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venerdì 31 luglio 2020

41 - "Laura - Vertigine" ("Laura", 1943) di Vera Caspary

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Se pensiamo a un romanzo giallo classico di ambientazione vacanziera oppure estiva, ci viene naturale soffermarci quasi in automatico su alcuni scenari specifici: il villaggio di campagna, simbolo della tradizione e monito su quanto possano essere ingannevoli le apparenze suscitate a un primo sguardo da distese di pacifici campi arati, oppure quelle località balneari sulla costa inglese che tra giugno e settembre si riempiono di chiassosi turisti, intenzionati a trascorrere giorni e giorni a prendere il sole senza muovere un muscolo. Esempi di queste tipologie di romanzo possono essere rispettivamente "Il Picco delle Streghe" di Glyn Carr, nel quale il capocomico e investigatore dilettante Abercrombie Lewker si reca in un villaggio del Lake District per trascorrere qualche giorno in relax e si imbatte in uno strano incidente occorso a una scalatrice, e "Corpi al Sole" di Agatha Christie, che abbiamo visto la settimana scorsa e incarna lo stereotipo del mystery ambientato in un hotel sul mare, teatro di una morte violenta che prontamente susciterà la curiosità dell'investigatore di turno. In realtà, potrei citare molti altri romanzi del mistero di questo tenore, soprattutto britannici; ma non è questo il punto che voglio affrontare nell'introduzione alla recensione di oggi. Quello che mi preme sottolineare è che, nonostante questi scenari sorgano con più facilità alla nostra mente quando pensiamo a un delitto che si verifica nei mesi estivi, gli sfondi di questo tipo di delitto non sono riconducibili soltanto alle campagne e ai villaggi sulla costa. Anche la metropoli ostile, con i suoi pericoli urbani e la cappa di afa e di umidità soffocante che preme sugli sfortunati che si trovano costretti a trascorrere i mesi più caldi dell'anno in minuscoli appartamenti, senza il refrigerio dell'aria condizionata, gioca un ruolo importante nel costituire, all'interno di un romanzo del mistero, la scenografia su cui si stagliano i drammi del genere umano. Certo, in questo modo le vicende raccontate assumono un tono più prosaico, minimalista, che personalmente riconduco soprattutto a romanzi e film di genere noir girati in bianco e nero a Hollywood, negli anni '40 e '50: il gioco di luci e ombre che rappresenta simbolicamente il conflitto tra bene e male, l'inchiesta portata avanti dalla polizia o dal private eye, la sfiducia e l'alienazione suscitate dalla Grande Depressione del 1929 e dal Proibizionismo; tutto questo può verificarsi solo in una grande città americana del secolo scorso. Però, finché non si sconfina troppo sulla violenza e sugli aspetti più volgari del genere hard-boiled, trovo che la metropoli possa costituire un'ambientazione soddisfacente per una tragedia estiva atta a soddisfare gli appassionati di giallo classico.

Le atmosfere buie, soffocanti e malsane del noir e il riscatto dei personaggi, oppressi tanto dal clima quanti dalla società che lo considera sbagliati oppure inferiori perché pervasi da una profonda inquietudine, in lotta contro diabolici nemici e assassini insospettabili e resi folli dalla sete di potere, in qualche modo possono essere accostati agli elementi della tradizione di stampo britannico, dove troviamo individui che agiscono in situazioni simili i quali, alla pari di detective privati e giornalisti d'assalto, si impegnano a contrastare il male che vuole trionfare in ogni essere umano, trovandosi ogni tanto invischiati in esso, e mettono in luce una sottesa critica sociale. Ancor più in estate, quando gli animi dovrebbero rallegrarsi ed essere lieti, i protagonisti dei mysteries noir sono oscuri e curvi sotto il peso di tormenti che intorbidiscono le loro coscienze e generano dubbi esistenziali. Mi affascina moltissimo questo mondo contorto e malato che scaturisce dal noir, nonostante esso sembri così lontano dalla crime story britannica, proprio perché mette in discussione quelle che dovrebbero essere certezze e suscita interrogativi esistenziali che svelano quanto sia ipocrita una certa fetta della società; per cui ho deciso di inserire, tra le letture estive, un romanzo di questo tipo che amo molto e che (guarda caso) si svolge proprio nel corso di alcune settimane afose a New York. Il titolo del libro porta il nome della sua bellissima protagonista, "Laura" (Polillo Editore, 2009), ed è stato scritto da Vera Caspary, una delle scrittrici che più hanno sottolineato la necessità di mutare l'immagine della donna da sottomessa a quella che lavora e ha diritto all'indipendenza, all'interno del giallo americano. Forse questi appellativi non significano niente per voi, ma se vi dicessi che questo libro è stato trasformato in un film da Otto Preminger, col titolo "Vertigine"? Se lo avete visto, non avrete di certo dimenticato la sua storia diabolica e maledetta, in cui i colpi di scena di susseguono uno dopo l'altro e i personaggi sono animati da emozioni turbolente e sentimenti inarrestabili; se così non fosse, vi consiglio di affrontare per primo il romanzo di Caspary e di lasciarvi travolgere dalla sua narrazione tanto nebulosa e ambigua quanto feroce.

Un'assolata New York degli anni '40, simile a
quella che troviamo in "Laura"
Il racconto si apre con un colpo di scena magistrale: Waldo Lydecker, scrittore, filantropo e perverso critico letterario sta raccogliendo le forze al fine di scrivere un epitaffio per la sua carissima amica Laura Hunt, la protagonista del romanzo, la quale è stata assassinata appena due giorni prima con una scarica di pallini in volto, dopo aver aperto ignara la porta del suo appartamento all'omicida. L'uomo ha trascorso le ultime ventiquattr'ore carico di emozioni e dolori, a piangere e consumare tutte le sue capacità di sofferenza, e adesso si sente pronto a dare libero sfogo alla propria vena artistica e istrionica per rendere immortale la sua pupilla; quando all'improvviso viene interrotto dall'arrivo di Mark McPherson, il poliziotto incaricato delle indagini sull'omicidio di Laura. Siccome il punto di vista che il lettore segue è quello di Waldo, un individuo colto e raffinato al punto da apparire quasi effeminato, fin da subito ci facciamo un'idea netta e negativa del giovane tenente, dipinto come uno di quei tipi duri e un po' volgari che popolano le storie degli autori hard-boiled: dedito alla raccolta di testimonianze e indizi quasi controvoglia, cinico e tormentato da una vecchia ferita di guerra che non gli dà tregua, cresciuto in un mondo dove gli agi non esistono e tutto si deve guadagnare col sudore della fronte e stando attenti a non pestare i piedi delle persone sbagliate. McPherson vede il delitto di Laura come l'ennesimo regolamento di conti tra una ragazza "facile" e il suo amante, e non si fa illusioni su quale sarà l'esito dell'inchiesta; con fare un po' snob, auspica che il successo nella cattura del colpevole possa almeno giovargli nella sua scalata di carriera.

Eppure, sotto la scorza del tipo inflessibile e puritano, mentre il racconto sgorga dai vivi ricordi di Waldo, scorgiamo nel poliziotto qualche spiraglio di intelligenza e di sentimento; soprattutto quando apprende i particolari sulla vittima che gli vengono forniti di interrogatorio in interrogatorio da Lydecker, la signora Susan Treadwell (la zia di Laura) e il giovane promesso sposo della defunta, Shelby Carpenter. Mettendoli tutti insieme, non esce la solita figura sbiadita e insignificante della prostituta e della donna preoccupata soltanto di apparire bella che ha incontrato ogni giorno della sua vita; McPherson si rende conto sempre più che Laura è stata una donna intraprendente, vivace, ambiziosa, un po' timida ma determinata, persino intelligente. Il mistero che aleggia attorno alla morte della ragazza ben presto si trasferisce sulla sua persona, su quello che ha fatto, su chi amava e sugli oggetti che ogni giorno toccava con mano. Il tenente scopre con sconcerto di ritrovarsi molto più spesso del solito sulla scena del crimine, l'appartamento di Laura, e di provare un sentimento nuovo verso la vittima: in parole povere, si innamora perdutamente di una donna che non ha mai incontrato dal vivo e che mai più potrà conversare con lui. Solo la compagnia di Waldo lenisce il dolore e l'emozione che McPherson sente crescere sempre di più nel suo cuore e che non vuole ammettere nemmeno con se stesso; Lydecker, un tempo innamorato anche lui di Laura, lo può capire e compatire. La tensione e i sottintesi tra i due cresce sempre più finché, al termine di una cena elegante da Montagnino, in un'atmosfera carica di umidità e un temporale in arrivo, McPherson decide di tornare all'appartamento di Laura per tentare una volta per tutte di scacciarla dalla sua mente; non sa ancora che presto riceverà una grossa sorpresa... La prima di una lunga serie, poiché le sue indagini sul delitto solleveranno ben presto molti interrogativi e metteranno in dubbio non solo i tormenti della coscienza, le oppressioni e le inquietudini di una società che non riesce a trovare un riscatto dagli abissi in cui è caduta, ma pure i sospetti che McPherson sviluppa sull'uccisione della ragazza. Chi ha mentito e aveva interesse a sopprimere una donna indipendente come Laura Hunt?

Dana Andrews (Mark McPherson) osserva il ritratto di
Gene Tierney (Laura Hunt) nel film "Vertigine"

Nel corso degli anni, "Laura" ha riscosso un successo enorme, in parte influenzato dal fatto che la sua storia è stata trasposta in molteplici forme: non solo come romanzo, ma anche film cinematografico, opera teatrale, addirittura in campo musicale grazie al tema che porta il nome della protagonista e che è stato inciso da Frank Sinatra, tra gli altri grandi interpreti. Eppure, una tale celebrità non si può spiegare solo con questa motivazione; si farebbe un grande torto a quest'opera che, a mio parere, non si può ingabbiare nel solo genere giallo. Certamente, "Laura" appartiene in qualche modo al sottogenere delle women in jeopardy: in esso troviamo i tratti fondamentali che pioniere come Mary Roberts Rinehart e Mignon G. Eberhart inserirono per prime nei loro mysteries, quali la presenza di una fanciulla in pericolo (anzi, addirittura eliminata prima dell'inizio della storia!), di un eroe che fa di tutto per salvarla o comunque darle giustizia, di una cerchia attorno alla figura della protagonista in cui si annidano individui senza scrupoli che tentano in innumerevoli modi di danneggiarla. Tuttavia, nonostante questi aspetti della storia, non possiamo fare a meno di notare come Caspary abbia dato una direzione personale e innovativa al caso dell'omicidio di Laura Hunt. In sintesi, ha compiuto un processo che è stato ripreso dalla seconda generazione di autrici discepole della scuola delle "donne in pericolo": quello di esaltare l'uno o l'altro dei topos di questo tipo di sottogenere narrativo, in base al proprio estro creativo e alle esigenze necessarie, oltre a sviluppare il circoscritto ambiente aristocratico in un campo d'azione più ampio, spesso medio-basso, popolato di personaggi meno artificiosi e vicini al sentire dei lettori. In particolare in "Laura", Caspary ha tratteggiato una storia che non si limita ad essere un caso poliziesco, ma sconfina in uno studio mirato dell'indagine del sentimento dei protagonisti dal punto di vista psicologico ed emozionale, dando vita a un romanzo che può essere letto secondo più livelli di comprensione. Quello che le interessava non era tanto lo scrivere un giallo di suspense, quanto qualcosa che riuscisse ad andare oltre la mera indagine delle scena del crimine. Sfruttando l'espediente del racconto secondo più punti di vista "interni" (su consiglio di un amico) alla maniera di Wilkie Collins, l'autrice ha sopperito alla semplicità della trama (a parte un colpo di scena più o meno a 1/3 del libro) sondando in profondità l'animo dei suoi protagonisti. È in questo che "Laura" esprime al meglio tutto il suo potenziale, non in sorprendenti salti mortali nell'esposizione delle vicende.

Grazie alla narrazione in prima persona, Caspary ci permette di entrare in contatto con la parte più viva dei suoi protagonisti, di avvicinarci alle emozioni che provano nei confronti della vittima e di sfiorare le loro più recondite paure e segreti. Essi rivelano e nascondono di volta in volta i sentimenti che li travolgono, ci fanno immaginare come debbano sentirsi, lasciano trapelare piccoli indizi che possono costituire prove aggiuntive ai nostri sospetti sul loro conto. Si tratta di un'espediente che, nel giallo tradizionale britannico, ha trovato il suo massimo esponente in "L'Omicidio è un Affare Serio" e "Il Sospetto" di Francis Iles (non a caso quest'ultimo il giallo preferito di Caspary), mentre in quello di stampo americano era stato già impiegato da Cornell Woolrich, nei suoi romanzi pieni di disperazione e sconforto, e sarà usato qualche anno più tardi anche da Charlotte Armstrong in "L'Insospettabile", nonostante la struttura di quel libro sia del tipo inverted e quindi sostanzialmente delineata in modo differente. In quest'ultimo e in "Laura" viene sviluppato l'aspetto noir delle vicende, a discapito della semplice suspense di romanzi come "Il Terrore Corre sul Filo", dove l'importante è mantenere alta la tensione pur senza affrontare ragionamenti troppo impegnativi. Conta fino a un certo punto mantenere la giusta tensione all'interno del racconto, il quale risulta una sorta di miscela tra quello hard-boiled e quello di suspense; sono i temi affrontati e la caratterizzazione dei personaggi che giocano il ruolo principale, dando vita a un'ambiguità che pervade perfettamente ogni loro azione e che, durante la rilettura, salterà agli occhi del lettore. Ecco, forse proprio in questo capovolgimento delle apparenze nei confronti dei suoi protagonisti "Laura" può essere accostato al romanzo di Lucille Fletcher e Allan Ullman: come non trovare una certa affinità, tipica del noir, tra le figure che agiscono in "Il Terrore Corre sul Filo" e quelle nel romanzo di Caspary, nelle quali convivono vittimismo ed eroismo e sono nascosti inquietudine, ambiguità e tormento?

Per il resto, ho riscontrato più affinità con "L'Insospettabile"; sia dal punto di vista stilistico, dove troviamo una narrazione per punti di vista multipli nonostante in "Laura" essa sia più marcata, sia nella trattazione di alcuni temi. In un'atmosfera influenzata da un'ambientazione soffocante, buia e malsana (la metropoli malsana e ostile immersa nella calura estiva del giorno, che trova ristoro solo nella notte in cui avvengono i crimini più efferati, pp. 9, 27-28, 39-43, 48, 71-72, 88-89, 92, 98, 172, 193, 196, 229-231), simile a quella che si respira nella casa di Luther Grandison, il conflitto tra il bene e il male, tra la luce e l'oscurità, gioca una partita infinita e senza sosta in cui si oppongono l'eroina e i suoi sostenitori (Laura e McPherson come Francis, Jane e Mathilda) contro loro antagonisti (Waldo, Shelby, Susan come Grandison e Patricia). Lo snobismo (p. 133) di una classe elevata e quasi aristocratica diventa uno strumento di oppressione sugli indifesi e sui "buoni", e viene dipinto al meglio nei suoi lati peggiori, nelle azioni dei "cattivi" che mettono in luce il marcio insito nel loro animo, non senza sottolineare una forte critica sociale all'opportunismo, alla competizione generatasi tra gli esseri umani per primeggiare e conquistare una posizione di potere, alla disparità e alle contraddizioni. Contraddizioni che sono presenti in innumerevoli aspetti: nella fatale lotta tra la Giustizia incarnata da McPherson e il Male manifestato dall'assassino, in cui il poliziotto si sforza per far trionfare il Bene ma, allo stesso tempo, è sfiduciato e consapevole del fatto che il criminale è solo l'emanazione di una forza che non può e mai potrà essere fermata; nell'immagine da sogno che la vita all'apparenza perfetta di Laura e di chi è considerato "realizzato" suscita nelle menti degli infelici, per poi rivelarsi piena di complicazioni; nelle convenzioni di facciata della società, spesso maschilista e caratterizzata da disparità, in cui si partecipa a una vita dove l'eleganza di cene, cocktail, sale da concerto è tanto esaltata quanto fatua, dal momento che in questa finzione irrompe un brutale omicidio; in un edonismo ricercato e bramato, in cui il sentimento e le emozioni selvagge e passionali dovrebbero lasciare il posto a una società intellettuale e dedita alla bellezza fine a se stessa, ma la gelosia e l'odio l'avvelenano senza scampo. Edonismo che, tra l'altro, viene criticato aspramente da Caspary, la quale lascia sottintendere con chiarezza come ci sia ben di meglio della bellezza esteriore e del sentimento fugace che essa può suscitare.

Però è soprattutto l'amore, motore di "Laura" e fulcro attorno al quale si snodano le sue vicende, a rappresentare la contraddizione suprema (pp. 19-22, 43-44, 48, 54-55,60-61, 68-69, 75-81, 94-97, 99-100, 104-109, 135-136, 141-143, 145, 148, 171, 178-180, 184-185, 193-196). È quell'elemento che rende Laura desiderabile sopra ogni altra donna le si trovi accanto, ma la incatena a una condizione di inferiorità nei confronti dell'altro sesso; è la molla che dà vita a uno degli equivoci più grandi all'interno del romanzo, senza il quale non ci sarebbe stata alcuna vittima nell'appartamento della protagonista; è la rovina del colpevole, ma anche ciò che gli permette di elevarsi tra gli altri esseri umani simili a manichini; è la salvezza di McPherson, perso nel cinismo della società e nella propria individualità, ma anche il motivo per cui rischia di fallire nella sua indagine, poiché influenzato da esso; è l'elemento che rende ciechi e che, allo stesso tempo, permette di vedere oltre le apparenze quando decidiamo di scacciare le illusioni. Oltre a tutto questo, come dicevo, l'amore è anche lo strumento attraverso cui l'autrice punta il dito contro gli ideali di adorazione della bellezza esteriore sia negli oggetti sia nelle persone, ciò che mette in mostra le debolezze dell'uomo nel bene e nel male, la lente che rivela quello che si nasconde nella psicologia dell'individuo e ne mette in mostra le ossessioni e le paure. Non solo in Laura, donna ambiziosa e consapevole del proprio valore, protagonista e figura centrale del romanzo, ma pure in Waldo, Shelby, McPherson, Susan, l'amore compie un miracolo e, pian piano, fa cadere le maschere che i personaggi portano addosso. Sia dal punto di vista dell'indagine, sia umano. In questo modo, "Laura" non risulta un semplice romanzo giallo, in cui importa soltanto chi sia l'assassino, ma può assumere molteplici forme. Soprattutto, costituisce uno studio del mistero delle pulsioni in tutte le loro manifestazioni: possiamo cogliere come gli attori sulla scena, immersi in un limbo inquieto che è l'insieme dei propri pensieri, considerino in modo diverso l'affetto e i sentimenti con cui devono convivere ogni giorno della loro esistenza, grazie ai diversi punti di vista che restituiscono l'autenticità di ognuno e ci catapultano all'interno della loro testa, così da poter leggere le loro menti come libri aperti. Gli stereotipi di genere vengono messi in discussione e ciò che ricaviamo è un ritratto incisivo della materia prima di cui è fatto l'essere umano, tanto determinato quanto fragile.

Vera Louise Caspary, nata nel 1899
e morta nel 1987
La stessa Vera Louise Caspary fu una ragazza e donna tanto ambiziosa, inquieta e vulnerabile, quanto la protagonista di "Laura". Nata nel 1899 a Chicago, la città dei gangster, da genitori di origine ebrea, manifestò fin da bambina un carattere deciso e vivace. Nonostante l'affetto che li legava, infatti, loro erano gente comune e già piuttosto avanti con l'età nel momento in cui Caspary nacque; pertanto, non stupisce più di tanto il fatto che lei, come osservò in seguito, avesse deciso fin dai dodici anni di "diventare scrittrice e di rendermi indipendente il più presto possibile, talmente la loro vita era triste e noiosa". Così, terminate le scuole superiori, rinunciò ad iscriversi all'università per dare la precedenza a un'istituto per stenografe, dove si diplomò; e nei diciotto mesi successivi passò da un lavoro d'ufficio all'altro cercando un'occupazione che le permettesse non solo di mantenersi, ma anche di scrivere. Non esisteva alcun college per lei; doveva guadagnarsi da vivere. Finalmente, venne assunta come copywriter da un'agenzia di pubblicità specializzata in vendite per corrispondenza, per la quale iniziò a sfornare una quantità enorme di testi che, quando passarono alla forma del romanzo, non si arrestarono fino al momento della sua morte. Tra un pezzo pubblicitario e un corso per corrispondenza fittizio, come le lezioni della scuola di balletto "Sergei Marinoff School of Classical Dancing", iniziò a scrivere non solo per conto proprio, ma pure per il "Trianon Topics", un settimanale di otto pagine dedicato alla danza distribuito nella sala da ballo omonima, il quale le permise di entrare nel giro giusto e di parlare con un sacco di persone differenti; tra cui numerosi giovanotti di bell'aspetto. Caspary fu, in questo senso, molto libera nei costumi: ebbe molti amanti, addirittura prima che arrivasse a seconda ondata del femminismo, conosciuti soprattutto nel suo girovagare per il Greenwich Village di New York, dove nel frattempo si era trasferita per dirigere la rivista "The Dance". Nel 1924, infatti, alla morte del padre, aveva lasciato il lavoro all'agenzia pubblicitaria perché lo considerava troppo monotono e ripetitivo, senza tuttavia dimenticare la madre che manteneva grazie al denaro che incredibilmente riusciva a cavar fuori da una macchina per scrivere articoli. Tuttavia, di nuovo, Caspary si stufò ben presto della direzione di "The Dance" e decise una volta per tutte di occupare le sue energie esclusivamente con la scrittura. Il suo primo romanzo, "Ladies and Gents", venne pubblicato nel 1929 a causa di un ritardo dovuto all'editore, lo stesso anno della sua seconda fatica letteraria, "The White Girl", storia di una ragazza nera del Sud che si trasferisce al Nord e si fa passare per bianca. L'opera venne elogiata da molti giornali afroamericani per il ritratto veritiero che Caspary seppe tratteggiare nei personaggi del libro; forse lei si era ispirata alle ragazze con cui abitava, in una "casa per giovani donne in carriera" la quale avrebbe costituito pure lo sfondo del suo successivo romanzo, "Music in the Street", caratterizzato da una feroce critica sociale alla condizione femminile sottomessa e da cui l'autrice avrebbe tirato fuori pure una versione teatrale, che però risultò in un fiasco totale. Per fortuna, dopo l'esperienza al "Trianon Topics", Caspary aveva iniziato a scrivere per un giornale simile ad esso, una guida all'intrattenimento distribuita gratuitamente negli alberghi dal nome "Gotham Life: the Metropolitan Guide"; pertanto riuscì a restare a galla. Ma la situazione stava degenerando molto in fretta; così, in condizioni economiche ormai disperate, scrisse il suo primo soggetto cinematografico (ambiente col quale era entrata in contatto grazie alle celebrità e ai press agents conosciuti scrivendo per "Gotham Life"). "The Night of June 13th" fu il mezzo con cui iniziò la rinascita di Vera Caspary, dal momento che ella dedicò all'attività di soggettista e sceneggiatrice il successivo quarto di secolo: tra gli altri, scrisse "Les Girls" per G. Cukor e l'adattamento di "Lettera a tre mogli" per J.L. Mankiewicz.

Durante la Grande Depressione, Caspary tornò ad interessarsi in modo attivo alle questioni sociali ed entrò nel partito comunista sotto uno pseudonimo, ma limitandosi alla firma di petizioni e all'ospitare riunioni in casa propria, per poi abbandonare la causa in seguito al patto Hitler-Stalin. Nonostante ciò, la Commissione per le attività antiamericane la prese di mira nel corso della caccia alle streghe dei primi anni '50, costringendola a lasciare New York in favore di Hollywood assieme al novello marito, il produttore austriaco I.G. Goldsmith. Fu laggiù che, nel 1942, scrisse il suo primo mystery e opera più celebrata, "Laura", dal quale l'anno seguente Otto Preminger trasse il film "Vertigine". Per Caspary, alla lavorazione del film furono legati ricordi poco piacevoli, raccolti assieme a molti altri nella sua autobiografia "The Secrets of Grown-Ups": innanzitutto, il regista si ostinò a imporre a tutti i costi il proprio volere sul set e a rendere impossibile la vita di tutte le persone coinvolte, finché non riuscì a vedere esauditi i propri desideri alle proprie condizioni; ma furono soprattutto le modifiche che Preminger intendeva fare alla sceneggiatura scritta da Caspary a generare i dissapori peggiori. Si narra addirittura che una sera, mentre si trovava a cena con alcuni amici, l'autrice abbia aggredito verbalmente e quasi fisicamente proprio Preminger, il quale la stuzzicò con un commento al vetriolo sulla riuscita del suo film nonostante l'inconsistenza dell'opera originaria. In ogni caso, alla fine il regista la spuntò e Caspary rinunciò al suo potere decisionale su "Vertigine", rigettandone la paternità. Questo dovrebbe dare un'idea del carattere di Vera Caspary; carattere che infuse in ogni suo personaggio femminile. Proprio come loro, ella visse un'esistenza alla "Great Gatsby", fatta di feste movimentate (una volta fu persino gettata contro un armadietto di porcellana) e amanti, ma fu comunque dedita al lavoro e alla costruzione di una solida carriera. Nel corso della sua vita, di dedicò a numerosi generi letterari, spaziando dagli articoli di giornale ai testi pubblicitari, dai copioni teatrali alle scenegggiature cinematografiche; fino ai romanzi del mistero, con cui concluse la propria esistenza nel 1987, una volta tornata a New York.

Nonostante non abbia ottenuto una grande fama con giallista, fu proprio in questo genere che Caspary diede grande prova della sua abilità di autrice: si potrebbero citare "Bedelia", l'altro suo grande capolavoro, oppure "La Signora in Visone", "Stranger Than Truth", "The Weeping and the Laughter", "Elizabeth X"... Tutte storie diverse tra loro ma, allo stesso tempo, caratterizzate da elementi comuni. Il linguaggio fu sempre un elemento di primaria importanza; tanto più in "Laura", dove i punti di vista all'interno del racconto spiccano ognuno per un registro stilistico e un dialogo peculiare, proprio come se sentissimo i personaggi esprimere il loro pensieri (pp. 18, 24-27, 49-50, 52-53, 74, 103, 120, 124, 143-144): prima l'umorismo caustico e l'istrionismo di Waldo; poi il resoconto più pacato e prosaico di McPherson, con gli idiomi e lo slang americano privo di volgarità; poi ancora il rapporto su Shelby, dove vengono messi a nudo i suoi difetti; e infine il diario di Laura, nebuloso, amplificato dalle sensazioni della narratrice e fonte di riflessioni sulla figura femminile dell'America degli anni '40. Questo espediente del narratore multiplo, inoltre, impedisce al lettore di considerare veritiero tutto ciò che legge; non si riesce a capire di chi ci si può fidare, con la conseguenza che fino alla fine restiamo nel dubbio, nonostante la scelta del colpevole non sia così sorprendente. La critica sociale, l'ambientazione ostile, il cinismo, il sentimento e i tanti altri elementi di cui ho parlato sopra possono essere considerati come sviluppati in modo comune; però sui personaggi l'autrice ha compiuto un passo in avanti notevole, dando loro una grandissima profondità psicologica ed emozionale. Ho letto che, una volta, il regista Samuel Fuller osservò che tutti noi abbiamo tre facce: quella che conosciamo noi e chi ci sta vicino, quella che mostriamo agli sconosciuti, e quella che appare in superficie quando veniamo presi alla sprovvista. Ecco, Caspary è riuscita a infondere in ogni suo protagonista ognuno di questi volti, tratteggiandoli come pervasi da una profonda inquietudine, in lotta contro nemici folli e insospettabili. Sono reali perché vogliono provare a cambiare le cose, nonostante i fallimenti e il Male che si trovano a toccare in prima persona, sono oscuri e curvi sotto il peso dei tormenti della coscienza.

Sono oppressi dalla società e da se stessi, dalle convenzioni e dagli imprevisti del Destino crudele. Sono coinvolti in un perenne squilibrio tra vittimismo ed eroismo; non solo dal punto di vista delle turbe sentimentali, le quali spingono Waldo a soffermarsi sulla propria debolezza e sull'esagerata importanza degli istinti (considerandoli come se fossero i "veri" enigmi da risolvere per capire come e perché si sia verificato un crimine), ma giocando con le percezioni e gli stati d'animo di tutti gli altri protagonisti, sia Shelby, Susan Treadwell, Diane Redfern oppure McPherson. Waldo è l'immagine dello snob frustrato, il genio del romanzo e uno tra i personaggi più problematici ed interessanti. Egocentrico, presuntuoso, incarna una parte della società malata che Caspary criticava, quella dei dandy vanesi e un po' effeminati, ciechi di fronte alle critiche e convinti di essere divinità che camminano in terra. Editorialista corpulento e arrogante, sguazza nei delitti che discute e si spaccia per quello che al giorno d'oggi definiremo influencer. Si narra che la sua figura sia stata ispirata da Alexander Woollcott, critico teatrale appassionato di crimine, e dal Conte Fosco di "La Signora in Bianco" di Wilkie Collins; ciò che è certo, tuttavia, è che Waldo è in realtà un debole, un individuo indubbiamente colto ma che finge di vivere grandi avventure per sopperire alla propria vita da impotente. Susan Treadwell è una donna vanesia, che si crogiola nella propria condizione di vedova e di indifesa. Gode nel mettere in cattiva luce Shelby, che non ha mai approvato, e insiste nel suggerire che lui abbia qualcosa a che fare con la morte della nipote. Ha influenzato la vita di Laura tanto quanto Waldo e Shelby, ma lo ha fatto usando le proprie doti femminili, insinuando e minimizzando che il suo fidanzato fosse un poco di buono. Sembra un'arpia, ma rivela una certa umanità nel constatare che McPherson sia un uomo diverso da Shelby; in fin dei conti, benché sembri insensibile e gelida, anche lei è vulnerabile alle arti misteriose dell'amore. Shelby, da parte sua, appare come il perfetto Apollo, l'uomo che tutte le donne desiderano, un po' sciocco ma con un fondo di simpatia che lo rende desiderabile. Il fatto che sia ingenuo e povero, inoltre, accresce il fascino esteriore che trasuda, l'immagine del gentiluomo del Sud atletico viene ancor più accentuata. Tuttavia, il tipo di uomo a cui appartiene viene spesso accostato al cacciatore di dote, e ci rendiamo conto di come Shelby sia un fidanzato infedele, un individuo corrotto che desidera i soldi per poter compiacere se stesso e l'amante di turno, così da sentirsi indispensabile e amato. La bellezza fisica non è sinonimo di valore interiore, nel suo caso, poiché sfrutta le proprie doti in modo subdolo e disonesto per circuire Laura, fino a capovolgere la situazione in proprio favore. Tutti costoro, Shelby, Susan Treadwell, Waldo, ruotano attorno alla figura della vittima e vengono accostati al crimine da Caspary almeno una volta, così da suscitare i sospetti di Mark McPherson. Quest'ultimo è disilluso e cinico come i tanti private eye intercambiabili tra loro che si incontrano nei romanzi hard-boiled; però riesce a dimostrare di non essere solo questo. Nonostante non abbia un grado di istruzione elevato, conosce opere letterarie perché le ha lette per diletto; apprezza l'arte e le ceramiche di Waldo, come la buona cucina. Quindi è perspicace, abile, addirittura mediocre nell'inseguire la propria carriera, pur dando prova di una complessità interiore che lo allontana dal cliché dell'uomo duro della scuola americana pulp (non per niente mette in chiaro fin da subito che lui è "uno a cui interessano le facce, prima dei fatti"). Non da meno, dimostra di possedere sentimenti insospettabili e di innamorarsi di una donna che è morta, di un'ideale di cui ha sentito parlare. Un ideale che risponde al nome di Laura Hunt, la bella famme fatale che ha dedicato anima e corpo alla propria indipendenza.

Un bel contrasto, questo; che mette in luce come ella sia travolta dalle emozioni: è fin troppo generosa, perché teme il giudizio del prossimo; è timida, eppure determinata e ambiziosa; intelligente fino a sconfinare nel macchinoso, ma altrettanto affettuosa e leale con gli amici. Ama e odio con la stessa forza, è tanto misteriosa quanto immortale; ma soprattutto è tormentata da se stessa e dall'immagine che gli altri si fanno di lei. Desidera ardentemente imporsi come individuo all'interno della società, perché è consapevole del proprio valore, ma teme di restituire un'immagine troppo sicura di sé che allontani gli uomini, i quali si sentono minacciati (se fosse uno scapolo susciterebbe invece desiderio). Vuole poter decidere se diventare madre, senza sentire sulle spalle la responsabilità di dover farlo. Tuttavia, in modo paradossale si fa manipolare da tutti i suoi conoscenti: da Diane Redfern, la modella che ha assunto per pura carità e che sta sottraendole ciò su cui ha basato la sua vita privata; da Waldo, il quale la strumentalizza come oggetto da poter esibire e che considera alla stregua di una sua creazione; da Shelby, che tesse trame sfruttando la propria influenza sul suo animo. Almeno finché non apprendiamo dal suo diario che ha incontrato un uomo altrettanto pieno di inadeguatezza, pronto ad accettarla nonostante i suoi difetti. A quel punto, Laura non è più un burattino nelle mani dei suoi aguzzini; ha compiuto una metamorfosi fatale, che l'ha cambiata dal ritratto che è appeso sopra la mensola del camino del suo appartamento (pp. 23, 49-50, 59-61, 104-109, 116-118, 127, 129-132, 173-176, 178, 186-187, 189-192, 197, 211-213, 227). "Non sono e non sarò mai legata a nulla che non farò spontaneamente" osserva. Non è più solo bella e insicura, ma ha imparato a convivere con se stessa. Come ha fatto la sua ideatrice, Vera Caspary, allo stesso tempo ambiziosa e passionale. In "Laura", ella ci dimostra come una donna possa essere indipendente e soddisfatta di sé, pur senza rinunciare alle proprie debolezze. "Ho una scarsa memoria per l'angoscia" osservò una volta Caspary, "ma posso ricordare il malcontento e la rabbia impaziente". Pertanto, sfruttò i propri dolori per trasformarli in trionfi; l'essere vittima delle protagoniste dei suoi romanzi non poteva essere la sola condizione a cui esse erano condannate. Laura incarna nel romanzo omonimo questo assioma, e diventa il fulcro sul quale si snodano tutti gli altri elementi, immersi in una continua contraddizione e in un alone di mistero simile alla nebbia dorata del tempo che si ferma. Pur ammettendo che "Vertigine" è un film stupendo, è impietoso accostarlo al libro da cui è stato tratto. Certamente, manca un enigma nel senso tradizionale del termine; ma l'atmosfera rarefatta degli ambienti, spesso notturni e tempestosi, lo stile sognante della narrazione a più voci, i personaggi che entrano ed escono dalle pagine con le loro ossessioni, prima tra tutti la protagonista, danno vita a un mistero differente e rendono "Laura" inarrivabile sotto qualunque forma artistica al di fuori di se stesso. Certamente un romanzo elegante su persone eleganti, un libro "di arguzia e stile insoliti" come disse il critico Julian Symons; ma pur sempre pieno di una malvagità turbolenta e impossibile da rappresentare in video.

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venerdì 24 luglio 2020

40 - "Corpi al Sole" ("Evil Under the Sun", 1941) di Agatha Christie

Copertina dell'edizione pubblicata
dai Classici del Giallo Mondadori
n. 569
Nel mese di maggio avevo già introdotto l'argomento del "giallo in vacanza", recensendo alcuni romanzi del mistero della classica crime story che in qualche modo avevano a che fare con i viaggi in luoghi remoti, le lunghe giornate estive e il pigro dolce far niente che caratterizza i mesi più assolati dell'anno. Oggi torno sulla materia per accompagnarvi in un ulteriore itinerario metaforico attraverso coste bagnate dal mare, piccoli villaggi di marinai oppure di campagna, metropoli arrostite dall'afa e dall'umidità, isolette popolate di allegri turisti; insomma, luoghi che all'apparenza ci restituiscono un'immagine rilassante, ma che il delitto pare infestare ancor più delle tradizionali case isolate dalla neve della tradizione del mystery all'inglese. Magari uno non ci pensa, però il più delle volte è proprio così: l'idea della sospirata vacanza da trascorrere in pace e tranquillità, circondati da piccole occupazioni quotidiane e da un sacco di tempo a disposizione da passare stesi su uno sdraio, spesso non corrisponde a quella che ci facciamo prima di partire. Per esempio, incidenti di percorso come un guasto all'auto oppure un ritardo del treno o dell'aereo sono dietro l'angolo, pronti a guastarci la festa fin dall'inizio, ma soprattutto gli incontri che possiamo fare una volta giunti alla meta hanno il potere di frustrarci e di rovinare quello che, per alcuni, è l'unico momento di relax dell'anno. Finché siamo a casa nostra, se qualcuno si presenta ad infastidirci, possiamo accusare l'intruso di essere uno scocciatore e allontanarlo; ma se ci troviamo in vacanza, come possiamo liberarci del nostro aguzzino? Ci troviamo in un albergo dove l'accesso è consentito a qualunque individuo, oppure in una spiaggia dove chiunque può tirare fuori un asciugamano e stendersi in riva al mare, mentre fa qualche commento al vetriolo e ci stuzzica. In tali frangenti, nessuno può fare alcunché per ostacolare il nemico, come dimostra l'esperienza della bella Linnet Ridgeway in "Poirot sul Nilo", perseguitata incessantemente dalla vendicativa rivale in amore. In questa situazione, pertanto, non appare più così strano che la gente finisca per impazzire all'improvviso oppure per commettere qualche atto insensato durante le ferie. Mettete insieme il caldo insopportabile, la tensione emotiva che si viene a creare in un gruppo di persone, il desiderio di godere appieno della pace dei sensi e l'innata natura umana con tutte le sue turbolenze, e il gioco è fatto.

Anche in vacanza può verificarsi un omicidio in men che non si dica; soprattutto, se nelle vicinanze si trova l'investigatore di un giallista del passato. Come dicevo, infatti, gli autori che hanno reso grande questo genere fecero in modo di sfruttare gli innumerevoli contrasti tra turisti e alcuni luoghi esotici che loro visitarono per diletto, per dare vita a romanzi e racconti del mistero dalle mille sfaccettature, capaci di distrarre i lettori del periodo tra le due guerre mondiali grazie alle loro cornici spettacolari, in cui i protagonisti agivano per combattere il Male incarnato di volta in volta dall'assassino di turno. Arthur Conan Doyle, nel racconto "L'Avventura del Piede del Diavolo" contenuto in "L'Ultimo Saluto di Sherlock Holmes", spedì il segugio di Baker Street nella meravigliosa costa della Cornovaglia per evitare un esaurimento nervoso e lo mise a confronto nientemeno che con Satana (o perlomeno una sua presunta emanazione); Dorothy L. Sayers ambientò il suo "Cinque Piste False" a Galloway, durante un periodo dedicato alla pesca da parte di Lord Peter Wimsey, nel corso del quale l'aristocratico investigatore venne a contatto con una fin troppo vivace colonia di artisti, mentre in "Alta Marea per Lord Peter" Harriet Vane si imbatté in un cadavere nel corso di un'escursione lungo la costa sud-ovest dell'Inghilterra; Francis Beeding ideò addirittura un caso di serial killing nell'omonima località balneare di "La Morte Cammina per Eastrepps".

Tuttavia, l'autrice che probabilmente ha sfruttato al meglio questo filone del genere giallo è stata la Regina del Delitto, Agatha Christie, la quale trascorse gran parte della propria vita in giro per il mondo. Con romanzi quali "Assassinio sull'Orient-Express", "Il Pericolo Senza Nome", il già citato "Poirot sul Nilo", "Delitto in Cielo", "Tragedia in Tre Atti", "Dieci Piccoli Indiani" e quelli ambientati in Medio Oriente, Christie riuscì a dare vita a una lunga serie di avventure poliziesche esotiche che impegnarono tanto i suoi investigatori, nello sbrogliare le ingarbugliate matasse che lei aveva tessuto con abilità, quanto i lettori, destinati a restare sconcertati dai loro finali imprevedibili. Tra queste ultime, oggi vi voglio parlare di "Corpi al Sole" (Classici del Giallo Mondadori n. 569, 1988), la ventesima indagine di Poirot e rielaborazione del racconto con Miss Jane Marple "Una Tragedia Natalizia", inserito in "Miss Marple e i Tredici Problemi". Si tratta di uno dei capolavori della scrittrice, una storia ambientata nella stessa isola che avrebbe fatto da sfondo al più sconcertante mystery della tradizione classica ("Dieci Piccoli Indiani"), e attraversata da numerose correnti di passione sotterranee. Le personalità dei turisti che alloggiano al Jolly Roger Hotel, insieme alla loro psicologia sentimentale, costituisce infatti il fulcro dell'indagine, il terreno sul quale si snodano gli interrogatori della polizia e del piccolo investigatore belga riguardo un enigma tanto astuto quanto giocato su un trucco semplice. Sappiamo tutti che Christie viene considerata dalla maggior parte delle gente come un'autrice "semplice" e ideatrice di personaggi con poco spessore; ebbene, vi sfido a leggere con attenzione questo libro e a confermare questo giudizio frettoloso e dal tono poco lusinghiero. Forse a prima vista "Corpi al Sole" può sembrare la tipica lettura da spiaggia, ma se si scava a fondo si scoprono abissi oscuri e di una malvagità terrificante.

Cross Channel Shelling, Eric Ravilious, 1941, che raffigura
una costa parzialmente legata alla terraferma, come l'Isola
del Contrabbandiere
Come dicevo, ci troviamo nell'Isola del Contrabbandiere, a breve distanza dalla costa della Cornovaglia. Su questo atollo un tempo privato, da qualche anno è sorto un rinomato albergo che ospita molti turisti paganti e soddisfatti, i quali vengono a trascorrere al Jolly Roger Hotel le loro ferie estive e pasquali. Moltissime personalità interessati si possono incrociare nelle sale da gioco o sui campi all'esterno dell'edificio, dai semplici colonnelli in pensione che vengono a svernare sul mare, a ricchi imprenditori che impongono la propria chiassosa presenza al prossimo. Tra gli altri, si trova laggiù pure Hercule Poirot, intenzionato a prendersi una pausa dal lavoro di investigatore e a tenere allenato il proprio spirito di osservazione attraverso l'analisi psicologica dei suoi compagni di soggiorno. Nel breve tempo che ha trascorso sull'Isola del Contrabbandiere, ha già inquadrato quasi tutti: i signori Gardener, ad esempio, sono la tipica coppia di americani che si può incontrare in Inghilterra, tutta intenta a visitare luoghi di interesse culturale e a prendere un po' di aria buona, lontana dalla frenesia della metropoli. La signorina Brewster, invece, ha tutta l'aria della zitella energica che si può incrociare nella periferia di Londra, dedita allo sport e alla coltivazione del sano pettegolezzo, pur essendo dotata di un carattere forse troppo duro per rientrare completamente nella categoria delle signorine che si mantengono da sole. Il reverendo Stephen Lane incuriosisce Poirot, poiché rivela un'indole proiettata poco alla predicazione gioviale e molto alla condanna del diavolo, che vede dappertutto intorno a sé. Il maggiore Barry, d'altra parte, ha tutta l'aria di essere uno di quei noiosi ufficiali in pensione che si divertono a rievocare vetusti episodi del loro passato nell'esercito, con buona pace dei loro ascoltatori. Per non parlare di Horace Blatt, il riccone che si è fatto da sé e che tormenta il prossimo pur di essere sempre al centro dell'attenzione e di costituire "l'anima della festa". Eppure, c'è ancora qualcuno che lascia perplesso il grande Hercule Poirot. La cerchia composta da Kenneth Marshall, la sua giovane e immatura figlia Linda e la bellissima moglie Arlena Stuart fa trapelare più di un'emozione nascosta sotto la superficie e l'investigatore lo sente forte e chiaro.

Arlena ha la brutta fama di essere una fame fatale, una di quelle mangiatrici di uomini che non sono mai sazie e che spesso e volentieri distruggono idilliaci rapporti tra giovani innamorati. Patrick Redfern, giunto al Jolly Roger Hotel assieme alla fatua e scialba consorte Christine, sembra essere diventato l'ultima preda della signora Marshall-Stuart, e Poirot teme che qualcosa di terribile stia per accadere nell'albergo; soprattutto dopo aver parlato con Rosamund Darnley, celebre stilista di Londra e vecchia amica di Kenneth Marshall, la quale lascia sottintendere come la relazione tra l'uomo e la giovane moglie si sia incrinata nel tempo. Anche gli altri ospiti dell'albergo non vedono di buon occhio la bella Arlena, chi per gelosia e chi per disprezzo: Linda desidera allontanarla dal padre, Christine piange copiose lacrime perché vede distruggersi il suo sogno d'amore con il suo amato, persino il reverendo la considera la personificazione terrena di Satana e del male. "Il male è dappertutto sotto il sole" riflette Poirot, mentre con il resto del gruppo osserva Arlena scendere alla spiaggia e catturare ancora una volta l'attenzione di Patrick Redfern. Già, anche in un posto bellissimo come l'Isola del Contrabbandiere possono accadere fatti orribili. E infatti, ben presto il cadavere strangolato della signora Marshall viene rinvenuto in una spiaggia parzialmente isolata e nascosta agli occhi degli ospiti dell'albergo. Chi può averla uccisa? All'apparenza, tutti i turisti si trovavano nelle vicinanze o all'interno del Jolly Roger Hotel. Tuttavia, ben presto si palesa agli occhi di Poirot e della polizia, convocata sul posto e impersonata dal colonnello Weston (lo stesso di "Il Pericolo Senza Nome", p. 63) e dall'ispettore Colgate, la maggiore probabilità che si tratti di un lavoro eseguito dall'interno, poiché in tal caso le incognite sarebbero state meno che in un caso di assassinio occasionale. Come è possibile che l'omicida si sia trovato in due posti contemporaneamente? Starà a Poirot raccogliere tutti i più piccoli indizi, tra cui una bottiglietta gettata fuori da una finestra e un bagno fuori orario, spezzare un alibi all'apparenza indistruttibile e scoprire quale sia la verità, per ristabilire il buon nome del Jolly Roger Hotel e riportare la normalità nelle vacanze di (quasi) tutti i villeggianti.

Pianta dell'Isola del Contrabbandiere, con i riferimenti
del caso
La fama è qualcosa che gioca in un altalenante su e giù di conseguenze positive e negative, me ne rendo conto ogni giorno di più. Ad esempio, ogni tanto penso che mi piacerebbe tantissimo che questo blog diventasse conosciuto non solo all'interno della mia piccola cerchia di appassionati di romanzo giallo classico, ma anche tra i lettori in generale; poi però leggo esperienze come quella di Chiara Ferragni agli Uffizi e capisco che mi seccherebbe molto se Three-a-Penny venisse criticato gratuitamente (per intenderci, non difendo affatto le affermazioni sul fatto che l'influncer debba essere l'unico mezzo attraverso cui i giovani si avvicinino ad argomenti culturali, ma comprendo come questa figura possa in qualche modo essere utile allo scopo). Dopotutto, io faccio del mio meglio e leggere o ascoltare gente che (soprattutto) critica per il semplice gusto di fare polemica, invece di fare osservazioni costruttive, mi rattristerebbe. Qualcosa del genere è capitato anche ad Agatha Christie nel 1926, quando fece perdere le proprie tracce per qualche tempo e tutti la accusarono di volersi fare pubblicità in occasione della pubblicazione di "Dalle Nove alle Dieci" oppure di attirare l'attenzione su di sé per puro egoismo. Da quel momento, lei sviluppò una forte avversione verso i giornalisti e i ricevimenti mondani, già accentuata dalla sua spiccata timidezza, e fece il possibile per mantenere uno stretto riserbo sulla propria privacy.

C'è da dire che, all'inizio del Novecento, un po' tutti i giallisti venivano considerati in qualche modo come delle star e le loro vite private venivano sondate con ogni mezzo lecito ed illecito; però ho sempre avuto l'impressione che quella di Christie sia stata più al centro dell'attenzione pubblica delle altre; forse proprio a causa dell'esperienza negativa del 1926. In ogni caso, la stretta riservatezza della scrittrice e i muri metaforici che ella erse a propria difesa non scoraggiarono i critici, ma anzi li spinsero ad impegnarsi il doppio per analizzare ogni piccolo dettaglio della sua vita e, di conseguenza, della sua opera. Addirittura in Italia, dove la saggistica sulla classica crime story e i suoi protagonisti è praticamente inesistente rispetto a quella in Francia e Inghilterra, il complesso dei romanzi dell'autrice è stato passato in rassegna già da molti anni, con risultati che, come dicevo all'inizio, si dividono tra giudizi positivi e negativi. Ne avevo parlato nella recensione di "Dalle Nove alle Dieci", ma il discorso vale anche per "Corpi al Sole": secondo alcuni, i libri di Christie sono letteratura di consumo, intesa come qualcosa che uno può divorare e serve solo a far trascorrere qualche ora di spensieratezza e divertimento, senza lasciare nel subconscio qualche traccia del suo passaggio; per altri, essi sono capolavori della letteratura mondiale che illustrano al meglio la società del secolo scorso e costituiscono ritratti veritieri della psicologia dell'individuo. Da parte mia, forse vi stupirò dicendo che li considero (comprendendo quindi il romanzo di oggi) come qualcosa che sta al centro di questi pareri. Penso che essi siano capolavori dell'arte dell'intrattenimento e della narrativa fittizia, al cui interno tuttavia sono presenti colpi di genio magistrali e delitti messi a segno con un'abilità che non può non rispecchiare in qualche modo la realtà dei fatti riguardo sospettati circoscritti, false piste, indizi e mistero. È questa la benedizione/maledizione che colpisce l'opera di Agatha Christie: la capacità di adattarsi quasi a qualunque tipo di lettore, che sia esso alla ricerca di uno svago leggero oppure di un romanzo in cui siano trattati argomenti seri come le passioni umane e il delitto, e contemporaneamente la costante condanna da parte di alcuni di non essere presa sul serio a causa della sua semplicità.

Prendiamo proprio "Corpi al Sole": il tratteggio del caso, ambientato in un'isola sulla quale è difficile sbarcare nel corso di una vacanza, appare quanto mai convenzionale e conforme ai canoni tradizionali della crime story. Niente di strano, visto che Agatha Christie viene riconosciuta in tutto il mondo (a ragione) come la giallista per eccellenza; quella che, nei suoi libri, ha sfruttato gli elementi fondamentali del genere talmente bene da dare l'impressione di averli inventati lei. Il villaggio di campagna, il viaggio in treno, la cerchia di sospetti isolata sono tutti elementi del giallo che vengono subito accostati dal lettore medio alla sua figura, grazie a romanzi come "La Morte nel Villaggio", "Assassinio sull'Orient-Express" e "Dieci Piccoli Indiani", nonostante tanti altri autori si siano cimentati nella realizzazione di storie con caratteristiche simili. Inoltre, dal momento che la tradizione (a torto) vede il genere giallo come caratterizzato da uno stile poco elaborato e superficiale (mi viene in mente la critica insensata che fece a riguardo lo studioso Edmund Wilson, dopo aver bocciato "Il Segreto delle Campane" di Sayers per il motivo opposto), il fatto che Christie fosse una sostenitrice dell'economica enunciazione su carta di fatti e dialoghi, tanto che questo divenne un marchio di fabbrica, contribuisce a sottolineare ancora di più l'appartenenza della scrittrice al mondo della tradizione classica. La cerchia chiusa di sospettati, gli alibi basati sul fattore tempo e sulla copertura reciproca, la presenza di personaggi perlopiù stereotipati (la coppia composta da moglie chiacchierona e marito devoto, il colonnello immerso nel ricordo, la zitella pettegola, il reverendo che osserva il mondo con uno spiccato senso del peccato), il triangolo amoroso e una rappresentazione un po' snob della società medio-alta sono altre caratteristiche che la Nostra ha sfruttato in lungo e in largo. Leggendo "Corpi al Sole", insomma, possiamo farci l'idea di trovarci di fronte a un mistero e una storia abbastanza ordinari; ed in parte è proprio così, tenuto conto degli aspetti qui sopra. Eppure, come non mi stancherò mai di ripetere, nella narrativa gialla niente è mai come appare, oppure solo bianca o nera. Infatti, anche se il ragionamento sullo stile di scrittura può trovare un certo riscontro, a dispetto di quanto si possa pensare a prima vista, nel corso della descrizione delle vicende Agatha Christie, pur sembrando in tutto e per tutto disinvolta, si ingegna a capovolgere le certezze del lettore e a sviarlo con trovate innovative, sfruttando gli stessi cliché che dovrebbero limitarla, utilizzando una narrazione unica che ha mantenuto il proprio smalto fino ai nostri giorni, spesso venata di un pizzico di humor e leggerezza, ma concentrata pure su argomenti più seri di quanto si possa credere.

Accanto ai frivoli discorsi della signora Gardener, intenta a sferruzzare sulla spiaggia e ad intrattenere i suoi compagni con qualche pettegolezzo, e alla descrizione della vita quotidiana al Jolly Roger Hotel e della gente che anima e popola i dintorni, l'autrice inserisce profondi ragionamenti sul Male, a mostrare come la psicologia delle persone sia spesso influenzata da pregiudizi, a descrivere con efficacia un'atmosfera di sospetto e di passione repressa (es. cap. 1, 4, 7). Alterna divertenti dialoghi come il botta-e-risposta dei Gardener e del maggiore Barry, oppure le osservazioni alquanto allusive di Rosamund Darnley e della signorina Brewster, a scene in cui traspare una forte componente sentimentale. Proprio l'amore, l'odio, la gelosia, la brama, l'avidità giocano un ruolo centrale all'interno di "Corpi al Sole"; il sentimento attraversa il racconto come un filo rosso che Poirot si impegna a seguire, passando dalla relazione tra Marshall e Arlena, a quella di Redfern e Christine, a quelle tra Redfern e Arlena e Marshall e Rosamund. Ma a Christie interessa non solo il rapporto che sfocia nel fidanzamento e nel matrimonio; anche quello famigliare tra Linda e Arlena, la figliastra e la matrigna, occupa un posto importante all'interno del romanzo. Le rivalità e l'insicurezza vengono incarnate dai personaggi femminili e portate agli estremi, permettendoci di gettare uno sguardo negli abissi oscuri che questi sentimenti (pp. 38-40, 47-50, 88-90, 139-142, 189-191), se legati all'amore cieco e all'opportunismo, possono generare e sulla sconfinata malvagità che gli esseri umani sono in grado di manifestare, se solo lo desiderano. Il reverendo Lane osserva con impeto a Poirot, mentre assistono inermi al Fato che gioca con gli uomini: "Ma benedetto uomo, non la sente nell'aria? [...] Non la sente tutt'attorno la presenza del Male?". L'investigatore annuisce, poiché conosce la natura umana e la disperazione che alberga negli animi tormentati. Penso che Agatha Christie abbia fatto di Poirot il proprio portavoce, forse memore dell'esperienza terribile del 1926: tra le altre cose, in quell'occasione venne accusata di voler fuggire dai propri doveri di moglie e, paradossalmente, la colpa del divorzio venne in qualche modo spostata da Archie, che aveva deciso di lasciarla, su di lei. Dovette fare un grande sforzo per dominare la frustrazione che suscitò in lei quella triste faccenda, tanto che il solo ricordo fu come uno spettro che la inseguiva, a farle da monito sulla capacità che ha l'essere umano di tormentare il prossimo. Mi piace credere che lei abbia riversato un po' di se stessa in ognuno dei personaggi (di "Corpi al Sole", ma non solo), così come noi lettori possiamo fare a modo nostro. La triste storia dell'omicidio di Arlena Marshall e le conseguenze che ne scaturiscono possono essere conseguenze delle scelte che compiamo ogni giorno; noi come Agatha, siamo messi in guardia per non rischiare di rovinare tutto per qualcosa di sciocco.

Una giovane Agatha Mary Clarissa Miller, alias
Agatha Christie Mallowan, nata nel 1890 e morta
nel 1976
La sensibilità di Agatha Mary Clarissa Miller (questo era il suo cognome da nubile, trasformato una prima volta in occasione del primo matrimonio, e divenuto Mallowan con l'avvento della seconda relazione coniugale) fu forse ciò che le permise di comprendere tanto bene il mondo che a circondava, con tutti i suoi contrasti, e che le permise di sviluppare la capacità di saper dire e non dire qualcosa (nella realtà e nella finzione) in base al proprio volere. A volte è stata generosa e disposta alle confidenze, altre si è rivelata più chiusa di un'ostrica. Grazie alla sua autobiografia, ad esempio, sappiamo molto riguardo la sua infanzia, il periodo più felice di tutta la sua esistenza, quello dove gli affetti rappresentati dai genitori, dal fratello, dalla sorella e dai domestici non mancarono mai; in cui le giornate erano piene ancor più del solito di voglia di fare, giocare, scoprire il mondo; durante il quale iniziò a viaggiare e che le regalò ricordi indelebili, come le giornate passate da "zia-nonnina" nella casa di Ealing. Allo stesso modo, ci ha raccontato con generosità i primi balli e gli incontri con gli innumerevoli giovanotti che la corteggiarono, così come il momento in cui si ritrovò catapultata improvvisamente nel pieno della Grande Guerra e iniziò a lavorare come infermiera al dispensario di Torquay. Ha descritto la nascita della sua carriera di scrittrice, dovuta all'impulso di un momento in occasione di una scommessa con la sorella Madge; l'incontro con Archie, il primo marito, e il loro viaggio in giro per il mondo in occasione dell'Esposizione Universale del 1924; la nascita della figlia Rosalind; la passione per le case e il cibo; il viaggio in Oriente e gli scavi archeologici. Persino la gioia nel possedere un auto di proprietà e di aver cenato accanto alla Regina d'Inghilterra. Tuttavia, riguardo altri eventi della sua vita Agatha Christie ha preferito lasciare un'ombra di incertezza e di dubbio. Il fatto più famoso, in questo senso, è la sua scomparsa nel 1926, quando Archie le confessò di essersi innamorato della sua segretaria e di voler divorziare. Probabilmente nessuno, al di fuori della stessa Agatha, ha mai saputo quale fu il movente scatenante di questo improvviso colpo di testa: forse un'amnesia, come sostennero i suoi familiari? Oppure un deliberato tentativo di accusare il coniuge fedifrago di averla eliminata per ottenere la separazione? Martin Edwards, sfruttando le informazioni ricavate dai romanzi di questa grande scrittrice, in "The Golden Age of Murder" ha formulato un'interessante ipotesi a riguardo.

In ogni caso, resterà per sempre un mistero insoluto, poiché nemmeno prima di morire lei rivelò la verità. Anche del suo rapporto con gli altri membri del Detection Club, l'associazione di giallisti di cui fece parte per molti anni, non racconta nella sua autobiografia; tuttavia, in questo caso possiamo sfruttare le lettere e i documenti che proprio i suoi compagni ci hanno lasciato, i quali ci tramandano un'immagine vitale e disponibile della Christie, fatta di sostegno reciproco e condivisione di interessi (la citazione al caso reale di Julia Wallace a p. 76 e di "La Corte delle Streghe" di John Dickson Carr a p. 115, in "Corpi al Sole", è un segno di questi gusti comuni), oltre che di amicizia e sacrificio, come nel momento in cui lei, nonostante la timidezza, accettò di assumere la carica di Presidente del Club, poiché nessun altro possedeva le specifiche capacità richieste dal ruolo. La modestia fu sempre una delle sue caratteristiche principali, tanto che odiava rilasciare interviste (non si fidava della stampa, dopo che essa l'aveva gettata in pasto alla gente al momento della sua scomparsa) e non riusciva a spiccare parola davanti a un pubblico o ad eseguire correttamente un pezzo al pianoforte, se le premesse si facevano terribilmente ufficiali; ma il tratto caratteriale che a mio parere l'ha saputa contraddistinguere maggiormente è stata soprattutto la sua grandissima gioia di vivere, la quale le permise di coltivare un carattere solare, purché venato a volte da qualche ombra, che lei riversò nei suoi personaggi, rendendoli più vivi che mai e, in questo modo, facendoceli amare anche nella loro imperfezione. Mentre osserviamo i banali ritratti superficiali e le chiacchiere frivole che gli ospiti del Jolly Roger Hotel si scambiano sulla spiaggia, passiamo attraverso i dialoghi che Poirot intrattiene con Rosamund e alle testimonianze piene di tatto con cui l'investigatore prova a raccogliere indizi utili ad incastrare l'assassino di Arlena, e osserviamo l'evoluzione dei sentimenti che si agitano nei cuori dei protagonisti come onde sulle coste dell'Isola del Contrabbandiere, ci rendiamo conto di come noi stessi potremmo essere i protagonisti delle sue trame, in procinto di affrontare le nostre sfide e di rialzarci ogni volta che cadiamo.

Tutti loro non sono mai come sembrano, attori di un romanzo giallo che ingannano il lettore; cosa dire allora di noi stessi, che indossiamo ogni giorno una maschera diversa? Agatha Christie l'aveva capito, ed era riuscita a trasportare questa consapevolezza (e la Vita reale, come gli altri Grandi) sulla carta per farne materiale da usare allo scopo di sviare il lettore; senza mai barare, per giunta. Perché se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare alla Signora del Delitto, quello è proprio il suo Onesto Inganno: ovvero, fornirci tutti gli indizi che ci servono (rispettando il rigido fair-play) e, allo stesso tempo, menarci per il naso con una classe a tutt'oggi ineguagliata, tra false piste e "aringhe rosse". Indizi che, oltre ad essere di natura materiale come una bottiglietta di vetro e un gomitolo di lana rosa, in "Corpi al Sole" prendono la forma di emozioni ben definite. La caratterizzazione degli attori sulla scena e il loro comportamento, a differenza della solita critica sulla vacuità dei personaggi di Christie, dà vita a un microcosmo di relazioni che forniscono a Poirot manifeste prove da interpretare per giungere alla verità: abbiamo Kenneth Marshall, all'apparenza tranquillo ma col cuore lacerato dal senso di colpa; l'intraprendente Rosamund Darnley (pp. 40-49-80, 93) che non riesce ad odiare Arlena ma ama Marshall (pp. 26-31, 110-111, 149-150, 178-179); Linda Marshall, ingabbiata in quell'età tra l'adolescenza e l'infanzia che provoca tanti turbamenti e ci si sente brutti e inadeguati, quando si vuole essere trattati da adulti ma mantenere i privilegi dei bambini (pp. 31-34, 107, 135, 141-143, 153-154, 188-189); il maggiore Barry, un po' stereotipato ma acuto nei giudizi, allo stesso modo dei coniugi Gardener; Horace Blatt, che nasconde il suo segreto meglio di quanto ci si possa aspettare; Emily Brewster, tanto energica e determinata quanto spaventata dalle grandi altezze; il reverendo Stephen Lane, simpatico quando si atteggia ad escursionista ma inquietante nella sua ossessione nella lotta contro il Demonio; Patrick e Christine (p. 93) Redfern, tanto legati quanto diversi, belli ma vacui, sposini inesperti, vivaci ed esuberanti finché non giunge la morte di Arlena ad interrompere il loro sogno (pp. 34-38, 85-86, 92, 95-97, 118-119).

Proprio la figura di Arlena Stuart-Marshall, in quanto vittima, è centrale per la risoluzione del caso. I moventi e le passioni sotterranee ruotano attorno a questa conclamata famme fatale, disprezzata da tutti e criticata con ferocia. Ognuno degli ospiti del Jolly Roger Hotel, compresi i domestici, sono pronti a mettere la mano sul fuoco sulla cattiva condotta della donna e sul suo carattere capriccioso, da bambina: essa incarna la partner facile, quella che si concede a tutti e non si fa scrupoli a distruggere le relazioni, purché riesca a sedurre la sua preda. Eppure, qualcuno l'ha uccisa, non bisogna dimenticarlo; anche lei si è rivelata una figurina in balia del Destino, una patetica vita spezzata dalla violenza che (forse suo malgrado?) ha evocato come il Diavolo che Lane e Poirot vedono sotto il sole ardente della Terra (pp. 20-22, 24, 127-128, 159, 177-178). L'investigatore belga sente che c'è qualcosa di stonato nella rappresentazione di Arlena che tutti restituiscono: l'unica volta in cui lui ha avuto a che fare con lei, la donna gli ha chiesto di mentire, questo è un fatto; ma glielo ha chiesto col sorriso. Può darsi che non avesse alcuna intenzione malevola e si comportasse come una fanciulla un po' sciocca? In tutto il libro non è questa l'immagine che i personaggi fanno trapelare su di lei, per cui forse si sbaglia. Forse è davvero una donna cattiva, un demonio che incede senza avere pietà, senza cuore. Non voglio svelarvi se è così, ma solo osservare che alla fine Christie critica l'atteggiamento secondo cui la donna in generale è sempre la colpevole della rovina di un matrimonio. Anche l'uomo fa la sua parte, e a volte sono addirittura tutti e due insieme, marito e moglie, a provocare un disastro. In ogni caso, Arlena non è certo il personaggi più deplorevole di "Corpi al Sole". La figura del suo assassino, quella sì che è agghiacciante! Fredda, brutale, avida, essa compie un delitto efferato basato su un movente privo di scrupoli. Il romanzo venne pubblicato nel 1941, in piena guerra mondiale, ma non ci sono riferimenti al conflitto in corso; tuttavia, questo non significa che lo sgomento e l'oppressione siano lontani dalla storia. Il sole non scalda coi suoi raggi giovanotti in costume e fanciulle dalla pelle rosea, ma individui simili a cadaveri allineati all'obitorio, sdraiati ben lontani dalle idilliache coste della Cornovaglia, come osserva Poirot.

Il mistero mette in mostra una fredda lucidità nella pianificazione dell'omicidio e un atteggiamento senza scrupoli, oltre all'abilità tecnica di gestione dell intreccio e nella disseminazioni di indizi di Christie. Come di consueto, l'autrice basa la narrazione più sulle allusioni che sulle affermazioni, dando vita a una prova straordinaria della sua maestria nel fornire al lettore elementi utili alla risoluzione del caso, insieme a divertenti note di colore e cenni al carattere dei personaggi. Un sottile senso di disagio, nonostante i ripetuti intermezzi umoristici, attraversa il racconto e offre un campione della sua abilità nel non abbandonarsi mai a frivolezze fini a se stesse, nemmeno nei momenti più "seri". Magari Christie descrive Hercule Poirot e i suoi atteggiamenti come se ne volesse fare una caricatura, ma sotto sotto ragiona sul modo per fuorviare il suo pubblico. Se considerate nel complesso, nessuna di queste "divagazioni" risulta superflua alla soluzione finale; anzi, proprio attraverso il magistrale uso dei silenzi, più che delle parole, riesce a svelare solo ciò che desidera sia svelato e a nascondere ciò che, invece, intende mantenere segreto, per tutto il libro, in ogni frase. Forse è questo il segreto di Agatha Christie, quello che le ha permesso di sviluppare una maniera tutta sua di raccontare ed incantare il lettore, di metterlo alla prova ma con leggerezza, tanto che in più di un caso (compreso il mio) i suoi romanzi si rivelano essere un porto sicuro, dove rifugiarsi in momenti tristi, complicati o noiosi. Uno stile che si rispecchia benissimo in "Corpi al Sole", piccolo capolavoro nell'intrattenere il lettore e nell'andare in profondità su questioni decisamente serie. In un'ambientazione fugace e tratteggiata per impressioni, con personaggi dalla spiccata psicologia, la narrazione si dispiega davanti ai nostri occhi e mette in scena un enigma astuto, vario ma giocato su un trucco che, una volta scoperto, lascia colpiti dalla sua semplicità (pp. 72, 75-79, 81-82, 114-115). Sembra proprio che il Diavolo si sia divertito a preparare un brutto scherzo, palesandosi sotto il sole e disseminando prove senza senso; ma in realtà il brutale assassinio di Arlena Marshall è guidato dall'intelletto e dalla sete emotiva umane. Distorte e deformate, certo; ma pur sempre partorite dal sentimento.

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venerdì 17 luglio 2020

39 - "L'Alibi Perfetto" ("The Perfect Alibi", 1934) di Christopher St. John Sprigg

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
La crime story in generale può subire innumerevoli variazioni e affrontare e approfondire i temi più disparati, declinandosi secondo la tradizione britannica dell'enigma puro e classico; secondo l'innovativo sottogenere della crime novel di stampo psicologico (thriller) che tanto successo ha avuto in America e adesso anche in Europa; oppure secondo le contaminazioni con altri tipi di narrativa, da quella avventurosa (per capirci, la saga di Jack Reacher può essere un esempio) a quella scientifica "alla Kay Scarpetta". Eppure, qualunque sia la natura del libro che un appassionato di letteratura crime decida di leggere, alle fondamenta della vicenda ci dovrà essere sempre un aspetto inscindibile del mistero che essa tratta: l'indagine basata sulla verifica degli alibi dei sospettati e, di conseguenza, sulla scoperta dell'inganno perpetrato dal colpevole per proteggersi. Questo è il fulcro vero e proprio di ogni romanzo del mistero che si consideri tale, e forse l'elemento che più viene tenuto in considerazione dal vastissimo bacino di lettori che ama tale genere letterario. I miei stessi compagni e amici lettori, infatti, tendono perlopiù a giudicare la qualità di un giallo in base alla solidità e all'astuzia con cui l'enigma viene presentato; e se esso non risponde ai loro standard, pur essendo accostato a una caratterizzazione straordinaria dei personaggi, a un'ambientazione suggestiva e a uno stile arguto e ironico, non si fanno problemi a bocciarlo in toto senza pietà. Da parte mia, sono convinto che la crime novel ideale non si limiti a raccontare un mistero, ma riesca a restituire a chi legge un assaggio della vita e della società nelle quali essa viene calata; non per niente, la mia preferita è "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers, con il suo suggestivo racconto della vita di campagna inserito perfettamente nell'indagine.

Quindi, diciamo che io sono più incline a perdonare qualche divagazione di troppo o qualche piccola imperfezione a favore del risultato complessivo, nonostante a volte mi renda conto di non trovarmi davanti a uno straordinario capolavoro, ma "solo" a un libro nella norma. In ogni caso, questo non significa che per me il caso investigativo sia, all'interno di un giallo, qualcosa di meno importante del resto, e capisco benissimo quanti possano restare delusi da un eventuale enigma scadente. Finché ci capita di trovarci di fronte a un mistero con qualche piccolo errore, possiamo ancora passarci sopra; ma se ci accorgiamo di aver capito chi sia l'assassino prima della metà della storia e alla fine scopriamo di essere stati nel giusto, magari senza aver goduto di alcuna aggiunta significativa alle vicende, allora sì che è un peccato e una delusione! Spesso è proprio la natura del delitto che ci spinge a provare un nuovo libro, e per questo esso dovrebbe soddisfare le aspettative che ci costruiamo. Per fortuna, nella classica crime story ciò accade di rado, poiché i giallisti della prima metà del Novecento sapevano fare molto bene il loro lavoro e sviare con abilità l'attenzione e i sospetti del pubblico, pur fornendo soluzioni adeguate alle premesse; soprattutto sfruttando la primigenia natura "meccanica" del giallo della Golden Age. In quest'ultimo, infatti, la maggior parte delle indagini verteva su finti alibi e inganni perpetrati dall'omicida di turno, in modo da procurarsi un'ancora di salvezza e un paravento da eventuali dubbi del poliziotto e dell'investigatore dilettante dediti alla soluzione del caso. Certo, si trattava di un metodo che, dando un maggior peso al "come-era-stato-fatto", spesso metteva in secondo piano la sorpresa dovuta alla scoperta dell'identità del colpevole; oppure dava vita a una narrazione in cui i fatti venivano trattati in un modo molto secco e senza fronzoli. Penso, ad esempio, all'opera di Freeman Wills Crofts e dei cosiddetti autori "Humdrum", dove i delitti assomigliano a congegni ad orologeria in quanto a costruzione, sviluppo e soluzione, ma essi vengono inseriti in contesti dove lo sviluppo psicologico dei personaggi non viene molto contemplato. Oppure ad alcuni romanzi di Christopher Bush e di John Rhode, in cui la meccanica del delitto gioca un ruolo di primo piano nella trama, a discapito degli altri elementi.

Ogni tanto, tuttavia, sono accaduti piccoli miracoli. Esistono romanzi gialli che mettono insieme una leggera, ironica pennellata nella descrizione del colore locale e nella rappresentazione del carattere dei personaggi, con magistrali parti mentali in fatto di omicidi efferati e delitti straordinari ma fittizi. Questi libri, tra cui includerei "Gli Occhi Verdi del Gatto" di Sayers (ancora "di transizione" rispetto agli altri suoi capolavori) e quello che recensisco oggi, "L'Alibi Perfetto" di Christopher St. John Sprigg (Polillo Editore, 2012), riescono a giocare sulla sottile linea che separa il romanzo puro, inteso in senso vittoriano e rappresentante la società, da quello del mistero più classico, considerato alla stregua di un cruciverba o un rebus da sciogliere con l'uso della tecnica. In particolare, il libro di Sprigg tratta una storia originale, in cui l'occhio del lettore non si sofferma su un solo punto di vista, ma cambia di volta in volta pur senza abbandonare mai l'indagine che sarà risolta dal giovane giornalista e segugio dilettante Charles Venables. Il fulcro della vicenda si focalizza sul decesso di Anthony Mullins, un ricco ingegnere, e sulle innumerevoli possibilità che potrebbero spiegare la sua morte violenta: incidente, suicidio e omicidio, ad opera di una, due, tre persone, vengono presi in considerazione in tutte le loro declinazioni, simili a tessere di un mosaico da incastrare al posto giusto, permettendoci di comprendere quante possano essere le alternative pratiche che la polizia si trova a dover affrontare. Eppure, nonostante questo, non viene meno un sarcastico e divertente ritratto delle persone coinvolte nel caso e della fauna che popola i tipici sobborghi dell'estrema periferia di Londra, il quale tratteggia con maestria le originali personalità che circondano la figura elusiva di Anthony Mullins.

Shepherd’s Cottage, Firle, East Sussex by Eric Ravilious,
1934, simile a The Turrets di Fairview Estate
La trama, come dicevo, è incentrata sulla morte di questo ricco ingegnere, socio di un'enorme stabilimento specializzato nell'invenzione e produzione di armi di distruzione di massa. Un bel mattino, mentre nei dintorni di Fairview Estate (ex Hake End) tutti quanti sono impegnati in faccende personali, il garage di The Turrets prende fuoco all'improvviso e, nel corso dello spegnimento delle fiamme e della confusione creata dai pompieri e dalla folla che si è radunata nel vasto cortile, un corpo carbonizzato e appena riconoscibile viene rinvenuto al volante dell'auto in esso contenuta. Le testimonianze del socio in affari e della bellissima giovane moglie di Mullins lasciano pochi dubbi riguardo l'identità del morto; ma se l'identificazione può sembrare il passo più difficile da compiere in queste circostanze, ben presto la polizia si rende conti di essere soltanto all'inizio di un'indagine complessa e strana. Infatti, se in un primo momento il decesso ha tutta l'aria di essere la conseguenza di un incidente (causato da un cortocircuito del sistema elettrico delle luci esterne) oppure un suicidio messo in atto dallo stesso Mullins, disperato a causa della presunta infedeltà della moglie con il giovane nipote, la scoperta di un proiettile nella testa del cadavere apre una nuova serie di possibilità alle congetture degli agenti. Ma non è finita qui, poiché grazie al fugace intervento di Charles Venables (impegnato in un'altra indagine, ma incuriosito dagli eventi di Fairview Estate), poco dopo viene scoperto un ingegnoso congegno predisposto a creare appositamente un cortocircuito nell'impianto di accensione delle luci della baracca in cui era contenuta la macchina dei Mullins. Certo, questo può avvalorare l'ipotesi del suicidio; ma allora che fine hanno fatto la chiave che ha chiuso la porta del garage e la pistola che ha esploso il proiettile fatale, visto che non sono state ritrovate assieme al corpo?

Sembrerebbe proprio che qualcuno si sia impegnato a mascherare il proprio violento operato. E i sospetti riguardo questo qualcuno, fin da subito, ricadono su Patricia Mullins e Ralph Holliday, le persone più vicine alla vittima e che dovrebbero essere destinatarie della fortuna di Mullins. Peccato che il magnate avesse da poco cambiato testamento, escludendo del tutto lui e anche la donna nel caso in cui egli fosse morto per cause non naturali, e lasciando ogni cosa al segretario di uno stabilimento ingegneristico, tale James Constant. In tutto questo, dunque, l'ispettore Trenton e il giovane agente Laurence Sadler non riescono a trovare una pista decente da seguire: tutto pare portare a un vicolo cieco, dalla mancanza di un movente che potrebbe aver guidato la mano di Mrs Mullins e del suo amante (il quale sembra diventato inafferrabile), alla presenza di alibi inattaccabili per tutti gli individui coinvolti nel caso e che potevano ottenere un vantaggio alla morte di quel piccolo borioso di Anthony Mullins. La gente dei dintorni, tra cui un Pari decaduto sempre in bolletta e dedito alla promozione delle sue terre (Lord Overture), un dottore appassionato di misticismo e filosofia esotica (il dottor Marabout), un'anziana zitella che ha messo su una scuola per pugili professionisti (Mrs Murples), un perfetto padre di famiglia (Eyton) e un artista dal temperamento focoso (Frank Filson), sembra avere un'idea precisa sui fatti accaduti a Fairview Estate, che si riconduce al carattere violento del morto: contro ogni logica, deve per forza essersi ucciso. Tuttavia Sandy Delfinage, la proprietaria di un maneggio dedita alla coltivazione del pettegolezzo locale, nutre qualche dubbio e decide di aiutare il suo amico Sadler a scoprire la verità. Insieme a Venables, in procinto di partire per una nuova indagine nei Balcani, i due giovani si troveranno davanti a un caso diabolicamente astuto e quasi inestricabile, il quale metterà a dura prova la loro pazienza e li porterà a mettere in dubbio ogni alibi all'apparenza inattaccabile. Perché di una cosa sono certi: qualcuno è riuscito a ingannare tutti quanti e a nascondere agli occhi della mente un movente insospettabile, il quale apparirà chiaro solo al momento della soluzione finale.

Copertina dell'edizione pubblicata da
Moonstone Press
A differenza di "Sei Oggetti Misteriosi", il suo ultimo e anomalo romanzo, "L'Alibi Perfetto" incarna in pieno il tipo di libro che Sprigg scrisse nel corso della maggior parte della sua carriera. Infatti, se nel tratteggiare il caso della morte violenta del medium Michael Crispin, l'autore aveva già adottato una fede politica severa e cinica, la quale considerava la realtà secondo un punto di vista cupo e disilluso, e l'analisi di alcuni temi aveva assunto la priorità sulla costruzione di un enigma del tutto valido, al momento dell'ideazione del "Mistero del Garage Incendiato" egli teneva ancora in alta considerazione la letteratura di genere giallo e il suo intento era chiaramente quello di dare vita a storie divertenti e ingegnose. Pertanto, come vediamo in "L'Alibi Perfetto", in un contesto caratterizzato dall'ironia e da una narrazione piena di dettagli e colore locale, troviamo un enigma complesso e pieno di sfaccettature, che non si limita a dare vita a un'indagine che viaggia su un solo percorso, ma genera attorno a sé tanti altri piccoli misteri che in qualche modo abbelliscono quello principale. Qualcosa del genere era accaduto anche in "Omicidio a Kensington", dove l'uccisione della proprietaria di un albergo che dava sui Kensington Gardens si intrecciava con i loschi movimenti di alcuni tra i personaggi, tra cui un sinistro orientale e un'anziana signora con la mania dei gatti, i quali provocavano equivoci su equivoci che distoglievano l'attenzione di Venables. Eppure, in quel frangente, la complessità del caso centrale non si avvicinava per niente al vero e proprio tour de force che il lettore si ritrova ad affrontare in "L'Alibi Perfetto". Penso sia proprio questa la caratteristica che permette a quest'ultimo di spiccare in mezzo all'opera complessiva dell'autore: la sua capacità di dare vita a un indagine in cui praticamente ogni possibile sfaccettatura del crimine può essere in qualche modo inserita, affrontando ogni ipotesi che possa venire in mente a un lettore di gialli. Mi spiego meglio.

All'inizio, quando scopriamo che il garage ha preso fuoco e che Mullins temeva il fatto che la moglie avesse intrecciato una relazione clandestina con il nipote, all'ispettore Trenton (e implicitamente a noi lettori) viene il dubbio che l'ingegnere si sia potuto togliere la vita per vendetta nei confronti della consorte fedifraga. A dare man forte a quest'idea, poi, scopriamo che egli aveva cambiato il testamento a favore di una tra le tante società che si occupano di invenzioni e scoperte scientifiche e che popolano la società, diseredando gli accusati nel caso egli fosse stato eliminato in modo violento. Quindi, in un primo momento, viene presa in considerazione la probabilità di un suicidio legato ai rapporti sentimentali tra Anthony Mullins e Patricia. Tuttavia, poco dopo ci viene fatto notare che la mancanza della chiave del garage e della pistola (pistola che ha senza alcun dubbio sparato un colpo in testa al cadavere, nonostante esso sia stato quasi carbonizzato dalle fiamme) mettono fuori gioco questa prima ipotesi, oltre al fugace pensiero che il caso possa ricondurre a un incidente. Infatti, poteva essersi trattato di una pura coincidenza, il fatto che Mullins si fosse sparato un colpo mentre maneggiava l'arma; ma alla prova della probabilità, quest'idea deve essere scartata. Pertanto, nel giro di pochi capitoli, abbiamo già affrontato un paio di ipotesi che, prese una alla volta, potrebbero costituire una parte considerevole di un delitto inteso in senso comune. Voglio dire, sia l'incidente sia il suicidio avrebbero potuto essere accostati all'omicidio e dare vita a una storia a parte. Eppure, Sprigg ha deciso di metterle insieme per complicare la situazione e, come apprendiamo non appena esse vengono messe da parte, si fa in avanti aggiungendo pure l'unica possibilità che resta agli investigatori: l'uccisione volontaria della vittima per mano di terza persona.

Ipotesi ideale per il racconto di un'indagine da romanzo giallo, essa apre alla solita domanda: chi avrebbe potuto farlo, e per quale motivo? E qui, dove le cose sembrerebbero sbrogliarsi un po' in seguito alla confusione generata dal pasticciato sospetto suicidio-incidente, la faccenda diventa ancor più astrusa e complicata. Già; perché ci accorgiamo tutti noi, assieme all'ispettore Trenton, Sadler e Venables, che le possibilità all'improvviso si riducono a zero, in quanto a possibili colpevoli. Paradossalmente, ce ne erano di più quando si pensava che avesse fatto tutto da sé Mullins. Nel corso delle indagini, infatti, veniamo a sapere che tutti (ma proprio tutti) i possibili sospettati di un certo rilievo e importanza possiedono un alibi di ferro, che sembra impossibile da sciogliere. E anche nel momento in cui alcuni di questi alibi vengono meno, sembra proprio che il caso non riesca a proseguire, poiché si dissolvono la possibilità materiale di commettere il delitto oppure i moventi che all'inizio avevano tutta l'aria di essere solidi. Nella costruzione della storia si nota benissimo l'inventiva (molto apprezzata dagli appassionati del romanzo del mistero) che Sprigg possedeva nella creazione degli intrecci e il sottile acume che lo distingueva dall'uomo comune; non solo nell'ideazione, verifica e conferma/demolizione degli alibi dei sospetti, dove egli ha dimostrato di non essere da meno degli autori della corrente "Humdrum" come Crofts, Rhode e Connington, ma anche nella straordinaria e apparente scioltezza con cui aggiunge congegni tecnici e nozioni di balistica, scienza, ingegneria, grafologia e aeronautica alle vicende, dando vita a trame ricche di dettagli che risultano dense e davvero complesse da comprendere e tentare di sciogliere. Inoltre, la serrata attività della polizia descritta in ogni dettaglio, con i continui dubbi che si affacciano nella mente degli inquirenti, contribuisce a restituire un ritratto veritiero del lavoro dei poliziotti e a rafforzare questo senso di stabilità delle vicende, imprimendo al caso quell'implicita somiglianza con il rebus e il cruciverba enigmistici e risolvibili con l'uso della logica.

Anche per questo motivo Sprigg può essere considerato come una sorta di epigono di Crofts e i suoi colleghi, poiché indubbiamente il fine ultimo del racconto che emerge dalla lettura si focalizza sulla risoluzione dell'enigma. Tuttavia, allo stesso tempo, non si può fare a meno di notare come l'autore si sia impegnato ad alleggerire e controbilanciare quest'indagine forse fin troppo severa e massiccia. Se avesse trattato la morte di Mullins concentrandosi sempre e solo sul lavoro degli agenti, probabilmente la storia sarebbe risultata monotona e pesante da digerire per il lettore. Così, invece, pur senza rinunciare all'ingegnosità di un indagine strutturata in modo simile a una partita a scacchi (forse per alcuni soporifera, ma di sicuro all'altezza delle aspettative di un appassionato di romanzo giallo), Sprigg ha inserito un racconto ironico, addirittura sarcastico, del colore locale di Fairview Estate e di una piccola parte di Londra, soffermandosi con precise digressioni non solo sugli aspetti tecnici del delitto, ma pure sulle personalità dei personaggi e sui luoghi in cui sono ambientate le vicende. La leggerezza dei dialoghi, delle descrizioni delle persone e delle personalità originali ed eccentriche dei protagonisti e delle comparse della storia, riescono a smorzare l'oppressione della serrata attività della polizia, mentre il divertimento che traiamo dal vivace resoconto delle avventure vissute dagli abitanti della periferia di Londra ci permette di tirare un sospiro di sollievo. Con la costruzione dell'enigma, l'ironia è l'altra grande caratteristica dell'opera di Sprigg; tanto insita nella sua narrazione, che nemmeno in "Sei Oggetti Misteriosi" l'autore riesce a tenerla a freno, benché la colori di toni più cupi e cinici. In conclusione, la spensieratezza e una certa audacia incosciente fanno da contraltare alla solidità dell'indagine, riuscendo a smorzare i toni seriosi della routine della polizia grazie ai tentativi maldestri di Sadler e Sandy di sondare il pettegolezzo locale, oppure attraverso le vicende che vedono protagonisti gli originali abitanti di Fairview Estate. Si verifica un sorta di piccolo miracolo, poiché il caso resta intricatissimo e centrale nonostante la presenza di piccole interruzioni di carattere spensierato e leggero.

Christopher St. John Sprigg, nato nel 1907 e
morto nel 1937

Lascia l'amaro in bocca che un autore tanto divertente come Christopher St. John Sprigg, negli ultimi anni della sua vita, abbia affrontato una trasformazione tale da risultare quasi irriconoscibile.
 Nato nel 1907 a Putney, nella zona sud-ovest di Londra, dopo aver lasciato la scuola a quindici anni, a causa del licenziamento del padre dalla redazione del Daily Express, egli divenne prima giornalista per lo Yorkshire Observer, ed in seguito direttore di un giornale per conto proprio: l'Aircraft Engineering, una testata che si occupava di aviazione, argomento del quale lui era un grande appassionato. Lettore voracissimo, versatile romanziere, scrittore di poesie e opere teatrali, oltre che di trattati filosofici, scientifici, critici e ovviamente romanzi gialli, all'età di 27 anni Sprigg si appassionò alle teorie marxiste ed iniziò a studiarle a fondo, segnando la sua vita nel bene e nel male. Impiegò un decennio prima di pubblicare, sotto lo pseudonimo di Christopher Caudwell, il suo primo saggio a riguardo, "Illusione e Realtà", dove accostava la sua visione della società a quella dell'impegnata cerchia di poeti guidati a W.H. Auden; nel frattempo, tra un volume di poesie e un saggio sugli aerei, tra il 1933 e il 1937 si dedicò alla pubblicazione di sette crime novels, la maggior parte caratterizzate da uno stile brillante e personaggi vivaci che gli procurarono gli elogi di altri colleghi quali Dorothy L. Sayers (con la quale intrattenne uno scambio di corrispondenza per un breve periodo), Michael Innes e Nicholas Blake. Con quest'ultimo condivise l'impegno sociale e politico nel campo della narrativa: oltre a "Illusione e Realtà", infatti, avrebbe dato alle stampe ancora molti manuali e testi di critica in questi ambiti. Peccato che non ne avrebbe visto nessuno: a partire dal 1934, l'attivismo politico iniziò a consumarlo lentamente, tanto da capovolgere le sue idee riguardo le opere fittizie fino a considerarle come "spazzatura" da buttare giù solo per i soldi. Le opere più importanti, secondo lui, erano i tomi pesanti e seri sulla teoria del comunismo. Inoltre, l'attivismo per conto del partito e l'intenzione di lavorare attivamente per la sua Causa lo spinsero a recarsi, nel 1936, fino in Spagna, dove guidò un'autoambulanza e si fermò in modo stabile per essere di supporto ai compagni. Fu laggiù che, un anno dopo, venne ucciso il primo giorno della battaglia di Jarama, nonostante i disperati tentativi del fratello Theodore di convincere il segretario del partito comunista di richiamarlo in patria; ormai si era perso nella sua guerra personale, ma perlomeno morì combattendo per qualcosa in cui credeva con passione.

Lasciò in eredità ai posteri una grande quantità di opere di vario genere, ma al giorno d'oggi le più ricordate sono quelle appartenenti al genere della crime story: "Omicidio a Kensington" (1933), "Omicidio in Fleet Street" (1933), "L'Alibi Perfetto" (1934), "Morte di un Aviatore" (1934), "The Corpse with the Sunburnt Face" (1935), "Death of a Queen" (1935) e "Sei Oggetti Misteriosi" (1937). Si tratta di libri che, fino a poco tempo fa, erano molto rari da ottenere in lingua inglese (figuriamoci in italiano); forse a causa del fatto che Sprigg morì giovane e, come Dorothy Bowers, non ebbe il tempo materiale per promuovere a dovere la propria opera, al fine di evitare che essa venisse ingoiata dal vasto numero di gialli che a quel tempo venivano pubblicati. Il personaggio principale dei suoi gialli fu il giornalista ed investigatore dilettante Charles Venables, spesso affiancato dall'ispettore Bray si Scotland Yard. Tuttavia, in un paio di casi essi occuparono un ruolo secondario all'interno della trama, oppure non vennero nemmeno sfruttati. Un esempio è quello di "Sei Oggetti Misteriosi", dove l'inchiesta viene condotta dall'ispettore Morgan; l'altro riguarda proprio "L'Alibi Perfetto". In questo libro, infatti, l'indagine viene portata avanti dall'ispettore Trenton, ma soprattutto da un terzetto di personaggi insospettabili: l'agente semplice Sadler, la determinata Sandy Delfinage e l'irruento artista Frank Filson. Devo ammettere che, in un primo momento, questo stratagemma mi ha lasciato spiazzato: come era possibile, mi chiedevo, riuscire a tracciare una storia avvincente se Venables, il protagonista e personaggio principale, fa una comparsa veloce all'inizio del libro, investiga un po' per poi abbandonare la partita e torna nel finale per mettere insieme tutti gli indizi e risolvere il caso? Ebbene, Sprigg è riuscito ad essere convincente lo stesso, sfruttando il caso precedente e quello successivo nella cronologia delle indagini del suo segugio dilettante (fino a citarli indirettamente, uno stratagemma che ho molto apprezzato, pp. 21, 111, 167-168, 172, 266-267) e la sua straordinaria capacità di tratteggiare i personaggi con vivacità e descrizioni a tutto tondo, così da farti affezionare a loro. Sono costoro un punto di forza di "L'Alibi Perfetto": infatti non si sente mai troppo la mancanza di Venables, poiché ognuno degli attori in scena è divertente, originale e strano abbastanza per essere ricordato, come ha pure osservato Dorothy L. Sayers in una sua recensione: a partire dalle comparse a Fairview Estate e negli uffici londinesi, come il dottor Marabout, Mrs Murples, Lord Overture, Binns e la folta fauna di inquilini di Annette Vanguard, i quali movimentano la faccenda e danno un tocco simpatico al racconto attraverso le spassose digressioni di cui sono protagonisti, fino ai sospettati principali (Patricia Mullins, Eyton, Holliday, Constant) e agli investigatori improvvisati e non, tra cui Trenton, Sadler, Filson e Sandy, ogni personaggio presenta caratteristiche spiccate e un modo di fare unico e riconoscibile, spesso irruento e spontaneo, il quale conferisce colore alla narrazione e un brio continuo.

Sono tutti vivaci e capaci di trascinarti sulle loro orme senza grandi sforzi, calandoti negli scenari che via via vengono tracciati dall'autore; si muovono con naturalezza in mezzo alle numerose digressioni di carattere tecnico che Sprigg ha disseminato lungo la trama, e sviluppano l'elemento sentimentale dando vita a complessi rapporti (Sadler-Sandy, Sandy-Filson, Patricia-Filson, Sadler-Patricia, pp. 96-100, 112, 210-217). A questo proposito, nel corso della narrazione vengono toccati altri innumerevoli temi, da quello della filosofia (pp. 94-95) a quello della letteratura gialla in senso parodistico (pp. 95, 112, 141, 150, 169, 209, 285, 295), da quello politico a quello ingegneristico; il tutto senza mai abbandonare un tono ironico che permea ogni parola e restituisce l'idea dell'indagine come di una sfida giocata sulla sottile linea che separa la farsa dalla serietà: da una parte stanno Trenton e la macchina inossidabile della polizia professionista; dall'altra, i dilettanti che affrontano con curiosità e inesperienza le indagini sull'omicidio di Mullins. L'insieme che si ricava da quest'unione risulta in un enigma complicatissimo, che sfrutta in modo innovativo il cliché dell'auto in fiamme e degli alibi che sembrano insormontabili, poi vengono abbattuti e poi ancora vengono rimessi in piedi di nuovo, in una girandola di colpi di scena ed elementi indiziari degni dei migliori gialli della Golden Age, dove tuttavia non manca l'abituale sarcasmo dell'autore, che dipinge situazioni paradossali o divertenti ma senza cadere nel ridicolo più becero. Vi sfido a trovare la strada per giungere alla soluzione di questo caso intricato, che metterà alla prova la vostra determinazione e pazienza allo stesso modo degli "Humdrum" e della produzione inarrivabile di John Dickson Carr. Una certa dimestichezza con le questioni tecniche e logiche sono tutto ciò di cui avete bisogno per sciogliere l'enigma: lo stesso Venables osserva, mentre si appresta a rivelare il piano dell'assassino, che "il caso avrebbe potuto trovare soluzione in base ai fatti noti all'inizio delle indagini. Ogni fatto e indizio di cui avevamo bisogno ci era già stato fornito. Era un po' come se ci trovassimo davanti alla storia poliziesca più leale del mondo, quella in cui il lettore dispone di ogni circostanza materiale necessaria a consentirgli di arrivare alla soluzione". Ed è così, se si va a cercare le tracce lasciate dall'assassino lungo il suo cammino. Vi voglio consigliare ancora una cosa soltanto: prestate attenzione all'ingegnoso titolo del romanzo. È vero che gli alibi perfetti (almeno all'apparenza) sono più di uno, ma riflettete a fondo tra le possibilità che vi sono state date e forse riuscirete a capire un po' di più come sono andati i fatti. "L'Alibi Perfetto", infatti, non è perfetto solo nel suo titolo, da pure nei fatti; è uno degli esempi più degni del tradizionale romanzo giallo di stampo anglosassone, in cui tutto è necessario per arrivare alla soluzione, anche gli indizi più piccoli che vengono forniti al lettore e sembrano non avere alcun peso nella storia. Dategli una possibilità e, dopo un iniziale timore dovuto alla quantità di informazioni che vengono presentate al lettore, vi troverete davanti a una magistrale crime novel.

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