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venerdì 5 luglio 2019

1 - "The Golden Age of Murder" (2015) di Martin Edwards

Copertina dell'edizione paperback
pubblicata dalla Collins Crime Club
Con il suo tipico modo di fare, caustico e un po' spiritoso, una volta Dorothy L. Sayers disse a Lucy Beatrice Malleson, una collega giallista che scriveva sotto numerosi pseudonimi: "Tu devi ricordare, Anthony Gilbert, che sebbene per noi gli autori valgono solo tre soldi, loro sono abbastanza eccitanti per le altre persone". Un'affermazione che sottolinea come, già nella prima parte del Novecento, la gente fosse molto interessata alle esistenze degli scrittori: non solo dal punto di vista pubblico, in cui i riconoscimenti non mancavano, ma soprattutto da quello privato, quando loro toglievano la maschera e si rivelavano senza filtri. Com'è comprensibile, essi non intendevano rivelare la propria privacy: in quel tempo, in cui non esistevano ancora Internet e i social network, ottenere informazioni strettamente personali su qualsiasi personalità di spicco era un'ardua caccia alla notizia, e gli autori si impegnavano ad incoraggiare il meno possibile questo tipo di rapporto intrusivo, costituito di lettere spedite ai diretti interessati o ai loro editori, alle quali spesso seguiva un cortese rifiuto a soddisfare la richiesta sottoposta alla loro attenzione, e di "indagini" intraprese analizzando minuziosamente le scarne biografie dei romanzi già pubblicati.

Per gli ammiratori degli scrittori di detective novels, poi, la faccenda si faceva ancor più complessa, in quanto l'intenzione dei loro idoli di tenere segreta la propria privacy era rinforzata da un talento innato nel celare le proprie tracce e depistare quelle che i fans avevano provato a seguire, alla ricerca di indiscrezioni: un'impresa pressoché disperata, insomma. Per questi motivi, dunque, la vita privata dei giallisti dell'Età d'Oro restò un enorme dilemma, sul quale le persone si interrogarono e fantasticarono, e ancora al giorno d'oggi risulta complesso stabilire delle certezze su di essa, essendo ormai passato quasi un secolo dal periodo in cui essi sono vissuti. Le uniche informazioni ufficiali di cui disponiamo su questi magnifici narratori sono molto scarse, poiché si limitano alle rare interviste che rilasciarono a viva voce e alle già citate note biografiche poste sul retro dei loro libri, che spesso nulla ci dicono sulla quotidianità delle loro esistenze. Tuttavia, se ci si pensa, esistono anche altre fonti, meno appariscenti ma non meno efficaci, da cui poter attingere per capire chi siano stati quegli uomini e quelle donne straordinarie, e Martin Edwards ci ha dato prova di ciò grazie al suo illuminante saggio "The Golden Age of Murder" (Collins Crime Club, 2015).

Una giovane Dorothy Leigh Sayers,
nata nel 1893 e morta nel 1957
L'idea che sta alla base del libro scaturisce da una coincidenza: l'autore, appartenente da qualche tempo alle schiere dei membri del Detection Club, il circolo di scrittori di gialli più famoso del mondo e tutt'ora esistente, e scrittore di numerosi romanzi (alcuni stand-alones ed altri con protagonista l'avvocato di Liverpool Harry Devlin, in parte tradotti nella collana del Giallo Mondadori), viene nominato primo Archivista e quindi curatore dei documenti conservati da questa mitica associazione di giallisti. Eppure c'è un problema: l'archivio storico non esiste più, pure il Registro delle riunioni è scomparso dai tempi del Blitz su Londra e la biblioteca è stata svenduta. Un vero disastro, per chi volesse tentare di ricostruire la memoria del Club. Tuttavia, come tutti gli appassionati di racconti di enigmi, Martin Edwards si lascia irretire dal mistero che circonda la documentazione scomparsa, il quale stuzzica la sua innata curiosità da lettore di gialli e lo spinge inevitabilmente a porsi delle domande. Cosa sarà accaduto a tutti quei resoconti e alle prime edizioni firmate dei membri fondatori del Club? Chi erano, veramente, quegli uomini e quelle donne che le scrissero e decisero di conservarle, e quali avventure hanno vissuto durante le loro esistenze?

In questo modo, dunque, egli mette in pratica gli insegnamenti dei giallisti degli anni '40 e dà inizio a una intensa e serrata caccia al tesoro, che lo spinge a mettersi in contatto con esperti del genere e semplici librai, alla ricerca di volumi perduti e notizie che variano dal pettegolezzo all'affermazione autenticata, per ricostruire la storia dell' archivio perduto del Detection Club e dei suoi membri fondatori. Con un misto di metodo e fortuna e grazie ad interviste e familiari o conoscenti dei defunti, riesce a raccogliere una quantità incredibile di aneddoti su questi illustri (eppure semisconosciuti) esponenti della cosiddetta "Età d'Oro" del giallo inglese (siamo negli anni '30-'40) e a sondare i lati meno noti delle loro vite, insieme a una gran quantità di informazioni sulle loro opere; e il risultato delle sue ricerche è proprio "The Golden Age of Murder": un testo che, sebbene non sia un romanzo vero e proprio, non è nemmeno uno di quei tomi noiosi le cui pagine sono piene di note e di paroloni che possono essere compresi soltanto da chi ha già fatto qualche incursione nel genere; piuttosto, esso si può considerare uno scorrevole esempio di come si possano spiegare, anche ai neofiti, argomenti importantissimi per la comprensione non solo delle esistenze dei giallisti del periodo tra le due Guerre Mondiali, i quali inventarono la moderna detective novel, ma anche di quel mondo affascinante che è la narrativa gialla classica, oltre ad essere un buon modo per iniziare ad interessarsi alla crime story classica. 

Quindi, dopo una breve introduzione in cui descrive i propri obiettivi, Martin Edwards inizia a tracciare la storia generale del Detection Club e delle sue stelle più brillanti: la fulgida Dorothy L. Sayers, l'enigmatico Anthony Berkeley e la placida Agatha Christie. Tutti e tre, nel 1926, dovettero affrontare momenti molto difficili in seguito a delusioni amorose, intrappolati in matrimoni angustianti e tormentati da una forte inquietudine interiore, e per sfuggire alle proprie catastrofi personali negli anni seguenti iniziarono ad incontrarsi in cene informali con altri illustri colleghi (ospitati tutti insieme da Berkeley, il quale mise a disposizione i locali per i primi incontri e si impegnò a contattare i futuri soci fondatori del Club) dove poter chiacchierare dei loro interessi comuni e svagarsi un po'. Ben presto ognuno si rese conto che quei momenti di felicità erano troppo preziosi per poter rimanere delle sporadiche occasioni d'incontro, senza contare che il clima in Europa stava andando ad incupirsi sempre più, e su idea dello stesso Berkeley decisero di fondare una vera e propria rete sociale, che permettesse loro di continuare ad interagire in determinate occasioni. In questo modo diedero vita a un gioco/partita dove ognuno, senza venire meno allo scopo catartico generato dallo scrivere quelle detective novels, si impegnava a superare gli altri in astuzia e studio della psicologia e a sorprenderli, sia che si trattasse di lanciare una sfida a un ex-Commissario Capo di Scotland Yard, oppure partecipare a un romanzo collettivo in cui nessuno sapeva come andava a finire o a una trasmissione radiofonica da coordinare da ogni angolo del Paese. Le Regole furono studiate a tavolino, con grande perizia, e ben presto fu ideato anche un cerimoniale per l'iniziazione di nuovi membri, i quali dovevano presentare delle caratteristiche specifiche e impegnarsi a mantenere alti gli standard del Club. In seguito viene descritto come alcuni membri persero la voglia di continuare la partita e abbandonarono il genere, ma allo stesso tempo nuova linfa venne a stimolare le idee e a far ribollire gli animi nella forma di giovani desiderosi di mostrare il proprio ingegno; finché alla fine del volume proprio Sayers, Berkeley e Christie furono costretti ad lasciare il gruppo, alcuni per cause di forza maggiore, altri per discrepanze personali con i criteri di valutazione dei membri, nuovi e vecchi.

Anthony Berkeley Cox, nato nel 1893
e morto nel 1971
A parte ciò in "The Golden Age of Murder", oltre alla descrizione di come la stessa detective novel si sia sviluppata tra le due guerre, troviamo un intero capitolo dedicato alla nascita del genere, sebbene la materia non rientri specificatamente nel soggetto del saggio; un altro, alla fine, spiega come i romanzi degli anni del primo dopoguerra abbiano ispirato e continuino ad ispirare gli autori di thriller moderni, grazie alle caratteristiche di un genere glorioso che riesce a rinnovarsi in continuazione. Inoltre, a fare da sfondo a questo racconto, viene anche tratteggiato in modo sintetico il contesto storico in cui avvennero cambiamenti letterari e non, tra la caduta di un governo e l'ascesa di un altro meno conservatore, oppure un'abdicazione che contribuì ad arrestare le carriere di due stimati narratori, oppure ancora una delle numerose rivolte che descrivevano come, man mano, il mondo stesse andando verso uno scenario più cupo e oscuro. La cosa che più mi ha deliziato nel leggere questo saggio, tuttavia, è stata un'altra. Infatti Martin Edwards mette quei grandiosi autori come sotto una lente d'ingrandimento, uno alla volta, e al di là delle loro vite straordinarie e caratterizzate da eventi di portata nazionale (conferenze pubbliche, rappresentazioni di loro commedie e quant'altro), li ritrae attraverso le sfide che li hanno resi umani, con i loro tentativi di destreggiarsi nella vita lavorativa e privata presi punto per punto, tentando di decifrare quanto possibile dai loro gesti e le loro stesse parole.

Già; perché, oltre alle vicende amorose, i travagli personali e pubblici che ognuno di loro ha dovuto affrontare, i successi e gli insuccessi, una parte fondamentale del saggio è stata occupata dalla presa in considerazione delle opere principali di questi innovatori, quelle fondamentali per lo sviluppo del genere, illustrando come proprio grazie a quei loro stessi libri siano riusciti ad esorcizzare i demoni che ognuno di loro conservava nel proprio cuore e temeva di affrontare. Sono queste le "fonti" a cui facevo riferimento sopra; infatti, quegli acuti osservatori del genere umano, uomini o donne che furono, usarono la propria arte come valvola di sfogo e per fronteggiare una serie di conflitti che, pur nel loro essere ordinari, permisero loro di crescere in autostima e forza interiore. E lo fecero in un modo curioso ma comprensibile: caricarono le proprie angosce e preoccupazioni sui loro stessi personaggi, permettendo al lettore di identificarsi con essi e, allo stesso tempo, aprirsi con il mondo per scaricare la tensione, ma senza dichiarare apertamente i propri intenti e rivelando al lettore frammenti della propria vita privata (non bisogna dimenticare che ci troviamo di fronte a delle persone che godevano nel mistificare la realtà dei fatti e costruire dei castelli in aria). In questo modo gli autori si lasciarono ispirare di volta in volta dalle proprie esperienze e dalla vita stessa, ma non si limitarono a copiare da essa; bensì applicarono le loro conoscenze per studiarla a fondo. Dorothy L. Sayers, ad esempio, sfruttò le competenze acquisite nel corso degli studi sulla criminologia e delle esperienze di vita per indagare su crimini realmente accaduti, come quello di Julia Wallace, e avanzare ipotesi che riuscirono a gettare nuova luce su quegli efferati delitti.

Questo interesse fu condiviso da un grande numero di suoi compagni, tanto che molto spesso casi reali furono usati come base dei loro delitti fittizi: con mia grande gioia, quelli più famosi, accaduti in Inghilterra ed America, in "The Golden Age of Murder" vengono accostati al romanzo cui hanno fatto da cassa di risonanza e tratteggiati in modo da far comprendere come gli autori abbiano attinto ad essi per delineare ed arricchire le proprie trame, grazie ai loro dettagli agghiaccianti ma rivelatori di un odio e un dolore insopportabili. Sono convinto, dunque, che l'intento degli scrittori della Golden Age non fosse solo quello di facilitare il proprio compito di creazione di una vicenda criminosa, ma anche di avvicinare la caratterizzazione dei propri personaggi (colpevoli o non) ai lettori i quali, come loro, dovevano comprendere gli istinti che li avevano mossi. Chissà quanti erano incappati in una relazione infelice o in una storia d'amore clandestina come quella del dottor Crippen (pur senza i risvolti inquietanti che essa finì per creare)! Era un modo per rappresentare la vita in tutta la sua brutale integrità, fatta di luci e ombre, di bene e male, di colpa e assoluzione, e mostrare non come fosse inevitabile lasciarsi andare, quanto piuttosto necessario reagire alle avversità. La stessa Agatha Christie subì un forte shock quando suo marito Archie confessò di essersi innamorato di un'altra donna, eppure riuscì a ricavare da quell'esperienza del materiale da riplasmare per chiudere le proprie ferite e guarire; altrimenti non sarebbe riuscita a diventare quel che è oggi: la più grande di tutti e tutte. Certo, si dovette sforzare per ritrovare la gioia di scrivere, ma proprio grazie al Detection Club, al tacito sostegno che esso le diede e agli incontri con persone nella sua stessa condizione, feriti e ossessionati da demoni invisibili, ci riuscì. Credo sia un indice della fedeltà che la stessa Christie riponeva nei suoi amici il fatto che, sebbene nella sua vita fu sempre molto riservata, lei decise di accollarsi (quasi del tutto) la presidenza del Club alla morte di Sayers, quando apparve chiaro che nessun altro poteva adempiere al compito meglio di lei. Lo fece perché sentiva un forte legame nei confronti di quei compagni che avevano condiviso le sue stesse dolorose situazioni, e sostenere una stessa causa faceva del bene anche a lei.

Una giovane Agatha Mary Clarissa Miller,
alias Agatha Christie Mallowan, nata nel
1890 e morta nel 1976
Vite, romanzi, storia, realtà: tutto ciò si è fuso in questo meraviglioso libro a formare un grande insieme, descrivendo la nascita del giallo tradizionale e le ripercussioni che esso suscitò nella società del tempo e nei suoi protagonisti. Si potrebbe dire che ci troviamo di fronte a un "romanzo saggiato", con presenti tutte le caratteristiche delle nostre amate crime novels. Ambientazione: il periodo storico tra le due guerre, con tutto ciò che ha portato con sé. Personaggi: gli scrittori stessi, con le loro angosce e le loro gioie personali. Scrittura: la sapiente capacità dell'autore di analizzare le vite, le opere e i contesti che man mano vengono presi in considerazione, insieme a cold cases e informazioni ben dosate. Insomma, sembrerebbe che manchi solo un bell'enigma per poter paragonare questo libro a uno dei nostri amati romanzi del mistero. Ed in realtà c'è anche quello, se ci si sofferma a pensare, seduti davanti a una scrivania a raccogliere i pezzi del puzzle uno dopo l'altro; perché non bisogna dimenticare che i protagonisti sono i più grandi giallisti di sempre, e chi meglio di loro è stato capace di disseminare false piste e celare indizi nei propri scritti? Infatti ci troviamo di fronte a una serie di domande a cui è difficile dare risposta: come mai Sayers e Berkeley smisero di scrivere gialli dopo la Seconda Guerra Mondiale? Cosa indusse Christie a fuggire nel 1926 e a far perdere le proprie tracce per ben 11 giorni? Cosa celano, nel profondo, i romanzi con protagonista Roger Sheringham? E come mai Sayers decise di rinunciare a una laurea speciale conferitale dalla Chiesa d'Inghilterra? Domande, quesiti, interrogativi (insieme a molti altri) che si pone chiunque sia appassionato di gialli, e che ognuno tenta di risolvere a modo proprio. E anche Martin Edwards prova a mettere in moto le proprie cellule grigie, come se si fosse accomodato a riflettere in una poltrona della biblioteca di una casa di campagna, ma non ha la presunzione di affermare le proprie teorie come l'assoluta verità. Perché ci sarà sempre qualcosa di nuovo da portare alla luce per arricchire le prove a vantaggio o svantaggio di una o l'altra teoria. E perché, se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare ai nostri astuti autori, è proprio la loro capacità di trasformare qualunque prova in un rompicapo dalla doppia faccia e qualunque faccenda, sia un delitto in un casa di campagna o un tranquillo tè tra anziane zitelle, in un'avventura degna di essere intrapresa.

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