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venerdì 18 giugno 2021

75 - "Le Porte di Damasco" ("Postern of Fate", 1973) di Agatha Christie

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 515
Una cosa che mi piace tantissimo fare è andare alla ricerca di libri usati o che, per tutta una varia serie di circostanze, la gente decide di buttare (sacrilegio) per sbarazzarsene. Sia perché, in questo modo, i volumi ottengono una sorta di nuova vita e non rischiano così di venire rovinati oppure dimenticati in qualche soffitta buia e polverosa, sia perché si ha la possibilità di riciclare un oggetto altrimenti destinato ad essere distrutto prima che il materiale di cui è fatto possa venire impiegato in un altro modo, sia per una semplice questione di risparmio economico (chi non preferisce spendere pochi euro oppure addirittura vedersi regalata una borsa di libri, invece di spendere una fortuna?) e di procacciamento di materiale difficile da reperire. Infatti, almeno per quanto riguarda la mia esperienza di appassionato lettore di romanzi gialli, è nelle svendite e nei mercatini dell'usato che si trovano i titoli più interessanti da leggere, magari perché pubblicati soltanto in un'occasione e per questo è complicato reperirli. La maggior parte dei mysteries che possiedo l'ho accumulata proprio in questo modo, e sarò sempre grato ai negozi di articoli di seconda mano che mi hanno permesso di accumulare un patrimonio del genere a costi ridotti quasi allo zero.

La passione dell'accumulo di volumi di vario genere, tuttavia, non affligge soltanto il sottoscritto: infatti non solo nella vita reale, ma pure nella finzione di quegli stessi romanzi del mistero che tanto mi piacciono capita spesso di trovare personaggi dediti alla stessa attività. Ad esempio Lord Peter Wimsey, creato dalla mente geniale di Dorothy L. Sayers, nutre una passione smodata per le aste di volumi rari e antichi e si diverte un mondo a sperperare il patrimonio di cui dispone in una lunga serie di acquisti in tal senso. Non si può dire del tutto che siano negozi di oggetti usati, però il loro fine ultimo resta quello di vendere un oggetto che era appartenuto a qualcun altro. Qualcosa di simile, poi, si può applicare a Nigel Strangeways, l'investigatore che Nicholas Blake fece agire nella maggior parte dei suoi gialli e che possiede una sconfinata cultura di carattere classico, coltivata anche grazie all'acquisto di libri pregiati che non si trovano facilmente. E che dire di Henry Gamadge, il segugio dilettante bibliofilo che indaga nell'America tra gli anni '40 e '50 del Novecento e nato dalla penna di Elizabeth Daly? In "Morte al Telefono" c'è addirittura un'intera scena ambientata in una sorta di libreria clandestina, mentre parte del mistero comprende una stampa nascosta in mezzo a un'enorme quantità di libri. Come vedete, insomma, sono molti i personaggi che nutrono un interesse particolare per la carta stampata e per le storie di finzione; compresi quelli che sono i protagonisti del giallo che recensisco oggi. Infatti, in "Le Porte di Damasco" di Agatha Christie (Classici del Giallo Mondadori n.515, 1986), i buoni coniugi Tommy e Tuppence Beresford si ritrovano catapultati in un misterioso affare proprio a causa di una pila di libri che è stata donata loro (e che hanno accettato di buon grado). Anche le buone azioni possono dare vita ad entusiasmati avventure, pure quando uno vorrebbe starsene tranquillo e mai sospetterebbe pericoli in agguato.

A Fellside Cumberland Village, John Alfred Arnesby Brown,
1939
La storia si apre con i nostri protagonisti intenti a sistemare la sopracitata quantità di volumi nella soffitta della loro nuova casa. Tommy e Tuppence, infatti, hanno deciso di lasciare la vita rocambolesca che hanno condotto fino ad allora e, sfruttando la scusa di essere ormai invecchiati e di desiderare una meritata pensione priva di criminali, di rintanarsi nello sperduto villaggio di Hollowquay. Laggiù hanno acquistato "I Lauri", una grande villa che possa ospitare all'occorrenza la loro figlia e i nipoti, e l'unica loro preoccupazione sembra essere quella di essere tanto assediati da operai fin troppo solerti nello svolgimento delle proprie mansioni, quanto di ritrovarsi con buchi sul pavimento lasciati da elettrecisti sbadati. Sembra... Poiché, mentre sistemano i volumi nella libreria della soffitta, Tuppence si rende conto che all'interno de "La Freccia Nera"di Stevenson qualcuno ha sottolineato alcuni pezzi di parola in una pagina. Incapace di trattenere la curiosità e di ignorare gli avvertimenti del marito, si lancia subito a trascrivere il testo che quelle lettere all'apparenza senza senso faranno emergere e il risultato la lascia molto confusa e turbata. La frase che ricava, infatti, recita nientemeno che: "Marie Jordan non è morta di morte naturale. L'ha uccisa uno di noi. Io so chi è stato". Il senso sembra inequivocabile, qualcuno è morto in seguito a un finto incidente e un criminale è rimasto impunito. Il senso di giustizia che anima la coppia di investigatori dilettanti non riesce a smorzarsi e così, nonostante un po' di iniziale ritrosia di Tommy, i due i mettono alla ricerca di un'eventuale morte sospetta e di conseguenti sospettati da mettere sotto un'ideale lente di ingrandimento.

E per farlo ripercorrono le vicende quotidiane e straordinarie di Hollowquay e dei suoi riservati abitanti, tra bambini che sanno tutto perché gli adulti non si curano della loro presenza, ed anziani signori e argute zitelle che mescolano realtà e fantasia nelle loro menti stanche e sognanti. Il viale del ricordo porterà Tommy e Tuppence a riallacciare i rapporti con vecchi amici, i quali già in passato hanno dato loro una mano per scovare delinquenti e spie nemiche, e a scoprire nuovi alleati inaspettati. E nel frattempo, tra un tè in una casa di riposo e una visita presso un capezzale, si diramano le esuberanti faccende domestiche della coppia alle prese con giardinieri burberi, servitori leali e l'esplorazione di camere ed edifici adiacenti alla proprietà principale. Finché, come in un buon giallo che si rispetti, non ci scappa il morto. Quest'ultimo ha forse qualcosa a che fare con la misteriosa Marie Jordan, ammazzata molti anni prima e mai vendicata? Ci vorrà molto impegno e un pizzico di fortuna prima di scoprire la verità che si cela tanto nel passato turbolento della Seconda Guerra Mondiale, quanto in un presente non ancora privo di minacce per la popolazione europea.

Books (back cover of 'High Street'), Eric Ravilious, 1938
Se dovessi basare il mio giudizio su "Le Porte di Damasco" soltanto sul carattere puramente "giallo" della storia, probabilmente sarei costretto a bocciarlo per un motivo molto semplice e chiaro da esporre: non esiste alcun mistero vero e proprio da sbrogliare, almeno inteso come un classico enigma a cui Christie ci ha abituato. Se confrontiamo quello che ci viene presentato qui e, per fare un esempio, il caso Armstrong di "Assassinio sull'Orient-Express" o l'indagine sulla morte di Amyas Crayle in"Il Ritratto di Elsa Greer", infatti, ci troviamo di fronte a un abisso di differenza: tutta la vicenda ruota attorno a un enigma che non può essere sciolto in autonomia dal lettore, il quale è costretto a seguire il cauto avanzare dei protagonisti e la loro raccolta di informazioni, fino a giungere a una conclusione che cala dall'alto un po' all'improvviso. Insomma, chi legge si ritrova di fronte a una serie di accadimenti i quali hanno l'aria di essere più un aspetto secondario all'interno di un romanzo di costume. Pertanto, come "giallo", "Le Porte di Damasco" non soddisfa le aspettative di un attento lettore medio come il sottoscritto. Detto ciò, tuttavia, voglio spezzare una lancia a favore di questo libro perché, se ciò che ho sostenuto fin qui vale, d'altra parte nella mia concezione di mystery un autore non dovrebbe limitarsi a descrivere la corsa di un investigatore (o un dipartimento di polizia) alle calcagna di un assassino, ma dare forma alla sua storia in modo da evocare un mondo intero che la circondi. Voglio dire, non limitarsi a descrivere le peripezie che il segugio deve affrontare per stanare la preda e metterla in stato d'accusa, ma inserire questa ricerca in un contesto vivo capace di aggiungere qualcosa al racconto. E in "Le Porte di Damasco" Christie riesce perfettamente a compiere questo processo. Quel che resta impresso, alla fine della lettura, è infatti il tratteggio della quotidianità che esula dal mistero: i bisticci con i giardinieri, i tè presso la parrocchia, le aste di beneficenza a cui Tuppence partecipa per raccogliere informazioni utili alla caccia cui sta prendendo parte, gli incontri al capezzale di anziani e presso laghetti con bambini di tutte le età.

Arrivata alla fine della propria vita, anziana e stanca, forse Christie ha deciso di lasciarsi un po' andare, di non rispettare il rigido schema narrativo che si era imposta e il patto di reciproca fiducia che aveva stretto con i lettori (nonostante già in passato avesse tentato di trovare qualche scappatoia...), e di intraprendere quel sentiero che molti anni prima aveva già solleticato una sua collega: Dorothy L. Sayers. Quest'ultima, infatti, non aveva mai fatto mistero di voler "innalzare" il romanzo giallo di inizio Novecento, tutto concentrato in una serie di rilevamenti e di deduzioni alquanto gelide e analitiche, a vero e proprio genere "di costume", capace di andare più a fondo nelle faccende pur senza tradire lo spirito della classica crime story. Ecco, Christie si è come impegnata a mettere in secondo piano l'enigma (sfruttando tra l'altro proprio i personaggi che, con la loro inclinazione a ritrovarsi invischiati in episodi di controspionaggio e di agenti segreti, meglio potevano adattarsi a una vicenda con un'indagine meno articolata) per soffermarsi su ciò che fa da contorno ad esso. Così, invece di ideare un mistero articolato e pieno di insidie, l'autrice si diletta a raccontarci le vicissitudini quotidiane di Tommy e Tuppence alle prese con la ristrutturazione della loro nuova casa, il viavai di operai che entrano ed escono dall'edificio, i loro sforzi per fare in modo che tutto sia a posto, dalle camere con gli oggetti da sistemare fino al giardino e all'orto da curare. Assistiamo alle impervie spedizioni di Tuppence dentro a serre polverose, alle scorribande di Tommy a passeggio per cimiteri nebbiosi assieme al fido Hannibal, agli incontri e scontri con personaggi di varia estrazione sociale (dalle cameriere alle addette al servizio postale, dai colonnelli a misteriosi uomini chiusi in angusti uffici londinesi, da anziane zitelle a nutriti gruppi di ragazzini). E tutto questo mentre, sullo sfondo, simile a qualcosa che incombe il mistero allunga la sua ombra, sempre presente. Da notare che non uso questa frase a caso, poiché il passato gioca un ruolo importantissimo dentro "Le Porte di Damasco". Anzi, si potrebbe dire che sia la Storia (con la S maiuscola) ad essere protagonista quasi alla pari con Tommy E Tuppence. 

Agatha Mary Clarissa Miller, alias Agatha Christie, nata
nel 1890 e morta nel 1976
Un'altra caratteristica di "Le Porte di Damasco" è infatti la vena storico-sociale che attraversa la sua trama. Fin da quando nasce il sospetto che l'enigma su cui Tommy e Tuppence devono indagare sia del tipo spionistico, viene spesso tirata in ballo la questione della sicurezza nazionale britannica, tanto minacciata da un pericolo di stampo fascista quanto lo era stata nella prima metà del Novecento. Mi ha molto colpito il fatto che le parole di Christie (espresse attraverso i suoi personaggi) siano ancora oggi cosi attuali: tra le altre cose, ad esempio, viene sottolineato come la Storia tenda a ripetersi, il fatto che il nazifascismo stia riacquistando forza grazie a una graduale tradizione di idee degenerate e pericolose, una preoccupante quantità di doppiogiochisti e di agenti segreti che si annidano negli angoli più remoti del Paese. Se guardiamo alla società di oggi, queste cose si possono ritrovare nei movimenti di Casapound a Roma, oppure nello scandalo che ha coinvolto il COPASIR e i servizi segreti italiani: la Storia si ripete ancora e ancora ed è sconcertante come non si sia capaci di imparare dagli errori compiuti in passato. D'altronde, bisogna ammettere che Agatha Mary Clarissa Miller (questo era il cognome da nubile di Christie, trasformato una prima volta in occasione del primo matrimonio, e divenuto Mallowan con l'avvento della seconda relazione coniugale) fu in grado di creare storie che restano attuali pure un secolo dopo la sua nascita, forse grazie alla propria capacità di comprendere tanto bene il mondo che a circondava, con tutti i suoi contrasti. A volte è stata generosa e disposta alle confidenze, altre si è rivelata più chiusa di un'ostrica. Grazie alla sua autobiografia, ad esempio, sappiamo molto riguardo la sua infanzia, il periodo più felice di tutta la sua esistenza, quello dove gli affetti rappresentati dai genitori, dal fratello, dalla sorella e dai domestici non mancarono mai; in cui le giornate erano piene ancor più del solito di voglia di fare, giocare, scoprire il mondo; durante il quale iniziò a viaggiare e che le regalò ricordi indelebili, come le giornate passate da "zia-nonnina" nella casa di Ealing.

Allo stesso modo, ci ha raccontato con generosità i primi balli e gli incontri con gli innumerevoli giovanotti che la corteggiarono, così come il momento in cui si ritrovò catapultata improvvisamente nel pieno della Grande Guerra e iniziò a lavorare come infermiera al dispensario di Torquay. Ha descritto la nascita della sua carriera di scrittrice, dovuta all'impulso di un momento in occasione di una scommessa con la sorella Madge; l'incontro con Archie, il primo marito, e il loro viaggio in giro per il mondo in occasione dell'Esposizione Universale del 1924; la nascita della figlia Rosalind; la passione per le case e il cibo; il viaggio in Oriente e gli scavi archeologici. Persino la gioia nel possedere un auto di proprietà e di aver cenato accanto alla Regina d'Inghilterra. Tuttavia, riguardo altri eventi della sua vita Agatha Christie ha preferito lasciare un'ombra di incertezza e di dubbio. Il fatto più famoso, in questo senso, è la sua scomparsa nel 1926, quando Archie le confessò di essersi innamorato della sua segretaria e di voler divorziare. Probabilmente nessuno, al di fuori della stessa Agatha, ha mai saputo quale fu il movente scatenante di questo improvviso colpo di testa: forse un'amnesia, come sostennero i suoi familiari? Oppure un deliberato tentativo di accusare il coniuge fedifrago di averla eliminata per ottenere la separazione? Martin Edwards, sfruttando le informazioni ricavate dai romanzi di questa grande scrittrice, in "The Golden Age of Murder" ha formulato un'interessante ipotesi a riguardo.

In ogni caso, resterà per sempre un mistero insoluto, poiché nemmeno prima di morire lei rivelò la verità. Anche del suo rapporto con gli altri membri del Detection Club, l'associazione di giallisti di cui fece parte per molti anni, non racconta nella sua autobiografia; tuttavia, in questo caso possiamo sfruttare le lettere e i documenti che proprio i suoi compagni ci hanno lasciato, i quali ci tramandano un'immagine vitale e disponibile della Christie, fatta di sostegno reciproco e condivisione di interessi oltre che di amicizia e sacrificio, come nel momento in cui lei, nonostante la timidezza, accettò di assumere la carica di Presidente del Club, poiché nessun altro possedeva le specifiche capacità richieste dal ruolo. La modestia fu sempre una delle sue caratteristiche principali, tanto che odiava rilasciare interviste (non si fidava della stampa, dopo che essa l'aveva gettata in pasto alla gente al momento della sua scomparsa) e non riusciva a spiccare parola davanti a un pubblico o ad eseguire correttamente un pezzo al pianoforte, se le premesse si facevano terribilmente ufficiali; ma il tratto caratteriale che a mio parere l'ha saputa contraddistinguere maggiormente è stata soprattutto la sua grandissima gioia di vivere, la quale le permise di coltivare un carattere solare, purché venato a volte da qualche ombra, che lei riversò nei suoi personaggi, rendendoli più vivi che mai e, in questo modo, facendoceli amare anche nella loro imperfezione. Noi stessi potremmo essere i protagonisti delle sue trame, in procinto di affrontare le nostre sfide e di rialzarci ogni volta che cadiamo.

Tutti loro non sono mai come sembrano, attori di un romanzo giallo che ingannano il lettore; cosa dire allora di noi stessi, che indossiamo ogni giorno una maschera diversa? Agatha Christie l'aveva capito, ed era riuscita a trasportare questa consapevolezza (e la Vita reale, come gli altri Grandi) sulla carta per farne materiale da usare allo scopo di sviare il lettore; senza mai barare, per giunta. Perché se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare alla Signora del Delitto, quello è proprio il suo Onesto Inganno: ovvero, fornirci tutti gli indizi che ci servono (rispettando il rigido fair-play) e, allo stesso tempo, menarci per il naso con una classe a tutt'oggi ineguagliata, tra false piste e "aringhe rosse". In "Le Porte di Damasco" questo discorso vale un po' meno, visto il carattere semplicistico dell'enigma; in ogni caso, il romanzo non si può certo definire scadente oppure noioso per chi sia interessato ad approfondire il contesto in cui il mistero sulla morte di Marie Jordan viene calato. Ancora un volta, Christie riesce ad irretire il lettore e a distrarlo dalla realtà quotidiano in favore di una vicenda fittizia intrigante.

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