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venerdì 30 ottobre 2020

50 - "Il Picco delle Streghe" ("The Youth Hostel Murders", 1952) di Glyn Carr

Copertina dell'edizione pubblicata da
Mulatero Editore

Torna a farsi sentire la minaccia del Coronavirus in tutta Italia. Per domenica è prevista una conferenza del Presidente del Consiglio, e il mio pessimismo cronico (che per fortuna riesco a tenere a bada) mi suggerisce che non sarà certo un'occasione gioiosa. Detto ciò, però, non ho voglia di alimentare troppo le ansie e le preoccupazioni di me stesso e di voi lettori, che di sicuro vorrete leggere qualunque cosa tranne le mie riflessioni su un tema tanto triste. Già un paio di settimane fa mi sono dilungato a riguardo. Piuttosto, oggi voglio subito tornare ad allietarvi (come avevo anticipato nell'analisi di "La Casa Senza Porta" e già avevo fatto in marzo) con quella serie di recensioni che vi avevo promesso, così da suggerirvi alcuni titoli per svagare la mente ed evadere dalla situazione in cui ci troviamo tutti quanti. Il romanzo giallo classico, infatti, penso debba parte del suo successo al fatto di riuscire a trasportare chi legge lontano dalla realtà a volte triste in cui egli si trova immerso. La crime story, a mio modesto parere, è in grado di evocare un mondo suggestivo, che spazia dalla fine dell'Ottocento ai primi anni del Novecento, passando per i tumultuosi e imperfetti periodi in cui si verificarono quelle tragedie che portano il nome di Prima e Seconda Guerra Mondiale, e giungendo fino ai primi anni '60 (in qualche caso pure oltre, oserei dire). E lo fa attraverso le febbrili attività quotidiane di donne e uomini che ormai non ci sono più, ma sono rimasti vividi ai nostri occhi per mezzo di una sorta di incantesimo, permettendoci di calarci nei loro panni e di vivere per qualche tempo un'esistenza che ci è estranea, magari nel corso di un'indagine su un crimine efferato oppure un mistero da brivido. È questa una caratteristica peculiare del giallo, il quale riesce a ridare vita nuova al passato altrimenti noioso di libri di Storia; e sono più che convinto che esso, nel momento storico in cui ci troviamo, possa essere ciò di cui abbiamo più bisogno per allontanare la triste realtà in cui siamo stati catturati. Non solo per mio diletto e per tenermi occupato, ma proprio per questo continuo a recensire su Three-a-Penny: considero ciò come il modo migliore che possiedo per smorzare la tensione e dare il mio contributo al benessere di tutti, pur nel mio piccolo.

Come dicevo, quindi, oggi torno a concentrare le mie forze sul giallo che riesce a distrarre e svagare meglio: cioè quello che ci trasporta lontano nello spazio e nel tempo, in luoghi selvatici e senza alcuna limitazione. E quale scelta migliore poteva essere, dopo le atmosfere inquietanti e psicologiche di "La Casa Senza Porta" di Daly, se non l'ultimo romanzo di Glyn Carr che mi resta da leggere, con il suo illimitato senso delle distanze geografiche e della mancanza di isolamento? Questo autore, infatti, si è specializzato nell'ideare storie che prendono ispirazione dal classico mystery di tradizione britannica e filone narrativo che rese celebre John Dickson Carr: quello del mistero della camera chiusa e del delitti impossibile. Tuttavia, ha compiuto una sostanziale virata dal tipo più classico, dal momento che ha portato l'ambientazione a livelli più estremi, dove i confini non sono più costituiti da solidi muri, ma da ripide pareti di roccia il cui limite superiore è il cielo azzurro delle quote più elevate. Per il resto, si è attenuto ai canoni del genere; però quella speciale caratteristica di usare la montagna come luogo del delitto lo ha reso speciale, e legato ai misteri ben studiati ha dato vita a un piccolo miracolo del crime. Miracolo che, tra l'altro, l'editore Mulatero si appresta a rendere sempre più concreto per i lettori italiani: infatti, dopo che Rue Morgue ha abbandonato la ripubblicazione dell'opera in lingua originale, in seguito a numerose vicissitudini, proprio nel nostro Paese è partita questa iniziativa che prevede l'intero corpus letterario su Abercrombie Lewker in procinto di essere reso disponibile. Un compito che vede il riconoscimento degli appassionati di giallo e il mio personale; soprattutto, perché l'editore si è reso disponibile a darmi (finora) diversi volumi da recensire, e io lo faccio sempre con piacere perché si tratta di storie molto interessanti e divertenti. Pertanto, dopo "Morte Dietro la Cresta", "Assassinio sul Cervino" e "Un Cadavere al Campo Due", oggi è il turno di "Il Picco delle Streghe" (Mulatero Editore, 2019), in attesa del prossimo in procinto di uscire nel mese di novembre. Ambientato nel Cumberland, in un villaggio in cui splende il sole ma le atmosfere non sono mai scaldate a fondo, in questa storia troviamo un gruppo di escursionisti riuniti in un ostello della gioventù, sullo stile del circolo di sospettati che ha reso famosa in tutto il mondo Agatha Christie, nelle cui vicinanze si verificano strani eventi. Come di consueto, l'alpinismo e l'escursionismo giocano un ruolo importante all'interno di un mistero in cui la psicologia dell'assassino e dei personaggi viene sviscerata, con una corrente di invidie e segreti nascosti; però in questo particolare titolo, oltre ai tipici caratteri più classici della tradizionale partita tra lettore e scrittore e al rispetto del fair play, vi è un elemento molto intrigante che ha dato una marcia in più agli eventi e si accorda perfettamente con l'arrivo imminente di Halloween: la presenza di stregoneria e forze (all'apparenza?) oscure che agitano e acuiscono la tensione.

Cumberland Mountains, T.C. Steele, 1899, raffigurante un
tipico paesaggio delle ambientazioni che costituiscono lo
sfondo alle vicende di "Il Picco delle Streghe"

Tutto inizia con una perfetta scenetta famigliare, che vede il capocomico e investigatore dilettante Abercrombie Lewker e la sua dolce metà, Georgina, fare una pausa in un prato alle pendici dei monti del Cumberland. Con la loro auto, stanno andando a Birkerdale, uno di quei villaggi al confine della civiltà in cui si può ancora percepire l'atmosfera della vera campagna inglese e aleggia un'aura di velato bigottismo e superstizione, dove li attende una vacanza e il meritato riposo in seguito alla consueta stagione teatrale che ha visto entrambi molto occupati. Con la scusa di far ammirare alla moglie lo splendido paesaggio che si può scorgere nel passare la cima della collina che li separa dal minuscolo gruppetto di case, Lewker fa in modo di giungere a Birkerdale giusto in tempo per fare una tappa al pub locale, l'Herdwick Arms, in attesa dell'orario perfetto per ricongiungersi con un vecchio amico di Georgina, nientemeno che il celebre collezionista ed esperto di quadri Sir Walter Haythornthwaite, nella sua casa poco oltre il villaggio chiamata Riding Mount. Nel locale, mentre sorseggiano una bevanda, il capocomico e sua moglie scoprono tuttavia che nel villaggio c'è una strana diceria, alimentata da un pastore di nome Ben Truby, secondo la quale i monti a sud sarebbero infestati da entità maligne, le "Vecchie" che dimorano sul Picco delle Streghe. Lewker e Georgina, da cittadini del mondo e di una metropoli come Londra, non si lasciano impressionare dai racconti macabri che Truby propina loro, nonostante il gestore del pub insista nel voler minimizzare ogni caso; eppure, quando Vera Crump e Ted Somerset, una coppia di escursionisti, irrompe nel locale con la richiesta di organizzare una squadra di ricerca per una loro compagna di viaggio, una ragazza di nome Gay Johnson, i due non possono fare a meno di temere che sia accaduta qualche disgrazia. La giovane, infatti, è scomparsa da quasi due giorni, dopo aver annunciato la propria intenzione di scalare una parete pericolosa che si getta sul fiume Riggin Spout, in seguito a una lite furibonda col suo fidanzato Leonard Bligh. Già un altro escursionista e arrampicatore, appena qualche mese prima, aveva fatto una brutta fine in questo modo. Così, allertati alcuni uomini e istruito Truby e Roughten, il gestore dell'Herdwick Arms, Lewker si fa accompagnare dalla moglie e dai due giovani fino alla fattoria in cui sarebbe dovuto soggiornare, e si incammina di buon passo con Vera Crump e Somerset alla volta della Riggin Spout.

Giunti in prossimità di una cascata lungo il corso del fiume, i tre fanno la terribile scoperta. Gay Johnson giace ormai cadavere da tempo proprio dentro la pozza d'acqua in cui il Riggin Spout si getta, sotto alla parete del Black Crag. Si tratta di una tragedia considerevole, dal momento che getterà nello sconforto i due giovani e i loro compagni che sono rimasti all'ostello della gioventù in cui stavano tutti alloggiando, nella piana di Cauldmoor che sovrasta la valle di Birkerdale e si trova a pochi passi dal Picco delle Streghe. Però, mentre il cadavere viene portato a valle grazie a una barella approntata da Truby e sollevata dai suoi compagni, Lewker non riesce a fare a meno di notare come siano strane le ferite visibili sul corpo di Gay Johnson. A quanto pare, solo dietro la nuca il cranio è stato sfondato, come se la ragazza avesse battuto la testa su un sasso e fosse morta sul colpo; mentre nel resto del corpo si vede qualche graffio appena, impossibili da conciliare con una caduta rovinosa da una parete roccioso come quella del Black Crag. Così, Lewker immagina che dietro al decesso di Gay si celi qualche segreto che si deve portare alla luce e che può dare vita a un'indagine per omicidio. Oltretutto, lo stesso Ted Somerset dà l'impressione di sapere qualcosa che potrebbe incriminare i suoi compagni di viaggio, e gli accertamenti del medico legale indicano come un'inchiesta dovrebbe studiare la questione a fondo. Pertanto, fingendosi un appassionato di ostelli e abbandonando l'idea di una vacanza meritata, il capocomico svesta ancora una volta i panni del comune cittadino per indossare quelli del Geniale Dilettante, che già in precedenza ha avuto l'onore e l'onere di portare. E una volta giunto a Cauldmoor, Lewker si imbatte in una serie di personaggi che farebbero invidia a un palcoscenico e a un'opera teatrale di Shakesperare: oltre alla fumantina Vera Crump e al suo sottomesso Somerset, infatti, ci sono Janet e Hamish Macrae, fratello e sorella diversi come il sole dalla notte e specializzati rispettivamente in spettacolo (e bugie) e ingegneria; Leonard Bligh, scontroso come solo gli artisti sanno essere; un gallese dall'aria ambigua di nome Bodfan Jones; e il gestore pro tempore della baita, un viscido individuo chiamato Paul Meirion che nutre un'ossessiva mania per la stregoneria e le arti occulte. Forse uno di questi personaggi ha avuto qualcosa a che fare con la morte di Gay Johnson? All'apparenza, tutti quanti avrebbero avuto un movente per cui eliminare la ragazza, oppure l'opportunità per farlo; ma gli alibi si incastrano quasi alla perfezione ed è difficile capire quale sia la verità che si cela dietro il decesso di Gay. Abercrombie Lawker dovrà impegnarsi a fondo per scoprire dove si trova l'inganno, esplorando in prima persona gli scenari mozzafiato e gli abissi di follia in cui può cadere la mente umana; nonché sfidando forze oscure che paiono spuntare dalle ombre della pietra delle montagne che circondano Birkerdale.

Schizzo della valle di Birkerdale, disegnato da Abercrombie
Lewker
Arrivato al quarto volume della serie, penso che "Il Picco delle Streghe" sia il migliore romanzo di Glyn Carr, tra i suoi che ho letto. Qui, infatti, si sono riuniti tutti i caratteri che avevano giocato un ruolo di primo piano all'interno degli altri e l'autore ha perfezionato i loro difetti, pur continuando a dare la precedenza ad alcuni aspetti stilistici e tematici rispetto al mero enigma. Ad esempio, Carr ha ancora una volta concentrato il punto di forza del libro sulle descrizioni delle ambientazioni, che rimandano in qualche modo alla Zermatt di "Assassinio sul Cervino" ma declinandole attraverso una chiave più selvaggia e indomabile: in questo caso, infatti, non troviamo alberghi e nuclei abitativi sfarzosi, ma un villaggio di campagna il quale si avvicina all'idea che potrebbe emergere da un contesto "alla Agatha Christie", con abitanti meno costruiti e tutto sommato semplici. In tal modo, torniamo agli scenari indomabili e ancestrali di "Un Cadavere al Campo Due", ma non abbiamo quella soffocante preponderanza a ridurre ai minimi termini il mistero, fino a farlo quasi scomparire. Il contorno delle vicende si fa parte integrante delle stesse e riporta alla mente quelle di "Morte Dietro la Cresta", familiari all'autore e in qualche modo anche al lettore che, come me, vive alle pendici delle cime rocciose. È un piacere calarci in suggestivi paesaggi aspri e montuosi, che danno originalità agli omicidi inventati da Carr, ed immergersi in luoghi solenni e un po' spaventosi, coi loro pericoli nascosti dietro gli angoli e nelle fessure in ombra tra le crepe sulla pietra (pp. 17, 19, 21-23, 34-39, 41-43, 45-46, 55-56, 74-75, 77, 82-85, 92-96, 117-124, 132-133, 135, 139, 166-167, 176, 178-181, 189, 191-197, 200-201...). In essi, l'uomo si riscopre ad essere una misera parte del creato, cosa di cui l'appassionato alpinista ed escursionista è ben consapevole, e quello che dovrebbe essere solo un abbellimento alle vicende si trasforma nel punto focale della narrazione. L'ambientazione, infatti, è forse l'elemento più debole tra quelli che costituiscono un romanzo giallo, dal momento che necessita di essere affiancato da un altro elemento per poter esprimere al meglio il proprio potenziale; eppure qui lo scenario diventa qualcosa di più, tanto viene curato nelle descrizioni, al punto da tramutare all'occorrenza una storia fittizia in una sorta di guida turistica in cui vengono rispettate le caratteristiche reali dei luoghi tratteggiati (nei romanzi di Glyn Carr ogni paesaggio, proprio come Birkerdale e i monti ai quali si trova ai piedi, corrisponde al vero). Saliamo e scendiamo dal villaggio alla piana di Cauldmoor, percorrendo il sentiero che passa vicino alla Riggin Spout; ci abbarbichiamo sul Black Crag al seguito di Hamish Macrae e di Lewker; sediamo con il capocomico sulle rocce mentre osserva la valle di Birkerdale dal Picco delle Streghe; trascorriamo la serata all'interno dell'ostello della gioventù con i sospettati. Questa attinenza al vero permette di comprendere meglio i movimenti dei personaggi e contribuisce a calare chi legge all'interno della storia, oltre a tenerlo incollato alle pagine come per mezzo di un sortilegio miracoloso (come se le Vecchie ci avessero incantato), che non permette di stancarsi e di trovare noiose queste digressioni e rende giustificabili gli eventuali piccoli difetti della trama.

In questo romanzo in particolare, inoltre, l'importanza data al paesaggio va di pari passo con lo sviluppo dell'enigma e dà vita a un equilibrio perfetto in cui entrambi questi elementi coesistono. Se nei titoli precedenti spesso lo scenario dava l'impressione di quasi invadere lo spazio destinato al mistero, tanto era necessario trasportare tra le righe i dettagli dei luoghi e soffermarsi sui dettagli più piccoli per contestualizzare il tutto, finendo per pregiudicare la riuscita complessiva del romanzo, in "Il Picco delle Streghe" c'è meno urgenza nel rendere vividi i movimenti dei personaggi e dare spessore a ciò che li circonda, pur senza venir meno alla resa di autenticità di questi stessi. Ad esempio, c'è comunque la descrizione di un paio di ascese su parete e di un escursione di Lewker, ma queste sono confinate con sapienza come per dare una pausa a chi legge, per alleggerire una narrazione che sarebbe risultata troppo densa e complessa da affrontare tutta d'un fiato. Di conseguenza, è il mistero sulle morti di Peel e Gay Johnson ad occupare il centro dell'attenzione, con tutto quello che ne deriva, tra inchieste investigative più o meno ufficiali e approfondimento di temi affascinanti legati ad esso. La stregoneria accentua la tensione, soprattutto nelle scene notturne, e dà enfasi all'enigma, suggerendo a chi legge ipotesi al limite del concreto: attraverso i racconti grotteschi e macabri di Truby, essa cala dall'alto come i corvi di cui si servivano i negromanti e gli adepti dei culti spiritici per evocare le Vecchie, e influenza la logica e l'indagine della polizia e di Lewker (pp. 27-29, 34, 48-49, 79-82, 88-89, 94, 115, 137, 140-142, 161-163, 171-172, 175, 177-178, 203, 212-213). Mentre proseguiamo nella storia, ci domandiamo se per caso le morti violente non siano state davvero provocate da qualche spirito maligno, e iniziamo a sospettare che una profonda vena di follia si celi dove il sole non riesce a battere e l'acume degli inquirenti fatica a scavare. Tutto ciò, ovviamente, genera curiosità; ma non solo, dal momento che può costituire un motivo in più perché il pubblico si avvicini a "Il Picco delle Streghe": ho sempre avuto l'impressione, infatti, che questa ferma convinzione di Carr di soffermarsi sull'alpinismo e su una narrazione incentrata su di esso, potesse scoraggiare quelle persone che non sono interessate all'argomento. Con la scusa delle forze oscure e il loro indubbio fascino, invece, l'autore riesce a invogliare chi altrimenti avrebbe tentennato. Come se non bastasse, poi, questo tema si sposa magnificamente con altri elementi del romanzo. La stessa ambientazione, che contrasta nel suo apparire quasi paradisiaca (i prati verdi, le giornate soleggiate, i laghi cristallini, i monti solidi e maestosi) con l'atmosfera di follia che regna sovrana e pervade i più piccoli particolari, come una semplice passeggiata o una salita in solitaria; oppure il coesistere tra momenti drammatici oppure paurosi, suscitati da conseguenze delle azioni dei presunti demoni, con scenette allegre e chiaramente ironiche in cui Lewker oppure altri personaggi si scontrano e si azzuffano a parole. Insomma, nonostante la presenza di alcuni stereotipi (ma ormai penso proprio che saranno una costante a cui bisogna abituarsi e non mi pesano più di tanto), "Il Picco delle Streghe" si è dimostrato essere quanto di più vicino ho letto ai romanzi degli autori più blasonati della Golden Age, da parte di un outsider che, nel suo piccolo, ha saputo dare vita a una serie molto divertente, che appassiona e intrattiene con leggerezza.

Frank Showell Styles (alias Glyn Carr)
nato nel 1908 e morto nel 2005
L'ironia fu forse la caratteristica principale nella scrittura di Frank Showell Styles, vero nome di Glyn Carr. Nato a Birmingham nel 1908, dopo la scuola egli lavorò in banca per una decina d'anni, finché decise di mollare questo impiego che non lo soddisfaceva. Partì quindi per un lungo viaggio in giro per l'Europa, che dovette tuttavia interrompere allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Arruolatosi nella Royal Navy come artigliere, durante il conflitto riuscì a salire di grado fino a giungere a quello di comandante. Tornata la pace, Styles decise di rinunciare a tornare a lavorare nel mondo della finanza e si trasferì in Galles, dove trascorse il tempo ad arrampicare (fu da sempre la sua passione più grande), a dedicarsi al teatro e a progettare la sua nuova carriera di scrittore. Nel 1947, infatti, diede alle stampe il suo primo romanzo, "Traitor's Mountain", una spy story che mescolava il genere a quello umoristico, e il successo di quest'ultimo lo spinse a dare il via a una serie più convenzionale, sotto pseudonimo e con protagonista un divertente capocomico un po' sovrappeso e dalla citazione facile che si ritrova ad indagare su casi misteriosi ambientati in alta montagna. In realtà, già durante una scalata del Milestone Buttress gli balzò in mente come "fosse facile progettare un omicidio perfetto in quel luogo"; pertanto decise di "ideare un sistema [adatto] e costruirci attorno una trama adeguata". In questo modo, come Glyn Carr firmò "Morte Dietro la Cresta" (primo di quindici gialli classici, tra cui vanno ricordati "Assassinio sul Cervino" e "C'è un Cadavere al Campo Due") e Abercrombie Lewker fece il proprio ingresso nella letteratura del mistero, dopo tre romanzi più avventurosi.

La serie fu accolta favorevolmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, soprattutto per la capacità dell'autore di descrivere con doverosa attenzione le scene di arrampicata e i luoghi in cui esse si svolgevano. Dopo "Fat Man Agony" (1969), Styles concluse le avventure di Lewker per dare il via a un'altra serie, il cui protagonista divenne un ufficiale della marina britannica al tempo delle guerre napoleoniche; nel frattempo, tuttavia, continuò a scalare e a fare escursioni, oltre a scrivere una quantità enorme di guide, manuali e racconti sulla montagna (in totale furono circa 160), finché non morì nel 2005. I romanzi di Abercrombie Lewker (in parte ripubblicati dalla Rue Morgue Press, secondo la quale pare esista un romanzo inedito andato perduto), come dicevo, sono libri dove regna l'ironia e gli stereotipi tendono ad abbondare, soprattutto nella delineazione dei personaggi (pp. 23-29, 31-34, 36-38, 40-41, 46-48, 56-58, 77-82, 86-89, 91-92...). Eppure, in "Il Picco delle Streghe" ho notato come questi ultimi siano risultati meno "prevedibili" di quanto fosse finora successo nelle altre storie: il ruolo assegnato a Paul Meirion, ad esempio, è sì in parte modellato su quei trasparenti gestori di locande che si vedono a dozzine in giro, ma allo stesso tempo viene delineato come un appassionato di stregoneria e un semi-praticante negromante; cosa che non può far altro che dargli personalità e originalità. Bodfan Jones è un sorta di bardo gallese, un individuo che gioca moltissimo sulle sue peculiarità e che suscita la curiosità del lettore. Certo, Vera Crump e i suoi amici, con le loro storie d'amore così prevedibili, sono tratteggiati con meno spessore; però Ted Somerset dimostra di possedere uno spirito d'osservazione che si addice poco al classico Watson, e si rivela essere un ragazzo che spicca nella massa. Lo stesso Ben Truby, nonostante sia un comune pastore, grazie all'aura sinistra che lo circonda si staglia sulla scena e cattura l'attenzione; addirittura più di Sir Walter, il quale alterna ruoli in prima fila con altri sullo sfondo. Si tratta di personaggi che hanno un'anima, pur non essendo delineati abbastanza da uguagliare altri loro colleghi più illustri, la quale li rende imprevedibili, sospetti e molte volte simpatici.

In ogni caso, però, è Abercrombie Lewker, protagonista istrionico e padrone del palcoscenico fuori e dentro la finzione, a dominare ed emergere tra le righe: grazie alla sua originalità, al suo essere brillante e dotato di senso dell'umorismo, acuto e creativo, egli rappresenta un perfetto Geniale Detective da operetta (pp. 17-20, 31-33, 39, 42-43, 49-50, 53, 67-69, 73-74, 203-204). Carr teneva in alta considerazione la cultura e l'arte in generale (non per niente, in "Il Picco delle Streghe" occupano un ruolo importante un libro di incantesimi e alcuni acquerelli, come la collezione di Sir Walter); pertanto, anche il suo investigatore è un appassionato cultore della letteratura e del teatro, tanto da citare continuamente Shakespeare (pp. 18, 20-22, 28, 30, 36, 40, 49-51, 55, 57-59...). Pomposo e carismatico, ma capace di provare pietà, egli è consapevole del proprio personaggio e agisce come se si trovasse in una delle tragedie che è abituato a portare sulle scene dei teatri più importanti d'Inghilterra. Si lancia nell'indagine con il piglio del dilettante, ma riesce a comprendere quando la situazione si sta facendo seria e vorrebbe abbandonare il suo ruolo; però non può, e si costringe ad analizzare tutte le ipotesi per inchiodare il colpevole. Insomma, si comporta come ci si aspetterebbe da un segugio da romanzo giallo, e di conseguenza il suo autore lo fa agire seguendo i passi che un tale personaggio dovrebbe compiere, spesso prendendo in giro le rigide regole del genere e gli assurdi cliché inventati dagli altri scrittori (pp. 65, 68-69, 71-74, 106-107, 111, 141, 142, 187-188, 197, 203, 223, 240). Ma non solo; Lewker riesce ad incarnare uno stereotipo e a rifuggire da esso allo stesso tempo: infatti, se da un lato possiede il tipico carattere eccentrico del dilettante e abbraccia i metodi d'indagine più tradizionali, dall'altro ama intrattenersi con attività straordinarie rispetto ai soliti svaghi dei segugi del giallo: condivide con il suo autore la passione per la vita di montagna e per ciò che si può fare quando ci si trova all'aria aperta, ai piedi di una catena alpina. La vita dell'escursionista ci viene presentata in un modo tutt'altro che freddo e descrittivo, ma piuttosto da un punto di vita attivo sul quale viene modellata la trama (pp. 27, 33-34, 37-39, 41-43, 67, 84-85, 88, 90-91, 108-109, 114, 117-124, 149, 156-157, 180, 226-230, 233). Il delitto diventa qualcosa che possiamo proiettare in un contesto in cui vengono inserite nozioni dettagliate, pur senza estraniare queste ultime, tra aneddoti sull'arrampicata, buone norme da seguire quando si scala una vetta oppure di intraprende un'escursione, piccoli dettagli sulla vita di montagna, accorgimenti e abitudini che gli alpinisti devono adottare e buone norme da seguire quando si decide di scalare una parete rocciosa. A tutto ciò, infine, si aggiunge uno stile ironico e un enigma che, come dicevo, penso sia il migliore tra quelli ideati da Carr, nei suoi libri che ho letto. La costruzione del mistero, l'aggiunta dell'elemento di impossibilità e del tema delle forze oscure, l'alternanza tra momenti di azione e altri di riflessione, danno vita a un caso variegato in cui non ci si annoia mai e che possiede una certa solidità, rispettando oltretutto il fair play. Per concludere e tirare le somme, con "Il Picco delle Streghe" Glyn Carr fa centro e ci consegna un mystery di tutto rispetto, che non ha nulla da rimproverarsi e si dimostra una lettura affascinante e capace di intrattenere. Inoltre, grazie al fatto di riuscire ad evocare tanto bene la campagna del Cumberland, questo libro è perfettamente adatto come lettura nel periodo storico in cui viviamo: se non possiamo allontanarci più di tanto da casa, ci pensa Glyn Carr a farci fare un viaggio con la mente. Alla prossima, e buon Halloween a chi sta leggendo!

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venerdì 6 marzo 2020

27 - "Un Cadavere al Campo Due" ("A Corpse at Camp Two", 1955) di Glyn Carr

Copertina dell'edizione pubblicata
dall'Editore Mulatero
A mio parere, la ragione del grande successo che da sempre arride alla classica crime story è principalmente quella di riuscire a distrarre i lettori dalla realtà a volte triste in cui esso si trova immerso. Questo genere letterario riesce ad evocare di volta in volta un mondo affascinante, come quello degli anni suggestivi e imperfetti del primo Novecento e quelli tumultuosi tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, attraverso le piccole attività quotidiane di uomini e donne morti da tempo ma, in qualche modo, pur sempre "vivi" agli occhi dei suoi lettori, permettendoci così di evadere dalle nostre vite e di calarci in quelle di personaggi fittizi, coinvolti in misteri e delitti efferati e lontani dal momento in cui ci troviamo realmente. È questa una caratteristica peculiare della narrativa gialla, la quale spesso riesce a ridare una vita nuova ed interessantissima al passato altrimenti noioso dei freddi resoconti nei libri di Storia e dei saggi stesi da asettici studiosi, interessati più ai Grandi Avvenimenti che alla Vita Quotidiana; e al momento in cui scrivo questa recensione, non credo possa esistere niente di meglio per alleviare la sgradevole sorpresa che il 2020 ci ha regalato. Da questa settimana, infatti, il cosiddetto COVID-19 (o Coronavirus) ha monopolizzato le nostre esistenze, soprattutto quelle di chi abita in Lombardia, in Veneto e nelle provincie adiacenti a queste Regioni. Da un momento all'altro, ci siamo visti limitare la nostra libertà di movimento e costringerci a non allontanarci da casa pur di evitare di diffondere il contagio della malattia, con la conseguenza di veder esasperare le nostre ansie. Per fortuna ognuno di noi può contare su diversi svaghi casalinghi: qualcuno pulisce, qualcun altro cucina, altri guardano la televisione, altri ancora fanno ginnastica e si mantengono in forma. Da parte mia, leggo il più possibile per mantenere aggiornato Three-a-Penny e occupare la mente con qualche delitto fittizio o un enigma stimolante, senza preoccuparmi troppo (anche perché altrimenti la vivrei male e non lo sopporterei).

Eppure, ho notato come spesso le persone con cui vengo in contatto si sentano sconfortate da questa situazione straordinaria che ci è toccato vivere. Mi dispiace per questi amici, costantemente abbattuti, e ho intenzione di fare qualcosa per aiutarli a superare questo momento difficile (forse anche con un post più esteso? Vedremo). Quest'oggi, dunque, vorrei continuare a recensire come al solito, concentrando però le mie forze nell'analisi di un libro che rispecchia molte bene il concetto con cui ho aperto la riflessione esposta qui sopra: la capacità di regalare ai lettori qualche ora di distrazione e svago, trasportandoli lontano. E quale posto può incarnare al meglio l'idea dell'isolamento, delle lunghe distanze e dell'eremo, della catena montuosa dell'Himalaya, in Tibet? L'oggetto della recensione di oggi, infatti, è "Un Cadavere al Campo Due" (Mulatero Editore, 2019) di Glyn Carr: la sesta avventura di Abercrombie Lewker, l'investigatore dilettante appassionato di alpinismo ed escursionismo in alta montagna, e terzo titolo dell'autore pubblicato dalla casa editrice torinese, ambientata sulle vette più alte del mondo le quali, come scoprirete, non sono scampate alla sconfinata fantasia dei giallisti classici. Pure lassù, infatti, in mezzo alle nuvole, si verificherà un omicidio impossibile che Lewker dovrà risolvere; prima di scoprire la soluzione, però, assisteremo alla preparazione della spedizione e al lungo e teso cammino che la carovana dovrà percorrere per raggiungere la meta; costellato di incidenti, liti, bugie e segreti nascosti agli occhi dei partecipanti ma non a quelli della mente del nostro pomposo capocomico.

Fotografia raffigurante una tipica carovana in spedizione in
montagna, nella prima metà del Novecento
Come è accaduto nelle scorse avventure, anche all'inizio di questo romanzo ci imbattiamo in un Filthy Lewker reduce dalla stagione teatrale londinese, in cui ha interpretato una delle opere del suo amato Shakespeare. A differenza del solito, tuttavia, lo troviamo più malinconico e abbattuto: ha appena partecipato a una cena elegante, nel corso della quale ha tenuto un commovente discorso di celebrazione sull'altra sua grande passione, l'alpinismo, davanti a un folto gruppo di ospiti illustri, che vanno da suo nipote John Paxton, al celebre scrittore Seton Raith, ai coniugi Malnik. Gregor Malnik, in particolare, è stato l'invitato più atteso: nei quattro mesi che seguiranno, infatti, egli guiderà una spedizione nientemeno che fin sulla cima dell'Himalaya, dove tenterà, assieme agli altri membri del gruppo, di conquistare la cima del Chomolu alta 7000 metri. Si tratta di un'impresa niente affatto facile, che richiederà un grande sforzo ai componenti della carovana e che vedrà una complicazione in più; poiché Carola Malnik, attrice di fama nazionale, è stata incaricata di accompagnare il marito fin quasi in vetta per girare alcune scene dell'ultimo film che la sua casa cinematografica intende produrre. Ciò comporterà l'aggiunta ai componenti del gruppo di un regista specializzato in riprese ad alta quota, di un cameraman altrettanto intraprendente e di tutta una serie di suppellettili ingombranti.

Quindi, Lewker ha tenuto un lungo e intenso discorso sulla sua passione più grande, e adesso si trova a casa propria, assieme all'amata moglie, a riflettere sul fatto che l'avanzare dell'età non lascia scampo a nessuno e che lui non è più l'energico e vigoroso giovane che si è dedicato alla conquista dei monti più famosi d'Europa e del mondo intero. Anche a lui sarebbe piaciuto accompagnare John e il resto della spedizione fin sull'Himalaya, visto che molto probabilmente quella sarebbe stata la sua unica occasione per poter raggiungere quote tanto elevate; eppure, non può farci niente: in cuor suo sa di essere ancora in grado di compiere un'ultimo sforzo, ma Malnik non vuole rischiare di veder andare a monte il lavoro che ha faticosamente compiuto fin lì. Tuttavia, proprio quando meno se lo aspetta, suo nipote John gli comunica che il regista designato per dirigere le scena ad alta quota non è più disponibile e, quindi, serve un sostituto con breve preavviso. Quale occasione migliore, per Filthy, che mettere a disposizione la propria esperienza come commediografo e capocomico, per rientrare nel ristretto gruppo della spedizione? In questo modo, dunque, Abercrombie si unisce alla carovana che viaggerà attraverso parte dell'Asia Centrale, tra distese sterminate di erba secca e arida e altissime cime innevate, assieme agli altri componenti; ognuno con la propria personalità esplosiva, i propri segreti e i propri rancori sopiti, ma capaci di infiammarsi in un attimo. La tensione, infatti, monterà sempre più, mentre gli scontri e gli incidenti durante la scalata delle catene montuose si moltiplicheranno fino a culminare nell'omicidio di Gregor Malnik, al campo due dell'ascesa del Chomolu. Chi può essere in responsabile dell'omicidio? E chi avrebbe potuto mettere in atto tale proposito, dopo aver percorso chilometri e chilometri, proprio in un luogo dove la civiltà non è mai arrivata? Toccherà a Lewker, tra una ripresa e l'altra, scoprire chi sia il colpevole e assicurarsi che questo personaggio non metta in pericolo la vita degli altri membri della spedizione e permetta loro di tornare sani e salvi alle loro confortevoli case.

Immagine di una delle pareti dell'Everest, sulla catena
montuosa dell'Himalaya 
Dopo aver letto "Morte Dietro la Cresta" e "Assassinio sul Cervino", doveva arrivare anche questo momento: ovvero, quello in cui mi sono imbattuto in un giallo di Glyn Carr che mi è piaciuto meno del solito. È un vero peccato, visto che speravo sarebbe giunto più in là e non proprio col titolo in cui le vicende si svolgono in Tibet e sulle vette himalayane, le quali personalmente mi affascinano davvero tanto. In generale, credo che stavolta, rispetto agli altri due titoli, il problema maggiore abbia riguardato il mistero dietro alla morte di Malnik, che non riesce ad essere all'altezza delle aspettative: in "Un Cadavere al Campo Due", infatti, il delitto vero e proprio si verifica a tre capitoli dalla fine del libro, il ché non aiuta a suscitare il giusto livello di attenzione nel lettore che si aspetterebbe di imbattersi nel cadavere molto prima di allora. L'intera faccenda dell'indagine da parte di Lewker, inoltre, a mio parere viene trattata in modo molto più superficiale che nelle indagini raccontate nelle altre storie dell'autore: il fair play quasi non esiste, tanto che la rivelazione di Filthy mi è sembrata cadere un po' dalle nuvole, senza che ci fosse un solido apparato indiziario a sostegno della sua tesi sulla soluzione, e l'identità del colpevole appare un po' forzata, come se Carr avesse deciso di scegliere quel personaggio senza aver prima costruito una storia credibile e fosse stato costretto a tirare fuori un assassino in fretta e furia, col solo scopo di generare un potente colpo di scena per chiudere la storia. Come se questo non bastasse, inoltre, anche il personaggio di Abercrombie Lewker, solitamente a proprio agio nei panni dell'investigatore dilettante e dell'istrione, appare un po' appannato, come se non fosse in forma smagliante: ho avuto l'impressione che fosse come un pesce fuor d'acqua, meno brillante del solito e sentisse sulle proprie spalle un peso che lo ha frenato, come se davvero avesse dovuto percorrere chilometri e chilometri per raggiungere il Chomolu, oppure fosse invecchiato sul serio come temeva all'inizio della storia.

In quanto all'enigma e al mistero, dunque, stavolta Glyn Carr ha fatto cilecca e ha dato vita a una crime novel molto più fiacca di quanto ci avesse abituato con gli altri suoi titoli. Eppure, con questo non intendo bocciare completamente "Un Cadavere al Campo Due". Fin dalla recensione di "Notti di Halloween" di Leo Bruce, credo che abbiate capito come io cerchi sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno pure in opere meno riuscite, ma pur sempre soddisfacenti se considerate nel loro insieme; per cui, vorrei fare lo stesso con questo romanzo e spezzare una lancia a suo favore. Perché, se teniamo da conto anche gli elementi di contorno di "Un Cadavere al Campo Due", ci rendiamo conto di come esso possa ritenersi un libro perfetto da leggere mentre siamo costretti a casa, a causa del Coronavirus. Come ho già spiegato nelle altre recensioni dei mysteries di Glyn Carr, se c'è qualcosa per cui essi vengono ricordati ed elogiati, quello è il loro contenuto in fatto di descrizioni dell'ambientazione in cui vengono calati. Dopo il Galles e il Monte Cervino, stavolta tocca ai picchi della catena dell'Himalaya e a tutta una serie di scenari sbalorditivi, che spaziano dalle larghe pianure in cui corrono i treni al confine settentrionale tra l'India e il Nepal, ai passi montuosi e alle salite di ripidi crinali, tra rocce e fiumi descritti sempre con l'occhio attento dell'alpinista. Ancor più del solito, addirittura, stavolta mi è sembrato di sfogliare una vera e propria guida, come se i paesaggi che venivano di volta in volta dipinti dalle parole nelle nostre menti fossero stati tracciati da una guida del posto. In questo modo, dunque, questo romanzo giallo potrebbe benissimo svolgere la funzione di catapultarci in luoghi esotici e capaci di distrarci dalla noiosa routine quotidiana. Ma non solo. Anche i passi sull'alpinismo e sulla sua storia (soprattutto dall'arrivo al pianoro del campo base, sotto al Chomolu) assumono il tono del saggio narrato dall'escursionista professionale, con i riferimenti alle azioni che si metterebbero in pratica nella realtà, se uno decidesse di arrampicare davvero una parete, e ci trasportano accanto ai personaggi, proprio come se ci trovassimo all'aria aperta. Senza dimenticare, infine, il racconto delle riprese e quello che ci viene fatto del rapporto tra gli Sahib e i portatori nativi della regione indo-nepalese, nel corso del quale acquisiamo familiarità con gli usi e costumi degli uni e degli altri nella prima metà del Novecento.

Tutto questo riesce a trasmettersi al lettore, permettendogli di impersonare ogni attore sulla scena e calarsi nelle vicende come se egli ne fosse parte attiva; facendogli capire quanto fosse faticoso mettere in piedi una spedizione di almeno quaranta o cinquanta persone, ognuna con proprio compito e con rigide regole da rispettare, tutte impegnate a far fronte ai problemi che potevano sorgere da un momento all'altro, in qualsiasi ora del giorno o della notte, e costrette a vivere l'una accanto all'altra in grande scomodità e in un clima spesso teso e.nervoso. A questo riguardo, bisogna ammettere che l'autore è riuscito a rappresentare al meglio gli stati d'animo dei suoi personaggi (benché ancora un po' aderenti agli stereotipi in voga, come i giovani ilari e i vecchi scorbutici, oppure i dottori ambigui e gli americani scanzonati): in un capitolo diverso della storia, ognuno ci viene presentato con le proprie caratteristiche, le proprie convinzioni e le proprie paure; in che modo entra in contatto con gli altri; le reazioni quando si trova in situazioni di tensione e i sospetti che genera in Lewker. Ma anche l'ironia che ognuno di loro (tranne Malnik) manifesta, a partire dallo stesso Filthy, il quale non rinuncia nemmeno stavolta alle numerose citazioni su Shakespeare e su altre opere (oppure su celebri casi come quello di Crippen) che sono un po' il suo marchio distintivo. La digressione sull'Abominevole Uomo delle Nevi o Yeti, infine, sebbene rechi strascichi di un certo tono denigratorio per poter essere presa sul serio e non venga sfruttata al meglio poiché lasciata andare troppo in fretta, aggiunge una piacevole nota al racconto rendendolo più interessante. Insomma, sebbene non sia un capolavoro, penso che "Un Cadavere al Campo Due" si possa rivelare come una lettura perfetta per trascorrere qualche ora spensierata; soprattutto nel periodo che stiamo vivendo in questi giorni.

Frank Showell Styles (alias Glyn Carr), nato
nel 1908 e morto nel 2005
L'ironia fu forse la caratteristica principale nella scrittura di Frank Showell Styles, vero nome di Glyn Carr. Nato a Birmingham nel 1908, dopo la scuola egli lavorò in banca per una decina d'anni, finché decise di mollare questo impiego che non lo soddisfaceva. Partì quindi per un lungo viaggio in giro per l'Europa, che dovette tuttavia interrompere allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Arruolatosi nella Royal Navy come artigliere, durante il conflitto riuscì a salire di grado fino a giungere a quello di comandante. Tornata la pace, Styles decise di rinunciare a tornare a lavorare nel mondo della finanza e si trasferì in Galles, dove trascorse il tempo ad arrampicare (fu da sempre la sua passione più grande), a dedicarsi al teatro e a progettare la sua nuova carriera di scrittore. Nel 1947, infatti, diede alle stampe il suo primo romanzo, "Traitor's Mountain", una spy story che mescolava il genere a quello umoristico, e il successo di quest'ultimo lo spinse a dare il via a una serie più convenzionale, sotto pseudonimo e con protagonista un divertente capocomico un po' sovrappeso e dalla citazione facile che si ritrova ad indagare su casi misteriosi ambientati in alta montagna. In realtà, già durante una scalata del Milestone Buttress gli balzò in mente come "fosse facile progettare un omicidio perfetto in quel luogo"; pertanto decise di "ideare un sistema [adatto] e costruirci attorno una trama adeguata". In questo modo, come Glyn Carr firmò "Morte Dietro la Cresta" (primo di quindici gialli classici, tra cui vanno ricordati "Assassinio sul Cervino" e "Il Picco delle Streghe") e Abercrombie Lewker fece il proprio ingresso nella letteratura del mistero, dopo tre romanzi più avventurosi.

La serie fu accolta favorevolmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, soprattutto per la capacità dell'autore di descrivere con doverosa attenzione le scene di arrampicata e i luoghi in cui esse si svolgevano. Dopo "Fat Man Agony" (1969), Styles concluse le avventure di Lewker per dare il via a un'altra serie, il cui protagonista divenne un ufficiale della marina britannica al tempo delle guerre napoleoniche; nel frattempo, tuttavia, continuò a scalare e a fare escursioni, oltre a scrivere una quantità enorme di guide, manuali e racconti sulla montagna (in totale furono circa 160), finché non morì nel 2005. I romanzi di Abercrombie Lewker (in parte ripubblicati dalla Rue Morgue Press, secondo la quale pare esista un romanzo inedito andato perduto) sono storie leggere, divertenti e facili da leggere, proprio come voleva scriverle Styles: ognuna presenta un delitto apparentemente impossibile, alla maniera di quelli creati da John Dickson Carr con la stanza chiusa trasformata in un ambiente impervio e pericoloso, caratterizzato da pregi e difetti. Come abbiamo visto, "Un Cadavere al Campo Due" rappresenta finora il punto meno alto tra le avventure di Lewker, in fatto di enigma e mistero; eppure, voglio ribadire ancora una volta come, ogni tanto, anche un racconto meno concentrato sugli aspetti delittuosi del caso e maggiormente attento alle sue premesse possa regalare qualche ora piacevole, al lettore che si accontenta. Soprattutto se si è chiusi in casa e si abbia una voglia matta di uscire, almeno con la mente, dalle quattro pareti che ci circondano e di dirigerci in luoghi esotici e affascinanti.

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venerdì 14 febbraio 2020

24 - "Assassinio sul Cervino" ("Murder on the Matterhorn", 1951) di Glyn Carr

Copertina dell'edizione pubblicata da
Mulatero Editore
Nella maggior parte dei casi, quando si parla di classica crime story, lo scenario che viene subito alla mente è quello tipicamente inglese. Ciò è dovuto al fatto che il giallo deduttivo è nato in Inghilterra e, quindi, è naturale ritrovare ambientazioni che si riconducano a luoghi siti dall'altra parte della Manica, dove sono apparse le storie che hanno fatto scuola in questo campo letterario e che si possono considerare come prototipi di trame e vicende che sarebbero venute in seguito. Ad esempio, il villaggio di campagna (magari dotato della sua villa signorile sulla collina) rappresenta lo sfondo più familiare al lettore appassionato di mysteries di matrice anglosassone, poiché conta innumerevoli prove di scrittori e scrittrici che in esso si siano cimentati; basta citare Agatha Christie e la sua Miss Marple, oppure un libro quale "L'Assassinio di Roger Ackroyd". Anche i cosiddetti "delitti universitari", ambientati in prestigiosi college come quello di Oxford o in rispettabili scuole di formazione femminili, sul genere della Meadowbank School di "Macabro Quiz", fanno ormai parte dell'immaginario collettivo sul romanzo giallo classico; per non parlare delle morti avvenute a bordo di treni di provincia o di barche lanciate lungo fiumi e laghi (come in "Morte a Vele Spiegate" di C.P. Snow). Tutte queste ambientazioni, benché espressione di un mondo universalmente riconosciuto anche al di fuori della terra d'Albione, rimandano a un microcosmo ben preciso: quell'Inghilterra ideale in cui esistono i delitti, le prove, i moventi, i sospettati e poco altro, in cui è quasi immaginabile trovare protagonisti e usi e costumi di una società differenti da quelli inglesi. Eppure, il bello del classico romanzo del mistero sta nel riuscire a ritrarre un gruppo di persone sempre riconoscibile e, allo stesso tempo, di proiettarlo su qualunque ammasso eterogeneo di esseri umani; quindi, non dovrebbe stupire il fatto che, ogni tanto, possiamo incappare in una vicenda lontana (in fatto di lunghezze spaziali) dalla "solita" Inghilterra e dai suoi scenari campagnoli o urbani, tipici di storie quali "C'è un Cadavere dall'Avvocato" di Michael Gilbert e "I Delitti di Praed Street" di John Rhode, a favore di ambientazioni esotiche come quelle dei romanzi di J. Jefferson Farjeon.

Come abbiamo visto, anche Glyn Carr si è divertito ad ideare storie che prendevano ispirazione dal giallo più classico di tradizione britannica e dal filone narrativo che rese celebre John Dickson Carr, ovvero quello del mistero della camera chiusa; decidendo tuttavia di trasportare l'ambientazione a livelli più estremi, dove i limiti non sono più costituiti da solidi muri intonacati, ma da ripide pareti di roccia il cui limite superiore viene rappresentato dal cielo azzurro delle quote più elevate, pur mantenendo gli elementi classici del romanzo del mistero. Lo ha fatto ambientando "Morte Dietro la Cresta" in Galles; e ha ripetuto lo schema di volta in volta in ogni suo mystery, come si può capire dalla seconda avventura con protagonista Abercrombie "Filthy" Lewker, "Assassinio sul Cervino" (Mulatero Editore, 2019), che recensisco oggi. Ambientato sui monti che dividono la Svizzera dal Paese in cui vivo (ovvero l'Italia), in esso possiamo ritrovare il gruppo chiuso di personaggi dei tipici delitti nelle case di campagna a cui ci ha abituato Agatha Christie, con segreti nascosti e invidie personali, intrighi ed enigmi basati sugli indizi, la ricerca della verità intrapresa attraverso lo scandagliare la psicologia dell'assassino; senza tralasciare, tuttavia, un originale sfondo costituito dal villaggio di Zermatt, sulle Alpi. In questo modo, Glyn Carr è riuscito ancora una volta a trasportare tutti gli elementi della tradizionale partita tra lettore e scrittore al di fuori della cornice classica, pur mantenendo il fair play che ci si aspetterebbe da un giallista del suo calibro, e a consegnarci una storia che non delude le aspettative; anzi, probabilmente migliore del suo esordio nella fiction del mistero.

Piantina dei luoghi del Cervino
interessati in "Assassinio sul Cervino"
La vicenda si apre mostrandoci il nostro Abercrombie Lewker, mentre è intento a preparare l'occorrente per la consueta vacanza sui monti, in seguito al termine della stagione teatrale di cui è stato protagonista. Egli ha tutta l'intenzione di fuggire dal caos cittadino di Londra e di rifugiarsi sulle vette delle Alpi, sul versante svizzero del Cervino, per godere delle belle giornate che esse riservano e per fare numerose escursioni. Eppure, a pochi giorni dalla partenza, si presenta a casa sua nientemeno che Sir Frederick Claybury, il suo ex-capo nei Servizi Segreti di Sua Maestà. Quest'ultimo, preoccupato per alcune voci udite lungo i corridoi del potere, propone al capocomico di aiutarlo a salvaguardare l'integrità dell'Inghilterra e del Governo britannico, incaricandolo di tenere d'occhio Léon Jacot, un individuo belligerante e dall'aria poco rassicurante, il quale appare intenzionato a conquistare la Francia come uomo politico emergente e ad assicurare la propria influenza alle forze politiche che riusciranno a convincerlo a seguire la loro causa. La minaccia del comunismo è ancora molto sentita nei Paesi dell'Ovest Europa, per cui Lewker dovrebbe assicurarsi di scoprire quali siano in realtà le intenzioni di Jacot e, soprattutto, riuscire a convincere quest'ultimo a schierarsi dalla parte "giusta" delle barricate. Filthy, da parte sua, non vede di buon occhio questo incarico improvviso, poiché vede minacciato il proprio tempo libero che aveva intenzione di dedicare alle arrampicate in montagna; tuttavia, Sir Frederick gli rivela che anche Jacot, come lui, è un fervente ammiratore dell'arte dell'alpinismo, e gli confida che egli sta dirigendosi proprio a Zermatt (la destinazione di Lewker) per intraprendere una salita sulla cresta nord-est del Cervino, al fine di battere il record di velocità di conquista del monte. Incapace di rifiutare una richiesta d'aiuto da parte del suo ex-capo e di sottrarsi al proprio dovere, alla fine Abercrombie accetta e, grazie a un passaggio a bordo dell'aereo del cognato di Jacot, John Waveney, raggiunge la propria meta a Zermatt: l'Hotel Obelgabelhorn. Si tratta di un albergo alla mano, non troppo elegante ma nemmeno misero, in cui ci si può imbattere in un variegato esempio della natura umana: oltre a Jacot e alla giovane moglie Deborah, un'avvenente ragazza, Lewker incontra il dottor Greatorex (un amico di lunga data) assieme al giovane scrittore-alpinista Bernard Bryce; il conte e la contessa De Goursac, altolocati esponenti della società dei primi del Novecento; la signorina Margaret Kemp, la quale accompagna la burrascosa zia Beatrix Fillingham, un donnone esuberante e rumoroso.

A prima vista, il gruppo appare ben affiatato, con un miscuglio di giovani e meno giovani ed interessanti personalità; eppure, già dalla prima sera dal suo arrivo, Filthy coglie numerosi cenni di antipatia rivolti alla persona di Léon Jacot, il quale assume un comportamento a dir poco testardo e maleducato di fronte alla preoccupazione del gruppo all'idea che egli scali il Cervino in condizioni poco ottimali. Inoltre, Lewker non riesce a capire quali siano le intenzioni del francese in fatto di tendenze politiche e la rivelazione (da parte di Deborah Jacot) che egli sia stato minacciato da un gruppo di estremisti non lascia presagire niente di buono. Quando, nel corso del giorno seguente, verrà scoperto il cadavere di Jacot ai piedi del Matterhorn Glescher, apparentemente vittima di un incidente in montagna, Abercrombie si domanderà se questa morte non sia il frutto di una complessa macchinazione, piuttosto che un semplice errore di calcolo: erano in tanti a desiderare la dipartita di Jacot, a partire dai suoi compagni all'Obelgabelhorn, passando per un fantomatico avversario politico e finendo con la famiglia di una guida di montagna, coinvolta in una faccenda di cuore tutt'altro che piacevole. Filthy deciderà quindi di affiancare Herr Schultz, il commissario incaricato delle indagini, per scoprire cosa sia stato il responsabile della morte di Jacot e, soprattutto, come qualcuno possa aver spinto giù dalla montagna quell'abile scalatore e procurarsi, allo stesso tempo, un alibi inattaccabile.

La cittadina di Zermatt, ai piedi del Cervino svizzero, negli
Anni '50
Ancora una volta, ci troviamo di fronte a una particolare variazione del delitto della camera chiusa e a un romanzo giallo in cui ricorrono alcuni elementi che già erano presenti in "Morte Dietro la Cresta". Come era stato in quest'ultimo libro, l'ambientazione occupa una parte importantissima all'interno della trama: essa, infatti, si può considerare come la particolarità dei casi di cui si occupa Lewker, essendo tratteggiati con suggestivi sfondi di paesaggi montuosi, descritti con abilità e competenza e che danno originalità agli omicidi creati dall'autore. È un piacere immergersi in questa natura accuratamente descritta e in scenari solenni e pacifici, pur nella loro intrinseca insidiosità, che si possono ancora vedere al giorno d'oggi e nei quali l'uomo si ritrova ad essere una misera parte dell'insieme (pp. 30, 32-35, 40-44, 59-60, 64-66, 74-75, 147-149, 162-163, 173-174, 209-211, 226, 244, 264, 274, 277): assistiamo alle escursioni di Lewker fino alla baita di Heinrich Taugwalder, la guida sospettata di aver ucciso Jacot per proteggere l'onore della figlia, come se le vivessimo in prima persona, immaginando di sederci assieme al nostro investigatore dilettante sulle rocce e di ascoltare le chiacchiere infinite di Miss Fillingham; vediamo con gli occhi della mente il cielo azzurro e gli alberi che ci circondano; quasi sentiamo il cinguettio degli uccelli che cantano sui rami e percepiamo la presenza del Cervino alle nostre spalle, attore non protagonista di questo romanzo. Senza dimenticare tutti quei piccoli dettagli sulla vita dell'appassionato di arrampicata (pp. 38, 56, 58-59, 71-73, 75, 65-66, 85, 88, 96-98, 102-113, 124, 128-129, 135-136) e sulla sua storia, citando tragedie realmente avvenute come quella di Edward Whymper, i quali ci permettono di entrare nei modi di un vero scalatore e di far parte di un mondo che, anche se estraneo ai più, ci viene mostrato nella sua parte migliore, attraverso scene che appartengono al passato (i riferimenti ai "signori" e alle guide del posto, le immancabili pipe e la possibilità a non "cambiarsi per cena"). Non mi stancherò mai di sottolineare la bravura di Glyn Carr nell'essere stato capace di trasformare un punto "debole" come l'ambientazione in un elemento di forza della sua narrativa: nella recensione di "Un Piccolo Omicidio di Natale", avevo fatto notare come lo sfondo spesso risultasse la caratteristica che si riesce meno a far diventare "originale", tra quelle che costituiscono il romanzo giallo, poiché esso necessita di essere affiancato ad almeno un altro elemento della narrativa gialla per poter esprimere al meglio il proprio potenziale.

Ebbene, nel caso delle crime novels di Glyn Carr le descrizioni, accurate al punto da sembrare passaggi di guide turistiche vere e proprie (pp. 110-113, 222-229), diventano invece l'elemento più forte della trama, poiché permettono al lettore di immergersi totalmente nella lettura e lo tengono incollato alle pagine, sopperendo ai piccoli difetti e ai cliché che ogni tanto ritornano nella storia. Anche in "Assassinio sul Cervino", infatti, rimangono ancora alcuni stereotipi difficili da estirpare: la presenza di scienziati-dottori forse malvagi, che rendono simili Ferriday e Greatorex; la politica che gioca sempre un ruolo di primo piano all'interno delle vicende, con i comunisti dipinti come diavoli in terra anche se non occupano un posto importante nella soluzione finale (pp. 20-23, 31, 49, 77-78, 80, 82, 143-145, 177); le storie d'amore un po' sdolcinate tra personaggi sospettati (Hilary e Michael nell'esordio dell' scrittore, Bryce e la signorina Kemp in "Assassinio sul Cervino"). Tuttavia, altri temi che avevamo ritrovato in "Morte Dietro la Cresta" vengono qui approfonditi meglio e articolati in modo da uscire dalle solite descrizioni trite e ritrite: la presenza di citazioni, ad esempio, si fa meno pedante dell'esordio (pur restando comunque massiccia!, vedasi pp. 16, 18-19, 24, 56, 60, 80, 83, 93, 99, 146...), e l'ironia non è troppo forzata. Sopra a tutto il resto, però, resta questo interesse dell'autore nel dilungarsi sulla vita dell'escursionista, che ci viene presentata in modo meno descrittivo e "freddo" e, quindi, riuscendo a modellare la trama su di essa. Benché lontani dalle vicende nelle case di campagna inglesi, dalle "crociere con delitto" e dagli antichi mausolei del sapere, il "delitto nel villaggio di campagna" diventa qualcosa che possiamo proiettare in un contesto in cui vengono inserite nozioni dettagliate, pur senza estraniare queste ultime: la gita di Lewker alla Schönbielhütte del cap. 13 ne è un tipico esempio, con un racconto che si sarebbe potuto fare nel salotto di un cottage ma avviene in una baita sulla vetta di un monte, tra aneddoti sull'arrampicata, piccoli dettagli sulla vita di montagna, accorgimenti e abitudini che gli alpinisti devono adottare e buone norme da seguire quando si decide di scalare una parete rocciosa; ma anche la spedizione per recuperare il cadavere di Jacot è stata molto suggestiva.

I personaggi, infine, pur restando un po' stereotipati nei ruoli che Glyn Carr ha loro assegnato, riescono a dimostrare di avere un'anima più libera, che li rende imprevedibili, sospetti e molte volte simpatici. Tra tutti, mi ha colpito Miss Beatrix Fillingham, con la sua irruenza e scontrosità mista alla curiosità e al gusto per il pettegolezzo di una Miss Marple più caustica e decisamente senza freni inibitori (l'incontro con Filthy durante la sua ascesa alla baita di Taugwalder, alle pp. 66-69, e il loro colloquio in seguito al fattaccio poco prima del finale, alle pp. 225-232, mi hanno divertito come poche altre cose lette ultimamente). Ma il protagonista, istrionico e padrone della scena, resta sempre lui, il capocomico Abercrombie Lewker: originale, brillante, dotato di senso dell'umorismo, di inventiva e acume, rappresenta una delle figure di investigatore dilettante meglio riuscite. Pomposo ma capace di provare pietà, sempre con la citazione di Shakespeare pronta sulle labbra, è consapevole del proprio ruolo di deus ex machina e di personaggio cardine della vicenda, colui che risolverà il mistero della morte impossibile di Léon Jacot. Intraprende la scoperta di indizi e analizza le ipotesi con cognizione di causa, per arrivare ad inchiodare il colpevole attraverso accurate descrizioni delle azioni dei personaggi e la ricerca nella psiche umana degli attori coinvolti sulla scena che si ritrova a calcare. Immagina proprio così la sua funzione: come quella di un attore che interpreta una parte e che deve coinvolgere lo spettatore-lettore nei suoi pensieri, spingendolo a mettere in pratica le proprie capacità. Ma senza dimenticare di essere un personaggio comico, che prende un po' in giro quei detective troppo seriosi di alcuni gialli suoi contemporanei.

Frank Showell Styles (alias Glyn Carr),
nato nel 1908 e morto nel 2005
L'ironia fu forse la caratteristica principale nella scrittura di Frank Showell Styles, vero nome di Glyn Carr. Nato a Birmingham nel 1908, dopo la scuola egli lavorò in banca per una decina d'anni, finché decise di mollare questo impiego che non lo soddisfaceva. Partì quindi per un lungo viaggio in giro per l'Europa, che dovette tuttavia interrompere allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Arruolatosi nella Royal Navy come artigliere, durante il conflitto riuscì a salire di grado fino a giungere a quello di comandante. Tornata la pace, Styles decise di rinunciare a tornare a lavorare nel mondo della finanza e si trasferì in Galles, dove trascorse il tempo ad arrampicare (fu da sempre la sua passione più grande), a dedicarsi al teatro e a progettare la sua nuova carriera di scrittore. Nel 1947, infatti, diede alle stampe il suo primo romanzo, "Traitor's Mountain", una spy story che mescolava il genere a quello umoristico, e il successo di quest'ultimo lo spinse a dare il via a una serie più convenzionale, sotto pseudonimo e con protagonista un divertente capocomico un po' sovrappeso e dalla citazione facile che si ritrova ad indagare su casi misteriosi ambientati in alta montagna. In realtà, già durante una scalata del Milestone Buttress gli balzò in mente come "fosse facile progettare un omicidio perfetto in quel luogo"; pertanto decise di "ideare un sistema [adatto] e costruirci attorno una trama adeguata". In questo modo, come Glyn Carr firmò "Morte Dietro la Cresta" (primo di quindici gialli classici, tra cui vanno ricordati questo "Assassinio sul Cervino" e "Il Picco delle Streghe") e Abercrombie Lewker fece il proprio ingresso nella letteratura del mistero, dopo tre romanzi più avventurosi. La serie fu accolta favorevolmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, soprattutto per la capacità dell'autore di descrivere con doverosa attenzione le scene di arrampicata e i luoghi in cui esse si svolgevano. Dopo "Fat Man Agony" (1969), Styles concluse le avventure di Lewker per dare il via a un'altra serie, il cui protagonista divenne un ufficiale della marina britannica al tempo delle guerre napoleoniche; nel frattempo, tuttavia, continuò a scalare e a fare escursioni, oltre a scrivere una quantità enorme di guide, manuali e racconti sulla montagna (in totale furono circa 160), finché non morì nel 2005. I romanzi di Abercrombie Lewker (in parte ripubblicati dalla Rue Morgue Press, secondo la quale pare esista un romanzo inedito andato perduto) sono storie leggere, divertenti e facili da leggere, proprio come voleva scriverle Styles: ognuna presenta un delitto apparentemente impossibile, alla maniera di quelli creati da John Dickson Carr con la stanza chiusa trasformata in un ambiente impervio e pericoloso, caratterizzato da pregi e difetti.

Proprio la scrittura, capace di essere leggera ma non frivola (vedasi ad esempio pp. 15-17), ha costituito la fortuna di "Assassinio sul Cervino", assieme a un enigma niente affatto male e delineato a fondo. Pur recando uno stile piacevole e umoristico, infatti, la storia può contare pure in una struttura meglio ripartita dell'esordio dell'autore: oltre a prestare molta attenzione agli usi e costumi dell'epoca in cui essa è ambientata, troviamo un mistero decisamente più solido di quello di "Morte Dietro la Cresta" e un delitto concentrato sugli aspetti psicologici che è ben equilibrato con l'attenzione data alla natura e alle descrizioni del paesaggio. La struttura dell'enigma è meno grezza rispetto a quella dell'esordio di Glyn Carr; il campo dei sospetti è caratterizzato da uno spaccato della natura umana di grande vairetà (pp. 30-32, 35-36, 41-42, 53-58, 66-67, 70, 78-79, 97, 100, 123, 152-155); l'azione è più varia poiché permette a Lewker di spostarsi di più e di agire in un campo vasto, consentendo ai sospetti di montare in numero maggiore di quanto era accaduto con "Morte Dietro la Cresta"; gli indizi seguono il fair play, pur non essendo molto numerosi, e permettono al lettore di capire quale sia la soluzione della morte di Jacot, senza tuttavia renderla troppo facile da intuire o scontata; inoltre, per la prima volta viene messa in scena una tipica sfida tra dilettante e professionista. Herr Schultz, con la sua aria di superiorità, mette in discussione le teorie di Lewker un po' come accadde tra Poirot e Japp e la tenzone tra i due genera un conflitto di collaborazione-scontro che si protrae per tutta la vicenda e conduce come per mano chi legge, fino alla fine. Le considerazioni sul romanzo giallo (pp. 105, 127, 141-142, 278-279) sono anche stavolta presenti, ma mi sono parse meglio inserite nella trama, come un accompagnamento delle spiegazioni degli investigatori. Insomma, grazie a questo caso, costruito in modo da dare maggiore risalto ai sospettati e meno alla cornice in cui esso si svolge, Glyn Carr è riuscito a vincere la sfida che vede la morte in montagna come qualcosa di monotono. Dopotutto, se si vuole uccidere qualcuno in un tale contesto, non ci sono grandi cambiamenti da mettere in pratica. Ma stavolta l'autore è riuscito a spiazzarmi, ha trovato una scappatoia originale per diversificare gli omicidi che avvengono sulle cime e i suoi libri, senza renderli uno la fotocopia dell'altro; sono curioso di sapere se anche col terzo riuscirà a stupirmi e a creare un mystery ben costruito come questo "Assassinio sul Cervino", definito da un grande dell'alpinismo quale Hervé Barmasse come "un romanzo che dovrebbe obbligatoriamente essere nella libreria di chi ama leggere, di chi ama i gialli e di chi ama l'alpinismo e la montagna".

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