni personaggio presenta caratteristiche spiccate e un modo di fare unico e riconoscibile, spesso irruento e spontaneo, il quale conferisce colore alla narrazione e un brio continuo.

Sono tutti vivaci e capaci di trascinarti sulle loro orme senza grandi sforzi, calandoti negli scenari che via via vengono tracciati dall'autore; si muovono con naturalezza in mezzo alle numerose digressioni di carattere tecnico che Sprigg ha disseminato lungo la trama, e sviluppano l'elemento sentimentale dando vita a complessi rapporti (Sadler-Sandy, Sandy-Filson, Patricia-Filson, Sadler-Patricia, pp. 96-100, 112, 210-217). A questo proposito, nel corso della narrazione vengono toccati altri innumerevoli temi, da quello della filosofia (pp. 94-95) a quello della letteratura gialla in senso parodistico (pp. 95, 112, 141, 150, 169, 209, 285, 295), da quello politico a quello ingegneristico; il tutto senza mai abbandonare un tono ironico che permea ogni parola e restituisce l'idea dell'indagine come di una sfida giocata sulla sottile linea che separa la farsa dalla serietà: da una parte stanno Trenton e la macchina inossidabile della polizia professionista; dall'altra, i dilettanti che affrontano con curiosità e inesperienza le indagini sull'omicidio di Mullins. L'insieme che si ricava da quest'unione risulta in un enigma complicatissimo, che sfrutta in modo innovativo il cliché dell'auto in fiamme e degli alibi che sembrano insormontabili, poi vengono abbattuti e poi ancora vengono rimessi in piedi di nuovo, in una girandola di colpi di scena ed elementi indiziari degni dei migliori gialli della Golden Age, dove tuttavia non manca l'abituale sarcasmo dell'autore, che dipinge situazioni paradossali o divertenti ma senza cadere nel ridicolo più becero. Vi sfido a trovare la strada per giungere alla soluzione di questo caso intricato, che metterà alla prova la vostra determinazione e pazienza allo stesso modo degli "Humdrum" e della produzione inarrivabile di John Dickson Carr. Una certa dimestichezza con le questioni tecniche e logiche sono tutto ciò di cui avete bisogno per sciogliere l'enigma: lo stesso Venables osserva, mentre si appresta a rivelare il piano dell'assassino, che "il caso avrebbe potuto trovare soluzione in base ai fatti noti all'inizio delle indagini. Ogni fatto e indizio di cui avevamo bisogno ci era già stato fornito. Era un po' come se ci trovassimo davanti alla storia poliziesca più leale del mondo, quella in cui il lettore dispone di ogni circostanza materiale necessaria a consentirgli di arrivare alla soluzione". Ed è così, se si va a cercare le tracce lasciate dall'assassino lungo il suo cammino. Vi voglio consigliare ancora una cosa soltanto: prestate attenzione all'ingegnoso titolo del romanzo. È vero che gli alibi perfetti (almeno all'apparenza) sono più di uno, ma riflettete a fondo tra le possibilità che vi sono state date e forse riuscirete a capire un po' di più come sono andati i fatti. "L'Alibi Perfetto", infatti, non è perfetto solo nel suo titolo, da pure nei fatti; è uno degli esempi più degni del tradizionale romanzo giallo di stampo anglosassone, in cui tutto è necessario per arrivare alla soluzione, anche gli indizi più piccoli che vengono forniti al lettore e sembrano non avere alcun peso nella storia. Dategli una possibilità e, dopo un iniziale timore dovuto alla quantità di informazioni che vengono presentate al lettore, vi troverete davanti a una magistrale crime novel.

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venerdì 7 febbraio 2020

23 - "Dov'è Cicely?" ("Cicely Disappears", 1927) di A. Monmouth Platts/Anthony Berkeley

Copertina dell'edizione pubblicata nei
Classici del Giallo Mondadori n. 1429
Da pochi anni a questa parte, in Italia, il mercato della classica crime story ha subito un radicale cambiamento. Infatti, se fino alla fine del 2015 soltanto Mondadori (con le sue collane da edicola sulle ristampe del Giallo) e in parte Polillo (la quale ha ripreso le pubblicazioni dopo un periodo di pausa) si erano addentrate in questo campo perlopiù inesplorato dall'editoria del nostro Paese, da qualche tempo le pubblicazioni in tal senso si sono moltiplicate grazie alla nascita di nuove collane da libreria, dedicate al romanzo del mistero inglese della prima metà del Novecento. L'opera di Christopher St. John Sprigg, ad esempio, ha trovato il proprio posto in Lindau, assieme ad altri titoli meno impeccabili in fatto di enigma ma in gran parte inediti e sempre ben accetti; Mulatero prosegue la sua riproposta della serie di Abercrombie Lewker di Glyn Carr, e lo stesso si può dire di Le Assassine, le quali hanno in cantiere libri del mistero molto appetibili. Forse questo è un segno del fatto che, finalmente, la crime story della Golden Age ha iniziato ad assumere una connotazione differente da quella che l'ha vista etichettata come letteratura "medio-bassa"; relegata alle sole collane da edicola, dove ci eravamo abituati a veder ristampati i soliti titoli oppure romanzi più attinenti al genere hard-boiled. Bisogna ammettere, tuttavia, che anche in questo formato, a partire dal 2018, sono tornati alla ribalta alcuni inediti perlomeno interessanti per il collezionista di gialli tradizionali, soprattutto all'interno dei Classici del Giallo. Certo, spesso gli autori proposti non sono i Grandi Maestri del calibro di Dorothy L. Sayers (della quale manca la traduzione nostrana di "Gaudy Night"), Ngaio Marsh, J.J. Connington, John Rhode oppure Nicholas Blake; però penso che non ci si debba lamentare per questo. Dopotutto, si tratta pur sempre di nuove letture e, dal canto mio, nutro una grande passione per gli intrighi prettamente inglesi, ma densi di suspense, che ideò a suo tempo Ethel Lina White, o per le storie scientifiche e al limite dell'asettico di Richard Austin Freeman; per cui sono più che felice di trovare inedite storie di questi autori ogni anno.

A questo proposito, proprio in questo mese di febbraio, i Classici del Giallo hanno riservato una sorpresa ai suoi lettori, proponendo per la prima volta la traduzione di un libro attorno al quale aleggia una densa aura di mistero; quel "Cicely Disappears" che venne firmato da tale A. Monmouth Platts e che comparve (leggermente diverso) in una prima edizione a puntate nel marzo 1926, col titolo di "The Wintringham Mystery", per poi essere raccolto in volume l'anno seguente. Un romanzo giallo davvero particolare, visto che le sue ripubblicazioni e traduzioni estere si contano sulle dita di una mano: la prima (originale) nel 1927, quella giapponese di una quindicina di anni fa e quella di cui sto parlando, che recensirò per voi questa settimana. Si tratta, dunque, di una sorta di evento, che si può paragonare in piccola parte a quanto è accaduto con "Com'è Morto il Baronetto?" di H.H. Stanners; solo che in questo caso il romanzo, benché sotto pseudonimo, è stato scritto nientemeno che da Anthony Berkeley! Così, di punto in bianco, Mondadori ha momentaneamente ripreso il ruolo di editore di punta nel campo del mystery, consegnando ai lettori l'inedito "minore" di un grande del Giallo col titolo "Dov'è Cicely?" (Classici del Giallo Mondadori n. 1429, 2020); "minore" perché fu la prima incursione di Berkeley nel campo della classica crime story e, quindi, non all'altezza di altri suoi capolavori, ma non per questo meno divertente o del tutto estraneo al modello che l'autore ha instaurato nel corso della sua carriera, poiché esso presenta numerosi cenni biografici a personaggi e luoghi che ebbero un forte legame con lui e affronta temi che egli svilupperà negli anni seguenti.

Illustrazione su come si svolgeva una seduta spiritica simile
a quella messa in scena in "Dov'è Cicely?"
La storia inizia presentandoci il personaggio di Stephen Munro, un giovane appartenente all'aristocrazia inglese della prima metà del Novecento, il quale si ritrova a dover abbandonare gli agi a cui è abituato e ad affrontare la dura realtà: dopo aver esaurito i propri mezzi di sostentamento, infatti, egli è caduto in disgrazia e, pur di sopravvivere, è costretto a cercare un lavoro come tutte le persone che non hanno avuto la fortuna di nascere con un cospicuo patrimonio alle spalle. Non può nemmeno mantenere il proprio maggiordomo Bridger, poiché l'unica prospettiva che gli si presenta all'orizzonte è quella di diventare a sua volta un servitore a Wintringham Hall, la dimora della ricca lady Susan Carey; e un valletto non può permettersi alcun cameriere personale. Insomma, un futuro ricco di sorprese e decisamente imbarazzante si delinea nell'avvenire di Stephen, obbligato ad assecondare gli strani desideri degli ospiti della padrona di casa: quest'ultima si rivela una vera arpia, impossibile da accontentare; il suo amico Freddie Venables, nipote della signora Carey, lo tratta come se fosse un suo pari e non sembra avere intenzione di accettare la nuova condizione del novello cameriere, mettendolo in continue situazioni inopportune; il maggiordomo di Wintringham Hall, Martin, spera di riuscire ad inserirlo al meglio nel personale che dirige e si erge sgradevolmente ad esempio per Stephen, sebbene anche Bridger sia stato accolto da lady Susan. Inoltre, come se tutto questo non bastasse, la ragazza di cui il nostro sfortunato protagonista è innamorato, Pauline Mainwaring, si presenta a Wintringham Hall con un nuovo corteggiatore dall'aria bellicosa e pare ignorare i continui sguardi che Munro le indirizza. Eppure, pian piano, Stephen riesce a trovare un giusto compromesso e a sopportare la situazione che si trova costretto a vivere: l'altra nipote di lady Carey, Millicent, appare tranquilla e riservata e non crea alcun tipo di problema, e pian piano anche gli ospiti si abituano alla presenza di un valletto fuori dall'ordinario come lui. Un valletto che tiene gli occhi ben aperti e non si lascia sfuggire nulla: come quando intravede nell'espressione di Cicely Vernon, la protetta della sua padrona, un lampo di apprensione, mentre lei si appresta a lasciare la casa. Una stranezza che solletica la sua fantasia...

La sera stessa della partenza della signorina Vernon, tuttavia, l'attenzione di Stephen viene catturata dalla malsana idea di Freddie di mettere in scena una seduta spiritica. Tutti si annoiano, per cui cosa potrebbe sollevare meglio l'umore dei presenti? Tra vane lamentele e l'entusiasmo crescente, alla fine l'esperimento viene approntato proprio mentre Cicely ritorna precipitosamente a Wintringham Hall; sarà proprio la ragazza ad offrirsi per fare da medium per entrare in contatto con gli spiriti. Mentre le luci sono spente e il salotto è chiuso come una scatola da scarpe, tuttavia, il gioco si trasforma in cruda realtà e accade l'impensabile: Cicely scompare nel nulla, in mezzo a suoni lugubri, urla inumane ed effluvi di cloroformio, senza che nessuno riesca a capire come sia riuscita ad compiere una tale fuga impossibile. Che fine ha fatto la ragazza? E come mai lady Susan sostiene con tanta forza che si tratta solo di uno scherzo di pessimo gusto? Quando la scomparsa della giovane si farà ben più reale, sarà Stephen (accompagnato da una spalla più che mai gradita ed affettuosa) ad assumere i panni dell'investigatore dilettante e a prendere in mano le indagini sul mistero, tra passaggi segreti, ospiti subdoli, ricatti e furti; mentre la Morte si avvicina sempre più, per colpire all'improvviso e ritirarsi nella stessa ombra in cui (forse) si trova già la ragazza sparita.

Copertina dell'edizione originale di "Dov'è Cicely?" del 1927
Nell'introduzione alla recensione, ho sottolineato il fatto che la recente pubblicazione di "Dov'è Cicely?" rappresenta un evento non sono per i lettori italiani come il sottoscritto, ma in qualche modo pure per coloro i quali sono abituati a letture in lingue diverse dalla nostra. Questo titolo, infatti, è scomparso dagli scaffali delle librerie di quasi chiunque nel mondo, e solo alcuni fortunati possono affermare di possedere l'edizione originale del 1927. Si tratta, dunque, di un'eccezionale occasione per riscoprire uno dei romanzi più oscuri della storia della Golden Age del giallo all'inglese, e sono davvero contento che Mondadori abbia deciso di riproporlo. In realtà, per qualche tempo mi sono chiesto come mai sia dovuto passare così tanto prima di veder ristampato "Dov'è Cicely?": dopotutto, esso rientra tra le opere di uno dei maggiori scrittori di crime novels di tutti i tempi, colui il quale diede vita per primo a un prototipo del giallo psicologico come lo intendiamo noi oggi, grazie ai libri che firmò come Francis Iles; quindi perché si erano perse quasi del tutto le tracce di questo giallo? A fine lettura, tuttavia, penso di aver capito il motivo di questo ritardo e come mai questa prima prova letteraria di Berkeley non sia rimasta a lungo impressa nella memoria dei critici. Il fatto è che, pur raccontando una storia piacevolissima e tipicamente tradizionale, "Dov'è Cicely?" non spicca nella massa di altri romanzi gialli dell'epoca; non è qualcosa di imprescindibile, pur proponendo una variazione della camera chiusa tanto amata dagli appassionati di classica crime story. Infatti, se paragonato a capolavori geniali dello stesso autore, come "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati" o a "L'Ultima Tappa", questo libro risulta inferiore, poiché presenta ancora troppi cliché e personaggi un po' stereotipati. Tutto questo, però, non vuol significare che le vicende narrate siano noiose e poco interessanti. Se da un lato la storia non possiede ancora le caratteristiche straordinarie che Berkeley avrebbe conferito in seguito alle sue creazioni, dall'altro essa risulta godibile e divertente, permettendoci inoltre di notare come queste ultime stessero iniziano a delinearsi, in una sorta di abbozzo o prova generale; e ciò è di grande interesse per poter capire quale fu il percorso intrapreso dall'autore per raggiungere le vette di perfezione che sarebbero venute in futuro.

Insomma, non siamo ancora ai livelli di "L'Omicidio è un Affare Serio", dove l'autore decise di anticipare i tempi e cambiare le regole della tradizionale partita tra lettore e autore di gialli; ma alcune idee sull'enigma e sulla personalità e mentalità dei personaggi cominciarono già a prendere forma, dando vita a una forte contrasto interno alle vicende raccontate il quale, oltretutto, rappresenta al meglio chi fosse Anthony Berkeley Cox. Dovete sapere, infatti, che egli, nato nel 1893 come la sua controparte femminile Dorothy L. Sayers, fu un personaggio talmente complesso che probabilmente nessuno riuscirà mai a comprenderlo appieno (in ogni caso, per avere una visione chiara e dettagliata di questa somiglianza, vi consiglio di leggere "The Golden Age of Murder" di Martin Edwards, in cui l'autore viene attentamente messo sotto il microscopio). Problematico, affetto da un fortissimo complesso di inferiorità nei confronti delle donne (probabilmente dovuto al fatto di essere sempre stato considerato, dalla madre autoritaria, più "tardo" rispetto al fratello Stephen e alla sorella Cynthia), inguaribile donnaiolo, misantropo e affettuoso di volta in volta, ma allo stesso tempo geniale innovatore della crime story britannica, Berkeley fu un individuo capace di spiazzare gli interlocutori con i suoi repentini cambi di umore e idee. Probabilmente fu la guerra a dare il colpo di grazia al suo fragile equilibrio mentale: ritornato dai campi di battaglia, la sua salute fisica e psichica si aggravò e mise in luce quanto il conflitto l'avesse indebolita, tanto quanto l'intelligenza e la creatività erano invece solide. Aveva trascorso un'infanzia segnata dall'infelicità, tra fratelli considerati molto più dotati di lui e genitori non propriamente affettuosi, e la somma dei suoi traumi finì per generare in lui un atteggiamento schizofrenico, che si abbatteva sul prossimo di continuo, soprattutto quando si trattava di esseri femminili, e che egli stesso tentò di esorcizzare attraverso la scrittura. Rinchiuso nelle sue proprietà di Monmouth House e The Platts (proprio ad esse si ispirò per inventare lo pseudonimo usato per firmare "Dov'è Cicely?"), trascorreva le proprie giornate a riflettere sulla propria esistenza travagliata e a riversare nei romanzi le frustrazioni, generando un'aura di mistero attorno a sé e alimentando la propria insoddisfazione. Si prendeva gioco della giustizia, considerandola fallace e inutile per dirimere le questioni vitali degli uomini; intrecciava relazioni e flirt illudendosi di aver trovato l'anima gemella e finendo sempre per rendersi conto di essersi sbagliato; si lamentava del Governo e degli addetti statali dopo un'infelice esperienza lavorativa in un ufficio governativo: riuscì a fare tutto questo mentre ideava misteri strabilianti, dando nuova linfa al giallo all'inglese, tratteggiando con tono cinico i personaggi e le loro debolezze e mettendo in ridicolo le convinzioni più radicate della sua epoca. "I giorni del vecchio enigma poliziesco, basato interamente sulla trama e senza connotazione dei personaggi e concessioni allo stile e allo humor, sono, se non contati, in ogni caso nelle mani del pubblico" sostenne nella prefazione di "Gioco Mortale", il suo secondo romanzo, aggiungendo che "il romanzo giallo si sta sviluppando in un genere narrativo con un interesse più accentuato sul crimine, che tiene avvinto il lettore facendo leva non tanto sugli elementi matematici quanto su quelli psicologici". Tale convinzione, pertanto, non poté che indurlo a compiere l'ennesima pazzia: per il gusto di cambiare le solite regole noiose, infatti, arrivò a rovesciare completamente i canoni del giallo all'inglese, inducendo gli assassini a diventare le vittime, gli assassinati crudeli aguzzini, giudici dall'aria paterna figure lugubri e molto altro. Tuttavia, il suo gusto per il mistero finì ancora una volta per toccare l'esagerazione, tanto da indurlo a non rivelare mai niente di sé senza sotterfugi: non concedette interviste né autografi gratuiti e si divertì a confondere anche gli amici fornendo opinioni che cozzavano spesso tra loro, godendo nel mantenere uno stretto riserbo sulla sua vita privata al punto che solo di recente alcuni fatti della sua vita sono venuti alla luce.

In ogni caso, l'utilizzo della narrativa del mistero come mezzo per andare incontro e mettere freno alle proprie manie non dovette andare del tutto a buon fine, visto che il suo atteggiamento non mutò in meglio; anzi, con il passare degli anni purtroppo peggiorò e la sua mente divenne sempre più instabile, tanto che Julian Symons raccontò di averlo incontrato in un paio di occasioni e, in entrambe, si verificarono strane circostanze: una volta, un chiodo arrugginito sbucò dal suo piatto di minestra (lo aveva lasciato cadere qualcuno per sbaglio o lo aveva infilato lì lui stesso?) e l'altra interruppe addirittura la conversazione, mettendosi una maschera sulla faccia, gonfiando una pallina di gomma e facendo profondi respiri. Ma, in fondo, Anthony Berkeley non era quel mostro che fin qui può esservi parso: era un compagno che, per quanto un po' inquietante, si dimostrò insolito e sorprendente. Brillante romanziere, capace di creare atmosfere ricche di sfumature misteriose e trame complesse, oltre ad innovare il romanzo giallo con le sue trame in anticipo sui tempi, riuscì a rivoluzionare anche la concezione del detective tradizionale con l'introduzione, in "Uno Sparo in Biblioteca", di Roger Sheringham, un individuo scontroso, maleducato, fallace e abbastanza sconveniente il quale, prima di arrivare alla soluzione, finisce per sospettare di quasi tutti. Berkeley era uno che avrebbe potuto vantare e strombazzare una personalità fuori dal comune, però decise di non farlo. Amava indossare i panni di personaggi curiosi, spesso misogini e burberi, come se fosse sempre sul palcoscenico; a volte litigava con foga con alcuni membri del Detection Club, che contribuì a fondare fin dai primi giorni (una volta mi sarebbe piaciuto assistere a un suo incontro con Dorothy L. Sayers), ma in molti affermarono con convinzione che sotto sotto amava incoraggiare i giovani scrittori e, cosa da non dimenticare, possedeva una percezione della realtà fuori dal comune. La stessa identità di Francis Iles, con cui firmò "L'Omicidio è un Affare Serio", "Il Sospetto" (da cui Hitchcock trasse un film che, per quanto ben fatto, non riesce a rendere l'idea della grandezza del libro da cui è stato tratto) e "As For the Woman" rimase un incognita che venne svelata solo dopo la sua morte; una maschera che amava portare più di ogni altra, poiché era nata dal ricordo di un vecchio antenato, un contrabbandiere che veniva considerato una pecora nera dalla famiglia. Proprio il tipo che lui avrebbe preso in simpatia fin da subito e al quale avrebbe accordato la disponibilità per combinare qualche astuto ed eclatante scherzo.

Anthony Berkeley Cox, nato nel 1893
e morto nel 1971
Tenuto conto di questa descrizione contrastante della personalità di Berkeley, non c'è alcun dubbio che essa sia riflettuta in pieno già a partire da questo suo primo romanzo. Come vi ho detto, infatti, "Dov'è Cicely?" presenta alcune idee abbozzate sulla concezione del romanzo del mistero, sui temi trattati e sulle figure dei protagonisti secondo la concezione dell'autore, le quali avrebbero poi costituito una sorta di marchio, insieme al seminare cenni biografici a personaggi e luoghi che ebbero un forte legame con la sua persona. Ad esempio, per i propri personaggi Berkeley prese ispirazione da persone con cui entrò in qualche modo in contatto: Cullompton, Kentisbeare e il ricco ma violento Julius Hammerstein ricordano individui che possono essere accostati a figure reali (primo tra tutti Hammerstein, il quale lavora come agente immobiliare allo stesso modo di Paul Dashwood, marito della famosa E.M. Delafield e "rivale" dello stesso Berkeley per la conquista del suo cuore). Anche per la figura di Stephen Munro può esistere un legame con un essere umano in carne ed ossa: egli, infatti, si chiama come il fratello dell'autore, sposato alla giovane Hilary della quale quest'ultimo si era invaghito; sebbene in fatto di caratteristiche fisiche e psicologiche sia più vicino allo stesso Berkeley, poiché è un giovane che si apprezza per la sua ironia un po' cinica, per il modo di fare schietto ma simpatico, per l'impossibilità di essere trovato davvero antipatico nonostante alcune uscite teatrali e per il temperamento irriverente. Tra i cenni biografici, inoltre, si può includere il riferimento allo sculacciare (uno dei cavalli di battaglia più curiosi dello scrittore, p. 136) e la scelta dello pseudonimo adottato per firmare il romanzo, visto che egli scelse i nomi delle sue due proprietà di campagna per comporlo.

Pure in fatto di temi ricorrenti nella narrativa di Berkeley ci possiamo sbizzarrire. Primo tra tutti, il voler mettere in ridicolo gli atteggiamenti dei personaggi: grazie al proprio tipico umorismo inglese, irriverente e cinico, l'autore si diverte a girare il coltello nelle debolezze degli attori sulla scena, portando alla luce segreti e nefandezze di tutto questo gruppo di individui ben poco simpatici, ognuno caratterizzato da doppiogiochismo oppure da interessi personali da portare avanti senza curarsi delle conseguenze sugli altri. Ma non solo; Berkeley fa anche in modo di portare Stephen (nobile decaduto a servitore) di nuovo alla pari con gli ospiti "ufficiali" di Wintringham Hall, dopo avergli permesso di seminare sconcerto tra il personale: in questo modo, sembra prendersi gioco dei valori del suo tempo e, restituendo la dignità a Munro, di quella giustizia secondo cui egli sarebbe dovuto essere licenziato ed allontanato dalla casa, e non reinserito nella società più elevata. A questo proposito, il sentimento critico si riflette pure nel ritratto che viene fatto della giustizia. Berkeley fu sempre ossessionato dal fatto che il sistema giuridico inglese non fosse all'altezza delle aspettative e, di conseguenza, riuscisse solo a condannare le vittime e a salvare i colpevoli; ebbene, anche in questo caso (soprattutto nella spiegazione finale e nella scoperta del colpevole) si nota come l'autore avesse già iniziato a sviluppare questo tema, benché non raggiungendo ancora i livelli di sconcerto generati in romanzi successivi come "L'Ultima Tappa". Inoltre, l'irriverenza tocca la seduta spiritica: Berkeley calca la mano sugli effetti misteriosi, generati nel corso del rituale, per prendere in giro chiunque creda a queste séance fasulle; non lo fa semplicemente per dare enfasi alle descrizioni e generare tensione e pathos, ma intende dipingere il tutto come qualcosa di scherzoso e bonario, un intrattenimento per trascorrere qualche ora oziosa e che non bisogna prendere sul serio (un po' come avrebbe fatto in seguito Christopher St. John Sprigg col suo "Sei Oggetti Misteriosi", anche se in quel caso egli avrebbe sollevato la questione politica dell'ingannare la gente ingenua e sulla pericolosità del plagiare e menti). In fin dei conti, la seduta spiritica resta uno stratagemma per mettere in mostra la vacuità della società e non diventa fonte di inquietudine; al contrario, sono gli atteggiamenti delle persone che si rivelano pericolosi e deleteri. Ultimo tra gli elementi che saranno sviluppati da Berkeley, ma non meno importante, è infine la fallacia dell'investigatore. Con la creazione di Roger Sheringham, l'autore ideò per primo la figura del detective che può permettersi di sbagliare nel giungere a una conclusione, e lo fece agire in questo modo in numerosi tra i suoi casi. Anche in "Dov'è Cicely?" ritroviamo questa formula in modo abbozzato, poiché Stephen cambia idea di capitolo in capitolo su chi sia il colpevole, e dobbiamo aspettare proprio la fine prima che decida a chi imputare le colpe.

È questo l'ennesimo segno del segreto divertimento di Berkeley nel tormentare giocosamente e prendere in giro il prossimo. Insomma, tutto ciò dimostra come "Dov'è Cicely?" non sia affatto un romanzo da buttare. Peccato solo che la storia tenda verso l'avventuroso, tanto che i capitoli dedicati alla truffa ai danni del padre di Pauline esulano un po' troppo dal mistero della scomparsa di Cicely, ed essa rechi al suo interno ancora stereotipi e cliché della narrativa di inizio Novecento per potersi dire un capolavoro. Ad esempio, alcune figure assomigliano a burattini che difettano di personalità (Bridger assume gli atteggiamenti di Betteredge, il maggiordomo di "La Pietra di Luna", oppure del famoso Jeeves di Wodehouse, del quale Berkeley sentiva forse ancora l'influsso, poiché aveva già scritto una parodia) oppure non riescono ad affrancarsi dai loro modelli, come l'anziana lady Susan, l'ambiguo maggiordomo Martin, la debole signorina Carey e lo stupido aristocratico Kentisbeare. Il trucco del passaggio segreto, esplorato a notte fonda, rimanda di nuovo alla tradizione del romanzo vittoriano, assieme alla figura dell'individuo sospettato perché è stato in prigione. La storia d'amore tra Stephen e Paula è un po' stucchevole, sebbene numerosi guizzi ironici la alleggeriscano e si notino alcuni elementi di maggiore libertà negli usi e costumi. Il problema maggiore, tuttavia, è posto dalla quantità ingente di sfaccettature che vengono date all'enigma: furto, sequestro, ricatto, truffa sono mescolati tutti assieme (forse) per ampliare la platea di lettori, ma soprattutto per confondere le acque, al punto che forse risultano troppi da sviluppare al meglio; con il risultato che, sebbene il mistero sia senza dubbio intrigante, la trama risulti tirata troppo per le lunghe e la soluzione della sparizione di Cicely diventi un po' ingenua e superficiale. Per non parlare del finale tirato e un po' banale alla "e vissero sempre felici e contenti". Tutto questo, insomma, influisce sulla resa finale e ci consegna un romanzo giallo ancora fuori fuoco, rispetto a quelli che Berkeley avrebbe creato in seguito, il quale tuttavia può contare su uno stile elegante e leggero, tipico dei gialli "alla Agatha Christie" che si leggono per il gusto di passare qualche ora a rilassarsi o come storie di evasione. Sapete che (probabilmente) proprio Agatha rientrò tra i pochi lettori che riuscirono a fornire una soluzione soddisfacente al mistero di "Dov'è Cicely?", quando il Daily Mirror istituì un concorso sulla versione a puntate del 1926? Tra i vincitori, infatti, spuntò un certo Archibald Christie. Se proprio volete trovare un motivo forte per leggere questa classicissima crime story, potete immaginare di vestire i suoi panni per qualche ora. Oppure tenere a mente che, in ogni caso, questo romanzo è eccezionale non solo per la sua rarità su scala mondiale, ma anche per l'importanza del suo autore all'interno del genere.

Link all'edizione italiana su Amazon (ebook)

venerdì 20 settembre 2019

9 - "Sei Oggetti Misteriosi" ("Six Queer Things", 1937) di Christopher St. John Sprigg

Copertina dell'edizione pubblicata
dalle Edizioni Lindau
In Italia, la collana che ha fatto da apripista alla crime story è stata senza dubbio quella del Giallo Mondadori, la quale proprio in questo 2019 compie novant'anni. Fin dagli inizi del Novecento, infatti, essa si è assunta il lodevole compito di presentare ai lettori validi esempi di narrativa del mistero, in una forma accessibile a tutti e, soprattutto, economica. È stato grazie ad essa che scrittori come Agatha Christie, Dorothy L. Sayers, John Dickson Carr, Ellery Queen e Patrick Quentin, hanno avuto la possibilità di raccogliere nuovi seguaci, per cui bisogna essere grati per il lavoro che Mondadori ha compiuto in tutto questo tempo. Tuttavia, se prima dell'avvento del nuovo millennio essa ha giocato in un terreno libero da avversari temibili, negli ultimi quindici anni la sua leadership indiscussa ha ravvisato una risoluta concorrenza da parte di un altro editore, il quale ha esercitato (ed esercita ancora) un ruolo molto importante nella diffusione del giallo tradizionale nel nostro Paese e si è assicurato la gratitudine dei fans più nostalgici ed accaniti; ovvero Polillo. Quest'ultimo, agendo nell'ambito poco sfruttato delle librerie, con la collana "I Bassotti" è riuscito a dimostrarsi al passo con i tempi e a conquistare la fetta di pubblico delusa dalla preponderanza di crime novels di stampo moderno, presenti tra le nuove uscite del suo diretto antagonista, grazie alla centellinata pubblicazione di uno o due titoli al mese, appartenenti all'età d'oro del mystery. In questo modo, ha ridato linfa a un genere che minacciava di venire sopraffatto dalle nuove tendenze e, allo stesso tempo, ha permesso a tanti neofiti (come era a quel tempo il sottoscritto) di addentrarsi in un mondo sorprendente e affascinante. A tutt'oggi, Polillo rappresenta la fonte principale per il recupero del patrimonio costituito dalla crime story della tradizione angloamericana classica, poiché ha riproposto valide traduzioni di romanzi reperibili soltanto nei mercatini dell'usato e (cosa più importante) ha introdotto nel mercato italiano inediti di qualità, facendo proprio il ruolo pionieristico che era stato del Giallo Mondadori e, a volte, riuscendo addirittura a precedere la riscoperta in lingua inglese di alcuni autori.

Un esempio può essere Milward Kennedy, del quale Polillo ha finora pubblicato "Il Mistero del Diario" (il cui titolo originale è "The Bleston Mystery") e "Il Caso della Zitella Acida" ("Poison in the Parish"); H.H. Stanners e il suo "Com'è Morto il Baronetto?", quasi introvabile in edizione originale; oppure Christopher St. John Sprigg. Di quest'ultimo, in particolare, Polillo ha dato alle stampe i suoi due gialli più famosi, per poi passare il testimone a Lindau il quale, a sua volta, ha tradotto altri tre titoli. Si tratta di libri che, fino a poco tempo fa, erano molto rari da ottenere in lingua inglese; forse a causa del fatto che Sprigg morì giovane e, come Dorothy Bowers, non ebbe il tempo materiale per promuovere a dovere la propria opera, al fine di evitare che essa venisse ingoiata dal vasto numero di gialli che a quel tempo venivano pubblicati. Quindi, la loro ripubblicazione risulta ancor più degna di lode di quanto accadrebbe con altri scrittori; anche perché, pur non essendo capolavori, i romanzi di Sprigg appartengono alla Golden Age e, di conseguenza, presentano enigmi deliziosi e ricchi di ironia, con personaggi divertenti ed ambientazioni esotiche. Solamente il suo ultimo sforzo letterario, "Sei Oggetti Misteriosi" (Edizioni Lindau, 2019), si differenzia dalla norma. Esso, infatti, venne pubblicato postumo, dopo che il suo autore adottò una convinta fede politica rigorosa e severa, per cui presenta una visione più cupa della realtà, un'umorismo nero molto spiccato e l'analisi di alcuni temi da un punto di vista tutt'altro che imparziale. In ogni caso, con questo non intendo affatto sminuire la qualità dell'opera; essa affronta argomenti interessanti e presenta comunque un racconto suggestivo, mostrando ancora una volta come il thriller possa essere accostato alla detection classica.

"Seduta Spiritica" di Giuseppe Bossa Kiniggia
La trama di questo romanzo si articola a partire dalla curiosa e inaspettata offerta di lavoro che Michael e Bella Crispin, fratello e sorella impegnati in una sorta di "ricerca" scientifica, rivolgono a Marjorie Easton, una giovane apprendista dattilografa. La ragazza, la quale mal sopporta di dover ancora condividere la propria vita con lo zio bisbetico e ha intenzione di coronare al più presto il sogno d'amore che condivide con il suo fidanzato, Ted Wainwright, sembra essere proprio la persona adatta a occupare il posto di assistente di Michael, tanto da venire letteralmente abbordata in una sala da tè per vedersi proporre di diventare loro socia, senza dover fornire alcun tipo di referenza, ma solo a causa della sua somiglianza con una certa Renée de Varennes. Dal canto suo, Marjorie è un po' dubbiosa: non capisce cosa vedano in lei i Crispin, per dimostrarsi così entusiasti nel caso decidesse di accettare la loro offerta, ma soprattutto sente che deve esistere qualche imbroglio in una faccenda tanto insolita. Infatti, il salario appare troppo sostanzioso per un semplice incarico da segretaria, e le garanzie per la sua assunzione appaiono tali da destare i suoi sospetti. Certo, la possibilità di acquisire una posizione ben pagata, che la impegnerebbe solo per poche ore del giorno e le permetterebbe di passare più tempo con Ted, la tentano come non mai. Tanto più che lo zio ha velatamente suggerito di allontanarla da casa. E poi, in fin dei conti, i Crispin le sono sembrati rispettabili, anche se un po' eccentrici. Lui, ad esempio, ha un aspetto fisico un po' sgradevole, parla pochissimo e ogni tanto assume un atteggiamento scorbutico; lei, invece, presenta un'aria sottomessa e docile, quasi smorta, ma nel momento del bisogno sembra capace di dimostrare una grande praticità. Peccato solo che non abbiano voluto sbilanciarsi troppo sulla natura dei loro studi...

Indecisa e incuriosita dal loro comportamento riservato, Marjorie decide di fare un sopralluogo al n. 7 di Belmont Avenue, dove i Crispin alloggiano, prima di decidere se accettare o meno il posto. Il colloquio con i padroni di casa, tuttavia, si rivelerà fonte di ben più di una sorpresa: laggiù, infatti, dove le stanze sono piene di specchi, strani mobili e drappi per oscurare le finestre, la ragazza scoprirà che Michael agisce come medium, per sedute spiritiche che attirano un gruppo di individui uno più strano dell'altro, mentre Bella si occupa dell'andamento domestico. E quando Marjorie, affascinata dai riti e fiduciosa di poter contare sulle capacità dei Crispin per contattare la madre defunta, si risolverà a mettere da parte i pregiudizi e ad accettare la loro proposta, si innescherà una lunga serie di guai: innanzitutto, la pressione delle sedute porterà la ragazza sul ciglio di un esaurimento nervoso, tanto da spingerla a chiede l’aiuto di uno dei partecipanti ai riti spiritici, il dottor Wood; ma soprattutto, ben presto si verificherà una morte impossibile, la quale implicherà Ted, intrufolatosi nella cerchia degli adepti dei Crispin per scoprire come mai Marjorie sia cambiata in così poco tempo. Toccherà all'ispettore Morgan il compito di sbrogliare la matassa, scacciare gli incubi che si sono addensati sul n. 7 e trovare le risposte che servono per risolvere l'enigma dell'omicidio e per spiegare la presenza, in un cassetto della scrivania della vittima, di sei oggetti misteriosi e insoliti.

Immagine del Grande Sciopero del 1926, a Londra
Tra i romanzi gialli di Sprigg, "Sei Oggetti Misteriosi" spicca in modo netto in mezzo al gruppo. Più che una detective novel tradizionale, esso appare come un qualcosa di sperimentale, una commistione di generi diversi, alla maniera di "Svanita nel Nulla", a cui viene accostato un enigma imbastito in modo da rappresentare una visione della realtà che definire pessimistica risulta quasi riduttivo. Poco prima di scrivere questo libro, infatti, l’autore aveva fatto proprio il severo idealismo marxista; quindi esso non presenta più la spensieratezza caratteristica dei gialli precedenti, ma in qualche modo intende farsi mezzo di diffusione dell'inflessibile credo comunista, usando un tono serio come accadde anche nelle opere di narrativa di Douglas e Margaret Cole, i quali si impegnarono a fondo per affermare il più diffusamente possibile la causa del loro Partito. Il fulcro centrale della narrazione di questo romanzo di Sprigg, in particolare, verte sugli effetti nefasti che l'interesse per i fenomeni immateriali sortisce sulla mente delle persone comuni e dei deboli, traviandola dall'affidabile materialismo predicato dalla sua nuova fede politica in favore di un "mondo spirituale", che ha come scopo quello di confondere e opprimere l'individuo, spingerlo a lasciarsi manovrare dal Sistema e a credere in cose che, in realtà, sono futili e inconsistenti. Si trattava di una battaglia, portata avanti in modo manifesto dal Partito Comunista ancor prima del famoso Sciopero Generale del 1926, che occupava le prime pagine dei giornali ed interessava più o meno tutta quanta la popolazione della Gran Bretagna; per cui Sprigg, deciso a promuovere la causa comune ai suoi compagni, si convinse a scrivere una crime story per dare un'ulteriore spinta alle innovative convinzioni che si andavano diffondendo tra la gente. E per mettere bene in luce la netta differenza tra la “sua” visione della società rispetto a quella degli avversari, non trovò di meglio che ideare una vicenda con cui scagliarsi contro lo spiritismo che furoreggiava in quegli anni, usandolo come capro espiatorio.

Quella dei riti per il contatto con i morti era una vera e propria mania, nata in America nel corso dell'Ottocento e diffusasi in seguito anche in Inghilterra, dove aveva fatto grande opera di proselitismo; soprattutto tra il 1914 e il 1930, quando la perdita di numerosissime vita nelle guerre mondiali indusse non solo il personale sanitario nei campi di battaglia, ma anche i familiari sopravvissuti delle vittime a cercare conforto nelle sedute attraverso cui parlavano con i cari defunti. In un paese scosso dalle conseguenze del conflitto a livello nazionale (non per nulla si parla di "Shell Shocked Britain"), non sorprende che in molti facessero affidamento in tali pratiche al fine di "aiutarsi a sollevare l'onere del dolore sopportato [...] sia a diffondere la "verità" della comunicazione spirituale". E stupisce ancora meno il fatto che molti personaggi pubblici avvalorassero i riti, come ad esempio Arthur Conan Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes, attirandosi in questo modo le ire di cattolici e anglicani, i quali accusarono i medium di essere ciarlatani aggressivi; di medici, che consideravano la faccenda come una minaccia che avrebbe favorito lo sviluppo delle psicosi, ed infine proprio dei marxisti. Nell'ottica di questi ultimi, lo spiritismo era raffigurato come uno strumento attraverso cui manovrare gli emarginati e i deboli; una messa in scena che implicava la corruzione morale e andava contro tutti i principi. "Un tentativo di sfruttare gli alienati [...] lo stanno facendo un po’ dappertutto a Londra, se per alienati non intendiamo solo quelli dichiarati tali, ma anche chi ha una mente più o meno debole, i disadattati o chi è emotivamente sconvolto per un grave lutto" osserva a riguardo Sprigg, nella parte finale di “Sei Oggetti Misteriosi”. Quindi, questo aperto attacco allo spiritismo deve essere interpretato come un'accusa consapevole da parte del comunismo contro l'influenza dei cosiddetti "poteri forti" (o "superfurfanti", come li definisce Sprigg nel romanzo). Grazie all'utilizzo di un linguaggio scarno e fatto di nozioni precise, l'autore mette in luce come non ci sia nulla di davvero suggestivo o spiritoso nelle allucinazioni di Marjorie, nelle sedute cui la ragazza partecipa e nella figura di Michael Crispin, come invece avviene in altri romanzi gialli della Golden Age, quali "Un Messaggio dagli Spiriti" di Agatha Christie e "Veleno Mortale" di Dorothy L. Sayers. E non sottolinea affatto il ruolo positivo dei riti spiritici nello smascheramento dei colpevoli: spesso, infatti, questi venivano adottati dagli investigatori al fine di influenzare personaggi suggestionabili; nel suo romanzo, invece, Sprigg conferisce loro una funzione del tutto diversa, quali meri espedienti per fare pressione sulla psicologia degli associati e indurli alla pazzia, così da eliminarli dalla società in quanto incapaci di intendere e di volere (a questo proposito, è significativa la descrizione della vita in manicomio ai capitoli 9, 10 e 11).

Con la storia di Marjorie, egli intende dare un monito al lettore: a partire dal desiderio della ragazza di un'esistenza romantica, lontana dalla monotonia di tutti i giorni, sviluppa pian piano una serie di vicende che intendono illustrare come sia più sicuro (e quindi preferibile) affidarsi a uno stile di vita basato sulla fiducia che deriva da fatti concreti e non da parole e promesse vuote. Ad esempio, viene più volte sottolineato come l'incontro tra Marjorie e i Crispin sembri studiato a tavolino (pp. 20-21); viene messo in evidenza il modo apparentemente affabile attraverso cui i due fratelli conquistano la fiducia della ragazza (pp. 53-55); vengono ribaditi gli inutili tentativi di Ted di riportare Marjorie "sulla retta via", in seguito al contatto con il mondo dello spiritismo (pp. 59-62), come pure il fatto che la ragazza appaia sempre più succube dell'influenza dei Crispin dal momento in cui Ted non costituisce più un punto fisso nella sua vita (pp. 70-73). Sprigg suggerisce che anche l'accettare il supporto di personaggi che ce lo offrono per puro spirito di carità (quali Mrs Threpfall e del dottor Wood) è qualcosa di cui bisogna diffidare, poiché non sappiamo quali possano essere i loro fini reali. Insomma, con questo romanzo Sprigg mette in rilievo come sia pericoloso affidarsi a un mondo che, attraverso facili inganni e speranze illusorie, può cambiare radicalmente la nostra personalità, attuando con fredda crudeltà una sorta di "lavaggio del cervello", e suggerisce che solo la guida di persone consapevoli può "guarire" chi si è assuefatto al "mondo spirituale" tanto odiato dallo stalinismo (vedasi p. 274). Tenuto conto di tutto ciò, dunque, quella di "Sei Oggetti Misteriosi" risulta una storia più complessa di quanto appaia a prima vista: non è soltanto un romanzo ibrido, con una prima parte costruita sul tipo del giallo tradizionale e una seconda impostata più sul genere thriller, ben intrecciate tra loro e caratterizzate da un'accurata gestione della suspense (pur tenendo conto che purtroppo non esiste fair-play e che la spiegazione dei sei oggetti misteriosi non è forse così centrale nella trama); è un libro che, sotto sotto, descrive la società del suo tempo e i cambiamenti che in quel momento erano in atto.

Christopher St. John Sprigg, nato
nel 1907 e morto nel 1937
Lo stesso Christopher St. John Sprigg, negli ultimi anni della sua vita, prese parte ad alcuni importanti avvenimenti della Storia. Nato nel 1907 a Putney, nella zona sud-ovest di Londra, dopo aver lasciato la scuola a quindici anni, a causa del licenziamento del padre dalla redazione del Daily Express, egli divenne prima giornalista per lo Yorkshire Observer, ed in seguito direttore di un giornale per conto proprio: l'Aircraft Engineering, una testata che si occupava di aviazione, argomento del quale lui era un grande appassionato. Lettore voracissimo, versatile romanziere, scrittore di poesie e opere teatrali, oltre che di trattati filosofici, scientifici, critici e ovviamente romanzi gialli, all'età di 27 anni Sprigg si appassionò alle teorie marxiste ed iniziò a studiarle a fondo, segnando la sua vita nel bene e nel male. Impiegò un decennio prima di pubblicare, sotto lo pseudonimo di Christopher Caudwell, il suo primo saggio a riguardo, "Illusione e Realtà", dove accostava la sua visione della società a quella dell'impegnata cerchia di poeti guidati a W.H. Auden; nel frattempo, tra un volume di poesie e un saggio sugli aerei, tra il 1933 e il 1937 si dedicò alla pubblicazione di sette crime novels, la maggior parte caratterizzate da uno stile brillante e personaggi vivaci che gli procurarono gli elogi di altri colleghi quali Dorothy L. Sayers (con la quale intrattenne uno scambio di corrispondenza per un breve periodo), Michael Innes e Nicholas Blake. Con quest'ultimo condivise l'impegno sociale e politico nel campo della narrativa: oltre a "Illusione e Realtà", infatti, avrebbe dato alle stampe ancora molti manuali e testi di critica in questi ambiti. Peccato che non ne avrebbe visto nessuno: a partire dal 1934, l'attivismo politico iniziò a consumarlo lentamente, tanto da capovolgere le sue idee riguardo le opere fittizie fino a considerarle come "spazzatura" da buttare giù solo per i soldi. Le opere più importanti, secondo lui, erano i tomi pesanti e seri sulla teoria del comunismo. Inoltre, l'attivismo per conto del partito e l'intenzione di lavorare attivamente per la sua Causa lo spinsero a recarsi, nel 1936, fino in Spagna, dove guidò un'autoambulanza e si fermò in modo stabile per essere di supporto ai compagni. Fu laggiù che, un anno dopo, venne ucciso il primo giorno della battaglia di Jarama, nonostante i disperati tentativi del fratello Theodore di convincere il segretario del partito comunista di richiamarlo in patria; ormai si era perso nella sua guerra personale, ma perlomeno morì combattendo per qualcosa in cui credeva con passione.

Lasciò in eredità ai posteri una grande quantità di opere di vario genere, ma al giorno d'oggi le più ricordate sono quelle appartenenti al genere della crime story: "Omicidio a Kensington" (1933), "Omicidio in Fleet Street" (1933), "L'Alibi Perfetto" (1934), "Morte di un Aviatore" (1934), "The Corpse with the Sunburnt Face" (1935), "Death of a Queen" (1935) e "Sei Oggetti Misteriosi" (1937), che ho recensito quest'oggi. I suoi personaggi sono sempre vividi e descritti a tutto tondo: ad esempio, Marjorie Easton, da tipica ragazza ingenua e un po' credulona, evolve dalla propria condizione di disperazione, dopo aver sperimentato incubi terribili ed essere stata sull'orlo dell'esaurimento nervoso, in una donna che ha preso coscienza di sé e che "ha imparato la lezione" (p. 274). L'ispettore Morgan, da investigatore per nulla fantasioso, sperimenta l'esperienza di confrontarsi con un caso insolito e si scopre capace di immaginare abbastanza per riuscire a risolvere l'indagine che gli è stata affidata. Ted, alter ego dell'autore, supporta Marjorie nel suo processo di evoluzione e le permette di raggiungere una vita felice. Queste tre figure condividono la scena all'interno del romanzo, affiancati dalla coppia dei Crispin, astuti, strani e insinuanti, ma anche molto affascinanti (una delle caratteristiche di Michael mi ha sorpreso non poco). Lo stile e la descrizione della ambientazioni, infine, danno un tocco di irrealtà alla vicenda, come se fossimo immersi in una sorta di incubo ad occhi aperti, dove la crudeltà la fa da padrone e l'oscurità può inghiottire le persone quasi senza che esse possano ribellarsi. Tutto ciò ho ricavato dalla lettura di questa prova letteraria, interessante ed insolita nel suo insieme all'interno del panorama della classica crime story. Sono i risvolti psicologici e mentali ad interessare l'autore, insieme alle sollecitazioni che vengono dall'esterno e influiscono sul ruolo in società dell'individuo. Grazie al tono cupo e a volte venato da uno spiccato umorismo nero, tutto ciò appare claustrofobico e minaccioso; è proprio un peccato che un autore come Sprigg, dotato di un raro talento nella narrazione e di uno stile tanto brillante, sia morto così giovane; se fosse vissuto e avesse deciso di allontanarsi dal marxismo, forse avrebbe potuto allietarci con altre storie. È proprio vero che le guerre sono deleterie per l'umanità.

P.S. Questo post è dedicato alla memoria di Marco Polillo, scomparso dopo che io avevo già scritto l'introduzione che trovate in cima alla pagina. Grazie ancora per tutto quello che hai fatto per il giallo in Italia.

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