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Copertina dell'edizione pubblicata nei Classici del Giallo Mondadori n. 591
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A mio parere, il mondo di quella che viene definita in gergo "blogosfera" è meraviglioso per il semplice fatto di essere variegato come poche altre cose. Vi si possono trovare pagine che parlano di cucina, altre che descrivono viaggi pazzeschi in ogni angolo del globo, e ancora altre che, ovviamente, recensiscono programmi TV e libri. Si tratta di un patrimonio sempre a disposizione di tutti, a patto di possedere una connessione ad Internet, e che fornisce molte informazioni utili che si faticherebbe a trovare da qualche altra parte, se non esistesse. Per quanto riguarda i blog dedicati ai libri e alla letteratura in generale, tuttavia, mi sento di dire che essi sono forse ancora più interessanti di quelli dedicati ad altro, dal momento che possono rivelarsi fonti di divertimento e di sfida reciproca, oltre che di conoscenza. Nella mia breve permanenza sul
web, infatti, ho potuto notare come gli amministratori di alcune pagine letterarie estere molto seguite e conosciute abbiano studiato modi originali e curiosi per instaurare un rapporto più stretto con i lettori e i loro colleghi, favorendo lo scambio di idee e l'interazione. Vi faccio alcuni esempi, partendo dal progetto "
Coffee and Crime" di Kate Jackson, proprietaria dell'esauriente e interessantissimo blog
Crossexaminingcrime. Si tratta di una simpatica iniziativa che è ormai in atto da circa tre anni e che consiste in una sorta di servizio di sottoscrizione abbinato al genere
crime secondo cui, ogni tanto oppure per una sola volta, Kate invia al destinatario stabilito, dietro una quota precedentemente concordata, una vera e propria scatola delle meraviglie, contenente romanzi gialli in lingua inglese e una serie di altri oggetti che si ricollegano ad essi, come cartoline, bustine di tè e (perché no?) curiosità quali una paperella da vasca vestita da Sherlock Holmes. Inoltre, Kate Jackson non si limita a questa sola attività ma, accanto alla sua straordinaria capacità di leggere e recensire tanti libri quanti non ne ho mai riscontrato in altri, ha intrapreso una serie di altre iniziative, che vanno dalla "
Challenges to the Reader" (in cui vengono poste delle sfide al lettore attraversi una serie di rompicapi) al "
Crime Fiction Quizzes" (dove sono proposte all'appassionato di genere
mystery alcune domande per metterlo alla prova). Eppure, quella che forse è l'idea migliore tra tutte è "Tuesday Night Bloggers", la quale consiste nel postare nel proprio
blog una recensione ogni martedì notte e discutere di ogni titolo a turno, e vede coinvolta una serie abbastanza corposa di esperti e appassionati (
qui,
qui e
qui i link ad alcune pagine, perché possiate farvi un'idea).
Tutti questi non sono forse progetti degni di lode? Purtroppo, la mia lentezza e il fatto di essere ancora un principiante non mi permettono di prendere parte a queste iniziative; però non escludo di riuscire a farcela in futuro. Dopotutto, limitarsi a possedere una pagina
web non è una brutta cosa; però è sicuramente molto più divertente riuscire a entrare in contatto con altre persone da cui si può imparare sempre qualcosa. Soprattutto se con esse condividi una passione comune. Perciò voglio provare fin d'ora a sfidare me stesso, in previsione della mia aderenza ad alcune delle
challenge di cui ho parlato sopra; e per questo ho deciso di compiere il passo di accettare l'invito di
Shanmei, amministratore di
Liberi di Scrivere, a creare un post in qualche modo dedicato alla figura di Hercule Poirot, l'investigatore belga nato dalla penna di Agatha Christie in "Poirot a Styles Court" nel 1920. Esso entrerà a far parte di un progetto chiamato "
The Hercule Poirot Centenary Blogathon", una sorta di maratona spirituale che avrà il compito di gettare quanta più luce possibile sul personaggio di Christie. Non che ci sia chissà quale bisogno di sforzarsi per imporlo all'attenzione dei lettori, dal momento che da solo riesce benissimo a continuare ad occupare un posto di primo piano non solo negli scaffali delle librerie, ma pure nei cuori di ognuno di noi; però fa sempre bene sottolineare quanto egli sia divertente, intelligente e straordinario. Pertanto, chiunque voleva partecipare a questa iniziativa aveva il compito di trattare un argomento a piacere, purché quest'ultimo non fosse stato già accalappiato da chi lo aveva preceduto: erano inclusi articoli su romanzi, racconti, temi come "Poirot al cinema" e tanto altro. Da parte mia, visto il periodo e la natura di Three-a-Penny, avrei puntato sulla recensione di "Poirot e la Strage degli Innocenti", ambientato ad Halloween, oppure mi sarei anticipato in vista del Natale analizzando "Assassinio sull'Orient-Express", o ancora mi sarebbe piaciuto dire la mia proprio sul libro in cui Poirot esordì esattamente cento anni fa, "Poirot a Styles Court". Purtroppo, però, tutti questi argomenti allettanti erano già stati prenotati. Come fare, allora? Ho pensato che, se dovevo scegliere qualcosa per celebrare l'omino dalle cellule grigie, sarebbe stato meglio puntare a un romanzo capolavoro, uno di quelli che mettevano in mostra l'abilità e le caratteristiche di Poirot nel risolvere i casi che gli venivano affidati. E ovviamente doveva essere un libro la cui traduzione non fosse rimasta quella ridotta degli anni '50. Così, passando in rassegna l'enorme quantità di titoli di Christie che possiedo, alla fine mi è capitato tra le mani "Carte in Tavola" (Classici del Giallo Mondadori, 1989) nella traduzione integrale di Grazia Griffini. Ho capito subito che si trattava delle scelta perfetta: ambientato a novembre, cupo e ironico all'occorrenza, con un Poirot in forma smagliante che raccoglie indizi psicologici con i suoi metodi un po' eccentrici ma rivelatori, questo romanzo giallo sarebbe stato perfetto per il mio contributo alla
challenge. Inoltre, dagli appassionati esso è considerato come uno dei più straordinari esempi dell'arte dell'onesto inganno di Christie, dal momento che vede un'indagine basata su una complessa ricerca della verità tra partite di
bridge e tuffi nel passato.
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Furlongs (Glynde, East Sussex, South Downs), Eric Ravilious, 1935, simile al cottage in cui vivono Anne Meredith e Rhonda |
La storia prende avvio da un incontro casuale che si verifica a Wessex House, a Londra, durante un'esposizione di tabacchiere a favore degli ospedali della città. Hercule Poirot sta guardando gli oggetti nelle teche, quando la sua attenzione viene richiamata da un altro osservatore, un certo signor Shaitana, un individuo ambiguo dall'aria orientale o latina che lui ha conosciuto superficialmente qualche tempo prima, il quale ama assumere un atteggiamento mefistofelico e mettere in soggezione il prossimo. Lo stesso Poirot non può fare a meno di sentirsi colpito e incuriosito dal comportamento dell'uomo e dal suo aspetto, così raffinato e, allo stesso tempo, terrificante. Già; poiché Shaitana ha la cattiva fama di essere un tizio che sguazza nel torbido e che gode nell'intimorire i suoi interlocutori, gettando velate allusioni durante i suoi discorsi e suscitando scandali. Eppure nessuno è mai riuscito a coglierlo in fallo, così l'orientale trascorre le proprie giornate facendosi rispettare nella società del bel mondo londinese e intrattenendo i suoi ospiti (loro malgrado) con feste sontuose. Parlando con Poirot, Shaitana ha la brillante idea di invitare l'investigatore belga a casa sua nell'arco delle prossime due settimane: intende sottoporre a un appassionato collezionista come lui una speciale gamma di oggetti che di sicuro potrà interessargli. Si tratta forse di tabacchiere?, chiede Poirot. Affatto, risponde Shaitana: se avrà la bontà di accettare il suo invito, egli potrà mostrargli nientemeno che i più raffinati articoli artistici che il crimine abbia mai prodotto: ovvero, ben quattro assassini che sono riusciti a sfuggire alla giustizia e alla punizione. Nonostante una certa diffidenza, Poirot decide di presentarsi alla chiamata dell'orientale, fosse solo per rendersi conto che l'altro lo ha preso in giro oppure per metterlo in guardia. E laggiù, assieme al padrone di casa e ad altri tre "segugi" (il Sovrintendente Battle di Scotland Yard, il colonnello Race dei Servizi Segreti e la scrittrice di romanzi gialli Ariadne Oliver), il piccolo belga si imbatte in quattro curiosi individui: il dottor Roberts, un gioviale medico che ha l'aria di godersi la vita; la signora Lorrimer, una vedova avanti con l'età con la passione per il
bridge; il maggiore Despard, un avventuriero abituato a farsi largo nel bel mezzo della giungla a mani nude, e la giovane signorina Anne Meredith, una timida ragazza che ha tutta l'aria di essersi smarrita.
Otto invitati, di cui quattro rappresentanti della legge e quattro cittadini. Sembrerebbe proprio che Shaitana facesse sul serio, quando ha detto a Poirot di conoscere alcuni assassini rimasti impuniti. E ora pare che il padrone di casa abbia l'intenzione di mettere gli uni contro gli altri, in una sorta di gara tra gatti e topi, dove i primi devono smascherare i secondi. Già durante la cena, egli ha fatto qualche piccolo accenno al delitto, con la conseguenza che su tutto il gruppo è sceso un pesante silenzio imbarazzato e la tensione si è alzata. Proprio così, Poirot non ha quasi più dubbi. Ma in fondo non si può avere alcuna certezza sul conto di sospetti, tanto più se nemmeno Shaitana è riuscito a trovare abbastanza prove da portarli davanti a una corte (cosa che egli avrebbe senza dubbio fatto, anche solo per godere del proprio operato). Così l'investigatore decide di dimenticare la faccenda e, assieme a tutti gli altri ad eccezione del padrone di casa, si immerge nel gioco del bridge. Nel fumoir i segugi sono impegnati in una partita a quattro, gli altri ospiti nel salone si dedicano a fare altrettanto, mentre Shaitana sonnecchia su di una poltrona davanti al fuoco. Non vola una mosca fino a tarda ora, nonostante tutti si alzino dal tavolo a turno per versarsi da bere oppure mettere un po' di legna sul fuoco; poi Poirot e gli altri rappresentanti della legge tornano nel salone, dove l'altro gruppetto sta ancora giocando a carte, e scoprono l'orrenda verità: Shaitana è stato pugnalato nel sonno. Senza alcun dubbio, le indagini preliminari di Battle mettono in chiaro che soltanto uno degli ospiti più aver commesso il delitto; ma chi può aver avuto un'audacia tale da ammazzare un uomo davanti a tre testimoni? Roberts, Despard, la signora Lorrimer e la signorina Meredith sono tutti quanti sospettabili allo stesso modo, soprattutto perché già indicati dalla vittima come potenziali assassini e perché si sono alzati dal tavolo in solitudine. Però nessuno li ha visti compiere l'atto scellerato. Anche le testimonianze e gli interrogatori incrociati sortiscono alcun effetto significativo; così la signora Oliver propone agli altri tre di mettersi in società, per scoprire qualcosa di più sulle loro prede. Ognuno compirà i passi necessari per approfondire la conoscenza di Roberts, Despard, Lorrimer e Meredith, seguendo i propri metodo e istinto, e alla fine si riuniranno tutti insieme per tirare le fila del discorso e mettere le carte in tavola, proprio come nel bridge. A malincuore, Battle accetta con la condizione che spetterà a lui compiere qualunque incriminazione ufficiale, e incarica gli altri di scoprire a turno qualche segreto sui sospettati. E la faccenda darà i suoi frutti, mettendo in luce quanto di più oscuro si cela nelle vite passate dei quattro imputati. Sarà però Poirot a mettere la parola fine alla faccenda, grazie al suo intuito e alla sua conoscenza della natura umana, la quale si rivela sempre nelle piccole cose.
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Biglietti su cui sono stati segnati i punteggi delle partite di bridge nella sera fatidica della morte di Shaitana
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Più di una volta mi è capitato di domandarmi: perché Agatha Christie ha ottenuto e detiene tutt'oggi un successo così grande? Infatti, dire che proprio tutti siamo d'accordo col fatto che i suoi libri (chi più, chi meno) siano dei capolavori, probabilmente è un po' esagerato; ma comunque non c'è alcun dubbio che essi riescano a mettere d'accordo una larghissima fetta di lettori. E la risposta che mi sono dato è che, tra i tanti motivi, lei sia stata soprattutto in grado di raccontare la Vita (con l'iniziale maiuscola) in modo perfetto; proprio come alcuni suoi colleghi e colleghe del calibro di Dorothy L. Sayers, per fare un esempio su tutti, i quali ancora oggi sono ricordati, ma facendo allo stesso tempo in modo di essere accessibile e "semplice" da comprendere. Voglio dire, mi sembra che abbia trasportato la quotidianità in un contesto fittizio, infondendole una patina di originalità ed esaltandone le qualità nel bene e nel male senza fare discorsi troppo complessi; cosa che ben pochi sono stati in grado di mettere in atto, e nessuno al suo pari. Proprio per questo, dunque, sono convinto che Christie sia riuscita a conquistare il cuore dei lettori, dal momento che in qualche modo è stata capace di raccontare ciò che ognuno di noi vive in prima persona. Ed è per questo che, tra l'altro, penso lei si sia affermata pure in Italia, dove nessun altro giallista ha ottenuto una tale celebrità (nemmeno Ellery Queen, Erle Stanley Gardner e Perry Mason hanno mai visto pubblicati saggi su loro stessi o i loro protagonisti). In ogni caso, questa popolarità non sempre ha avuto risvolti positivi: se i critici si sono impegnati ad analizzare tutti i dettagli della sua opera e della sua vita, i giudizi che ne sono emersi hanno avuto un esito altalenante. Secondo alcuni, infatti, i libri di Christie appartengono alla mera letteratura di consumo, intesa come qualcosa da divorare in qualche ora di spensieratezza e divertimento, senza trasmettere particolari messaggi col loro passaggio; per altri, invece, essi sono capolavori che illustrano al meglio la società del secolo scorso e costituiscono ritratti veritieri della psicologia dell'individuo. Da parte mia, penso possano essere sia l'uno che l'altro, in base a come uno li considera: capolavori dell'arte dell'intrattenimento fittizio, nei quali si alternano colpi di scena magistrali e delitti messi a segno con abilità, oppure approfonditi trattati che illustrano la psicologia e la sfera passionale dell'individuo. Però posso capire come non a tutti possa apparire chiara questa doppia definizione; in fondo, ognuno vede la faccenda secondo un giudizio influenzato dalla propria visione personale. È questa la benedizione/maledizione che colpisce l'opera di Agatha Christie: la capacità di adattarsi sì a qualunque tipo di lettore, che sia esso alla ricerca di svago oppure di una storia in cui siano trattati argomenti seri, e allo stesso tempo la costante condanna da parte di alcuni di non essere capace di esprimere la giusta austerità a causa della sua (apparente) semplicità.
Con il caso di "Carte in Tavola", si può esprimere perfettamente questa divisione dei pareri. Da una parte, infatti, esso è stato incluso in una lunga serie di liste di critici influenti ed esperti come uno tra i capolavori della Regina del Giallo (ad esempio, Patrick del blog "At the Scene of the Crime" lo considera il suo preferito, oppure Martin Edwards lo colloca al quinto posto della sua
classifica, mentre nel blog
The Passing Tramp sono riportate numerose liste in cui esso compare). D'altra parte, tuttavia, secondo alcuni questo giallo in particolare si è rivelato essere noioso e fin troppo macchinoso, oppure confuso e astruso nella spiegazione dell'indagine di Poirot volta alla scoperta dell'assassino. E a ben vedere c'è un pizzico di verità in ognuna di queste considerazioni. Ad esempio, penso al fatto che il caso ideato da Christie appaia a prima vista quanto mai convenzionale e conforme, fin quasi troppo strutturato e quindi poco "sentito" dal lettore. Dopotutto, esso è basato soprattutto sull'interpretazione del gioco del
bridge, il quale non si può proprio dire sia esaltante oppure sconvolgente (a meno che tu non sia un appassionato sfegatato di questo passatempo!). Inoltre, a mio parere la spiegazione finale sembra un po' tirata, dal momento che essa viene data da Poirot in base alle considerazioni psicologiche che egli ha colto nel corso dell'indagine, e suffragata da un espediente non del tutto corretto ai fini del gioco pulito. Tutto appare molto veloce e forse un po' superficiale rispetto a quanto ci ha abituato Christie, poiché alcune aree di "Carte in Tavola" potevano forse essere approfondite ed ampliate per esaltare i brillanti colpi di scena che sono al suo interno; tra tutte la figura di Shaitana, la quale avrebbe avuto il potenziale giusto per diventare un antagonista più durature dell'investigatore belga. Insomma, anche secondo me questo non è il più bel romanzo giallo scritto da Agatha Christie. Però voglio sottolineare il fatto che, pur non essendo il migliore, "Carte in Tavola" si può benissimo piazzare tra i primi cinque esemplari in un'ipotetica classifica. Infatti, avrete notato che qui sopra ho usato verbi che rimandano al condizionale, come "apparire" e "sembrare"; ed è proprio questa la chiave del successo di questo romanzo e dei
mysteries di Christie: ogni cosa viene dipinta in modo da avere un sapore attenuato, senza che ci siano chissà quali esternazioni sensazionali a condire il racconto, ma nasconde dietro le righe un mondo di oscurità e profondità emozionale strabiliante. Non a caso l'autrice è riconosciuta in tutto il mondo come quella che meglio ha saputo sfruttare gli elementi fondamentali del genere, tanto da dare l'impressione di averli inventati lei. Il villaggio di campagna inglese accanto alla figura di Miss Marple, il viaggio in treno di "Assassinio sull'Orient-Express" e la vacanza funestata dal delitto in "
Corpi al Sole", sono tutti associati alla sua figura, nonostante pure altri autori si siano cimentati nella creazione di storie ambientate in tali luoghi. Però il fatto sorprendente è che, spesso, l'idea di modestia che il lettore si fa prima di entrare nella storia, immaginandola caratterizzata con semplicità e ordinarietà, viene disillusa con una franchezza sorprendente. Se poi aggiungiamo il fatto che lo stile di Christie, grande sostenitrice dell'economica enunciazioni su carta di fatti e dialoghi, è sempre stato molto scarno e fin troppo essenziale, al punto di diventare un suo marchio si fabbrica, tutto tenderebbe ad indicare che anche il mistero e l'enigma siano semplice e ordinari; se non fosse che, come non mi stancherò mai di ripetere, nella narrativa gialla niente è come appare.
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Fotografia raffigurante un tipico bus inglese a due piani, simile a quello su cui conversano Poirot e il maggiore Despard |
Infatti, anche se il ragionamento sullo stile può trovare un certo riscontro se paragonato a quello impiegato da altri autori, nel corso della descrizione delle vicende Agatha Christie, pur sembrando in tutto e per tutto disinvolta, si ingegna a capovolgere le certezze del lettore e a sviarlo con trovate innovative e inaspettate, sfruttando gli stessi
cliché che dovrebbero limitarla e utilizzando una narrazione unica che ha mantenuto il proprio smalto fino ai nostri giorni, spesso venata di un pizzico di humor e leggerezza. Si impegnò sempre a cambiare le carte in tavola, proprio come accade nelle partite di
bridge si svolgono all'interno del romanzo analizzato oggi: la regola era quella di partire da una situazione ordinaria, per poi dar vita a vicende del tutto nuove e originali, calate nella realtà di tutti i giorni e toccando di volta in volta temi dai risvolti inesplorati, oppure utilizzando tecniche in fase si sviluppo. Così accade in "Carte in Tavola" dove la partita a carte, quasi mai origine di eventi terrificanti e angosciosi (a differenza della più famosa seduta spiritica, ad esempio), diventa una fonte di sorprendenti risvolti per l'indagine di cui si occuperà Poirot (pp. 18-21, 33, 37-40, 48, 79-81, 109-110, 143, 200-205). Non è necessario conoscere il gioco del
bridge per poter comprendere dove le intenzioni dell'autrice intendono andare a parare; le informazioni che ci vengono date a riguardo sono un po' specializzate, ma ai fini del risultato finale non dobbiamo essere abituati ad
atout e simili: il gioco viene semplicemente sfruttato come strumento di indagine a causa delle sue caratteristiche rivelatorie. Da lì, infatti, si sviluppano una serie di altri aspetti, primo tra tutti il contrappunto tra l'aria di allegra e spensierata svagatezza che ritroviamo nelle scene in cui è protagonista la signora Oliver, con i suoi dialoghi divertenti e la sua goffaggine, e l'atmosfera generale di cupezza novembrina in cui è calata l'inchiesta della polizia e dell'investigatore belga. Ogni botta-e-risposta, anche quello meno impegnativo, è fatto più di allusioni che di affermazioni, mettendo in mostra la maestria di Christie nel fornire con astuzia al lettore elementi utili alla risoluzione del caso, ma senza rinunciare a note di colore e cenni al carattere dei personaggi. La caratteristica centrale di "Carte in Tavola", a mio parere, consiste proprio in questo suo essere un romanzo "psicologico", dove Poirot raccoglie indizi attraverso le testimonianze, a discapito di una ricerca degli indizi materiali come era stato nei libri precedenti della sua saga (infatti era già avvenuto lo
switch da giallo ispirato da Sherlock Holmes a quello basato sullo studio della natura umana, messo in atto in "Assassinio sull'Orient-Express" e poi perfezionato in "Tragedia in Tre Atti" e "La Serie Infernale"). Cosa naturale, visto il carattere di Poirot più propenso al lavorio delle cellule grige rispetto all'azione pragmatica: l'omicidio di Shaitana, infatti, non vede chissà quali prove tangibili a suffragio della tesi di colpevolezza, quanto piuttosto una somma di indizi psicologici che l'investigatore raccoglie con i suoi metodi eccentrici ma utilissimi; così da mettere in piedi un'accusa che presenta sì alcuni difetti nel momento in cui deve essere presentata davanti a una giuria, ma allo stesso tempo si rivela essere uno dei più grandi esempi dell'arte dell'Onesto Inganno di Christie, con i suoi frequenti tuffi nel passato e il sottile senso di disagio che traspare dai confronti tra i sospettati e gli inquirenti. Sono convinto, pertanto, che "Carte in Tavola" sia un romanzo straordinario e debba essere considerato come un esempio di giallo psicologico più vicino a quello degli anni '40: non bisogna colpevolizzare l'autrice per la debolezza della storia in generale, ma soltanto per un finale forse troppo sbrigativo.
In sé, il mistero di "Carte in Tavola" è molto intelligente e prende spunto della partita durante l'ultima sera di vita di Shaitana per approfondire il carattere di ognuno dei protagonisti, così da permetterci di farci un'idea ben precisa su ognuno dei sospettati e degli investigatori (dilettanti e non). Le figure del sovrintendente Battle (che farà altre quattro apparizioni, di cui due come protagonista), del colonnello Race (apparso in "L'Uomo Vestito di Marrone" e in futuro in "Poirot sul Nilo" e "Giorno dei Morti") e di Ariadne Oliver (spalla dell'investigatore belga in altre cinque occasioni e solista in una soltanto) occupano un ruolo di primo piano nella scoperta della verità: chi più, chi meno, tutti contribuiscono alla risoluzione dell'enigma e permettono a Poirot di scoprire la verità. Sono figure che agiscono e tengono alta l'attenzione del lettore, nonostante siano pochi gli attori complessivi sulla scena, mentre la tensione del racconto viene in qualche modo esercitata dai sospettati: quattro protagonisti e quattro antagonisti, con i loro compiti distinti e inscindibili per fare in modo di creare la giusta alchimia che si ritrova in "Carte in Tavola", dove queste emozioni vengono sollevate e mantenute in equilibrio tra disagio e conforto. La psicologia è ciò che più importava porre sotto i riflettori per Christie, la quale non si abbandona mai a frivolezze fini a se stesse ed è sempre credibile (pp. 18-20, 64-68, 97-99, 112-118, 144-151, 155-157, 192-193). Magari descrive Hercule Poirot e i suoi atteggiamenti, eccentrici quanto quelli della signora Oliver, come se ne volesse fare una caricatura; ma sotto sotto ogni azione è calcolata ai fini della scoperta della verità e lei ragiona su come ingannare il suo pubblico, fornendo in aggiunta osservazioni per nulla banali sulla menzogna, sul concetto di verità, sul sesto senso femminile (quanto si sofferma su questo particolare tema, a ragione, la signora Oliver!). Accanto a tutto ciò, inoltre, bisogna pure sottolineare come l'autrice si impegni a mettere in scena i metodi adottati dalla polizia, stando attenta a rispettarne le caratteristiche (pp. 63-68, 97-99). Un momento: questo significa forse che abbiamo sbagliato a considerare "Carte in Tavola" un giallo psicologico e a giustificare le sue carenze dal punto di vista dell'inchiesta pragmatica? Affatto: come si dimostrerà, infatti, le informazioni raccolte dai segugi attivi nel campo delle ricerche geografiche, Battle e Race, non riusciranno ad inchiodare il personaggio colpevole, ma saranno i sospetti e le certezze basate su sensazioni e idee immateriali a far emergere dal gruppo dei sospetti la figura dell'assassino. Perché il delitto non è sempre eseguito in base a schemi prestabiliti; molto spesso, l'omicidio può raggiungere forme d'arte impossibili da imprigionare se non utilizzando gli stessi mezzi di cui esso stesso è fatto (pp. 9, 16-18, 25-26, 45, 49-59, 132-134, 169-171, 176-177). In conclusione, quindi, Christie riesce nel complesso a dare vita a un romanzo giallo pieno di "divagazioni" e congetture che, se considerate nel complesso, non risultano mai superflue alla soluzione finale; anzi, proprio attraverso il magistrale uso dei silenzi, più che delle parole, riesce a svelare solo ciò che desidera sia svelato e a nascondere ciò che, invece, intende mantenere segreto, in ogni frase del libro. Forse è questo il segreto di Agatha Christie, quello che le ha permesso di sviluppare una maniera tutta sua di incantare il lettore, mettendolo alla prova ma con leggerezza. Quella stessa maniera che la signora Oliver si sforza di sfruttare e mettere in pratica, ogni volta che si siede davanti a una macchina da scrivere per iniziare una nuova impresa letteraria.
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Agatha Mary Clarissa Miller, alias Agatha Christie Mallowan, nata nel 1890 e morta nel 1976 |
Se si legge tra le righe di "Carte in Tavola", ma pure di altri romanzi in cui essa compare, si possono riscontrare numerose affinità tra la figura della signora Ariadne Oliver e Agatha Mary Clarissa Miller (questo era il cognome da nubile dell'autrice, trasformato una prima volta in occasione del primo matrimonio, e divenuto Mallowan con l'avvento della seconda relazione coniugale). Christie, infatti, fece della signora Oliver un
alter ego divertente e un po' caricaturale di se stessa, infondendole non solo alcune delle proprie caratteristiche fisiche, ma pure convinzioni sulla concezione della letteratura e soprattutto sul piano emotivo e sentimentale. Tra le altre cose, ad esempio, le trasmise la sensibilità necessaria a comprendere tanto bene, nonostante qualche indecisione di carattere, il mondo che la circondava, con tutti i suoi contrasti, e a sviluppare la capacità di saper dire e non dire qualcosa (nella realtà e nella finzione) in base al proprio volere. La stessa Christie a volte è stata generosa e disposta alle confidenze, altre si è rivelata più chiusa di un'ostrica. Grazie alla sua autobiografia, ad esempio, sappiamo molto riguardo la sua infanzia, il periodo più felice di tutta la sua esistenza, quello dove gli affetti rappresentati dai genitori, dal fratello, dalla sorella e dai domestici non mancarono mai; in cui le giornate erano piene ancor più del solito di voglia di fare, giocare, scoprire il mondo; durante il quale iniziò a viaggiare e che le regalò ricordi indelebili, come le giornate passate da "zia-nonnina" nella casa di Ealing. Allo stesso modo, ci ha raccontato con generosità i primi balli e gli incontri con gli innumerevoli giovanotti che la corteggiarono, così come il momento in cui si ritrovò catapultata improvvisamente nel pieno della Grande Guerra e iniziò a lavorare come infermiera al dispensario di Torquay. Ha descritto la nascita della sua carriera di scrittrice, dovuta all'impulso di un momento in occasione di una scommessa con la sorella Madge; l'incontro con Archie, il primo marito, e il loro viaggio in giro per il mondo in occasione dell'Esposizione Universale del 1924; la nascita della figlia Rosalind; la passione per le case e il cibo; il viaggio in Oriente e gli scavi archeologici. Persino la gioia nel possedere un auto di proprietà e di aver cenato accanto alla Regina d'Inghilterra. Tuttavia, riguardo altri eventi della sua vita Agatha Christie ha preferito lasciare un'ombra di incertezza e di dubbio. Il fatto più famoso, in questo senso, è la sua scomparsa nel 1926, quando Archie le confessò di essersi innamorato della sua segretaria e di voler divorziare. Probabilmente nessuno, al di fuori della stessa Agatha, ha mai saputo quale fu il movente scatenante di questo improvviso colpo di testa: forse un'amnesia, come sostennero i suoi familiari? Oppure un deliberato tentativo di accusare il coniuge fedifrago di averla eliminata per ottenere la separazione? Martin Edwards, sfruttando le informazioni ricavate dai romanzi di questa grande scrittrice, in "
The Golden Age of Murder" ha formulato un'interessante ipotesi a riguardo.
In ogni caso, resterà per sempre un mistero insoluto, poiché nemmeno prima di morire lei rivelò la verità. Anche del suo rapporto con gli altri membri del Detection Club, l'associazione di giallisti di cui fece parte per molti anni, non racconta nella sua autobiografia; tuttavia, in questo caso possiamo sfruttare le lettere e i documenti che proprio i suoi compagni ci hanno lasciato, i quali ci tramandano un'immagine vitale e disponibile della Christie, fatta di sostegno reciproco e condivisione di interessi, oltre che di amicizia e sacrificio; come nel momento in cui lei, nonostante la timidezza, accettò di assumere la carica di Presidente del Club, poiché nessun altro possedeva le specifiche capacità richieste dal ruolo. La modestia fu sempre una delle sue caratteristiche principali, tanto che odiava rilasciare interviste (non si fidava della stampa, dopo che essa l'aveva gettata in pasto alla gente al momento della sua scomparsa) e non riusciva a spiccare parola davanti a un pubblico o ad eseguire correttamente un pezzo al pianoforte, se le premesse si facevano terribilmente ufficiali; ma il tratto caratteriale che a mio parere l'ha saputa contraddistinguere maggiormente è stata soprattutto la sua grandissima gioia di vivere, la quale le permise di coltivare un carattere solare, purché venato a volte da qualche ombra, che lei riversò nei suoi personaggi, rendendoli più vivi che mai e, in questo modo, facendoceli amare anche nella loro imperfezione. Mentre osserviamo i ritratti sfaccettati e le chiacchiere a volte frivole, a volte piene di sottintesi inquietanti, che i sospettati dell'omicidio di Shaitana scambiano con Poirot, passiamo attraverso dialoghi dove traspare una forte corrente sotterranea di disagio e di sofferenza e osserviamo l'evoluzione dei sentimenti che si agitano nei cuori dei protagonisti, ci rendiamo conto di come noi stessi potremmo essere i protagonisti delle sue trame, in procinto di affrontare le nostre sfide e di rialzarci ogni volta che cadiamo. Tutti loro non sono mai come sembrano, attori di un romanzo giallo che ingannano il lettore; cosa dire allora di noi stessi, che indossiamo ogni giorno una maschera diversa? Agatha Christie l'aveva capito, ed era riuscita a trasportare questa consapevolezza (e la Vita reale, come gli altri Grandi) sulla carta per farne materiale da usare allo scopo di sviare il lettore; senza mai barare, per giunta. Perché se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare alla Signora del Delitto, quello è proprio il suo Onesto Inganno: ovvero, fornirci tutti gli indizi che ci servono (nonostante non sempre sia rispettato un rigido fair-play inteso in senso tradizionale) e, allo stesso tempo, menarci per il naso con una classe a tutt'oggi ineguagliata, tra false piste e "aringhe rosse". Indizi che, oltre ad essere in minima parte di natura materiale nei foglietti col punteggio delle partite a bridge, in "Carte in Tavola" prendono la forma di emozioni, sensazioni e impalpabili sospetti. Perché a Christie ciò che più importava era lo studio della natura umana, con tutti i suoi pregi e difetti, e per questo l'aspetto che più viene approfondito nei suoi romanzi, man mano che passano gli anni, diventa la caratterizzazione degli attori sulla scena e il loro comportamento. A differenza della solita critica sulla vacuità dei personaggi di Christie, infatti, l'autrice riesce a dare vita a un microcosmo di relazioni che forniscono a Poirot manifeste prove da interpretare per giungere alla verità: prove impalpabili, certo, ma indispensabili per interpretare la mente dell'assassino e scoprirne i punti deboli.
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Alexander Siddig nella magistrale interpretazione di Shaitana nell'episodio "Carte in Tavola" della meravigliosa serie TV "Agatha Christie's Poirot"
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Bisognerebbe fare un discorso a parte sui personaggi di "Carte in Tavola", per essere sicuri di toccare tutti quanti gli aspetti di ognuno; per cui mi limiterò a una breve panoramica. Innanzitutto, è interessante la figura della vittima, il signor Shaitana (pp. 12, 14, 17-18, 26-28, 34-35, 40-41, 47, 59, 82, 110-111). Egli viene dipinto come una sorta di controfigura di Hercule Poirot (pp. 5-10): è straniero, viene considerato come un eccentrico inguaribile e anche un po' strano, porta un paio di baffi che potrebbero gareggiare con quelli del piccolo investigatore belga, e nutre un grandissimo interesse per il delitto e il crimine. Inoltre, Shaitana rappresenta una vittima memorabile, come è la sua stessa persona, progettata per attirare l'attenzione grazie al suo atteggiamento mefistofelico e un po' sinistro, e generatrice di una sorta di sottile terrore. Tra le altre cose, egli è un collezionista di assassini, cosa che lo rende ancora più inquietante; un vero diavolo, insomma, come recita il suo stesso nome in lingua
hindi. È un peccato che sia diventato un assassinato invece di un antagonista di Poirot; però è pur vero che, se le cose fossero andate in modo diverso, forse Shaitana avrebbe rischiato di soffiare la scena al protagonista. Infatti due figure talmente simili non avrebbero potuto convivere per troppo tempo, con la conseguenza di creare una grossa confusione per niente. Invece, Christie è stata abbastanza intelligente da dipingere una vittima che si stampasse nella mente del lettore e desse l'idea di ambiguità necessaria in un romanzo giallo psicologico come "Carte in Tavola"; in questo modo, ha dato vita a un confronto alla Jekyll-Hyde tra Poirot e Shaitana, mettendo a confronto le loro menti curiose e particolari. Entrambi sono tortuosi e ambigui, tra facezie e momenti seriosi, e impiegano le loro abilità per scavare nel prossimo alla ricerca di segreti; però l'intenzione del piccolo belga è quella di sfruttare le proprie capacità per fini positivi, come la ricerca di assassini e della verità, mentre quella dell'orientale è volta a un divertimento cinico e pericoloso. Come se non bastasse, poi, i due hanno una visione del delitto opposta: uno lo considera un atteggiamento da condannare in ogni occasione, l'altro quale una prova di abilità d'artista il cui successo è da ammirare, con un premio finale che consiste nell'evitare la punizione della giustizia. Ciò sembrerebbe indicare una certa malvagità dietro le azioni di Shaitana (cosa in qualche modo sottolineata dai continui riferimenti razzisti del popolino britannico contro di lui, alle pp. 6 e 14), ma sono convinto che sotto sotto il giudizio finale su di lui sia molto più articolato da dare. Infatti penso che Shaitana sia una vera e propria vittima, intesa come figura che non si rende conto di essere in pericolo e catalizzatrice delle conseguenze che deriveranno dalla sua morte (cap. 1, p. 25). Chissà se è per questo motivo che Poirot è tanto determinato a scoprire chi lo abbia ucciso... La sua dipartita scatena una serie di drammi e tragedie che non sarebbero immaginabili in un primo momento, e le stesse personalità degli altri personaggi ne vengono influenzate, rivelandone pregiudizi e difetti. Al punto che, alla fine, l'orientale si trasforma in una figura certamente non buona, ma perlomeno tragica e responsabile della propria imprevista fine; mentre i sospettati, da apparenti vittime, assumono il ruolo di cacciatori da considerare ben peggio di Shaitana. Chi punta il dito sembra non vedere la proverbiale trave nel proprio occhio, a dispetto della pagliuzza.
Questo discorso, pertanto, porta a un'analisi degli investigatori e dei sospettati, ognuno influenzato dalla figura ambigua di Shaitana e dalla sua fine. Su Battle e Race, in realtà non c'è molto da dire: sono i tipici poliziotti che seguono la routine per tentare di risolvere il caso e fanno affidamento sulle loro conoscenze e capacità pragmatiche. Forse si può riscontrare una particolare intelligenza soprattutto nel primo, il quale astutamente riesce a raccogliere alcune informazioni dando prova di un ingegno sottile (penso alla scena con la segretaria del dottor Roberts o con gli abitanti di Wallingford). Tra i quattro, tuttavia, ad eccezione di Poirot, è la signora Oliver il personaggio più interessante, dal momento che, come dicevo sopra, è stato ricalcato sull'esistenza della stessa Christie (pp. 10-11, 14, 18, 20-21, 27-28, 34, 57-59, 83, 91, 119-124, 130, 200). Si tratta di una figura molto divertente, capace di strappare qualche risata al lettore nonostante l'atmosfera cupa che regna quasi sempre in "Carte in Tavola"; che non si fa prendere troppo sul serio ma dimostra comunque uno spiccato senso dell'osservazione e della comprensione di ciò che la circonda. Ciò la porta a cambiare continuamente le proprie opinioni, certo; però allo stesso tempo le permette di cogliere sensazioni che altri ignorano e di capire più a fondo le persone. Pertanto, è intuitiva e crede nel sesto senso femminile, proprio come la sua creatrice, e ovviamente scrive romanzi gialli il cui protagonista è un finlandese dal nome impronunciabile (uno dei quali è intitolato non a caso "C'è un Cadavere in Biblioteca"). Il suo prendersi in giro in continuazione la rende un personaggio simpatico da leggere, e le osservazioni che fa sul suo lavoro non possono che rimandare alle tribolazioni che Christie affrontava ogni volta nella stesura di un nuovo mystery. Vede ogni cosa come un gioco, anche il delitto, ed è grazie a lei (e al suo spirito intraprendente e un po' ficcanaso) che la polizia decide di dare inizio a un'indagine condivisa tra più elementi. Indagine che è concentrata su un numero incredibilmente ristretto di possibili assassini: il dottor Roberts, la signora Lorrimer, il maggiore Despard e la signorina Meredith. Ognuno di loro è una persona diffidente, che mostra una maschera alla società perbene e si tiene stretti i propri segreti, fingendo disinvoltura. Non hanno nulla a che fare con Shaitana; eppure non sfigurano nel suo salotto, sono capaci di immedesimarsi nel ruolo richiesto grazie alla lunga pratica della menzogna sviluppata nel tempo. Il dottore (pp. 12, 15-16, 22, 28-33, 39, 44, 48, 54, 60-63, 69-71, 73-76, 115, 134-137, 142, 184-185, 197-200) ha un atteggiamento forse fin troppo disinvolto, per un tizio sospettato di aver compiuto un crimine, e un gusto per il rischio che non possono non insospettire il lettore; ma all'apparenza non c'è alcuna ragione per presumere che egli sia uno spietato omicida. La signora Lorrimer (pp. 12-13, 16, 18, 23, 29, 33-39, 44, 48, 55, 78-83, 124-127, 137-138, 142, 167-180, 182-183, 187), d'altro canto, avrebbe la giusta mentalità della Lucrezia Borgia, capace di calcolare un assassinio a sangue freddo come se fosse un ballo in maschera o una partita a carte; se non fosse che conoscesse appena Shaitana. Il maggiore Despard (pp. 13, 16, 23, 33, 39, 44, 46-49, 54-55, 92-97, 105-111, 131-133, 141-142, 147-150, 152-155), invece, sembrerebbe nutrire del rancore verso la vittima ed è vissuto al di fuori della civiltà abbastanza per sollevare qualche interrogativo; però allo stesso tempo non si sarebbe sporcato le mani con una faccenda tanto disonorevole. Infine, la dolce e gentile Anne Meredith (chiamata così per un riferimento velato a Beatrice Lucy Malleson, la giallista che si nascondeva dietro il nome di Anthony Gilbert), che vive in un cottage lontano dagli sguardi curiosi della gente (pp. 13-15, 23, 33, 35-45, 48, 54, capp. 12-13-14, pp. 122-123, 126-129, 138-142, 158-166, 189-192, 194-196). Potrebbe aver compiuto lei il misfatto? Le apparenze giocano a suo sfavore; ma chi può basare il proprio giudizio su una semplice faccia? Tutti potrebbero averlo fatto, in base alle loro mentalità depravate, ma non ci sono prove. Allora bisogna tornare al passato: infatti, cosa importante, i quattro cittadini sono sospettati di essere assassini scampati alla giusta colpa. Se sono colpevoli, riusciranno a sfuggire alla Legge ancora una volta, oppure sconteranno la pena? Mi è piaciuto molto il concetto di Giustizia che Christie ha messo in luce in "Carte in Tavola"; forse è proprio uno dei motivi per cui questo libro è tanto celebrato.
In un post del suo blog, inoltre, Kate Jackson ha osservato come le caratteristiche di questo romanzo assomiglino molto a quelle di "Dieci Piccoli Indiani"; tanto da restituire quasi una sorta di riflesso allo specchio. E francamente trovo che ci sia molto di vero in questa tesi. Dopotutto, Christie non ha mai nascosto il fatto di riuscire a rimescolare sempre gli stessi elementi in innumerevoli forme; per cui, come mai dovrebbero cambiare le cose? In "La Serie Infernale" (citato a p. 14) aveva addirittura anticipato la trama dello stesso "Carte in Tavola", facendo descrivere al buon Hastings la configurazione ideale della risoluzione di un delitto da parte di Poirot! E quest'ultimo l'aveva accolta con gioia, dal momento che esso richiedeva una deduzione puramente psicologica per essere risolto. Torniamo quindi al discorso che facevo sopra: cioè al fatto che l'indagine sulla morte di Shaitana sia da considerare secondo un punto di vista un po' particolare, rispetto ad altri gialli della Regina del Crimine. In un crescendo di tensione e suspense, immersa nell'atmosfera cupa di un novembre londinese e nei falsamente confortevoli spazi domestici (pp. 19-20, 22-25, 77, 83-84, 97-100, 119-124, 180-181), le riflessioni e gli scontri su chi tra i quattro sospettati abbia commesso il delitto evocano fantasmi e supposizioni che infestano le persone, dando luogo a un'indagine del tutto basata su elementi poco tangibili, tra pregiudizi e sospetti. Christie gioca con tutto ciò e induce il lettore a credere a qualunque cosa, affermando e negando con rapidità ogni convinzione, capovolgendo le certezze e le idee; ma allo stesso tempo approfondisce ogni vissuto dei protagonisti e, seguendo la corrente che avrebbe presto portato allo sviluppo del giallo psicologico, fa un ottimo lavoro nel dimostrare l'abilità di Poirot nello svelare man mano la verità sui personaggi. Passo dopo passo, partendo dalle allusioni durante la cena e dalle parole ermetiche di Shaitana, l'autrice inizia a stuzzicare le impressioni di chi legge e degli inquirenti; poi ci consegna i primi giudizi (tra cui quelli della signora Oliver) generati dagli interrogatori subito dopo il fattaccio e le curiose domande di Poirot, le quali paiono non avere senso. In seguito, permette ad ognuno di noi di entrare in contatto col mondo dei sospettati, sollevando veli su veli, fino a indicarci un'identità precisa. Ma sarà tutto così facile? Nella crime story classica (in particolare quella di Agatha Christie) niente è come sembra, e "Carte in Tavola" dimostra il concetto al meglio, intrattenendo il lettore e andando allo stesso tempo in profondità per sondare la malvagità e la colpa. Forse non ha ottenuto la stessa fama di "Assassinio sull'Orient-Express" (citato a p. 162) e "Dieci Piccoli Indiani" perché non ne è mai stata fatta una trasposizione fedele, oppure perché l'idea di un delitto durante una partita a bridge non stuzzica l'appetito. Però io vi voglio assicurare che questo è un capolavoro nel suo genere, pieno di contrasti e con un enigma diabolico, giocato su un trucco tanto astuto quanto semplice. Il Diavolo-Shaitana ha sfidato la sorte, e quest'ultima lo ha punito; ma si sa che la Fortuna è cieca, per cui l'assassino dovrà stare molto attento a come muoversi per depistare le sue tracce.
P.S. Ecco qui la mia recensione per la maratona di Liberi di Scrivere. Mi ha molto divertito prendervi parte, e mi auguro di ripetere l'esperienza in futuro. Grazie a Shanmei per l'opportunità!
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