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venerdì 23 ottobre 2020

# - Grazie Jill Paton Walsh (1937-2020)

Jill Paton Walsh, nata nel 1937 e morta nel 2020

Con grande rammarico, la settimana scorsa sono venuto a sapere che la scrittrice inglese Jill Paton Walsh è venuta a mancare. Da quanto ho appreso dai numerosi messaggi di cordoglio che sono stati pubblicati sulla rete negli ultimi giorni, era ormai molto anziana nonostante svolgesse ancora il ruolo di Presidente della Dorothy L. Sayers Society. Seona Ford, membro di questa stessa associazione, ha ribadito come lei fosse "una scrittrice altamente qualificata", oltre ad essere una sostenitrice degli sforzi congiunti coi suoi colleghi e un'entusiasta partecipe alla convention annuale all'Università dell'East Anglia. Martin Edwards, in un post molto commovente, ha ribadito la varietà che l'opera di Paton Walsh ha abbracciato nel corso della sua lunga vita, partendo da libri per bambini fino a giungere alla pubblicazione (in proprio) di "Quel che sanno gli angeli", il quale venne nominato addirittura per il Booker Prize. Tuttavia, ciò per cui Walsh sarà sempre ricordata dagli appassionati di classica crime story è il fatto che, già avanti con l'età, le venne chiesto di completare nientemeno che il manoscritto di "Thrones, Dominations", l'ultima avventura di Lord Peter Wimsey che Dorothy L. Sayers aveva accantonato tra il 1936 e il 1938, in favore della preparazione della commedia tratta da "Un'Indagine Romantica: Lord Peter in Viaggio di Nozze" e della composizione di opere religiose e dalla traduzione della Divina Commedia. Probabilmente Sayers avrebbe in seguito completato la sua nuova opera del mistero, ma purtroppo venne a mancare all'improvviso, pochi giorni prima di Natale nel 1957, quando la stessa traduzione dell'opera di Dante era ancora in corso. Così, ciò che restava del testo è stato accantonato per molti anni; finché la proposta di riprenderlo è stata fatta a Walsh. In ogni caso, continuare "Thrones, Dominations" sarebbe stata un'impresa rischiosa e quasi impossibile da portare a termine: infatti, la pratica di mettere mano a una serie creata da una persona diversa dal suo autore originario non incontra spesso il favore dei lettori, dal momento che immancabilmente il fascino del racconto di uno scrittore si verrà a mutare attraverso lo stile personale di quello nuovo. Io stesso sono molto restio ad accettare questo stratagemma per vendere qualche copia in più, sfruttando il nome di un grande della letteratura, e quasi sempre risultante in una delusione profonda.

La mia copia di "Il Matrimonio Perfetto", che
custodirò con ancora più cura


Eppure, una copia di "Il Matrimonio Perfetto" (traduzione italiana di "Thrones, Dominations") me la sono procurata, e l'ho fatto molto tempo fa. Innanzitutto, perché sono un grande fan di Sayers e voglio prolungare la lettura dei suoi libri per più tempo possibile (anche per questo centellino i suoi gialli); ma anche perché sono curioso di vedere quale è stato il risultato finale di tale connubio. Lo stesso Edwards, nel post che citavo sopra, l'ha definito come la miglior prova di questo tipo, sottolineando come sia stato difficile seguire le orme di Sayers, rispettare le sue linee guida e, allo stesso tempo, dare vita a una storia che rispettasse le premesse e aggiungesse qualcosa di nuovo alla storia di Lord Peter. Walsh, da grande ammiratrice della sua collega (si era innamorata della narrativa di Sayers attraverso "Gaudy Night", letto durate l'adolescenza, e grazie ad esso aveva deciso di frequentare Oxford), è riuscita a compiere un lavoro di gran lunga soddisfacente, secondo quanto racconta Edwards; tanto che alla fine lei non si è limitata a completare il manoscritto, ma ha dato vita ad altre tre storie con protagonista il baronetto Wimsey. Inoltre, significherà pur qualcosa se, anche grazie al suo lavoro sul manoscritto e il personaggio di Sayers, le è stato proposto di entrare nel prestigioso Detection Club, per il quale si è spesa a lungo; arrivando addirittura a consegnare un pezzo nuovo di zecca in occasione della stesura di "Howdunit", pubblicato proprio quest'anno come opera collettiva dell'associazione di giallisti. Insomma, Jill Paton Walsh ha avuto una vita piena e lunga, nella quale ha fatto molto più di quanto mai potessimo desiderare: ovvero, ridare vita a un personaggio al quale, personalmente, sono molto affezionato. Pertanto, nel mio piccolo voglio ringraziarla per la sua Arte. E prometto che farò di tutto per trovare una copia dell'unico altro suo romanzo con protagonista Lord Peter pubblicato in Italia, "Morte Presunta". Che la terra le sia lieve.

Raymond West

venerdì 27 settembre 2019

10 - "Gli Occhi Verdi del Gatto" ("Clouds of Witness", 1927) di Dorothy L. Sayers

Copertina dell'edizione integrale,
pubblicata nel Giallo Mondadori
n. 2748
Più mi confronto con altri appassionati di crime story classica, più mi rendo conto di come questo genere letterario presenti una natura particolare. Da un lato, infatti, esso unisce un grandissimo numero di lettori con gusti molto diversi tra loro, grazie alla vastità di sottogeneri di cui è composto: ce n'è per tutti i tipi, da chi predilige romanzi in cui l'enigma viene trattato con rigoroso fair play dall'autore, a chi desidera semplicemente trascorrere qualche ora a provare sulla propria pelle i brividi di terrore, a chi si lascia affascinare dalle ambientazioni e dalla caratterizzazione dei personaggi, al punto da immedesimarsi nelle vicende che sta leggendo. Allo stesso tempo, tuttavia, poiché ognuno concepisce il "giallo" in modo differente dall'altro e sostiene che il proprio preferito sia il migliore, com'è comprensibile in una società variegata come la nostra, a volte questa "unità" viene meno e possono nascere agguerrite discussioni riguardo un certo titolo o autore, in cui il Tale loda e il Talaltro critica. Questa, per me, è forse la caratteristica più affascinante del genere mystery; quella che, assieme al suo essere intrinsecamente innovativo, gli ha permesso di restare popolare anche dopo un secolo dalla sua nascita: il continuo dibattito ha alimentato il suo sviluppo, dando vita a scambi di idee (accettabili se espresse nel segno di un'esposizione pacata) e a singolari incontri-scontri dai quali, talvolta, possono scaturire nuove conoscenze. Ad esempio, più di una volta mi è capitato di entrare in contatto con persone che, al contrario di quanto pensassi io, hanno bocciato il libro di uno scrittore che avevo promosso, o viceversa. Questo, però, non mi ha impedito di cercare di capire le ragioni del loro giudizio e, alla fin fine, tali occasioni si sono rivelate utili a comprendere un punto di vista diverso dal mio, hanno dato avvio a nuovi rapporti di amicizia e hanno messo in luce alcuni aspetti della trama e dello stile che non avevo colto, arricchendo il mio giudizio finale.

Anche con la mia ultima lettura, "Gli Occhi Verdi del Gatto" di Dorothy L. Sayers (Il Giallo Mondadori n. 2748, 2001), si è verificato un confronto di questo tipo. Mentre io l'ho apprezzato molto, un amico fan del giallo classico l'ha bocciato, pur ammettendo che le premesse facevano sperare in un romanzo migliore. Non che sia stata proprio una sorpresa; la Sayers è famosa per la sua capacità di dividere le opinioni dei lettori, visti l'uso di uno stile complesso (ma non per questo astruso), in cui i dettagli della vita quotidiana vengono descritti in modo dettagliato, e la scrittura di lunghe porzioni di testo che esulano dall'enigma in sé. Quindi mi aspettavo alcune critiche, tenuto conto pure del fatto che il mio amico predilige gialli in cui il focus è più concentrato sull'indagine. Eppure, da parte mia, sono del tutto convinto che anche stavolta lei abbia confezionato un romanzo giallo molto valido; forse non ai livelli di "Il Segreto delle Campane", ma comunque di alta qualità, con un investigatore dilettante simpatico, false piste in abbondanza, indizi disseminati tra le righe e un racconto affascinante. Se vi ho incuriosito, allora lasciate che mi spieghi meglio qui sotto, dopo aver delineato la trama a grandi linee. 

In apertura di romanzo, ci troviamo in Francia. Lord Peter Wimsey ha trascorso alcuni mesi di vacanza all'estero, per rimettersi dall'ultimo caso risolto, e con calma sta facendo ritorno in Inghilterra, dopo aver assaporato la bellezza della Corsica e i piaceri del dolce far niente assieme al fedele Bunter. Mentre alloggia all'Hotel Meurice di Parigi, tuttavia, Sua Signoria viene riportato alla realtà dall'improvvisa notizia che suo fratello Gerald, il Duca di Denver, è stato messo sotto accusa di omicidio da parte di un tribunale inglese. Da quanto spiega il resoconto del Times in cui Lord Peter ha appreso la scioccante notizia, il nobiluomo avrebbe presumibilmente ammazzato a sangue freddo un certo Denis Cathcart, il fidanzato della sorella minore Mary, mentre si trovava nella tenuta di Riddlesdale assieme a loro due e ad alcuni amici intimi, forse a causa di un regolamento di conti legato ai sensi di onore e onestà caratteristici dell'aristocrazia britannica. Wimsey è sicuro che ci debba essere stato un errore e vuole assicurarsi che l'indagine, affidata al suo amico Charles Parker e atta ad accertare chi sia il sicuro colpevole dell'omicidio di Cathcart, venga condotta con massimo rigore e attenzione; quindi prende un volo per Londra e si affretta a raggiungere la casa in cui sono ancora radunati tutti i testimoni del fattaccio, al fine di intraprendere un'inchiesta personale. Laggiù, i fatti che vengono alla luce dai primi interrogatori non prospettano nulla di buono. Innanzitutto, l'arma che ha ucciso Cathcart appartiene senza alcun dubbio al Duca di Denver; il ché non costituisce una prova schiacciante, poiché essa veniva riposta in un cassetto accessibile a tutti gli ospiti, ma lancia comunque un'ombra di sospetto sulla figura di Gerald. Poi, si scopre che il nobiluomo aveva litigato con la vittima la sera stessa del delitto, in presenza dei signori Marchbanks, Pettigrew-Robinson e del maggiore Arbuthnot. Pare che Cathcart fosse stato accusato di essere un baro, e che il duca avesse tutte le intenzioni di mettere fine alla relazione in corso tra lui e sua sorella.

Una brutta faccenda, che peggiora quando un'altra testimone afferma di aver sentito uno sparo più o meno nello stesso momento in cui Gerald si trovava fuori di casa, forse nei pressi della scena del delitto, davanti al padiglione di caccia, e lui stesso rifiuta di difendersi dall'accusa di omicidio e di dare alcuna spiegazione sui propri movimenti durante la serata fatale. Inoltre Mary Wimsey, dapprima desiderosa di aiutare i poliziotti, all'improvviso non sembra più così ansiosa di scoprire chi abbia ammazzato il suo promesso sposo e ha adottato la stessa tattica del fratello più vecchio; ovvero, non rispondere ad alcuna domanda. Stanno entrambi cercando di proteggere la propria famiglia da un terribile scandalo? Tuttavia, non tutto quadra con l'accusa rivolta al Duca di Denver: ad esempio, di chi sono quelle tracce che portano da un capo all'altro del bosco della tenuta? Forse dello sconosciuto che è passato rombando, a bordo di un sidecar, davanti al cancello sorvegliato dal guardiacaccia? Cosa dire, poi, di quel ciondolo a forma di gattino dagli occhi verdi che è stato rinvenuto sul luogo del delitto? C'entra forse col caso la figura di una bella signora, prigioniera in una fattoria non molto lontana da Riddlesdale? Wimsey sente che tutto quanto deve essere legato da una spiegazione semplice, razionale e comprensibile; compreso il comportamento ambiguo della vittima, Denis Cathcart, il quale ha fatto sparire dal proprio conto ingenti somme di denaro. Per questo motivo, affiancato da Parker, si lancerà in una caccia diversa da quelle che di solito avvengono a Riddlesdale, ma altrettanto pericolosa, e rischierà la vita più di una volta al fine di raggiungere la verità, alla ricerca di confessioni, di peccati segreti e di prove sfuggenti in Francia e in America; mentre Gerald si presenterà davanti a una Corte di suoi Pari per subire il giusto processo che la Costituzione inglese assicura ai nobili accusati. Tuttavia, bisognerà aspettare fino alla fine del procedimento giuridico per comprendere appieno quale sia la soluzione del caso, sorprendente, inaspettata e densa di colpi di scena.

Immagine della Camera dei Lord, in cui si svolge il
processo finale di "Gli Occhi Verdi del Gatto"
Proprio come gli altri mysteries di Dorothy L. Sayers, "Gli Occhi Verdi del Gatto" (attenzione: solo l'edizione con la traduzione di Grazia Griffini risulta completa) non fa eccezione e presenta una struttura articolata e complessa. Probabilmente alcuni di voi faranno fatica ad apprezzarlo, assieme al resto della sua opera: anche in questo caso, infatti, non ci troviamo di fronte a un semplice romanzo di genere, dove importano soltanto gli interrogatori degli indiziati e lo svolgimento dell'indagine, ma veniamo immersi in una narrazione in cui pure le descrizioni e le osservazioni della vita quotidiana, ritratte con uno stile caratteristico, brioso e mai banale da parte dell'autrice, conservano grande rilevanza ai fini della trama e del risultato finale. Senza dubbio, l'uso di questo linguaggio dettagliato e al limite del pedante costituisce uno dei punti di maggior forza della narrativa della Sayers, poiché capace di suscitare nella mente di chi legge immagini più vivide del solito; eppure, non si può fare a meno di notare che esso può pregiudicare il ritmo della storia e l'impatto che essa ha sui lettori, col risultato che alcuni finiscono per considerare noiose tutte queste digressioni. L'amico a cui facevo riferimento sopra, ad esempio, ha bocciato questo libro perché il resoconto del processo al Duca di Denver e la successiva introduzione dei testimoni principali dell'omicidio di Cathcart, riportati nella prima parte, gli sono sembrati pesanti da digerire e delineati con incuria, mentre il modo in cui è stato trattato il caso, a suo parere, ha contribuito a sbilanciare l'enigma dal centro del romanzo; tutto quanto gli è parso come sfocato, dalla delineazione a tutto tondo della psicologia dei personaggi alla presentazione degli indizi, con brevi momenti di svolta che, tutto sommato, finivano sempre per rivelarsi deludenti. Per non parlare della soluzione, "la peggiore che si potesse immaginare" secondo lui. Ora, forse le cose stanno davvero così: non mi leverei mai ad oracolo inconfutabile, sia ben chiaro.

Da parte mia, tuttavia, vorrei provare a mettere in luce perché la lettura di "Gli Occhi Verdi del Gatto", con tutte le sue piccole pecche, meriti comunque di essere presa in considerazione da tutti gli appassionati del genere giallo, grazie a due aspetti fondamentali del romanzo. Innanzitutto, desidero sottolineare quanto straordinario appaia ai miei occhi il talento della Sayers nel tratteggiare situazioni che, in altri frangenti, apparirebbero senza dubbio tediose. Le prime trenta pagine, ad esempio, in cui viene trattato a fondo il processo d'accusa al Duca di Denver, possono sembrare un po' fredde e schematiche e per questo motivo impedire alla storia di far presa fin da subito sul lettore, su questo sono d'accordo; ma dire che siano del tutto inutili mi sembra esagerato. I processi descritti in questo romanzo riescono ad essere piacevoli da seguire, anche se personalmente non nutro un particolare interesse per la pratica giuridica, che considero troppo ingessata e burocratica; essi vengono condotti con mano esperta e in modo da mantenere alta l'attenzione di chi legge, forniscono indizi utili per comprendere le azioni dei personaggi, a volte riescono addirittura a spezzare la tensione grazie all'intervento di qualche testimone indisciplinato. Inoltre, grazie al dibattito alla Camera dei Lord (pp. 114-115, insieme ai capp. 14-15-17-18), ci viene tramandato il dettagliato procedimento attraverso cui un Lord viene processato dai suoi Pari in Inghilterra. Una delle caratteristiche che preferisco delle crime novels classiche è proprio quella di riuscire a riportare ai giorni nostri un pezzetto di passato, con i suoi usi e costumi; perciò, come posso non apprezzare un coronamento all'indagine vera e propria come questo? Ma non è solo dal punto di vista tecnico che questi passaggi hanno suscitato il mio interesse; anche dal lato prettamente umano non sono da trascurare. L'atteggiamento dei giudici (soprattutto di Sir Impey) mette in luce l'astuzia innata di queste figure maniacali dal punto di vista del controllo delle prove e delle testimonianze; eppure, ciò non sovrasta del tutto l'affabilità e simpatia dei principi del foro che emergono nella loro quotidianità, al di fuori del ruolo istituzionale. Il delizioso scambio di battute riguardo una bottiglia di Porto (pp. 168-169), con i suoi riferimenti ironici e le amabili osservazioni, è solo una delle tante prove lampanti di questa doppia natura, che si possono trovare all'interno del capitolo 10 e, oltre tutto, mettono in mostra la capacità dell'autrice di tirare fuori dal cilindro inaspettati siparietti.

In secondo luogo, poi, vorrei evidenziare la moderna varietà della narrativa che Sayers è in grado di infondere in ogni suo libro: spesso, i personaggi viaggiano in lungo e in largo per il mondo, al fine di risolvere un caso (come accade per la trasferta di Parker in Francia, al capitolo 4, e la doppia traversata oceanica da parte di Lord Peter nel finale di "Gli Occhi Verdi del Gatto"); più di una volta vengono inseriti differenti tipologie di testo, quali articoli di giornale (p. 67), lettere (pp. 81, 112), resoconti giuridici (cap. 1) e tabelle (pp. 187-188); si contano innumerevoli citazioni letterarie (fondamentali quelle al Manon Lescaut di Antoine Francois Prévost), anche senza considerare quelle poste all'inizio di ogni capitolo; non manca il riferimento a personaggi e casi reali, come quelli di Earl Ferrers e il celebre patologo Bernard Spilsbury; le ambientazioni spaziano dalla tenuta di Riddlesdale a Rue St. Honoré e Rue de la Paix, per poi tornare a villaggi di campagna simili al Fenchurch St. Paul di "Il Segreto delle Campane" o a club di simpatizzanti comunisti duri e puri (che l’autrice mette alla berlina, con un’arguzia impareggiabile). Sicuro, tali elementi possono risultare pomposi e "ridicolmente snob", come osserva il critico Julian Symons nel saggio "Bloody Murder", se messi tutti assieme; ma indicano in modo indiscutibile anche cultura, voglia di innovazione, elasticità e scorrevolezza. Niente viene lasciato al caso da parte della scrittrice: le rilevazioni scientifiche sono proprio come quelle che ci si aspetterebbe di veder essere messe in pratica dagli specialisti, ogni brano viene soppesato e perfezionato, i dialoghi sono espressi con vivacità e un tipo di linguaggio consoni al tono; per non parlare dei temi che lei ha saputo trattare in questo romanzo. Insomma, Dorothy L. Sayers si dimostra capace di unire più elementi della crime story del suo tempo, amalgamandoli in modo sorprendente e mai banale; sia nel descrivere una piacevole colazione tra personaggi quanto meno alto-borghesi, sia nel momento di ideare un enigma che, pur ancora imperniato sul "come" piuttosto che sul "chi", si dimostra all'altezza delle aspettative. "Gli Occhi Verdi del Gatto" non è forse l'opera migliore della Sayers, poiché ancora legato alla sua ostilità nei confronti del cosiddetto "interesse amoroso", a uno stile acerbo e al superficiale approfondimento del carattere di alcuni personaggi; però non riesco lo stesso a non considerare questo libro come una prova più che valida di mystery classico, oltre che una storia stupenda dal punto di vista dell'esistenza personale della sua autrice.

Dorothy Leigh Sayers, nata nel 1983 e
morta nel 1957
La scrittura di "Gli Occhi Verdi del Gatto", infatti, risale a un momento molto difficile nella vita di Dorothy Leigh Sayers, nata a Oxford il 13 giugno 1893. Esso fu il frutto di un periodo di riposo forzato, durante il quale lei diede segretamente che alla luce nientemeno che un figlio illegittimo, nato dalla relazione con un tale di nome Bill White, il quale aveva già intrapreso un rapporto stabile con un'altra donna e non voleva avere niente e a che fare con lei e il bambino. Pur dotata di un precoce ingegno, che le permise di imparare il latino e il francese prima dei dieci anni, di diventare una poetessa esuberante (aveva un "fiammeggiante gusto nel vestire") mentre ancora studiava al Somerville College e di eccellere nel campo della pubblicità, Dorothy era pur sempre stata educata in una famiglia molto religiosa, da un padre e una madre che vedevano nel peccato la più grande sciagura; per questo motivo non disse loro niente a riguardo e prese la gravidanza inaspettata con un forte atteggiamento negativo. Vedeva in quel piccolo esserino, che amava con tutta se stessa, il frutto della propria cattiva condotta; e il complicato piano che riuscì a mettere in pratica per assicurare un avvenire al bambino servì ben poco a sollevare il peso dalla sua coscienza. Per tutta la vita serbò nel cuore il timore di essere scoperta e sbugiardata davanti al mondo intero, e non aiutò di certo il fatto che finì per sposarsi con un uomo dal carattere duro; soltanto la pubblicazione di raccolte, traduzioni e romanzi gialli con protagonista il suo aristocratico Peter Wimsey riuscivano a darle sporadici sprazzi di felicità, insieme agli eventi mondani cui partecipava ogni tanto, come la rappresentazione di una sua opera teatrale o una cena del Detection Club. Dorothy L. Sayers (pretese che la "L" del cognome della madre fosse sempre inserita tra nome e cognome sulla copertina dei suoi romanzi) prese molto a cuore quest'associazione e suoi membri: sostenne sempre fermamente che le opere dei suoi colleghi, come le sue, dovessero soddisfare alti standard in fatto di stile ed ingegnosità, così da "riportare la detective story al suo antico splendore", e strinse un forte legame di amicizia soprattutto con alcune delle sue colleghe più risolute, come Helen de Guerry Simpson. Tuttavia, nonostante ciò, non riuscì mai ad aprirsi con nessuno riguardo i propri tormenti personali e non rivelò mai ai suoi compagni di essere madre. Considerava quella gravidanza come un "amaro peccato", e trasformò l'esperienza disastrosa in un vero e proprio trauma: "Adesso sono spaventata da qualunque sentimento" avrebbe considerato più avanti. Quest'ultima, insieme al fallimento del proprio matrimonio, la frustrò a lungo finché, il 17 dicembre 1957, una trombosi coronaria mise termine alla sua movimentata esistenza.

Per quel giorno, tuttavia, aveva già smesso di scrivere crime novels; ma non di occuparsi dell'animazione del Detection Club e della sua attività di critico. Dimostrò un talento particolare nello stimolare gli altri a produrre il meglio che potevano, non da meno di quanto fece lei stessa. Tutti i suoi romanzi gialli dimostrano una capacità fuori dal comune nel capire le persone, i loro bisogni e i loro desideri; non ebbe paura di applicare la sua "straordinaria vitalità" per studiare gli ultimi ritrovati della scienza, e non si fece scrupoli ad inserire nei suoi libri tematiche e situazioni che, al momento in cui scrisse, dovettero fare molto scalpore; prime tra tutti quelle riferite al femminismo e alla fedeltà familiare. Proprio il concetto di famiglia risulta essere il punto cardine attorno a cui ruota "Gli Occhi Verdi del Gatto", allo stesso modo di come la semplice vita nelle campagne inglesi aveva costituito il pretesto e il fulcro della narrazione in "Il Segreto delle Campane". Oltre ad introdurre alcuni personaggi che sarebbero tornati nelle successive avventure di Lord Peter, come sua sorella Mary, Freddy Arbuthnot, Impey Biggs e altri, e a dare avvio all'idillio tra Mary e l’ispettore Parker, esso descrive appieno come i membri di un nucleo domestico sappiano relazionarsi l'uno con l'altro. Penso che, per la Sayers, sia stato un modo per tenere vivo nei proprio pensieri il ricordo del padre e della madre, per esprimere il desiderio di potersi costruire un focolare personale assieme all'uomo giusto e per sconfiggere la solitudine della sua forzata e volontaria segregazione. Il dramma familiare contribuisce a conferire al mistero un'aura di tensione e di drammaticità, che mette in luce il lato meno distaccato di Lord Peter e dei personaggi tipici della crime story classica. Sebbene quelli secondari non siano molto tratteggiati, infatti, i membri dei Wimsey vengono sviscerati a fondo, ci viene raccontato come essi reagiscono alla tragedia che si è abbattuta su di loro, ognuno con il proprio carattere singolare: Gerald e Mary, spaventati dal fatto di poter far del male alle persone che amano, decidono di non rivelare più alcun dettaglio riguardo al caso di omicidio; la duchessa madre, vero portento dell'età vittoriana trasportato a tempi più recenti, dimostra un atteggiamento risoluto ma comprensivo, come solo una madre può fare (da notare pp. 118-122 e 152-156); lo stesso Wimsey si trova a dover mettere da parte i propri sentimenti per portare a termine l'indagine di cui si è fatto carico e scagionare il fratello da tutte le accuse. Ma anche Parker, che mostra le prime avvisaglie di un interessamento più profondo nei confronti di Mary (pp. 215-216), e il fedele Bunter, con il suo comportamento sempre impeccabile ma non per questo freddo e distaccato, mostrano un'evoluzione nei loro sentimenti.

Proprio il maggiordomo costituisce uno dei personaggi più riusciti del libro, essendo a sua volta un segugio formidabile che raccoglie informazioni preziose dalla cameriera Ellen, grazie ai suoi modi affascinanti, e un elemento fondamentale per la sopravvivenza del suo signore. Il rapporto tra Bunter e Peter, infatti, è uno tra i più singolari della letteratura del mistero: a differenza di quello instaurato tra Poirot e Hastings, ad esempio, oppure tra Roderick Alleyn e "fratello" Fox, il legame tra loro non si basa solo su amicizia o complicità lavorativa, ma anche sul fatto che uno è tecnicamente padrone dell'altro. Eppure, ciò non sembra offrire ostacoli di alcuna sorta; Bunter è a tutti gli effetti alla pari con Peter, sia nel ruolo di investigatore sia di essere umano: un altro elemento che dimostra come la Sayers sia avanti sui suoi tempi. Anche se forse non ce ne accorgiamo spesso, lei ci ha consegnato numerosi personaggi non solo divertenti ma anche moderni, i quali si fanno veicolo di temi e messaggi molto profondi. Essi sono piccoli tasselli, all'apparenza insignificanti e molto spesso tediosi nel loro ruolo impettito, però ci parlano anche della vita reale e affrontano problemi senza dare facili risposte. L'amara riflessione sulla triste condizione della donna (soprattutto nelle campagne) ne hanno fatto un simbolo del femminismo (anche se lei odiava essere definita tale) e rappresenta uno degli elementi più importanti del romanzo, insieme al ruolo che questa figura può assumere all'interno della società (a mio parere, Mary Wimsey può essere vista come un prototipo di Harriet Vane, alter ego della stessa Sayers). "Gli Occhi Verdi del Gatto", insomma, risulta essere un giallo delizioso, con tocchi di humor e un ritmo che, seppur lento, non risulta sgradevole da seguire, con i suoi siparietti ben scritti e non irritanti, come ha osservato John Curran in "I Quaderni Segreti di Agatha Christie". Lo stesso finale, nella sua apparente semplicità, risulta coerente e suggestivo, con un pizzico di malinconia che me lo ha reso irresistibile. Mi rendo conto di essere forse troppo poco critico; però questo libro mi è piaciuto proprio tanto. E spero di avervi convinto di quanto esso, sotto sotto, sia meritevole di una lettura.

Link all'edizione italiana su Amazon
 

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venerdì 19 luglio 2019

"Il Segreto delle Campane" ("The Nine Tailors", 1934) - Dorothy L. Sayers

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore
Se c'è una crime novel che, sull'onda della sperimentazione e dell'innovazione che caratterizzarono la Golden Age del romanzo giallo, si è spinta ai limiti del genere e ha provato a romperne gli schemi, quella è stata "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers. Ispiratrice di numerosi altri romanzi gialli (come "The Bishop's Crime" di H. C. Bailey e "Dead Men's Morris" e "St. Peter's Finger" di Gladys Mitchell), sotto certi aspetti essa presenta un delitto decisamente tradizionale, con un misterioso omicidio avvenuto in un sonnolento villaggio sullo stile di St. Mary Mead (dove vive l'arguta Miss Jane Marple di Agatha Christie) e una cerchia di sospetti poco estesa, in cui l'investigatore dilettante indaga a fianco della polizia, tra false piste e indizi incomprensibili, per individuare il colpevole. Eppure, come nei mysteries più sorprendenti, ben presto ci accorgiamo di trovarci davanti a un libro dove, accanto all'ambientazione e al clima di distensione campagnoli, tipici delle storie classiche, vengono accostati temi inconsueti e uno stile complesso ma non per questo astruso, in cui l'attenzione per i dettagli della vita della gente comune assume un'enorme importanza e risulta fondersi in un genere misto, così da mettere insieme l'indagine ordinaria con un tipo di narrazione più descrittiva nel tratteggiare, giorno per giorno, il carattere e l'esistenza di un gruppo di persone e le piccole e grandi sfide che esse si trovano a dover affrontare: ovvero, quella della cosiddetta comedy of manners. Una vicenda insolita, insomma, in cui il paesaggio diventa parte del mistero e agli stereotipi artificiosi viene sostituita la personalità dell'individuo.

Siamo nella regione dei Fens, nell'East Anglia. È la vigilia di Capodanno e lord Peter Wimsey, insieme al fedele Bunter, si sta dirigendo a Walbeach per trascorrervi le feste, quando l'auto su cui i due viaggiano finisce fuori strada a causa della bufera di neve che imperversa sulla desolata pianura spazzata dal vento, costringendoli a cercare rifugio nel vicino villaggio di Fenchurch St. Paul. Lì vengono accolti con estremo calore nella canonica, sita accanto alla cattedrale che svetta alta contro il cielo, dall'entusiasta rettore Venables e dai suoi amici i quali, rispettosi di un'antica tradizione, si preparano a eseguire un concerto di campane di nove ore per salutare l'anno venturo, così da stabilire un nuovo record e festeggiare in allegria. Tuttavia, poche ore prima dell'inizio della grande esibizione musicale, giunge la notizia che uno dei campanari, Will Thoday, si è ammalato e non potrà partecipare all'impresa, rischiando di rendere vani i sogni di gloria dei suoi compagni... Se non fosse che Sua Signoria può vantare trascorsi come suonatore di campane, per cui si propone come sostituto per ricambiare la gentile ospitalità del rettore e permettere a quella gente semplice di realizzare il loro grandioso progetto. Il sacerdote e i suoi compagni accettano di buon grado l'offerta, e durante la notte tra il 31 dicembre e il mattino del 1° gennaio l'esibizione, con grande soddisfazione e felicità di tutta la popolazione, viene portata a compimento; ma al rientro nella canonica una triste notizia aspetta i concertisti: Lady Thorpe, la moglie del signorotto locale, è in fin di vita e desidera ricevere l'estrema unzione prima di morire. Una disgrazia, osserva la signora Venables, mentre il rettore si affretta a raggiungere Red House; soprattutto se legata alla cattiva salute di Sir Henry e a tutta una serie di guai che si è abbattuta sulla sua famiglia, tra cui il vecchio scandalo, mai del tutto dimenticato, legato alla collana di smeraldi di lady Wilbraham. "Quale collana?" chiede lord Peter, incuriosito.

Si tratta, spiega la donna, di un efferato furto avvenuto poco prima della Grande Guerra: in quel periodo il maggiordomo di Red House, tale Deacon, aveva sottratto un gioiello dal valore inestimabile a un'ospite dei suoi padroni; e sebbene fosse stato presto identificato come l'autore del crimine insieme alla sua giovane moglie, Mary Russell (ora signora Thoday), e a un complice londinese di nome Cranton e fosse stato consegnato alla giustizia, nessuno era mai riuscito a recuperare il maltolto. In seguito Deacon era stato spedito in prigione e, poco dopo, ucciso in un tentativo di fuga. Un caso doloroso, che ancora perseguita i Thorpe ma ormai, immagina lord Peter mentre si prepara a lasciare Fenchurch St. Paul, troppo remoto per poter essere risolto... O forse no? Pochi giorni dopo la sua partenza, infatti, nel cimitero del villaggio viene trovato un cadavere sfigurato, con le mani mozzate e sepolto in gran fretta nella tomba di un altro defunto. Chi è lo sconosciuto, e come ha fatto ad arrivare lì senza che nessuno si accorgesse di niente? Si tratta forse dell'uomo che Sua Signoria aveva incontrato allontanandosi da Fenchurch e che, grazie ad alcuni tratti caratteristici, aveva riconosciuto come un ex galeotto? Il rettore Venables chiede aiuto a lord Peter per risolvere il caso e quest'ultimo accetta di affiancare la polizia nelle sue ricerche, imbarcandosi in un'indagine parallela a quella del sovrintendente Blundell, lunga un anno intero, tra l'Inghilterra e la Francia, al seguito di un criminale sparito dalla faccia della terra e di un uomo che sostiene di aver perso la memoria, tra crittogrammi da decifrare e allegre descrizioni della vita rurale degli abitanti del villaggio; fino a tornare al Natale e allo stesso Fenchurch St. Paul, dove i fili verranno sciolti da Sua Signoria in un finale che richiama fortemente la scena dello sbarco dall'Arca di Noè, con i campi allagati e le nove campane della cattedrale intente a ruggire la propria immortalità e onnipotenza.

Dorothy Leigh Sayers, nata nel 1893
e morta nel 1957
"Il Segreto delle Campane" non è affatto un romanzo "semplice"; o meglio, non è da prendere alla leggera. Spesso i gialli vengono tacciati di essere frivoli o addirittura scadenti nelle loro trame e nella trattazione superficiale di temi importanti; in questo caso, invece, ci troviamo di fronte alla diretta antitesi di tutto questo: non c'è nulla di insensato, di futile, di vacuo nel libro di Dorothy L. Sayers; anzi, c'è chi ha affermato che questo volume abbia addirittura superato tutti i limiti in senso opposto. La complessità del suo stile, ad esempio, ha spinto il critico Edmund Wilson a giudicare "Il Segreto delle Campane" come "uno dei romanzi più noiosi che avessi mai letto"; mentre Queenie Leavis, riferendosi alla sua opera completa, accusò la Sayers di voler rifilare al lettore "un esercizio intellettuale che egli odia nel caso esso gli venga sottoposto" (opinione alquanto discutibile). Per conto mio, credo che i manierismi della scrittura della grande Dorothy (comprese le numerosissime citazioni, all'inizio di ogni capitolo o nel mezzo del racconto) siano più che giustificati in un romanzo del genere, in cui parte del fascino sta nel lasciarsi trasportare nei luoghi e nelle digressioni, i quali ci aiutano a comprendere meglio il contesto descritto nella vicenda.

Eppure sono consapevole che, a volte, chi legge una crime novel non vuole far altro che distrarsi un po', e quindi una tale profusione di eloquenza può intimorire e annoiare. Se questo è il vostro caso, sareste i primi a stroncare "Il Segreto delle Campane". Sareste frustrati dal continuo riferimento alla campanologia, questa antica arte misteriosa, che vanta illustri trascorsi solo in terra d'Albione e che ci appare estranea alla soluzione del caso, e vi chiedereste perché l'autrice si ostini a fare riferimenti alla tradizione anglosassone del cosiddetto bell-ringing, con tanto di date e aneddoti su grandi concerti del passato, e ad inserire nozioni sulle campane "messe in piedi", "chiamate nel mezzo", "a rovescio" o "in anticipo", che agli occhi del lettore medio non potranno mai possedere alcuna importanza. Trovereste tediosi i discorsi sulle maree dei Fens, in cui si spendono pagine e pagine a disquisire sulle dighe, che vengono aperte o chiuse e hanno un così importante ruolo nelle faccende politiche del Governo inglese dei primi del Novecento. Non vedreste la necessità di soffermarsi sugli aneddoti della storia del paese e dei suoi abitanti, di riportare parola per parola le iscrizioni incise sulle campane di Fenchurch St. Paul, di raccontare le tribolazioni a cui fanno fronte i contadini e gli artigiani che compongono l'esiguo numero degli abitanti del villaggio. Insomma, vi aspettereste un'esposizione del caso chiara e rapida come di solito accade con quella campionessa di lucida onestà e sottile inganno che è Agatha Christie. Eppure qui è Dorothy L. Sayers a muovere i fili dei burattini, quell'erudita, coraggiosa, franca, vigorosa, fragile, sperimentatrice e puntigliosa matrona del buon costume e fervente sostenitrice dell'alta letteratura.

"Floods" by Roland Vivian Pitchforth, c. 1935 (Pulborough,
Sussex) raffigurante una piena in campagna
Nata a Oxford il 13 giugno 1893, Dorothy Leigh Sayers rivelò fin dall'infanzia un precoce ingegno che le permise di imparare il latino e il francese prima dei dieci anni, di diventare una poetessa esuberante (aveva un "fiammeggiante gusto nel vestire") mentre ancora studiava al Somerville College e di eccellere nel campo della pubblicità, quando tornò a Londra in seguito a un breve ed infelice periodo trascorso in Francia. Nel 1924 riuscì a pubblicare il suo primo romanzo giallo, "Peter Wimsey e il Cadavere Sconosciuto", ma allo stesso tempo dovette affrontare una gravidanza segreta e dare alla luce un figlio illegittimo contando solo sulle sue forze, poiché il padre del piccolo aveva già intrapreso una relazione stabile e non voleva avere alcun rapporto con esso; inoltre poco dopo si sposò con un uomo dal carattere duro e perse entrambi i genitori. Iniziò così un lungo calvario, punteggiato da sporadici sprazzi di felicità quando un nuovo volume della serie di Peter Wimsey (tutti tradotti in italiano, tranne "Gaudy Night") vedeva la luce, oppure in occasione di eventi mondani come la rappresentazione di una sua opera teatrale o una cena del Detection Club. Dorothy L. Sayers (pretese che la "L" del cognome della madre fosse sempre inserita tra nome e cognome sulla copertina dei suoi romanzi) prese molto a cuore quest'associazione e suoi membri: sostenne sempre fermamente che le opere dei suoi colleghi, come le sue, dovessero soddisfare alti standard in fatto di stile ed ingegnosità, così da "riportare la detective story al suo antico splendore", e strinse un forte legame di amicizia soprattutto con alcune delle sue colleghe più risolute, come Helen de Guerry Simpson. Tuttavia, nonostante ciò, non riuscì mai ad aprirsi con nessuno riguardo i propri tormenti personali e non rivelò mai ai suoi compagni di essere madre. Considerava quella gravidanza come un "amaro peccato", e trasformò l'esperienza disastrosa in un vero e proprio trauma: "Adesso sono spaventata da qualunque sentimento" avrebbe considerato più avanti. Quest'ultima, insieme al fallimento del proprio matrimonio, la frustrò a lungo, finché non venne il 17 dicembre 1957 e una trombosi coronaria mise termine alla sua esistenza.

Una delle immagini presenti nell'edizione
della Polillo Editore, raffigurante la
Cattedrale di Fenchurch St. Paul e un
dettaglio del suo soffitto
Dorothy L. Sayers, in sintesi, fu una straordinaria narratrice che, sebbene avesse vissuto tanti momenti di dolore e di difficoltà come Christie, ebbe una formazione (fu una delle prime donne a laurearsi) e una concezione della crime story molto differente da quelle dalla collega. Basta conoscere a grandi linee la sua vita per capire come l'approccio alla sua opera (e a questo libro) debba almeno provare ad essere diverso. Ci viene chiesto di immergerci in esso con tutti noi stessi, con lo spirito di voler intraprendere una lettura meno superficiale di quella che, all'occorrenza, metteremmo in pratica con i romanzi di Christie. Di cambiare punto di vista, ad esempio, e di immaginare per un momento che le questioni sulla campanologia, le maree e gli innocenti accenni alle vite della gente vengano tagliate da questo romanzo; che cosa resterebbe? Il nostro caso, ovviamente, ma più povero e... meno intrigante. Perché, se ci pensiamo bene, quelle parti non sono passaggi così inutili come poteva sembrare all'inizio, piccoli tasselli all'apparenza insignificanti, ma elementi si cui viene costruito uno degli enigmi più sorprendenti della Golden Age del giallo; almeno, questa è la mia opinione personale. Le chiuse e le vicende ad esse legate contribuiscono a tratteggiare meglio la descrizione dei luoghi e ad esaltare l'ambientazione in cui si svolge la storia, sapientemente tratteggiata in numerosi paragrafi, così come la chiesa con le sue funzioni potenti, e la rievocazione della battaglia sulla Somme in Francia permette al lettore di raffigurarsi meglio come devono essersi svolti i fatti al di là della Manica. È questo uno dei punti forti del romanzo, con le descrizioni accurate che soltanto chi ha vissuto nella zona del Fens o ha percepito sulla propria pelle le vicende della guerra può raccontare; e anche i dialoghi (insieme alla struttura stessa del romanzo, sotto forma di saggio sullo studio dei concerti di campane) denotano una sapiente costruzione, a volte leggeri e simpatici, altre densi e appassionanti.

Ci facciamo sommergere dalla parlantina del rettore Venables (tipico esempio dello humor insito nella scrittura di Sayers), ospitale, entusiasta, con una fede incrollabile, che ci racconta di questo e di quello, ma non è qualcosa che crea disturbo alla narrazione; anzi, magari ci divertiamo pure a sapere che sta facendo tardi per chissà quale appuntamento ma continua a trattenersi per parlare a ruota libera del più e del meno, e nel frattempo il tempo all'interno del romanzo, scandito dal trascorrere delle quattro stagioni, riesce a scorrere con grande fluidità e senza scatti frenetici, come se assistessimo in prima persona a quanto accade davanti ai nostri occhi. I personaggi (lord Peter primo tra tutti, col suo umorismo misto ad intelligenza, ma anche Hilary Thorpe e Will Thoday che ad modo loro, un po' una e un po' l'altro, incarnano alcuni pensieri dell'autrice sull'esistenza) risultano quindi divertenti e credibili, proprio grazie al loro essere genuini, con quel misto di sbadataggine e solennità che li caratterizza, tra battibecchi, orazioni funebri e piccoli gesti quotidiani trasformati in grandi azioni, pervasi da una sorta di austera maestosità che li esalta. Un gruppo di abitanti della campagna inglese di inizio Novecento, vivi come se li vedessimo con i nostri occhi e provinciali, tra i quali la religione gioca un ruolo importantissimo nella vita di tutti i giorni. Figlia di un pastore della Chiesa Anglicana, Dorothy L. Sayers aveva un forte senso del peccato e di cosa fosse giusto o sbagliato; e in "Il Segreto delle Campane" si possano rintracciare queste influenze, dal timore che certi personaggi provano di fronte ai propri gesti a una sorta di fatale destino che sembra abbattersi su coloro che si sono comportati male. L'enigma stesso, di altissimo livello, non subordinato alle eccellenti ambientazione e scrittura, con una struttura basata su colpi di scena e frequente azione, e capace di presentare indizi ma, allo stesso tempo, di nascondere la verità, ci mostra come sembri esserci una forza più grande di noi a giudicare l'uomo. "[Dio] è un giudice giusto, forte e paziente, e viene offeso ogni momento" ci ricorda il rettore Venables, e così sembrano fare Batty Thomas, Paul Taylor, Gaude, Jubilee, Dimity, Sabaoth, John e Jericho, le maestose campane della cattedrale che ruggiscono elevandosi al cielo, simili a giganti, in questa storia di fede e giustizia inevitabile, dove chi ha peccato viene raggiunto dalla mano di Dio ovunque si trovi per essere condotto al patibolo che gli spetta. Un insegnamento forse un po' dogmatico, ma di sicuro efficace, che ha reso "Il Segreto delle Campane" il mio romanzo giallo preferito.

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