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venerdì 14 agosto 2020

42 - "La Morte Cammina per Eastrepps" ("Death Walks in Eastrepps", 1931) di Francis Beeding

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore

All'interno della crime story in generale, classica o contemporanea che essa sia, il sottogenere del giallo sul serial killing (ovvero sull'uccisione indiscriminata di persone in rapida successione) è forse uno tra i più battuti dagli scrittori di genere. Soprattutto se applicato al thriller, come è accaduto negli ultimi tempi, esso viene declinato in innumerevoli forme, nonostante la qualità dell'enigma si sia via via sempre più concentrata sugli aspetti deviati della psicologia dell'assassino, tralasciando l'elemento del fair play e una costruzione di indizi a portata del lettore atta a permettergli di scoprire la verità per conto suo. In ogni caso, al pubblico di appassionati questa mancanza (tanto grave per i fan del romanzo del mistero tradizionale e i puristi del rompicapo) pare non preoccupare più di tanto, vista la mole di carta stampata che viene pubblicata al giorno d'oggi a riguardo; forse ciò sarà in parte dovuto alla mera fantasia degli autori, ma sono convinto che loro non sarebbero tanto prolifici se i lettori si fossero stufati di divorare le loro opere. Il giallo del serial killer, quindi, al giorno d'oggi gode di una grande popolarità che non smette di sorprendere e non accenna a diminuire; e ciò fa ancora più specie se si considera che questo tipo di romanzo ha origini ben più datate di quanto si possa pensare. Infatti, come riporta Martin Edwards nel suo "The Story of Classic Crime in 100 Books", la letteratura fittizia ha iniziato ad occuparsi delle uccisioni in massa e indiscriminate ben prima dell'avvento della Golden Age. Addirittura prima dei delitti di Whitechapel, nonostante siamo ormai abituati ad affiancare la figura di Jack lo Squartatore a quella del primo individuo che si sia prodigato nel compiere crimini efferati e azioni delittuose in sequenza, il serial killer era una creatura conosciuta; anche se non veniva certo definito in questo modo.

Sempre secondo l'ottima guida di Edwards (che vi consiglio di recuperare, assieme a "The Golden Age of Murder"), era infatti già celebre la serie di assassinii di Ratcliffe Highway, nel corso della quale vennero attaccate due famiglie separate e trovarono la morte ben sette persone; tanto che questa fornì l'ispirazione a Thomas de Quincey per il suo "L'Omicidio come una delle Belle Arti". Inoltre, apparteneva alla storia fin dalla metà del diciannovesimo secolo pure l'audace serie di delitti perpetrati da William Palmer, la quale venne citata in esempi di letteratura del mistero quali il racconto "La Banda Maculata" di Arthur Conan Doyle e "Bellona Club" di Dorothy L. Sayers, e fornì alcuni aspetti peculiari del caso in "Il Sospetto" di Francis Iles e "Murderer at Large" di Donald Henderson. Nonostante ciò, tuttavia, furono gli omicidi dello Squartatore a catturare l'attenzione della fiction letteraria, dal momento che posero per la prima volta la questione sul fatto se la psicologia dell'omicida fosse del tutto preda di istinti selvaggi, oppure fosse essa governata da un movente razionale che si sposasse in qualche modo con la brutalità delle uccisioni. Fu questo aspetto del caso che fornì l'ispirazione agli autori della Golden Age (e ad alcuni giallisti d'oltreoceano, come Ellery Queen e Patrick Quentin) per immaginare una declinazione dell'indagine su un pazzo adatta alle loro storie; e il risultato fu che effettivamente qualcosa poteva nascere da una simile riflessione, tanto che in molti riuscirono a dare vita a storie spettacolari, pur senza rovinare la sorpresa del lettore con l'indicazione di un un assassino palese. Tra gli altri, visto che siamo in tempo di vacanze, oggi voglio concentrarmi su "La Morte Cammina per Eastrepps" di Francis Beeding (Polillo Editore, 2005), un romanzo che tratta una storia di questo tipo ma non si limita a fare ciò. Oltre al terrore serpeggiante nella cittadina sul mare che si ritrova preda di un maniaco omicida, all'atmosfera di tensione e di sospetto che grava sui personaggi del caso e alla sensazione che tutti covino sentimenti poco lusinghieri, è la questione sulla pazzia e su come essa viene trattata dal prossimo ad occupare il fulcro delle vicende; oltre a una pungente critica alla giustizia che non riesce sempre a svolgere il compito che le viene assegnato, a causa dell'influenza del sentimento nel rigido scorrere dei propri ingranaggi.

Bathing Machines, Aldeburgh (Suffolk), Eric Ravilious, 1938,
il quale potrebbe raffigurare la spiaggia di Eastrepps in seguito
al fuggi fuggi generale suscitato dal Mostro

La trama si apre con una scena alla stazione di Fenchurch Street, a Londra. Il signor Robert Eldridge, direttore di una società londinese, siede in uno scompartimento da solo e sta recandosi in tutta segretezza fino ad Eastrepps, una cittadina sul Mare del Nord, dove conta di trascorrere la consueta serata del mercoledì con la sua amante, Margaret Withers. Finché la donna non riuscirà ad ottenere l'affidamento della figlioletta e il divorzio alle proprie condizioni (cosa che, se ella si è resa colpevole di adulterio, non è possibile nell'Inghilterra del tempo), i due innamorati devono mantenere tutti all'oscuro delle loro manovre per vedersi; pertanto, Eldridge ha elaborato un complicato piano che prevede la sua permanenza in città un solo giorno, invece che due, e la costruzione di un alibi fasullo che metta a tacere le chiacchiere dei compaesani di Margaret. Ormai sono sei mesi che la faccenda si protrae, e tutto pare andare per il meglio; una bella soddisfazione per l'uomo, il quale ha trascorso molti anni lontano dall'Europa a causa di una bancarotta fraudolenta, per la quale non ha mai scontato alcuna condanna e molti personaggi di Eastrepps hanno patito delusioni e ingenti perdite di denaro. Eppure, il rapporto tra Eldridge e Margaret è destinato a subire più di uno scossone: infatti il cugino della donna, Dick, ha scoperto la tresca tra i due e intende ricattarli, sia per racimolare facilmente più denaro possibile senza faticare, sia per riportare accanto a sé la donna di cui è innamorato da sempre.

Ma non è finita qui; la sera in cui Eldridge si reca a Eastrepps in incognito, la signorina Mary Hewitt viene assassinata in un boschetto poco lontano dalla casa di Margaret. La scoperta del cadavere, il mattino seguente, getta la cittadina nel terrore e i poliziotti del posto, l'ispettore Protheroe e il sergente Ruddock, nel panico più totale, dal momento che fattacci del genere accadono piuttosto di rado da quelle parti. La poveretta non aveva nemici; quindi deve trattarsi di un assassinio dovuto a un pazzo, pensano i concittadini della vittima, a partire dalla gentile signora Dampier, che nelle sere d'estate siede sempre nel suo giardino. Così, ognuno fa la propria parte per dare una mano nelle indagini; persino il baronetto Alistair Rockingham, affetto da un fortissimo esaurimento nervoso, non vede il motivo per cui qualcuno dovrebbe sottrarsi al fare il proprio dovere; soprattutto se ciò gli permette di mettersi in bella mostra col gentil sesso. Peccato che la situazione degeneri ben presto: alla signorina Hewitt, succederanno una seconda vittima, e una terza, e una quarta, e una quinta; tutte legate tra loro dal fatto di essere state truffate da Robert Eldridge... Finché la situazione diventa insostenibile e la gente si rinchiude in casa, mentre i turisti accorsi ad Eastrepps fuggono a gambe levate e una ronda pattuglia le strade. Solo i giornalisti assediano ancora la cittadina, alla ricerca di un Mostro che pare imprendibile anche da Scotland Yard, impersonata dall'ispettore Wilkins. Riuscirà la polizia ad arrestare il colpevole, o consegnerà alla corte un innocente e lo farà impiccare per colpe che non ha commesso?

Pianta di Norwich Road, Eastrepps, dove si trova la casa in affitto del
baronetto Alistair Rockingham

C'è qualcosa di magnetico nelle storie con i serial killer; meglio ancora se contenute in romanzi appartenenti alla tradizione classica. Esse sono capaci di avvincere chi legge e permettono di entrare nella mente dell'assassino per scoprire perché senta l'impulso di uccidere la gente secondo uno schema preciso. "La Morte Cammina per Eastrepps" non è stato il primo giallo di questo tipo che ho letto; nel mio caso, prima sono venuti "I Delitti di Praed Street" di John Rhode e "La Morte è Impazzita" di Philip MacDonald. Eppure è stato il romanzo di Beeding a restarmi più impresso tra questi tre, a causa della questione principale che esso ha sviluppato. Infatti, se nel caso di Rhode l'elemento dominante della trama era dato dai metodi con cui gli omicidi venivano perpetrati (oltre che dalla presenza di un gettone d'osso sulle vittime, usato come marchio dell'assassino, primo esempio di questo tipo in assoluto nell'immaginario del crimine) e in quello di MacDonald, curiosamente dello stesso 1931 di "La Morte Cammina per Eastrepps" ma molto diverso nel risultato, si trattava di una partita personale del colpevole contro la polizia e l'ordine costituito, continuamente messi alla prova e sfidati per il gusto del rischio, oltre che ridicolizzati; nel romanzo di Beeding invece la faccenda viene trattata in modo differente, soffermandosi soprattutto su come un assassino seriale possa essere mosso da una pazzia fino a un certo punto lucida, insospettabile a prima vista, e capace di dare vita a un piano diabolico per incastrare gli innocenti. In questo ultimo caso, a cui appartiene non solo il romanzo che recensisco oggi, ma pure "Delitti di Seta" di Anthony Berkeley, "L'Enigma dell'Alfiere" di S.S. Van Dine, "Il Gatto dalle Molte Code" di Ellery Queen, "Presagio di Morte" di Patrick Quentin e il celeberrimo "Dieci Piccoli Indiani" di Agatha Christie, è la psicologia dell'individuo a farla da padrone nello sviluppo della trama; quell'affascinante e terrificante insieme di impulsi ed emozioni che si palesano nel colpevole solo di tanto in tanto, al momento delle uccisioni, per poi tornare a nascondersi dietro la maschera, in attesa della prossima vittima.

Vittima che, bisogna precisare, all'interno del romanzo giallo classico non viene (quasi) mai scelta a caso, senza un fine preciso. A parte in un caso, infatti, mi sono sempre imbattuto in indagini che poi hanno portato alla scoperta di un assassino il cui movente poteva trovare una logica spiegazione. Pertanto, gli autori della Golden Age del giallo riuscirono a trasportare storie di ordinaria e sconclusionata follia all'interno di schemi in cui le azioni dei loro colpevoli psicopatici potevano essere spiegate; e lo fecero attraverso due strade: semplicemente nascondendo la pazzia dei malvagi sotto un'apparenza di civiltà, oppure dando a questi ultimi un movente abbastanza razionale da mettere in primo piano l'intelligenza necessaria alla riuscita del piano, piuttosto che la confusione di una mente stravolta dal delirio. Qualcosa del genere trova una chiara applicazione in "La Morte Cammina per Eastrepps", dove la pura Follia trova un'applicazione insospettabile e letale non soltanto grazie al proprio operato, ma addirittura sfruttando la Giustizia che avrebbe il compito di limitarla e condannarla. Si tratta di un discorso molto complicato, ma che trovo affascinante nel risultato che scaturisce dal romanzo di Beeding. In esso, infatti, a prima vista parrebbe che l'operato del Mostro di Eastrepps sia dettato da un arbitrio senza senso, dove l'importante è trovare una vittima qualunque per soddisfare la propria sete di morte e sangue. Non sembrerebbe esistere alcun legame tra i morti, nonostante ci venga suggerito nel sottotesto che essi un tempo sono stati truffati da Robert Eldridge alias Selby; però noi abbiamo letto come questi si sia recato a casa di Margaret, mentre la povera signorina Hewitt è stata brutalmente uccisa nel boschetto di Coatt, e pertanto lo escludiamo dai sospettati. In sintesi, insomma, il colpevole dovrebbe agire secondo un movente inconsistente ai fini dell'indagine classica, la sua "serie infernale" (per citare un romanzo su questo genere di Christie) è basata su uno schema in cui regna il caos e il cui fine non trova alcuna spiegazione logica. Tuttavia, come in un romanzi giallo classico che si rispetti, nella realtà dei fatti le cose non rispecchiano le apparenze: scopriamo infatti che la serie dei delitti ha uno scopo ben preciso, nasconde una motivazione più diabolica e sottile di quanto immaginassimo in un primo momento.

Certo, esiste pur sempre un fondo di sfida aperta con le forze dell'ordine costituito; ma non nel senso che uno potrebbe intendere fin dall'inizio. C'è un metodo terrificante nelle azioni dell'assassino, che contrasta con il concetto del serial killer a cui uno potrebbe essere abituato: non solo il movente trova una spiegazione simil-razionale al momento della spiegazione/confessione finale, tanto agghiacciante nella sua freddezza quanto comprensibile sotto alcuni aspetti, ma pure la scelta delle vittime mette in luce quanto possa essere lucida la pazzia, nonostante essa resti maligna e diabolica (pp. 58-63, 73-74, 114, 121-126, 129-133, 267-279). Ne consegue, dunque, che dalle pagine di "La Morte Cammina per Eastrepps" emerga una crudeltà impressionante, la quale si abbatte sugli innocenti e viene incarnata un po' da tutti i personaggi del caso. Badate, soltanto uno di essi esprime e in qualche modo orchestra la malvagità in modo totale, sebbene riesca a non farsi scoprire; però quello che ho colto dalla lettura è stato un generale senso di malessere. Anche individui che appaiono per poche pagine, come il colonnello Hewitt, la signora Dampier e Dick, si fanno portavoce di una società incattivita, gelosa e snob che si cura del proprio benessere e pare godere nel rigirare il coltello nella piaga. Ad esempio, le vittime del Mostro sono già state colpite dalla bancarotta dell'Anaconda Ltd. di Selby; eppure, proprio per questo, vengono pure uccise dopo più di dieci anni. Lo stesso Eldridge, tormentato dalla propria coscienza, ha intrapreso un percorso di miglioramento personale grazie a Margaret e (questa è una mia impressione) probabilmente avrebbe risarcito i suoi ex-azionisti una volta sposatosi; tuttavia, trova un'aperta ostilità da parte dei suoi concittadini, i quali decidono di condannarlo a morte non tanto per i sospetti di omicidio che gravano su di lui, quanto per i rigurgiti della vicenda della bancarotta fraudolenta, come se intendessero sostituirsi alla giustizia divina e colpirlo senza pietà. Lo stesso fatto che la testimonianza di Margaret in tribunale, decisa a salvarlo al costo di perdere l'affidamento della figlia, venga ribaltata sfruttando un'immagine di infedeltà coniugale distorta e puritana, mette in luce quanto possa essere traviato il cittadino incattivito e reso cieco. Pertanto, in questo romanzo viene messo in luce non solo quanto la Follia possa essere incanalata in un piano logico e schematico, ma anche come essa riesca a manipolare la mente di chi le sta intorno e il giudizio espresso dalla gente, attraverso l'esasperazione e la frustrazioni a cui uno può essere sottoposto. Le persone sono pedine funzionali al processo finale, sembra suggerire l'autore; innocenti pedinati, osservati, usati e mossi per raggiungere uno scopo terribile, ben preciso, e inquadrate in un progetto di strage grazie alle disgrazie che hanno patito. Sfruttando pure la Giustizia, se è il caso, e la polizia stessa per dare vita a un colpevole ideale; colpevole non tanto reale in quanto tale, ma piuttosto verosimile e apparente.

John Leslie Palmer, nato nel 1885 e morto nel 1944, e Hilary Aidan St.
George Saunders, nato nel 1898 e morto nel 1951, alias Francis Beeding

La psicologia e la capacità nel riuscire a pilotare il prossimo sono temi che vengono ripresi più volte all'interno della produzione crime di Francis Beeding. Probabilmente fu un interesse che accomunò la coppia che si nascondeva sotto questo pseudonimo; già, visto che furono John Leslie Palmer (1885-1944) e Hilary Aidan St. George Saunders (1898-1951) a costituire le due metà della ditta. Incontratisi a Ginevra alla Lega delle Nazioni, dove entrambi erano impiegati (Saunders vi arrivò dopo un periodo al Balliol College di Oxford e un'esperienza nelle Welsh Guards durante la guerra, mentre Palmer era a capo dell'organizzazione), i due divennero presto amici e decisero di intraprendere una collaborazione letteraria congiunta. Nella creazione di uno pseudonimo, entrambi fecero la loro parte: "Francis" era il nome con cui Palmer si sarebbe voluto chiamare, mentre "Beeding" era un villaggio del Sussex dove Saunders aveva un tempo posseduto una casa. Con questo nome diedero alle stampe numerose opere firmando, a partire dal 1925, diciassette spy stories con protagonista il colonnello Alastair Granby e quattordici romanzo gialli. La maggior parte dei libri contiene un numero all'interno del titolo ("The Six Proud Walkers", "The Four Armourers", "The Three Fishers"...), ma sono stati soprattutto i volumi privi di esso a passare alla storia del genere crime: "The Norwich Victims", il quale ha la peculiarità di essere corredato da vere e proprie fotografie dei personaggi principali; "La Morte Cammina per Eastrepps" e "Io ti Salverò", ambientato in un manicomio in Francia e dal quale Hitchcock trasse ispirazione per dare vita all'omonimo primo film sulla psicanalisi.

Con Palmer che creava personaggi e scriveva vivaci dialoghi, e Saunders che si curava delle parti descrittive, i due proseguirono per molti anni nel loro sodalizio, anche quando intrapresero carriere differenti: il primo si occupò per conto suo di opere teatrali, mentre il secondo, a partire dal 1938, divenne assistente bibliotecario alla Camera dei Comuni e durante il secondo conflitto mondiale lavorò presso il Ministero dell'Aeronautica, per poi tornare alla Camera dei Comuni. In ogni caso, i migliori romanzi gialli che scrissero furono quelli del primo periodo, "Io ti Salverò", "The Norwich Victims" e appunto "La Morte Cammina per Eastrepps". Quest'ultimo, in particolare, ha attirato le lodi di numerosi critici: Ellery Queen e Howard Haycraft lo definirono una pietra miliare e lo inserirono nella loro lista dei cento migliori romanzi del mistero, mentre il saggista Vincent Starrett lo giudicò nientemeno che uno dei dieci migliori gialli di sempre. Forse quest'ultima affermazione è un po' esagerata; ma resta il fatto che il libro rappresenta qualcosa di originale e innovativo per il tempo in cui venne scritto. Non soltanto per la rappresentazione della lucida Pazzia dell'assassino (a differenza di quella malata dell'invalida protagonista di "Murder Intended" e quella delirante di "Io ti Salverò", dove i malati del manicomio francese vengono indotti ad interpretare una sorta di culto satanico), ma anche per altri temi affrontati e uno stile capace di catturare l'attenzione come non mai. La cosa che mi ha colpito fin da subito di "La Morte Cammina per Eastrepps", infatti, è stata la grande attenzione conferita alle ambientazioni, essenziali ma evocative, che vengono tratteggiate nei momenti di assassinio (pp. 13-16, 22-23, 25, 31-32, 60-63, 67-68, 95, 99-102, 124-126, 137-138, 148-150, 164-169, 189-192, 258-259). Grazie ai continui cambi di punto di vista, invece di sentirci spaesati e confusi, riusciamo a farci un'idea delle vicende come se stessimo guardando una pellicola; osserviamo lo scorrere dei fotogrammi e ci sentiamo parte delle scene (non senza un pizzico di terrore, nel percorrere i viali deserti di Eastrepps oppure i campi coltivati immersi nella notte oscura). Il ritmo mantiene un alto grado di mistero e suspense senza diventare melodrammatico; e gli autori sono stati molto bravi in questo, poiché sono riusciti a trasmettere il senso di ansietà crescente e terrore dilagante man mano che le vicende si snodano (pp. 106-109, 118-119, 122, 142-143, 145-147, 164-169, 256-261). Ci sono tanti personaggi diversi: chi sarà il prossimo a morire? Questa è una domanda che finirà per tormentarvi, nonostante i caratteri che emergono dai protagonisti potrebbero non spingervi a dispiacervi troppo per loro (almeno, per alcuni è stato così). Come avevo già accennato, infatti, gli attori sulla scena sono delineati in modo da risultare sia vittime sia carnefici, in un dualismo equilibrato che non riesce a pendere mai da una parte precisa. Si tratta di una rappresentazione spesso tragica, dove gli individui sono preda di passioni ed emozioni inconfessabili, di segreti timori e recondite paure.

Robert Eldridge è spaventato, innamorato, astuto, spietato (pp. 103-106); Mary Hewitt idealista, povera e invidiosa (pp. 18-19, 22); la signora Dampier ricca, cortese e snob (pp. 31-32, 108-109); Ferris competente, fin troppo curioso; Ruddock ambizioso e capace (pp. 117-120, 136, 174-175); Protheroe collerico, incapace e instancabile (pp. 64-67, 79); Dick innamorato e geloso (pp. 245-250); Margaret prudente e fedele (da notare un certo femminismo ante litteram). Ognuno di loro è "orgoglioso della propria chiusura mentale" (pp. 87, 127, 133, 136, 205, 215-219, 231-236, 242-243) e troverà una sorte molto amara, alla fine del racconto; specchio della società frustrata e malata di cui fa parte. Perché, se c'è qualcosa che viene messo in luce oltre alla Pazzia, è proprio il fatto che non esista una Giustizia in questo mondo. L'enigma riflette appieno questo assioma: è tanto innovativo, con il suo movente agghiacciante (dove può arrivare l'orgoglio dell'uomo!), quanto divisivo, nella sua soluzione accusata di aver spezzato più una regola del Decalogo di Knox. Da parte mia, credo ancora in un giusto giudizio da parte degli organi preposti al compito; eppure sono consapevole del fatto che non sempre si riesca ad agire e fare del bene. Ne è un esempio tutta la parte ambientata nel tribunale, con il processo al presunto Mostro (pp. 47-49, 159-162, 166-168, 185-239, 205-223): in quel caso, infatti, nonostante di fatto l'imputato si sia reso colpevole di azioni riprovevoli, esso viene messo alla gogna per qualcosa che risulta essere una vendetta esacerbata dal tempo. In una corte contano i fatti, questo è ciò che viene ripetuto per gran parte dell'istruttoria; ebbene, più di una volta entriamo nella testa degli spettatori e troviamo giudizi affrettati, già stabiliti prima di aver ascoltato tutte le prove e aver preso visione degli indizi. Addirittura, pure durante la consulta della giuria leggiamo commenti dettati da rancori personali e influenzati da una visione impura. Il risultato di tutto ciò, pertanto, non può che essere un madornale errore, o un convinto metodo per trasformare la Giustizia in uno strumento a proprio uso e consumo. Si realizza così lo scopo criminale del Mostro di Eastrepps, con la complicità di un responso feroce da parte di esseri umani ridotti alla stregua delle bestie, che rispondono con una fucilata a un morso. È questa la visione dell'opinione pubblica che scaturisce da "La Morte Cammina per Eastrepps" e contribuisce a rendere questo romanzo ancora attuale: estremamente negativa e cattiva, influenzata dal pregiudizio e da mille pensieri che si sovrappongono l'uno all'altro. Beeding qui trascende il semplice romanzo d'evasione, e con la sua storia straordinaria in tutti i sensi (visto che racchiude più generi insieme) fa una potente critica sociale al sistema e alla sua espressione più inflessibile: la pena di morte. Perché in questo ha fallito miseramente il suo scopo (in modo simile a quanto accaduto in "Signori della Corte" di Edgar Lustgarten), dopo aver rischiato in un'altra occasione di compiere lo stesso sbaglio. Infatti, anche con l'accusa al baronetto Alistair Rockingham, affetto suo malgrado da un esaurimento nervoso, la Giustizia e il suo strumento, la polizia (pp. 96-98, 117-121, 152-160, 170-173, 176-184), si erano avvicinati in modo pericoloso a un verdetto di colpevolezza che avrebbe costretto il giovane ad essere rinchiuso a vita in un manicomio. Bisogna ammettere che, al momento in cui il romanzo fu scritto, la follia veniva vista come una malattia molto più grave di quanto accada al giorno d'oggi; non c'era pietà per i poveretti affetti da turbe mentali e se si poteva li si usava come capri espiatori. Però resta il fatto che la leggerezza con cui vengono stabilite la colpevolezza di un imputato e la successiva condanna fanno specie: sembra quasi che chi deve decidere lo faccia svogliatamente, senza curarsi del ruolo che ricopre (pp. 205, 220).

Ciò è spaventoso, se uno ci pensa con attenzione. Potremmo essere tutti Robert Eldridge, colpevoli perfetti a discapito delle azioni compiute. Potremmo essere accusati di qualunque cosa dalla polizia, e magari vederci condannare in un processo solo perché non andiamo a genio alla giuria o al giudice incaricato di istruire i dodici rappresentanti del popolo. Nemmeno lo testimonianze utili potrebbero servire, perché capovolte a nostro svantaggio. Se ci imbattiamo in un giudizio privo di consistenza giuridica, perché amorale e prevenuto, Dio ci salvi. Questo sembra dire Beeding, in una buona imitazione dell'oscura vena di Francis Iles, col suo finale oscuro: in "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati", infatti, Berkeley/Iles osservò come sia facile costruire un castello di accuse contro un innocente, se uno ne ha le capacità e soprattutto la determinazione. Mi ha dato molto su cui riflettere, "La Morte Cammina per Eastrepps", e penso che non mi toglierò dalla testa tanto facilmente la sua triste storia.


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venerdì 28 febbraio 2020

26 - "La Rossa Mano Destra" ("The Red Right Hand", 1945) di Joel Townsley Rogers

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Se ricordate, nell'introduzione alla recensione di "Presagio di Morte" di Patrick Quentin, mi ero soffermato sul fatto che la classica crime story, soprattutto di stampo britannico, viene da sempre considerata come qualcosa di prevedibile e confortevole al limite del nauseante, mescolato a un'altezzosità che rasenta lo snobismo. Tra le altre cose, le è stato imputato di mostrarsi distante dalla realtà odierna, di narrare vicende noiose e soporifere e di sfruttare stereotipi stantii, con toni pedanti al limite della pignoleria e attraverso temi insulsi; soprattutto in Italia, forse a causa dalla grande popolarità che, all'interno del genere, ha indirettamente ottenuto Agatha Christie rispetto al resto dei suoi colleghi: i suoi romanzi, infatti, spesso si concentrano sullo sfruttamento di luoghi comuni (benché declinati in modo innovativo ed originale) e risultano ambientati in classici scenari come villaggi di campagna e case signorili, in cui vivono famiglie perlomeno agiate, con il conseguente risultato che il lettore occasionale si fa l'idea che tutta la letteratura di questo tipo ruoti attorno a tali elementi. Eppure, una simile considerazione della crime story della Golden Age non può essere accettata dal lettore appassionato e consapevole: anzi, benché fino a poco tempo fa anche fuori dal nostro Paese il "giallo" venisse considerato come qualcosa di estremamente convenzionale (in Inghilterra, ad esempio, erano soprattutto le Crime Queens Dorothy L. Sayers, Margery Allingham, Ngaio Marsh e Agatha Christie a dominare la scena editoriale, grazie ai loro libri all'apparenza espressione del mystery più tradizionale, prima delle riscoperta di altre opere più ciniche, destabilizzanti e sconcertanti come quelle di Anthony Berkeley), chiunque abbia letto numerosi romanzi gialli può confermare che niente potrebbe essere più distante dalla realtà.

Il più delle volte, infatti, se si presta la dovuta attenzione, ci si rende conto che il mystery viene declinato secondo criteri inattesi, che si concentrano su aspetti cinici e poco confortevoli della vita quotidiana ma ancora attuali ai nostri giorni, introducendo elementi di rottura con le aspettative di chi legge e trattando argomenti "scomodi" e spiacevoli, i quali vanno al di là delle impressioni superficiali che ci si può fare in un primo momento. Addirittura, alcuni autori sono riusciti a dare vita a romanzi del mistero insoliti e curiosi, spesso ignorati dal largo bacino dei lettori perché troppo in anticipo sui tempi ma, senza dubbio, di grande impatto; libri "leggendari, perduti, riemersi poco a poco dalle sabbie del tempo", come recita una definizione che ho letto qualche anno fa, scritti nella prima metà del Novecento ma da considerare come indispensabili nel dare vita al thriller moderno. Abbiamo già citato Anthony Berkeley, il quale ha creato alcune delle opere più innovative di questo genere come "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati"o, sotto lo pseudonimo di Francis Iles, "L'Omicidio è un Affare Serio"; oppure Patrick Quentin e il suo "Presagio di Morte": entrambi sono tipici esempi di come storie ambientate in tipici villaggi di campagna o secondo criteri consueti, in realtà presentino caratteri che provocano disagio e turbamento molto forti. Potremmo aggiungere anche i libri di Norman Berrow, ormai introvabili pure in lingua originale; quelli di alcuni autori francesi, pubblicati una sola volta negli anni '30; quelli di alcuni autori giapponesi, i "nuovi maestri" del genere; tutte opere speciali, nate da intuizioni al limite dell'impossibile e del paranormale e talmente originali da aver creato una sorta di mito. A questa ristretta cerchia, a mio modesto parere, appartiene pure "La Rossa Mano Destra" (Polillo Editore, 2005), il secondo romanzo scritto da Joel Townsley Rogers e che verrà ripubblicato dalla Penzler Publishing nel corso dell'anno. Si tratta di un vero e proprio tour de force, uno dei quei pochi romanzi (americani e non) che a ragione possono essere definiti perfetti, in cui il giallo classico si mescola al romanzo psicologico americano per creare un ibrido che cattura l'attenzione, grazie a una scrittura fortemente ipnotica e a un impeccabile enigma di tipo tradizionale; venato tuttavia da un'atmosfera psicologica oscura e inquietante, in cui l'orrore va di pari passo con l'inspiegabile.

"Dove Cottage, Grasmere" di Norman Wilkinson
(1878-1971), simile alla vista sullo studio di Adam
MacComerou
Siamo in America, sulle colline a nord del Connecticut, a un centinaio di miglia da New York. L'ambientazione è quella di una casa di montagna, modesta e immersa nella notte più profonda, all'interno della quale un giovane medico chirurgo, il dottor Riddle, sta provando a schiarirsi le idee riguardo alcuni strani fatti di cui è stato testimone o, per meglio dire, non è stato testimone. Infatti, come spiega fin dalle prime righe, l'auto con a bordo un piccolo demonio dagli occhi di fuoco e un passeggero dall'aria moribonda deve essergli passata accanto, mentre si trovava fermo lungo l'isolata Swamp Road, con l'auto in panne. Eppure il dottore, un uomo con i piedi ben piantati a terra, non ha visto niente del genere. Com'è possibile? Mentre malediceva la propria disponibilità a riportare un'automobile noleggiata in città e armeggiava con il motore ingolfato, egli aveva assistito al passaggio di un uomo a piedi, un individuo che gli aveva ricordato quegli spiriti indiani tanto famosi nell'immaginario della gente in America, e lo aveva visto svoltare a un bivio in direzione di un vicolo cieco; questo è sicuro. Ma di automobili lanciate a folle velocità non se ne parla. Tuttavia, è difficile (per non dire impossibile) che quasi dieci persone stiano mentendo oppure siano state vittime di un fenomeno di allucinazione collettiva, tra le quali si contano lo stimato professore di psicologia criminale Adam MacComerou, una ragazza spaventata ed emersa dai boschi di nome Elinor, una famiglia riunita attorno a un cane morente, il surrealista mezzo matto Grigori Unistaire e il direttore dell'ufficio postale della vicina cittadina Quelch. Tutti costoro hanno visto distintamente il corpo forse già privo di vita dell'inerme e mite S. Inis St. Erme sporgersi dal finestrino, e subìto la furia della corsa spericolata della macchina guidata dal piccolo "Doc" Cavaturaccioli, l'omino con le gambe corte e storte, lo sguardo omicida, il cappello a falda dentellata e il linguaggio forbito ma osceno; insomma, non c'è alcun alcun dubbio sul fatto che l'automobile dai sedili di pelle rossa e la carrozzeria chiara sia reale.

Ma il dottor Riddle, il nostro Doc, è consapevole che da qualche parte, all'interno dei fatti accaduti quella stessa notte, la quale non è ancora terminata e sembra ritardare a congedarsi, ci sia la risposta alla contraddizione che lo tormenta, qualcosa che non quadra nella ricostruzione della polizia e dei testimoni coinvolti. In questo modo, mentre la polizia batte i dintorni della casa in cui si trova e i luoghi dei delitti che hanno costellato le ultime ore, decide di trascrivere tutto quanto è successo dal momento in cui Inis St. Erme, assieme alla sua promessa sposa Elinor, ha deciso di sposarsi e di fuggire insieme a lei. Il nostro narratore, intervallando il proprio resoconto con osservazioni personali e la trascrizione di tutti gli elementi e indizi del caso, riassume il loro viaggio, come abbiano incontrato il dotto Cavaturaccioli, come siano stati aggrediti e come egli stesso sia entrato nelle terribili vicende che intende riassumere; in che modo si sia dovuto fermare alla casa del professor MacComerou e come, insieme a lui, abbia scoperto il primo di una lunga serie di cadaveri, l'ultimo dei quali addirittura senza la mano destra. Un dettaglio che lo tormenta, questo, assieme al fatto che il corpo sia stato sfigurato con i suoi attrezzi da chirurgo. Mentre siede nello studio di MacComerou a sondare i propri pensieri, raccontando i fatti nel pieno di un flusso di coscienza all'apparenza inarrestabile, Riddle si domanda come abbia fatto il misterioso assassino ad eludere i tentativi messi in atto per catturarlo: quest'ultimo appare sempre più come un misterioso fantasma, un'entità che si manifesta a tratti, che appare e scompare proprio come in un incubo. Deve essere reale, per aver investito il povero John Flail, il giardiniere di MacComerou che si stava dirigendo a casa per accogliere il fratello. Eppure, pian piano, rivangando tutti i dettagli più piccoli delle vicende di cui è stato protagonista suo malgrado e sistemandoli in modo giusto, ecco che il dottore inizia a intravedere la verità; una verità che è sempre stata sotto agli occhi di tutti, non solo i suoi, che nessuno si sarebbe aspettato ma che mette d'accordo tutti gli elementi del caso. Compreso l'impossibile passaggio di un auto a tutta velocità proprio lungo il bivio in cui Doc Riddle si era fermato, in quella Swamp Road che sembra appartenere sempre più a un sogno ad occhi aperti.

Copertina dell'edizione in uscita per i
tipi di Penzler Publishing
Spero che la trama, tratteggiata in questo modo, vi abbia suscitato ben più di una semplice curiosità (io ho fatto del mio meglio!). Comunque, se ancora non lo aveste capito, sarò più chiaro: questo giallo straordinario merita tutta la vostra attenzione. All'interno della mia classifica personale di gradimento, ben pochi mysteries possono vantare un posto al di sopra di questo; e probabilmente in fatto di sorpresa, terrore mescolato a mistero, scrittura ipnotica e sensazioni generate dalla soluzione dell'enigma, "La Rossa Mano Destra" occupa in assoluto lo scalino più alto. Eppure, è doveroso un avvertimento: come quasi tutte le più grandi crime novels, del tipo di "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers, questo libro può risultare talmente "solido" da sfiorare la pesantezza, in quanto a scrittura e a vicende narrate; è inutile nasconderlo. Si tratta, in qualche modo, della diretta antitesi della narrazione "alla Agatha Christie", agile e fulminea, e sfido chiunque ad iniziarlo (nonostante l'incipit elettrizzante) e a sentirsi fin da subito disposto ad arrivare alla fine del lungo, lunghissimo flusso di coscienza che caratterizza la storia, visto che non esistono capitoli veri e propri, e a voler districarsi nei continui flashback e nella miriade di dettagli che il buon (?) dottor Riddle si appresta ad enunciare a voi lettori. Però (e questa è la caratteristica che è riuscita a trasformare opere prolisse come il romanzo di Sayers sopra citato e lo stesso "La Rossa Mano Destra" in racconti godibilissimi) ben presto accade qualcosa che non ci saremmo aspettati: ci rendiamo conto di non riuscire più ad allontanare lo sguardo dalla pagina, perché il caso ci ha completamente rapito, come se fossimo stati ipnotizzati dalle parole dell'autore. Sulle copertine del Giallo Mondadori, un tempo, si era soliti ripetere a mo' di mantra: "Questo giallo non vi farà dormire!" oppure "La soluzione vi farà impazzire!". Ecco, possiamo prendere in prestito questo slogan e applicarlo anche al romanzo di Rogers, capace di attaccare il lettore alla sedia, tanto esso assomiglia a uno di quei suggestivi radiodrammi che un tempo venivano trasmessi dalle radio, che la gente irretita ascoltava mentre era seduta in poltrona o accanto alla stufa a preparare da mangiare, lasciandosi cullare dalle parole e trasportare in un mondo parallelo.

In ogni caso, non dovete pensare che sia tutto qui e che questo sia soltanto un racconto del terrore o una semplice storia adatta a distrarvi e a tenervi compagnia durante gli sconfortanti tempi che corrono. Quella che ci viene dipinta, infatti, è una vicenda ben più complessa, una sorta di incubo ad occhi aperti calato nella realtà allucinata di tutti i giorni, dove le apparenze contano fino a un certo punto e si deve scavare a fondo nella trama e nei suoi aspetti più reconditi per riuscire a comprendere la sua grandezza. A ragione, "La Rossa Mano Destra" è stato definito un'opera superba, un racconto che confonde, oscuro, terrificante e sempre pronto a stupire con un colpo di scena, calato in un miscuglio di generi che non si limita a comprendere il romanzo hard-boiled americano della prima metà del Novecento e il giallo tradizionale alla maniera inglese. Esso tocca una quantità incredibile di temi diversi, trattandoli con uno stile impressionante e sconcertante che, attraverso la voce narrante del nostro Doc, sembra portare in vita gli eventi che si verificano e mantenerli pregni di suspense e avvincenti fino alla fine. La desolazione e un certo cinismo, mischiati a uno strano tono sognante, pervadono qualunque riga del libro, conferendo un risvolto poetico ai terribili e sconvolgenti accadimenti della lunga notte estiva in cui l'opera è ambientata, e dando vita a un romanzo giallo indimenticabile, eccentrico, che combina qualcosa di complesso e meraviglioso allo stesso tempo, simile a "una cavalcata da brivido che farà impallidire i thriller moderni". E proprio al thriller moderno è stato accostato "La Rossa Mano Destra", poiché ne è stato antesignano e precursore forse ancora più dell'opera di Berkeley/Iles: è stato capace di giocare con le regole del mystery della Golden Age, benché si sia addentrato in un territorio allora inesplorato che metteva insieme caratteristiche all'apparenza inconciliabili, mettendo così d'accordo sia i cultori del giallo classico e quelli del romanzo più violento.

Se prestiamo attenzione ai tantissimi dettagli, importanti o meno a prima vista, con cui è stato impreziosito questo libro, possiamo osservare che nulla è stato lasciato al caso: come se ci trovassimo avvolti da una nebbia penetrabile solo a tratti, immersi in un sogno dai contorni brutalmente reali e caotico, man mano che procediamo nella lettura diventiamo consapevoli che ogni cosa viene riflessa come se fossimo davanti a uno specchio, parola d'ordine per riuscire a trovare il bandolo della matassa in cui il dottor Riddle si trova invischiato. Sebbene sia impossibile cogliere tutte le sfumature della vicenda (in parte a causa della confusa e continua ricerca del protagonista e narratori di trovare un senso al caos di fronte al quale si ritrova), vorrei soffermarmi sul fatto che davvero niente è come appare; a partire dall'ambientazione (pp. 34-35, 66-69, 83-84, 87-90, 105-107, 120-124, 199-202) ambigua e lussureggiante, tratteggiata in lunghe descrizioni e tangibile, benché onirica e goticheggiante, la quale descrive la vita di campagna e in particolare i boschi (come non pensare al celebre ritornello "Chi ha ucciso Laura Palmer?") con un tratto sinistro ma vivace, seducente eppure brutale ed inattaccabile, che impedisce di essere sicuri di sapere quando quanto ci viene presentato sia reale oppure fittizio, in una spirale che mescola indizi veri e altri offuscati. Come in un incubo, inoltre, veniamo guidati nel procedere della trama da una prosa poetica che stride, ostica ma suggestiva, con una propria logica peculiare e fatta di numerosissime coincidenze, la quale ci incanta ed inebria ma allo stesso tempo vorremmo respingere per istinto, lungo un percorso di "pseudo-flusso di coscienza" senza divisione in capitoli (solo paragrafi), simile a un fiume in piena, che sembra seguire quello della nostra mente quando sogniamo: infatti, dopo averci spiazzato nelle prime pagine (1-16), le quali ci introducono nello Stadio 1 del nostro originale sonno, e aver presentato al lettore la situazione e il Grande Dilemma ("Che fine ha fatto la Mano Destra di S. Inis St. Erme?"), nelle pp. 17-101 ripercorriamo lo speranzoso viaggio dei due promessi sposi fino al suo tragico finale (Stadio 2) in base al loro punto di vista; in seguito, passiamo ad osservare la storia seguendo la persona del dottor Riddle (pp. 101-165, Stadio 3), dal momento in cui si allontana dalla casa del suo ultimo paziente fino a quello in cui incontra Elinor che fugge dal bosco e dal Mostro; per raggiungere lo Stadio 4 costituito dall'unione dei punti di vista (pp. 165-205) e dal momento di riflessione finale, ed infine la conclusione (pp. 206-257) con la scoperta e lo scontro col colpevole, culminante in una constatazione che ha il sapore amaro del risveglio. Il tutto farcito di digressioni sugli argomenti più disparati (pp. 28-30, 52-72, 75-77, 80-85, 101-105, 108-115, 142-145, 188-195), dalle assicurazioni sulla vita alle abitudini bancarie degli americani della metà del Novecento, dall'arte surrealista al lavoro di un ufficio postale di provincia, fino a giungere al tema più importante di tutti: la psicologia, declinata secondo ogni sfaccettatura e applicata alla mente umana, in forma di pazzia e di istinto di sopravvivenza, di inganno e di ossessione (pp. 20-21, 78-79, 94-99, 124-127, 147-148, 160-161, 206-212, 215-216).

A questo proposito, va segnalato che ogni personaggio di "La Rossa Mano Destra" soffre di qualche complesso: il dottor Riddle è un cinico disilluso, Inis un eterno bambinone, Elinor un'insicura, MacComerou un pessimista, Dexter un uomo fin troppo sognatore e incapace di adattarsi alla vita, Unistaire un paranoico esaltato, Quelch un perfezionista ossessivo-compulsivo, Cavaturaccioli uno sconfitto che tenta di dare un senso alla propria esistenza e Rosenblatt un poliziotto di provincia che si è trovato a fronteggiare una sfida inedita secondo gli schemi che ha assimilato. Tutti loro, dotati di nomi tanto pittoreschi quanto le loro personalità (pp. 22-23, 37-39, 40-44, 46-49, 73-74, 77-78, 81-82, 85-87, 96-97, 107-108, 131-135, 168-169, 175-176, 178-179, 188-195), agiscono nel caos creatosi all'interno della storia, tentando di tenere in piedi quanto li riguarda, e finiscono per assistere al crollo delle aspettative, circondati dal terrore e l'inquietudine che trasudano dalle pagine e dalle coincidenze che li vedono protagonisti loro malgrado. In mezzo ad animali uccisi barbaramente, continui riferimenti al sangue e ad altre cose raccapriccianti che includono la medicina (altro tema di riferimento), assistiamo a un fenomeno unico all'interno del genere giallo, in cui tutto sembra tornare e le coincidenze iniziano a diventare qualcosa di più. Non voglio anticipare troppo, ma vi consiglio di prestare attenzione alle somme di denaro che vengono menzionate nel corso della vicenda, ai nomi di persone e luoghi che appaiono a più riprese, ai personaggi stessi che si dimostrano legati l'uno all'altro più di quanto si pensi a prima vista, ai delitti e alla psicologia che si cela dietro ad essi e agli oggetti ricorrenti. Forse l'autore sta tentando di rendere a parole la complessità della società oppure di dirci qualcosa? Chissà. Di sicuro, in mezzo a tutti questi elementi, si trovano false piste e gli indizi necessari a scoprire cosa sia accaduto a S. Inis St. Erme e come un auto sia diventata invisibile per qualche ora; per cui, lettori, in guardia! Tocca a voi districare la matassa e individuare dove appare chiaramente la soluzione dell'indagine; dopotutto, Riddle non ha mai visto né l'assassinato, né l'assassino, né l'automobile incriminata (altro risvolto inedito della storia), se dobbiamo dargli fiducia e credere alle sue stesse parole. Sin dalla prima riga, l'autore non vi concederà pace e vi condurrà passo dopo passo sulla sottile linea dell'ambiguità e dell'imprevedibilità, agghiacciandovi e gettandovi a più riprese fumo negli occhi, in una frenetica ricerca della verità in cui i padroni della scena sono sempre il Terrore e la Morte; ricerca che vi lascerà come ipnotizzati, grazie a un linguaggio stilisticamente spezzato e surreale, la ripetizione ossessiva di motivi ricorrenti e un ritmo inarrestabile.

Joel Townsley Rogers, nato nel 1896 e morto
nel 1984
Fa sensazione pensare che "La Rossa Mano Destra", osannato a destra e a manca, non abbia permesso al suo autore di diventare famoso mentre egli era in vita. Joel Townsley Rogers, infatti, non riuscì mai a godere del successo e ad ottenere un riconoscimento per la sua opera totale grazie ad esso. Nato nel 1896 a Sedalia, nel Missouri, manifestò fin dall'adolescenza uno spiccato interesse per la scrittura ed ebbe l'opportunità di assecondare questa passione mentre frequentava l'università di Harvard. Laggiù, prima di partire come aviatore per combattere nella Prima Guerra Mondiale, si cimentò nella stesura di poesie (questo forse spiega il lessico vario e particolare che utilizzò per "La Rossa Mano Destra"), editoriali e racconti di vario genere per i giornali universitari. Appena congedato, nel 1919 iniziò a scrivere per alcuni periodici e per tre anni diresse una rivista specializzata sui libri, ma in seguito al duraturo matrimonio con Winnie Whitehouse abbandonò l'impiego e iniziò a scrivere una quantità enorme di storie sul volo e sugli aviatori con lo pseudonimo di Roger Curly, forte della propria esperienza bellica. Nel 1922, in cambio della direzione della rivista Brentano, aveva ottenuto di poter dare alle stampe il suo primo romanzo, "Once in a Red Moon", una storia tra il pulp e il romantico; ma il campo che più gli si addiceva restava quello del racconto breve. All'interno di questo genere raccontò di tutto, dalla fantascienza all'avventura e al poliziesco; e fu proprio grazie a una storia mystery che venne notato da Lee Wright, editor della Simon & Schuster. Quest'ultima, in una lettera, gli confidò di essersi innamorata di quel particolare embrione di "La Rossa Mano Destra" e di volerlo pubblicare ampliato nella sua collana. Nel 1945, quindi, esso venne dato alle stampe e ottenne un grande successo, diventando inoltre oggetto di numerosi studi critici. Eppure, la fortuna non arrise per molto a Rogers, il quale tentò di continuare su quella strada scrivendo altri due romanzi, "Lady with the Dice" del 1946 e "The Stopped Clock" del 1958, ma ottenendo in cambio un rifiuto per il primo (che fu poi pubblicato da un altro editore) e per il secondo recensioni molto negative; con la sola accezione di quella che confezionò Anthony Boucher, grande autore di giallo classico e massimo studioso e critico del mystery tradizionale.

Nonostante il giudizio di quest'ultimo, quindi, Rogers decise di tornare alla scrittura di racconti e proseguì in questa strada fino al 1984, quando morì a Washington D.C., completamente al verde. Incredibile, se si pensa quanto sia stato unico e grande il suo contributo al giallo, non è vero? Eppure, in epoca moderna, in pochi si ricordano di lui, a parte gli stretti appassionati del genere giallo e alcuni dei suoi più grandi autori, come Donald E. Westlake ed Ed Gorman. Tuttavia, ciò non deve scoraggiare: a mio parere, ci sarà sempre qualcuno che spenderà volentieri qualche parola di lode nei confronti suoi e del suo "La Rossa Mano Destra": un testo straordinario, con un enigma fatto di mille giravolte e di altrettanti colpi di scena, capace di strabiliare ancora dopo tanti anni grazie all'aura di mistero che lo circonda (pp. 7-8, 15-16, 36-37, 72-73, 99-101, 134-139, 150-152, 155-158, 165-167, 186-188, 217-218, 225-226). Rogers riuscì a mettere insieme talmente tante cose che sorprende pensarle tutte assieme: la detective story di matrice classica, poiché presenta un apparato indiziario di prim'ordine, logico e assolutamente ineccepibile benché tortuoso al limite del magistrale; il thriller psicologico di stampo americano, con l'atmosfera di terrore che aleggia simile a una nebbia mefitica (pp. 25-26, 31-35, 68-70, 94-99, 152-154, 158-160, 162-167, 171-174, 181-186, 201-205, 207-213); il romanzo hard-boiled, perché caratterizzato dalla violenza, dal ritmo e da una brutalità senza pari; il noir, grazie al suo essere torbido e sfuggente come un'anguilla; il giallo di suspense, poiché gioca con la tensione e tiene i nervi del lettore sotto una spietata raffica di colpi martellanti. Un gioco di luci e ombre in cui niente è lasciato al caso, dove abbassare l'attenzione significa perdere un tassello importante per giungere alla verità, dove la febbre sale sempre più, tra mutilazioni e fughe nella notte, e tutto torna senza sbavature. Un viaggio nella pazzia e nella notte della mente, che avrebbe potuto benissimo implodere in se stesso a causa della quantità di elementi  bizzarri che lo costituiscono, ma che risorge come l'araba fenice e trionfa nel riuscire a consegnare una soluzione soddisfacente da punto di vista razionale. L'unica cosa che si poteva aggiungere? Una piantina per avere del tutto chiara la faccenda. Eppure anche così ci troviamo di fronte a un vero Capolavoro, a quello che il critico Roland Lacourbe definì come “un roman d’un brio éblouissant e l’un des deux ou trois grand chefs-d’oeuvre incontestables et incontestés de toute la littérature policièr”, a un testo di culto che chiunque appassionato di crime novels dovrebbe affrettarsi a procurarsi. Nella prefazione all'edizione in lingua originale del 1997, Edward D. Hoch commentò a proposito di questo romanzo: "Se questa è la prima volta che lo leggete, è un'esperienza che sinceramente vi invidio"; voi cosa state aspettando?

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venerdì 15 novembre 2019

14 - "Notti di Halloween" ("Death on Allhallowe'en", 1970) di Leo Bruce

Copertina dell'edizione pubblicata
nel Giallo Mondadori n. 2806
Se dovessi stilare un'ipotetica classifica delle feste a cui non potrei mai rinunciare, di sicuro ai primi due posti si troverebbero quella di Natale e quella di Halloween. La prima, infatti, con i suoi addobbi, i buoni propositi e le città imbiancate dalla neve, riesce a infondermi pace e serenità come nessun'altra; la seconda, invece, grazie alle maschere e a quella sua caratteristica atmosfera da brivido, porta per qualche tempo il sovrannaturale all'interno della vita di tutti i giorni, facendomi provare una piacevole eccitazione. Inoltre, come se ciò non bastasse, in entrambi i casi si tratta di occasioni che si adattano perfettamente a fornire uno sfondo ideale alle vicende di un romanzo giallo; cosa che, da appassionato lettore di classiche crime novels, me le fa apprezzare ancora di più. E pensare che, dal punto di vista letterario, tra queste due festività corre ben più di una differenza, soprattutto nel modo in cui esse fanno colpo sul pubblico: Natale lo fa attraverso l'incontro-scontro tra elementi confortanti, quali stanze accoglienti, fuochi accesi e banchetti sontuosi, e il disagio provocato da incredibili furti o omicidi efferati; Halloween, invece, assecondando la natura diabolica e le gesta terribili di esseri all'apparenza magici, risvegliati in occasione dei Festeggiamenti dei Morti e più che adeguati all'aura di mistero tratteggiata in questo tipo di libri. Insomma, una sfrutta maggiormente il lato "confortevole" del periodo che viene appena prima della fine dell'anno, e l'altra quello sinistro e caratteristico della festa nella notte tra il 31 Ottobre e il 1° Novembre.

A leggere questa affermazione, non sembrerebbe esserci dubbio su quale tipo di mystery riscuota più successo, tenuto conto delle caratteristiche fondamentali della letteratura del mistero; e invece, come ci si aspetterebbe dai migliori esempi di crime story, ancora una volta veniamo spiazzati: in quanto a popolarità, infatti, il "Christmas Murder Mystery" ottiene un risultato di gran lunga superiore a quello del tipo suo compagno. Forse ciò è dato dal fatto che, spesso, quest'ultimo scade nel racconto dell'orrore, accentuando gli aspetti terrorizzanti a discapito di quelli attinenti all'indagine vera e propria, sebbene esistano casi in cui essi si equilibrano, come in "Poirot e la Strage degli Innocenti" di Agatha Christie. In ogni caso, per quanto mi riguarda, questi due tipi di romanzo giallo conservano lo stesso fascino; tanto più che, anche quest'anno, con l'avvicinarsi della festa di Ognissanti, ho deciso di fare alcune letture a tema; un po' come avverrà in occasione del Natale. Tuttavia, non ho compiuto la scelta prevedibile di rileggere proprio il libro della Christie che ho sopra menzionato, ma ho optato per qualcosa di insolito come "Notti di Halloween" di Leo Bruce (Giallo Mondadori n. 2806, 2002). Infatti, anche questo autore, molto famoso in passato e oggi quasi del tutto dimenticato, si è cimentato in una prova letteraria dedicata al periodo più spettrale dell'anno; forse non del tutto riuscita, soprattutto in fatto di enigma, ma comunque adatta da fare in questo periodo e, soprattutto, affrontata in modo da calare il lettore in una faccenda suggestiva e affascinante, con tanto di personaggi ambigui, ambientazioni spettrali e, ovviamente, l'immancabile stile ricco di humor inglese.

La notte di Halloween, con la sua distesa di zucche intagliate
contro gli spiriti dei morti che tornano dall'Aldilà
Tutto prende avvio quando l'insegnante detective Carolus Deene riceve la visita di John Stainer, un vecchio amico e sacerdote di un villaggio nella penisola di Guys, in Inghilterra. La parrocchia in questione, Clibburn, è famosa (tra i pochi che la conoscono) per essere un luogo inospitale, dominato da acquitrini e un clima perlopiù nebbioso e piovoso; per il suo stile di vita caratterizzato da una certa tendenza ad ancorarsi al passato; nonché per essere popolata da un gran numero di persone superstiziose, i cosiddetti "Uomini di Guys", i quali vivono in una sorta di limbo tra il mondo naturale e quello soprannaturale, in costante preoccupazione del volubile carattere del Maligno. Proprio a questo proposito Stainer si è recato a chiedere soccorso a Deene: da qualche tempo, infatti, il Diavolo pare essere sceso sul piede di guerra contro gli spaventati abitanti del villaggio e aver lasciato il suo zampino in alcune imprese strane ed inquietanti: una croce da altare, ad esempio, è stata trovata appesa al contrario; una delle abitanti, Alice Murrain, grazie alla sua fama di strega e veggente ha iniziato a predire sventure contro chiunque, terrorizzando il circondario; uno studioso di magia nera, Xavier Matchlow, si è insediato in una casa del villaggio e si racconta abbia dato vita a numerosi riti satanici. A parte la faccenda del crocifisso capovolto, tuttavia, Deene non sembra preoccupato più di tanto dal racconto del sacerdote: probabilmente, si tratta di messinscene, atte a rendere interessante la vita monotona nella penisola di Guys. Anche Stainer si dichiarerebbe d'accordo con lui; se non fosse che i presagi di sventura non sono finiti qui.

Appena un anno prima, infatti, il piccolo Cyril Gunning è morto in circostanze perlomeno inusuali: in seguito alla sua sparizione durante la notte di Halloween, era stato ritrovato dal padre nei pressi di un antico sito archeologico locale, il Beacon, sporco di sangue e spaventato a morte. Una volta portato a casa e interpellato il medico, si era scoperto che il bambino si era buscato una terribile polmonite, con tanto di delirio dovuto a febbri molto dolorose, e a nulla era valsa l'opera della scienza: il mattino dopo, Cyril era spirato nel suo letto. Una faccenda spiacevole, conviene Deene; eppure non capisce come tutto ciò abbia a che fare con i timori del suo amico sacerdote. È presto detto: Stainer afferma di essere convinto che i genitori del piccolo intendessero farlo esorcizzare, in seguito alla sua esperienza al Beacon. Mentre stava sparlando, infatti, Cyril si era dilungato in bestemmie incredibili e in un racconto sconclusionato, il quale faceva intendere che lui avesse assistito niente meno che a una messa nera. Impensierito dalla sgradevole faccenda e dalla teoria di Stainer, secondo cui forze maligne si stiano sempre più concentrando sulla sua comunità di fedeli, Deene inizia a temere che qualcos'altro di tragico stia per succedere a Clibburn; tanto che la nuova luce gettata sui precedenti presagi funesti lo convince a recarsi a Guys, per verificare di persona se le impressioni del suo amico siano vere o no. E quando, proprio la sera del suo arrivo, uno degli abitanti verrà preso a fucilate davanti alla canonica, l'insegnante capirà che forse c'è qualcosa di vero nell'atmosfera terrorizzante, incarnata da un'ignoto individuo, che aleggia per il villaggio. La peculiare fauna della penisola di Guys, tuttavia, dà vita a un largo numero di sospetti su chi possa essere lo spietato assassino: oltre ad Alice Murrain e Xavier Matchlow, infatti, sono fin troppi gli "strambi" che vivono a Clibburn, dai fratelli Sloman allo scrittore Connor Horseman, dai coniugi Lark ai Garries allo sfuggente Poley. Tra sospetti più o meno fondati, falsi telegrammi e maledizioni velate, l'aura spettrale si farà sempre più accentuata fino all'arrivo di Halloween, quando si verificherà un delitto impossibile; toccherà a Deene far luce sul caso, ammettendo che forse, dopo tutto, da quelle parti il Diavolo ha davvero camminato in terra negli ultimi anni.

"Abbazia nel Querceto" di Caspar David Friedrich,
che raffigura rovine simili a quelle del Beacon
Devo ammettere che, tutto sommato, mi sarei aspettato qualcosa di più da "Notti di Halloween". Con questo non intendo dire che esso sia da bocciare in toto, assolutamente; soltanto, nel corso della lettura ho percepito una sorta di imprecisione continua, come se il caso non riuscisse a procedere liscio, allo stesso modo dei suoi simili. A mio parere, il problema principale di questo romanzo si riscontra proprio nello svolgimento dell'enigma: è come se l'autore si fosse sforzato a creare un'atmosfera del terrore impeccabile, per poi rendere vano tutto il lavoro con un cold case troppo dilungato e un delitto impossibile concluso, al contrario, in tutta fretta. Ad esempio, la faccenda di Cyril ci viene descritta in appena due occasioni (nel racconto iniziale di Stainer, al cap. 1, e nella testimonianza dei genitori alle pp. 60-69) ma sebbene venga senza dubbio trattata in modo esaustivo, ho avuto l'impressione che Bruce l'abbia sfruttata quasi troppo, rispetto a quella riferita al delitto nella sala da ballo. Sfortunatamente, infatti, il risultato finale si rivela molto sbilanciato: pur occupando più o meno la stessa quantità di pagine, infatti, la parte riferita al presunto rito satanico sembra non trovare mai una lunghezza adeguata, dando l'impressione di non sapere dove andare a parare e di prendere ben più di 2/3 del racconto; mentre quella dell'omicidio impossibile, intrapresa da p. 115 circa, pare trattata senza la giusta attenzione.

A peggiorare la situazione, inoltre, va aggiunto il fatto che il lettore risulta impossibilitato nel poter risolvere entrambi i casi, poiché (quasi) non esiste fair-play all'interno di questo romanzo. Deene scopre gli indizi sfruttando un metodo che ricorda molto quello di Sherlock Holmes, in cui l'investigatore capisce tutto grazie alle deduzioni e alla propria analisi specifica delle prove, tenendo conto di fattori noti soltanto a lui o indirizzabili in più direzioni, senza che siano determinanti in un senso particolare (la sospetta telefonata di Matchlow in seguito alla sua visita, alle pp. 92-94, è applicabile ad ogni abitante di Clibburn e la decisione di Deene di attribuirla a un personaggio particolare risulta un po' campata in aria e arbitraria, al fine di far quadrare i conti, oppure l'indizio del nastro nella cassetta di sicurezza, ascoltato ma non riportato parola per parola, nasconde indizi centrali per capire "chi-l'ha-fatto"). Questi elementi non vengono del tutto messi in mano a chi legge, affinché si possa scoprire le carte vincenti, e la mancanza di prove concrete (a parte il flebile cenno a un comportamento sospetto in seguito al delitto di Halloween, come sottolinea lo stesso Deene nella spiegazione dell'ultimo capitolo) o la presentazione delle stesse troppo tardi o in modo troppo vago per potere essere sfruttate suscitano un po' di delusione nel lettore più attento il quale, già amareggiato da una vicenda poco equilibrata, non si sente del tutto soddisfatto dalla conclusione della vicenda.

Rupert Croft-Cooke, alias Leo Bruce, nato
nel 1903 e morto nel 1979
In ogni caso, se la solidità dell'enigma si può considerare il punto debole e principale difetto di "Notti di Halloween", bisogna sottolineare che, per il resto, questo romanzo resta un'opera molto piacevole, pur tarda poiché datata 1970, tra quelle scritte da Rupert Croft-Cooke (vero nome di Leo Bruce). Nato in Inghilterra nel 1903, ma trasferitosi ben presto in Argentina e in seguito un po' dappertutto in giro per il mondo, egli fu antiquario di libri, lettore e critico, oltre che grande viaggiatore. Ben presto, però, decise di passare "dall'altra parte della barricata", diventando in prima persona uno scrittore di romanzi gialli: nel 1936, infatti, pubblicò la sua prima crime novel, "Un Caso per Tre Detective", la quale costituì una prova del tutto fuori dal comune per la sua ironica presa in giro di detective dilettanti come Lord Peter Wimsey e Hercule Poirot, e che si segnalò per essere il debutto del placido Sergente Beef, il quale risolverà il caso in barba alle critiche dei suoi più rinomati colleghi e del suo biografo ufficiale e "spalla", Lionel Townsend. Questo personaggio restò in carica fino al 1952, mentre l'autore trascorreva gli anni della Seconda Guerra Mondiale in India, per conto dell'Intelligence, e ogni tanto si dedicava alla scrittura di testi di tutt'altro genere, che lui riteneva più importanti ma, come spesso accade, risultano meno famosi dei suoi gialli. L'anno seguente, però, Bruce venne processato per omosessualità e condannato a trascorrere sei mesi in prigione: la cosa lo indusse, nel 1954, a lasciare definitivamente l'Inghilterra e a trasferirsi in Marocco, dove riprese a scrivere gialli ma con un protagonista diverso, il Carolus Deene di questo "Notti di Halloween" e di altri ventitré romanzi, più simile al suo autore in quanto ricco insegnante di storia e appassionato di libri antichi, nonché vicino alla classica figura dell'investigatore tradizionale. Bruce continuò a scrivere fino al 1979, quando morì, con risultati altalenanti: H.R.F Keating lo giudicò "immancabilmente eccellente", mentre Steinbrunner e Penzler nemmeno lo inclusero nella loro "Encyclopedia of Mystery and Detection". Nonostante ciò, comunque, egli viene considerato un innovatore da Martin Edwards, il quale ha paragonato la sua opera, in quanto ad inventiva, a quella di Anthony Berkeley (più precisamente, il suo "Un Caso per Tre Detective" quale degno successore di "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati", e "Case with Four Clowns" di "Assassinio in Cantina"); nonché un esponente di spicco della cosiddetta "Golden Age" del mystery classico, grazie alla pungente ironia che contraddistingue il suo stile e a un grande talento nel tratteggio della trama.

Queste caratteristiche si possono ritrovare anche in "Notti di Halloween": infatti, al di là del fatto soggettivo dell'uso di bambini come vittime (come si è visto in "Presagio di Morte" di Patrick Quentin), qui in modo meno atroce ma pur sempre poco confortevole e troppo "moderno" per alcuni, sono da sottolineare i fulminei momenti di ironia nera che spezzano la tensione, le descrizioni originali dei personaggi delle tristi vicende di Clibburn, l'ambientazione e, soprattutto, l'atmosfera affascinante e spettrale che il suo autore riesce ad evocare con impareggiabile maestria. A partire da quest'ultimo aspetto, vorrei sottolineare l'aura claustrofobica del villaggio di Clibburn, descritta in modo efficace soprattutto attraverso l'uso di nottate piovose, di continui riferimenti allo straniero e ai forestieri malvisti (pp. 9, 19, 67-68, 187-188, 192-195, 208; tema di grande attualità) e di abitanti superstiziosi al limite dell'ossessione. La stregoneria domina in tutto il romanzo (capp. 1, 5, 7, oltre a pp. 169-170), con avvenimenti ad essa legati molto ben descritti, e la psicologia dei protagonisti ne risulta influenzata: Alice Murrain (pp. 172-180) offre un esempio lampante, ma anche gli altri, come i Matchlow, gli Horseman, i Lark e i Garries, con le loro caratteristiche fisiche particolari quali una gamba di legno o una sedia a rotelle, non sono da meno nell'alimentare la psicosi maledetta che si agita nella penisola di Guys. Vengono delineati ancor meglio del solito, forse proprio perché immersi in un'atmosfera tanto lugubre, assieme a un'ambientazione sufficientemente affascinante la quale, tuttavia, avrebbe forse guadagnato qualcosa grazie a un'incursione di Deene al Beacon, con tanto di descrizione spettrale delle rovine e dell'altare dove si dice vengano sacrificati agnelli e altri piccoli animali; per non parlare del Pozzo senza Fondo, centrale nella soluzione finale ma mai mostrato, che avrebbe forse fornito qualche indizio in più, così da facilitare il compito di comprensione del lettore e arricchire l'indagine. Comunque, tutto ciò viene amalgamato a uno stile ironico e pungente, dal tono spesso cupo e cinico (non dobbiamo dimenticare che "Notti di Halloween" risale al periodo post-prigionia dell'autore) ma a volte pure spassionatamente leggero (vedasi la ridicola abitudine della signora Lark di abbreviare alcune parole), che da vita a una vicenda caratterizzata da una forte inquietudine, ma perfetta per un appassionato di giallo classico, alla ricerca di una storia leggera con cui trascorrere la notte di Halloween. Un buon libro, insomma, segnato da un enigma un po' debole ma, per questo, poco impegnativo. Buon Halloween!

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venerdì 8 novembre 2019

13 - "Presagio di Morte" ("The Grindle Nightmare", 1935) di Patrick Quentin/Q. Patrick

Copertina dell'edizione pubblicata
nel Giallo Mondadori n. 1472
Secondo definizioni inflazionate e poco originali, la crime story classica della Golden Age è stata classificata in modo categorico come "confortevole" e tacciata di essere "snobbery with violence" (ovvero altezzosa al limite del fastidioso). Le è stato imputato di mostrarsi distante dalla realtà odierna, di narrare vicende noiose e soporifere e di sfruttare stereotipi stantii, con toni pedanti al limite della pignoleria e attraverso temi insulsi. Chiunque abbia letto numerosi romanzi gialli, tuttavia, può confermare che niente potrebbe essere più distante dalla realtà. Infatti, sebbene ogni tanto essa utilizzi elementi comuni e in qualche modo prevedibili (ma quale genere letterario non lo fa?), il più delle volte li declina secondo criteri inattesi, che spesso si concentrano su aspetti cinici e poco confortevoli della vita quotidiana ma ancora attuali ai nostri giorni, introducendo elementi di rottura con le aspettative del lettore e trattando argomenti "scomodi" e spiacevoli, se non brutali, i quali vanno al di là delle impressioni superficiali che egli può farsi in un primo momento. A dimostrazione di quanto affermo, vorrei sottolineare il fatto che molte opere scritte nella prima metà del Novecento hanno addirittura contribuito a dare vita al thriller moderno: ad esempio, "L'Omicidio è un Affare Serio" di Francis Iles/Anthony Berkeley narra una storia la quale, pur essendo ambientata in un tipico villaggio di campagna inglese, in realtà presenta caratteri che provocano disagio e turbamento molto forti. Lo stesso si può dire di alcuni romanzi americani, tra i quali il più famoso è forse "La Rossa Mano Destra" di Joel Townsley Rogers, dove l'elemento dell'enigma tradizionale viene unito a un'atmosfera psicologica oscura e inquietante, in un tentativo di modernizzare la narrazione e renderla al passo con i tempi.

Non sempre questi sforzi sono stati premiati: proprio per il loro essere stati in anticipo sui gusti futuri, innovativi in un mondo che desidera evolversi ma considera le novità con diffidenza, essi non sono riusciti a far presa sulle persone e sono stati trascurati, in favore di romanzi gialli meno "di rottura", con la conseguenza di cadere in un ingiusto oblio e risultare sconosciuti al grande pubblico; finché alcuni critici non hanno saputo valorizzarli con le loro parole e restituire loro i giusti meriti. Anche io, nel mio piccolo angolo di riflessione, desidero fare la mia parte. Con l'avvicinarsi di Halloween, poi, appare adatto soffermarsi su una crime novel più macabra del solito; quindi, con la recensione di oggi voglio concentrarmi su alcuni autori poco valorizzati ma, comunque, degni di nota per il loro impegno nel voler dare al giallo classico una nuova e più moderna identità. Quindi, su consiglio dei recensori sopra menzionati, recensirò "Presagio di Morte" di Patrick Quentin, ma firmato con lo pseudonimo di Q. Patrick (Giallo Mondadori n. 1472): una vicenda dalle forti tinte fosche, in cui la paranoia la fa da padrone, la campagna apparentemente idilliaca si trasforma in lugubre scenario di massacri ed incubi terribili sembrano diventare realtà. Pur essendo classico nell'impianto generale e nell'uso dei topos narrativi, infatti, questo libro insolito si segnala per la resa del terrore che diventa palpabile, il macabro che si fa quotidiano e il disagio che trasuda dalle pagine stesse, in modo inedito e straordinario per gli stili adottati negli anni '30 del secolo scorso; tanto che lo scrittore e critico Anthony Boucher lo ha incluso nella sua classifica personale dei dieci migliori gialli mai scritti.

Villaggio di Biertan, in Transilvania, che potrebbe ben
sostituirsi a quello di Grindle quanto a eventi terrificanti
La storia, tuttavia, non inizia in modo da far sospettare le atrocità che si verranno a verificare nel corso del racconto. Per prima cosa, ci vengono presentati due dottori (meglio, due scienziati), Douglas Swanson e il suo collega Antonio Conti, mentre tornano nella casa che hanno affittato nella vallata di Grindle, nel New England: un luogo distante venti miglia dalla città di Rhodes e immerso nella natura, che di solito suscita nella mente soltanto immagini bucoliche e amene. Stanchi per la giornata di duro lavoro nei laboratori dell'ospedale universitario, stanno percorrendo in auto la strada principale del villaggio quando, d'improvviso, scorgono numerose figure intente a passare al setaccio i campi che circondano le fattorie. D'impulso, i due credono che siano ancora in corso le ricerche degli animali scomparsi: in questa moderna Arcadia, infatti, da qualche tempo si stanno verificando episodi inquietanti e irragionevoli, come la sparizione di un'oca, un gattino e alcuni cani da caccia. Nessuno li ha più visti dal momento in cui si sono allontanati dai loro padroni, e un tale silenzio da parte di esseri chiassosi come quelli fa temere che possa essere loro successo qualcosa di grave, pur non facendo presagire minacce imminenti che vedano coinvolti più di tanto gli abitanti di Grindle, come gli stessi Swanson e Conti. Se non fosse che, come apprenderanno ben presto, stavolta il soggetto delle indagini è la piccola Polly Baines, la figlia più piccola del loro giardiniere.

Anche lei è uscita sul cortile posteriore di casa sua e si è inoltrata nella vegetazione, facendo perdere le proprie tracce. Il pronto allarme dei genitori della bambina e l'utilizzo dei segugi, purtroppo, non porta a nessun risultato concreto, e il fatto diventa immediatamente l'oggetto preferito dai pettegoli locali per sparlare di questo o di quell'altro conoscente: la sera stessa della scomparsa di Polly, infatti, i due scienziati e i signori Goschen, invitati per una cena nella loro casa, escogitano innumerevoli teorie sul fatto. Nessuno viene escluso dal sospetto di essere il responsabile dei rapimenti: Valerie Middleton e sua madre, povere ma determinate; i Tailford-Jones, legati da un matrimonio infelice; gli Alstone (Seymour, suo figlio Franklin e suo nipote Gerald), padroni della maggior parte delle terre ma estranei tra loro; Peter Foote, giovane promessa nel campo della patologia e amico di Gerald; gli stessi Baines, affetti da una tara mentale. Il problema è che ognuna di queste persone sembra non avere alcun movente valido per far sparire una ragazzina di dieci anni; certo, più o meno tutto nutrono manie di qualche tipo, ma arrivare a rapire un essere umano appare davvero esagerato... o forse no? Pian piano, infatti, la faccenda inizia a farsi drammatica. Quando anche la scimmietta da compagnia di Roberta Tailford-Jones scompare nel nulla e il cane di Valerie Middleton rischierà di essere ucciso, il disagio che grava su Grindle minaccerà di esplodere come una bomba e di scatenare i rancori sopiti tra gli abitanti del luogo; ma saranno le progressive scoperte dei resti degli animali scomparsi e di numerosi cadaveri orrendamente sfigurati a diffondere, nelle strade innevate del villaggio, il terrore che tutto sia opera di un pazzo che si sta aggirando da quelle parti. Le morti fioccano, insieme alla neve, e le scoperte si fanno sempre più agghiaccianti; l'unico al di sopra di ogni sospetto è il vice-sceriffo Bracegirdle, al quale vengono affidate le indagini: riuscirà a fermare il colpevole, sostenuto dal dottor Swanson, prima che sia troppo tardi?

Piantina della Vallata di Grindle, con segnalati i punti in cui
sono stati trovati i cadaveri dello uistiti e di Baines
"Presagio di Morte" costituisce una prova memorabile e fuori dal comune nel panorama della crime story classica, anche se a una prima occhiata può sembrare che sia un convenzionale giallo di inizio Novecento. Fin dall'inizio, infatti, il narratore appare quanto mai simile alla "spalla" che accompagna investigatori quali Hercule Poirot oppure Sherlock Holmes (entrambi citati nel corso del racconto, assieme a Philo Vance); tanto più trattandosi di uno scienziato assimilabile alla figura di Watson, che vive nella stessa casa assieme al collega "più sveglio", si innamora di una bella vicina e si ritrova coinvolto in situazioni pericolose e avventurose (vedasi l'inizio del cap. 5 o lo stesso finale). L'ambientazione è quella della campagna (americana, ma intercambiabile con la sua controparte britannica), dotata di un paesino rurale composto di famiglie laboriose e all'apparenza spensierate (pp. 4 e 31-33, ma pure p. 65 e seguenti); i personaggi risultano quanto mai familiari nei rapporti tra loro, tratteggiati con attenzione in un misto di affabilità e gelosia, inframmezzati dal proverbiale pettegolezzo che si insinua in ogni pensiero (esempio alle pp. 7-16); lo stesso modo di descrivere tutto ciò rimanda allo stile della Golden Age, con l'usuale indagine sulla scomparsa di una persona smorzata ogni tanto da intervalli di carattere quotidiano, come la battuta di caccia (cap. 6) oppure le cene tra vicini (cap. 1 e pp. 27-30). La presenza di una caratteristica mappa della vallata di Grindle (p. 32), di un enigma improntato al fair-play (vedasi la spiegazione finale, negli ultimi quattro capitoli) e di una trama articolata, sommati a tutto ciò, confermerebbero dunque la convinzione di trovarci di fronte a un mystery classicissimo, un placido romanzo con "delitto-al-villaggio" sullo stile di quelli che avvengono a St. Mary Mead; se non fosse che, non appena veniamo introdotti alle prime indagini, scopriamo che in realtà le apparenze nascondono una storia ben più oscura, in cui i siparietti tra gli abitanti lasciano spazio a situazioni molto meno confortevoli.

Infatti, pur presentando l'impianto canonico che ci si aspetterebbe di trovare in un romanzo di questo genere, la storia risulta caratterizzata da un incredibile senso di agghiacciante inquietudine, suscitato nel lettore in modo sempre più forte man mano che la vicenda si sviluppa da una narrazione infinita di crudi omicidi, perpetrati con sadico piacere, fino all'angosciante finale al limite del parossismo. Si tratta di un elemento innovativo, che contrasta con quelli appartenenti al passato ma, allo stesso tempo, costituisce il cardine attorno a cui si snodano gli eventi e fa sì che la componente "classica" ne esca incredibilmente rafforzata e risulti tanto insolita quanto affascinante. Se l'idea di usare un approccio tanto moderno potrebbe farvi dubitare sulla resa complessiva del romanzo, non abbiate timore: il risultato finale, per quanto diverso dal solito, vi sorprenderà in positivo. Nei libri di Patrick Quentin, infatti, la tradizione si sposa benissimo con la novità, in un connubio evocativo e strabiliante insieme. In questo caso, se ci facciamo caso, al di là di personaggi ed ambientazione sui quali mi soffermerò più avanti, sono soprattutto i contenuti a conferire questa connotazione inedita a "Presagio di Morte" e a rappresentare il principale motivo di rottura con la precedente tradizione del giallo classico. Da un'introduzione più ordinaria, infatti, pian piano le vicende iniziano ad incentrarsi su temi inconsueti e sempre più disturbanti, in cui domina una psicologia distorta e scioccante; quali il sadismo, la mutilazione e la questione etica dei test sugli animali. Provate a seguire questa riflessione: innanzitutto il narratore, il dottor Swanson, è un giovane scienziato che si occupa di vivisezione ed esperimenti in laboratorio che prevedono cavie, assieme al suo collega Conti. Bisogna ammettere che si tratta di attività perlomeno insolite, se non molto sgradevoli, per protagonisti di libri in cui si evita di soffermarsi sugli aspetti più disagevoli degli omicidi, giusto? Più di una volta, poi, nel corso della narrazione della vicenda, spariscono animali nelle vicinanze della casa in cui loro vivono: capre, pecore, un'oca, un gattino, alcuni cani, e tutti quanti vengono ritrovati in breve tempo nei boschi e nel fiume che attraversa Grindle, quali cadaveri squartati e mutilati in modo orribile. Non so voi, ma a me tutto questo fa provare una forte repulsione.

Infine, il passaggio terribile dalla scoperta dei corpi di esseri selvatici e subumani a quelli di esseri umani veri e propri corona l'opera dello sterminatore, quando la morte tocca lo uistiti di Roberta Tailford-Jones (che ricomparirà sventrato poco dopo, a p. 20) e anche la piccola Polly Baines; accostamento, quest'ultimo, reso ancora più terribile dal fatto che la piccola scimmia, tipico "ornamento" delle donne degli anni' 30, assomigli in modo incredibile a una bambina. A pensarci bene, non dà i brividi come qualcuno possa aver partorito tante idee oscure e tutt'altro che "confortevoli" (senza dimenticare che ciò è successo nel 1935) e aver deciso di metterle insieme? D'accordo, la traduzione italiana, datata 1977, non è molto recente e al giorno d'oggi il senso di disagio che si prova a leggere simili atrocità è attenuato; però questo non inficia la forza dirompente di trovate del genere! Ammetto di essere stato molto impressionato dal tono moderno misto a gotico che è stato usato per descrivere le vicende; Martin Edwards, nel suo "The Golden Age of Murder", aveva messo in guardia il lettore dalla lettura di "Presagio di Morte", ma mai avrei immaginato fosse tanto sovversivo per i suoi tempi. Senza contare, inoltre, che questa escalation di violenza ci viene propinata in modo da non farcene quasi accorgere, e solo quando giungiamo ai fatti compiuti ci rendiamo conto di quanto essi possano essere potenti e devastanti. La crudezza delle morti, infatti, caratterizzate da fattori angoscianti (chi viene ucciso perché trascinato da automobili fino ad esalare l'ultimo respiro e in seguito annegato con i polsi stretti in trappole per topi (pp. 33-38), chi impiccato a un albero (pp. 64-69, 71-78), chi ammazzato da un colpo d'arma da fuoco (pp. 101-111)), non lascia un momento di respiro al lettore, il quale si ritrova catapultato in un incubo ad occhi aperti, dal quale sembra impossibile uscire se prima non si ha scoperto la verità. E se, come ho detto, il racconto delle uccisioni rappresenta il principale motivo di disagio per chi legge, è altrettanto vero che altri elementi della storia concorrono a rafforzare il senso di malessere e fastidio. I continui riferimenti agli esperimenti in laboratorio di Swanson e Conti (all'interno dei capitoli iniziali e nei colloqui con Bracegirdle), ad esempio, sottolineano ancora di più l'orrore di tutta la situazione e quanto essa diventi sempre più insostenibile. Oltre alla faccenda della vivisezione, i due amici e colleghi vengono criticati aspramente in quanto sospettati di essere responsabili delle scomparse (poi morti) e per il loro essere "insensibili e sadici" (pp. 12-15 da parte della signora Tailford-Jones e pp. 24-27 dal preside di facoltà). A tutti appare chiaro loro che sarebbero i primi a trarre vantaggio da un incremento delle "scorte" su cui testare nuovi farmaci (uno dei due autori che si nascondevano dietro lo pseudonimo Quentin, Richard Wilson Webb, per un periodo fu a capo di un reparto di ricerca farmaceutica, quindi sapeva bene come ci si poteva sentire ad essere accusati di simili atrocità), e non serve a nulla dimostrare che non hanno alcun legame con i delitti. Qualunque cosa facciano, Swanson e Conti sono destinati a sbagliare poiché, se prima l'accusa di sadismo veniva rivolta nei loro confronti con l'attenuante di far soffrire povere bestiole soltanto per il "Bene Superiore" dello sviluppo di cure inedite, una volta scoperta la natura schizofrenica delle uccisioni gratuite l'accusa persiste allo stesso modo, con il pretesto di fare di loro un comodo capro espiatorio.

Secondo le menti bigotte e cieche degli abitanti di Grindle, gli scienziati sono tutti freddi e insensibili, quindi è naturale che Conti abbia una mente malata secondo la quale la tortura e l'uccisione vengono viste come naturali; senza contare la concezione distorta dell'esperimento come se fosse qualcosa di simile a un rito satanico. Come capirete, dunque, anche il legame instaurato tra gli esperimenti e gli omicidi e i sospetti infondati degli abitanti mettono in luce quanto la società di Grindle sia corrotta e rendono la lettura poco confortevole; ma non è finita qui. La questione del sadismo, infatti, porta a una discussione sull'ipocrisia, messa in luce dalle reazioni dei vicini degli scienziati ai delitti: all'apparenza sono persone come tutte le altre, ma in profondità nascondono istinti animaleschi, sono incapaci di esprimere emozioni normali e nutrono pregiudizi contro il "diverso" (pp. 7-16, 20-24, 53-56, 64, 83, 114 oltre a molte altre). Ad esempio i Baines, affetti da una presunta tara mentale, vengono additati e tenuti a distanza come se fossero paria, in quanto potrebbero contaminare l'apparentemente perfetta e sana rete sociale dei cittadini più in vista di Grindle: Mark e sua sorella, soprattutto, diventano i bersagli del pettegolezzo locale, poiché considerati alla stregua di animali selvaggi e di individui disturbati (pp. 14-15). Ma non sono solo gli "strani" dichiarati a catturare l'attenzione della popolazione di Grindle; pure chi presenta menomazioni fisiche, come il veterano Edgar Tailford-Jones, accusato di essere impotente dal punto di vista sessuale, oppure il debole Gerald Alstone viene appellato con definizioni al limite della diffamazione. Lo stesso elemento sessuale, come ha approfondito Curtis Evans in un saggio contenuto in "Murder in the Closet", costituisce un altro dei caratteri spiacevoli su cui si basa "Presagio di Morte: spesso, infatti, viene sottolineato l’aspetto muscolare e virile degli uomini, in modo da far emergere una sottintesa tendenza carnale per nulla indifferente. Il soffermarsi sulla violenza perpetrata sui bambini (pp. 9, 20-22), l'utilizzo di molti termini di carattere medico e l'inserimento di scene di aggressività gratuita (come l'incendio atto ad ammazzare i cavalli di Seymour Alstone, alle pp. 48-52, o la battuta di caccia tanto "classica" nell'esposizione come quella descritta dallo stesso Quentin in "E i Cani Abbaiano...", sotto lo pseudonimo di Jonathan Stagge, quanto segnata dai comportamenti animaleschi dei suoi partecipanti, all'interno del cap. 6) coronano infine una storia carica di materiale orrorifico, sulla quale domina un mistero contraddistinto da una soluzione straordinaria e insolita per il suo tempo (basata, tra l'altro, su un caso realmente avvenuto in America che destò grande scalpore e distinto per l'innovativa mancanza di un movente razionale, elemento centrale della classica crime novel in cui tutto è guidato da una ferrea logica psicologica) e segnato da una violenza inaudita, che sembrerebbe più adatta a un hard-boiled mystery.

Anche se in questo caso, sebbene l'enigma sia velato da pura violenza e ombre terribili da "romanzo dei duri", viene data maggiore importanza alla psicologia del delitto (pp. 86-89, 107), con richiami a Krafft-Ebing e Freud e alle loro teorie sull'attrazione sessuale dello stesso genere, sull'impotenza e la psicopatia. Patrick Quentin ha miscelato tutto ciò, tra innovazione e passato, e contro le aspettative ne ha ricavato una vicenda classica che funziona: da una prima apparenza di tradizione nella forma, in seguito il romanzo vira verso la novità e il rinnovamento in quanto a contenuti, per poi tornare a un finale classico, contrassegnato da falsi indizi e ipotesi, in cui tuttavia dominano il caos e la frenesia (forse troppo?), come in uno spasmodico conto alla rovescia verso la distruzione e la pazzia più sfrenata (cap. 15-16). "Presagio di Morte" costituisce, insomma, un piccolo capolavoro della classica crime story; anche se risulta molto avanti sul suo tempo e lascia trasparire un presunto sadismo, sotto sotto sono convinto che i suoi autori volessero soltanto rompere le regole e i tabù non scritti del genere. È un astuto esempio di romanzo del mistero che ruota attorno a un alibi indistruttibile? È un trattato sulla pazzia e sul delitto? È un'opera di denuncia verso il bigottismo della società americana della provincia? È un giallo con delitto-al-villaggio-di-campagna? Oppure è un romanzo sulla depravazione? Sono fermamente convinto che, in realtà, questo strabiliante libro incarni tutte queste declinazioni.

Richard Wilson Webb, nato nel 1901 e
morto nel 1966. Fu una delle due metà che
produssero "Presagio di Morte"; dell'altra,
ovvero Mary Louise Aswell, non ci sono
fotografie.
Anche se non viene spesso ricordato (in Italia siamo stati fortunati, poiché tutti i suoi gialli sono stati pubblicati da Mondadori a partire da molti anni fa), il nome di Patrick Quentin rappresenta una delle firme più famose e sfuggenti di tutta la letteratura gialla: esso, infatti, consiste in un'intricata collaborazione tra diversi individui, che non si limitò ai "soliti" due autori, come nel caso di Ellery Queen o di Boileau-Narcejac, ma comprese ben quattro persone, le quali si diedero il cambio nel corso di quasi 35 anni di carriera, dal 1931 al 1965, e pubblicarono quasi trenta romanzi del mistero. Tutto iniziò quando Richard Wilson Webb (1901-1966), un ricercatore farmaceutico nato a Burnham, nell'Essex, ma emigrato in America in seguito a numerosi viaggi in Francia e Sud Africa, decise di scrivere una crime novel servendosi di un aiutante per la sua stesura; infatti, sebbene la sua mente brulicasse di idee geniali, non riusciva a dare loro forma adeguata sulla carta. Per fare ciò, iniziò un sodalizio con Martha Mott Kelley, una signorina di cui si conoscono soltanto la data di nascita (30 Aprile 1906, a New York), quella di morte (17 Novembre 1989) e che nel 1933 contrasse matrimonio con Stephen Shipley Wilson, dal quale nacque una figlia. Insieme scrissero due gialli tipicamente inglesi, "Tè e Veleno" (1931) e "Delitto al Club delle Donne" (1932), e li firmarono con lo pseudonimo Q. Patrick; poi Martha Kelley decise di ritirarsi e Webb, raccolto il "marchio" comune, intraprese la scrittura del suo unico romanzo "solista", "Prima che il Temporale Finisca" (1933); una storia ambientata a Cambridge, nel college dove aveva studiato. La situazione di lavoro in solitaria, però, non lo soddisfaceva e così, in quello stesso anno, diede inizio a una nuova collaborazione, stavolta in compagnia di una giovane giornalista americana, chiamata Mary Louise Aswell (1902-1984). In coppia con lei, Webb diede alla luce "In Crociera col Delitto" (1933) e "Presagio di Morte" (1935); poi si ritrovò ancora una volta solo al timone delle storie di Quentin. Fu a questo punto che i suoi sforzi vennero coronati dal successo. Di lì a poco, infatti, avrebbe conosciuto il cugino Hugh Cullingham Wheeler (1912-1987), col quale avrebbe avviato il sodalizio definitivo: insieme, scrissero tutti gli altri romanzi gialli che vanno dal 1935 al 1952, compresa la saga di stampo classico-moderno di Peter Duluth (un produttore teatrale alcolista che fece la sua prima apparizione in "Manicomio" nel 1935) che firmarono come "Patrick Quentin"; alcuni gialli dall'aspetto tradizionale ma pur sempre innovativi, quali il meraviglioso "Troppe Lettere per Grace" o i crimefiles dotati di rapporti e indizi reali come "Il Caso Claudia Cragge", ancora sotto il nome di Q. Patrick; e i nove libri con protagonista il dottor Westlake e la sia figlioletta Dawn, a firma Jonathan Stagge, improntati al mystery più classico. Per tutto questo tempo, i due cugini stettero fianco a fianco e lavorarono sodo; finché, nel 1952, Webb si ritirò alle Bermuda, stanco e ammalato, per trascorrere i giorni che gli restavano in pace e tranquillità (tra l'altro morì nell'indifferenza più totale) e lasciò il marchio al solo Wheeler il quale, tra alti e bassi, proseguì a scrivere gialli fino al 1965, tra un libretto in musica per Sweeney Todd e per A Little Night Music. Ho voluto precisare "tra alti e bassi" perché, a quanto dicono molti critici, dal momento in cui rimase solo, Wheeler diede un'impronta più psicologica e meno tradizionale ai suoi libri, pur sempre godibili ma poco interessanti dal punto dei contenuti e dei colpi di scena. Ciò renderebbe migliori quelli ideati da Webb, il vero "cervello" del duo, come "Presagio di Morte"; e osservando quest'ultimo, non si può non essere d'accordo con il loro giudizio.

Un'ambientazione evocata con vivacità (ad esempio pp. 3-4, 31-33, 65-70) e personaggi psicologicamente complessi (pp. 23, 53-56, 69) lasciano trasparire un'audacia, un'attenzione e una fantasia innate che, unite a un talento unico nel gettare il sospetto sugli attori in scena, creano situazioni indimenticabili e suscitano una tensione palpabile. In un assalto di implacabili visioni da incubo, la maggior parte dei personaggi ben presto si rivelerà composta da individui odiosi, con idiosincrasie e manie inquietanti e legate a turbamenti psichici e disfunzioni emozionali, che sembrano agire come se fossero guidati da un folle burattinaio il quale esaspera i rapporti tra loro e diffonde disagio (p. 64). Attorno a loro, Patrick Quentin costruisce una trama oscura, dove non mancano volti spettrali alle finestre, incontri su strade abbandonate, incendi dolosi e stanze piene di sangue che, tutti sommati, producono non soltanto una storia dell'orrore, ma anche un sottile ritratto di come la placida vita di campagna possa trasformarsi in un inferno. Forse tutto ciò è troppo? In effetti, tra i critici esso gode della reputazione di narrare fatti al limite del raccapricciante, con le sue strazianti mutilazioni di animali ed esseri umani e un gusto davvero perverso e abnorme nell'esecuzione delle uccisioni. Pensate che il suo editore l'ha presentato al pubblico per la prima volta come l'opera di un novello "Jekyll & Hyde"! Inoltre, secondo alcuni, la spiegazione finale presenta un problema troppo intellettuale, oltre a risultare troppo complessa e frenetica, al punto da dare la sensazione di essere imprecisa. In ogni caso, sono convinto che ciò sia dovuto al metodo particolare attraverso cui essa viene fornita al lettore e, da parte mia, vi assicuro che l'esperienza di lettura di "Presagio di Morte" vale; e se avete ancora dei dubbi, sappiate che accosterei questo romanzo fondamentale a "La Rossa Mano Destra" di Joel Townsley Rogers. Quello resta un caso a parte, certamente, ma la sensazione che ho provato alla fine della lettura è stata più o meno la stessa. Inoltre, ci sarà pure un motivo per cui Martin Edwards, Douglas Green, Anthony Boucher, Mauro Boncompagni e tanti altri elogiano questo particolare libro di Quentin. Sarebbe bello che qualcuno raccogliesse la sfida di ripubblicarlo, in questo momento d'oro per thriller. Per il momento, vi auguro di trovare una copia usata in un mercatino online o su una bancarella.

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