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venerdì 29 novembre 2019

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Dicembre 2019 - Speciale Natale)

Salve a tutti, amici dell'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario! Dopo dodici lunghi mesi, eccoci  quasi giunti al mio periodo dell'anno preferito; ovvero quello delle feste natalizie, che inizia con i primi giorni di Dicembre e termina con la fine di Gennaio. In realtà, sono convinto di non essere l'unico appassionato lettore a pensarla così, poiché questo momento si presta particolarmente al totale rilassamento accanto al fuoco: infatti, cosa c'è di meglio che prendere un romanzo fresco di stampa e tuffarcisi dentro da sotto una calda coperta, mettendo da parte per qualche ora tutte le preoccupazioni e la frenesia dei regali da fare? Senza dimenticare la visione di quei film confortevoli che tanto ci piacciono e ci coccolano. Lasciatemi sottolineare, però, che i fans della classica crime story si possono considerare un po' più fortunati degli altri, poiché vantano un'ulteriore tradizione grazie al cosiddetto "Christmas Murder Mystery", letterario e non; un vero e proprio sottogenere del giallo, che include storie in cui si miscelano con abilità fattori accoglienti e brutale violenza, dando vita a qualcosa di perversamente gradevole che vanta un enorme successo in tutto il mondo (non dimentichiamo i numerosi titoli pubblicati in seguito al fortunato "Sotto la Neve" in Inghilterra nel 2014). Si tratta di un'usanza che affonda le proprie radici molto indietro nel tempo e che, quindi, si vede rappresentata attraverso molte opere; forse fin troppe, tanto che si può finire per far confusione, al momento di scegliere le letture più opportune. Al fine di evitare tutto ciò, questo mese mi sono ripromesso di fornirvi uno stringato schema dei principali classici romanzi del mistero, a tema natalizio oppure semplicemente invernale, includendo le ultime novità da libreria ed edicola, in lingua italiana e inglese. Mi auguro che questa mia breve lista vi possa essere utile. Pertanto, bando agli indugi e iniziamo!

Copertina di "Trappola per Topi"
nell'edizione dei Classici del Giallo
Mondadori n. 325
Partendo con le classiche crime novels da libreria, bisogna menzionare innanzitutto tre libri di Agatha Christie editi da Mondadori: "Il Natale di Poirot", "Trappola per Topi" e "Il Caso del Dolce di Natale", contenuto nella raccolta omonima. Tutti sono diversi testi narrativi e prevedono un crimine a tema natalizio: nell'ordine, il primo è un romanzo su di un omicidio avvenuto all'interno di una famiglia, riunita per le feste ma divisa al suo interno da gelosie e invidie; il secondo una commedia teatrale in cui un omicidio, legato al tema della vendetta, si verifica in un ostello isolato dalla neve; e infine il terzo, un racconto, racconta di un furto, legato a un principe arabo, il quale vede un collegamento con il tradizionale ricevimento che ogni anno i padroni di casa allestiscono per alcuni ospiti. Si tratta di libri ormai entrati a pieno titolo nella tradizione (ad esempio, ogni anno io li rileggo quasi tutti), che non possono mancare in una collezione di tutto rispetto e che rappresentano la lettura ideale da fare in questo periodo dell'anno. Inoltre, ognuno si segnala per un motivo diverso: "Il Natale di Poirot" per essere uno dei migliori romanzi della Christie in cui avviene un "delitto impossibile"; "Trappola per Topi" per la capacità di irretire il lettore e di venire apprezzato da chiunque (non per niente, la commedia è la piece teatrale rappresentata più a lungo nella Storia); "Il Caso del Dolce di Natale" per l'accurata descrizione della preparazione delle attività festive, tratte dall'esperienza della sua stessa autrice. Se anche vi limitaste a leggere uno di questi volumi, vi assicuro che restereste comunque soddisfatti.

Copertina di "Il Segreto delle Campane"
nell'edizione della Polillo Editore
In secondo luogo, rimanendo sempre tra i classici compresi nell'offerta da libreria, vanno ricordati "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers e "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon, presentati da Polillo (anche se quest'ultimo è stato recentemente ripubblicato da Lindau col titolo "Morte nella Neve"). Rispetto a quelli della Christie, questi libri non sono molto conosciuti dal grande pubblico italiano; però, tra gli appassionati, restano opere di prim'ordine, se si è alla ricerca di una lettura invernale suggestiva. Il primo è il mio mystery preferito di sempre, quello che ha saputo afferrarmi e farmi riflettere di più: al di là dell'omicidio di uno sconosciuto, avvenuto in un paese della campagna inglese, e forse legato alla scomparsa di una collana di smeraldi, verificatasi molti anni prima, è soprattutto il racconto della vita quotidiana e delle vicissitudini del rettore Venables ad avermi affascinato, oltre all'inserimento di dettagliate digressioni, come quella del concerto campanario di fine anno durante una pesante nevicata (per saperne di più su questo libro, date un'occhiata alla mia recensione a riguardo). "Sotto la Neve", invece, si presenta come un giallo dalle grandissime premesse (non del tutto rispettate, ad essere sinceri) e un esempio lampante di quella che in Inghilterra è stata definita period novel; ovvero una storia suggestiva, ambientata in un'epoca passata, che ci riporta uno stile di vita lontano da quello contemporaneo, ma pieno di vivacità e adorabile proprio per il suo gusto vintage. Anche qui abbondano nevicate, sconosciuti che bussano alla porta, camere silenziose e coltelli privi di proprietario; se cercate una lettura leggera, questa fa al caso vostro.

Copertina di "Un Piccolo Omicidio di
Natale
" nell'edizione di Lindau Editore
Infine, restando ancora una volta al giallo britannico e comprendendo anche le edicole, ci sono alcuni esempi di classica crime story molto meno conosciuti, magari pubblicati recentemente solo in Italia, che meritano di essere sottoposti alla vostra attenzione. Soprattutto Polillo (ma non solo) ha dedicato alcune delle sue uscite alle feste natalizie: in primis le raccolte di racconti "Delitti di Natale" e "Altri Delitti di Natale", ma anche romanzi come "Il Canto di Natale" di Clifford Witting (membro del Detection Club ed autore molto apprezzato dalla critica), il quale narra la storia dell'omicidio di un cantore di carole, avvenuta alla vigilia delle feste. Lindau, invece, ha dato alle stampe tre volumi di genere: una ripubblicazione del "Sotto la Neve" sopracitato, "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay (in cui, secondo consuetudine, un capofamiglia viene ammazzato nel corso di una riunione parentale per le feste, piccolo gioiello del giallo natalizio) e "Un Piccolo Omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan (di cui ho parlato qui il mese scorso). Sellerio ha fornito al pubblico "Un Delitto Inglese" di Cyril Hare, un altro classicissimo delitto natalizio tutto in famiglia, con tanto di maggiordomo austero, bufera di neve e casa di campagna. Chiudono la carrellata dall'Inghilterra un paio di titoli pubblicati molti anni fa ma che si possono trovare sul mercato dell'usato, "Quando L'Amore Uccide" di Nicholas Blake ("il più strano, più complicato, più melodrammatico caso" della carriera di Nigel Strangeways, in cui l'atmosfera invernale risulta pesantemente influenzata dal tema della vendetta) e "Le Tre Bare", un duplice delitto impossibile considerato il capolavoro deduttivo del dottor Fell e quello letterario di John Dickson Carr; insieme ai più recenti "Natale di Sangue", lo Speciale del Giallo Mondadori per il mese di dicembre che comprende "Il Do Tragico" di Augusto de Angelis, "Diario di un Assassino" di Leo Bruce e il racconto "Il Caso Chopham" di Edgar Wallace, e “Delitto in Bianco" di Christianna Brand, il quale è ambientato in un ospedale di guerra, durante l'inverno del 1940.

Copertina di "Morte al Telefono"
nell'edizione della Polillo Editore
Il "Christmas Murder Mystery", tuttavia, ha trovato terreno fertile non solo in terra di Albione, ma anche in America. Ultimamente non sono stati pubblicati molti volumi made in USA degni di nota; eppure, sono comunque numerosi i titoli che mi sento di consigliarvi per trascorrere un caldo Natale, venato da piacevoli brividi. Primo tra tutti, "Sangue sulla Neve" di Hilda Lawrence, in cui un investigatore viene convocato in una remota cittadina di montagna da un eccentrico archeologo, il quale desidera una guardia del corpo accanto a sé, mentre si trova ospite di una famiglia di amici. La neve cade fitta sul villaggio, e quando qualcuno sparirà senza lasciare tracce l'investigatore capirà che c'è qualcosa che non va. Oppure "Morte al Telefono" di Elizabeth Daly; si tratta di una storia che inizia con un criptico messaggio, raccolto da un postino e destinato al bibliofilo Henry Gamadge. Una richiesta d'aiuto dal membro di una famiglia che non si mescola alla società da moltissimo tempo, una trappola mortale in una casa di campagna, una veduta scomparsa sono i suggestivi ingredienti di questa affascinante storia di mistero e psicologia. Entrambi i volumi sono stati pubblicati da Polillo, mentre "Riservata Personale" di Mignon G. Eberhart e "Colpo di Grazia" di Ellery Queen sono stati messi a disposizione nel Giallo Mondadori diverso tempo fa. Se foste interessati, entrambi si possono trovare online: il primo è una storia di pura suspense, che vede ricadere una pesante eredità sulle spalle di una giovane ragazza, costretta a trovare la soluzione a un delitto irrisolto e ad impedire la consegna di cinque lettere ricattatorie (il tutto durante una tempesta di neve che paralizza trasporti e comunicazioni); il secondo, invece, rappresenta un tipico caso "alla Ellery Queen", con un enigma complesso e tradizionale che verte su un paio di gemelli separati alla nascita, una filastrocca per bambini e l'immancabile tormenta.

Copertina di "Death Comes at Christmas"
pubblicata dalla Vintage
Per finire, dopo essermi dilungato con i titoli italiani, ecco una rapida panoramica su quelli pubblicati in lingua originale. Segnalo innanzitutto "Murder in the Snow" e "Death Comes at Christmas" di Gladys Mitchell, entrambi resi di nuovo disponibili da Vintage nel 2017 e 2019 e caratterizzati da omicidi invernali: nel primo Mrs. Bradley (la zitella investigatrice), la quale ha deciso di trascorrere il Natale con il nipote nei Cotswold, indaga su strani eventi che si verificano nel bosco poco distante e su alcune lettere minatorie; nel secondo, invece, Mrs. Bradley si dirige nell'Oxfordshire per trascorrere le feste... per ritrovarsi tra i piedi il cadavere dell'avvocato locale, trovato vicino a un fiume. Morte naturale o violenta? Starà a lei scoprirlo. Per i tipi di Dean Street Press, invece, già da qualche anno sono stati pubblicati "The Night of Fear" di Moray Dalton (altro giallo da casa di campagna, in cui un signore cieco sostiene di essersi imbattuto in un cadavere durante una partita a nascondino) e "The Crime at the Noah's Ark" di Molly Thynne (in cui alcuni individui si vedono costretti a rifugiarsi in un ostello e ad affrontare un assassino mascherato), senza dimenticare "Dancing Death" di Christopher Bush (in italiano "Omicidio a Capodanno"). Chiudono la carrellata "Murder at Christmas", una raccolta di dieci racconti natalizi pubblicata da Profile Books, e due dei titoli festivi dati alle stampe dall'ottima British Library Crime Classics: "Portrait of a Murderer" di Anne Meredith (una storia affilata come un rasoio, in cui scopriamo ben presto chi sia il colpevole ma ne condividiamo così le angosce e i desideri), risalente al 2016, e "The Christmas Egg" di Mary Kelly (di cui ho già parlato qui), dato alle stampe quest'autunno.

Copertina di "The Night of Fear"
pubblicata da Dean Street Press
Non mi sembra proprio che ci manchi la scelta, eh? E non sarebbe neppure tutto qui. Ma finirei per esagerare. In ogni caso, spero che questo post vi sia utile per orientarvi tra le numerose crime novels natalizie e invernali. Come sempre, vi auguro buone letture all'insegna del giallo classico!

AGGIORNAMENTO del 5 Dicembre: Scopro ora che Locked Room International ha pubblicato "Locked Room Murders Supplement", un volume aggiuntivo al saggio capolavoro omonimo sui delitti della camera chiusa di Robert Adey. Si tratta di un supplemento ad opera di Brian Skupin (già curatore della raccolta di racconti "The Real of the Impossible"), con l’elenco completo dei titoli appartenenti a questo sottogenere dopo il 1991, fino al 2019, il quale comprende anche le opere escluse dalle edizioni precedenti, racconti, film televisivi e cinematografici e altri media. Con le letture natalizie non ha alcun collegamento, ma mi è sembrato giusto segnalare comunque la pubblicazione, visto che Three-a-Penny è seguito anche da alcuni amici appassionati di Carr & co. Come pure voglio ricordarvi i quattro romanzi editi da Mulatero Editore, ambientati in montagna e quindi più che adatti ad essere divorati mentre si sta al caldo. Alla prossima!

Copertina di "Locked Room Murders
Supplement" pubblicata da Locked Room
International
Link ai titoli consigliati su Libraccio:
"Il Natale di Poirot" di Agatha Christie;
"Trappola per topi" di Agatha Christie;
"Il caso del dolce di Natale e altre storie" di Agatha Christie;
"Il segreto delle campane" di Dorothy L. Sayers;
"Sotto la neve" di J. Jefferson Farjeon
"Delitti di Natale" di AA.VV.;
"Altri delitti di Natale" di AA.VV.;
"Il canto di Natale" di Clifford Witting;
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Un piccolo omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan;
"Un delitto inglese" di Cyril Hare;
"Sangue sulla neve" di Hilda Lawrence;
"Morte al telefono" di Elizabeth Daly.

Link ai titoli consigliati su IBS:
"Il Natale di Poirot" di Agatha Christie;
"Trappola per topi" di Agatha Christie;
"Il caso del dolce di Natale e altre storie" di Agatha Christie;
"Il segreto delle campane" di Dorothy L. Sayers;
"Sotto la neve" di J. Jefferson Farjeon;
"Delitti di Natale" di AA.VV.;
"Altri delitti di Natale" di AA.VV.;
"Il canto di Natale" di Clifford Witting:
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Un piccolo omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan;
"Un delitto inglese" di Cyril Hare;
"Sangue sulla neve" di Hilda Lawrence;
"Morte al telefono" di Elizabeth Daly.

Link ai titoli consigliati su Amazon:
"Il Natale di Poirot" di Agatha Christie;
"Il caso del dolce di Natale" di Agatha Christie;
"Trappola per topi" di Agatha Christie;
"Il segreto delle campane" di Dorothy L. Sayers;
"Sotto la neve" di J. Jefferson Farjeon;
"Delitti di Natale" di AA.VV.;
"Altri delitti di Natale" di AA.VV.;
"Il canto di Natale" di Clifford Witting,
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Un piccolo omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan;
"Un delitto inglese" di Cyril Hare;
"Quando l'amore uccide" di Nicholas Blake;
"Le tre bare" di John Dickson Carr;
"Natale di sangue" di AA.VV. (sono ebook);
"Sangue sulla neve" di Hilda Lawrence;
"Morte al telefono" di Elizabeth Daly;
"Riservata personale" di Mignon G. Eberhart;
"Colpo di grazia" di Ellery Queen;
"Murder in the Snow" di Gladys Mitchell;
"Death Comes at Christmas" di Gladys Mitchell;
"The Night of Fear" di Moray Dalton;
"The Crime at the 'Noah's Ark" di Molly Thynne;
"Dancing Death" di Christopher Bush;
"Murder Under the Christmas Tree" di AA.VV.;
"Portrait of a Murderer" di Anne Meredith;
"The Christmas Egg" di Mary Kelly;
"Locked Room Murders Supplement" di Brian Skupin.

venerdì 22 novembre 2019

15 - "L'Occhio di Osiride" ("The Eye of Osiris", 1911) di Richard Austin Freeman

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore
L'ho spiegato anche nella presentazione di questo blog e nella recensione di "La Figlia del Tempo" di Josephine Tey, ma lo ripeto sempre volentieri: senza alcun dubbio, una delle ragioni che hanno contribuito a farmi diventare un appassionato della classica crime story (in particolare quella inglese) si può ritrovare nella capacità, insita in questo genere letterario, di saper evocare di volta in volta un mondo affascinante, come quello degli anni suggestivi e imperfetti tra la fine dell'età Vittoriana e la rinascita tumultuosa che seguì la fine della Seconda Guerra Mondiale, attraverso le piccole attività quotidiane di uomini e donne morti da tempo ma, in qualche modo, pur sempre "vivi" agli occhi dei suoi lettori. È questa una caratteristica peculiare della narrativa gialla, la quale spesso riesce a ridare vita al passato altrimenti noioso dei freddi resoconti nei libri di Storia e nei saggi stesi da asettici studiosi, interessati più ai Grandi Avvenimenti che alla Vita Quotidiana. La compilazione di un diario giornaliero, ad esempio, con quel gusto nel dare risalto al racconto delle vicende di ogni giorno; il complesso rapporto tra conoscenti e il corteggiamento dei gentiluomini nei confronti di garbate signorine, fatti di inchini formali e toni lirici; oppure il ritratto di una via piena di negozi e dei suoi abitanti, nati o stabilitasi proprio lì da tempi immemori, o la descrizione di antiche dimore distrutte dalle bombe o dal progresso: tutte queste abitudini e luoghi che ci parlano di un'epoca passata sono stati man mano cancellati (o quasi) dal passare degli anni, con la conseguenza che noi non potremmo più vederli rivivere davanti ai nostri occhi e rischierebbero di essere dimenticati, se non fosse stato per l'opera di alcuni giallisti, ignari biografi della società, i quali hanno destinato all'eternità un'eredità preziosissima di piccoli frammenti che, tutti insieme, tracciano un godibile ritratto delle usanze tradizionali, capaci di resistere fino ad oggi grazie al fatto di essere stati impressi nelle pagine dei loro romanzi. Oltre a soddisfare la mera curiosità ed arricchire le vicende fittizie, infatti, tutto ciò riveste una grande importanza nel mostrare l'evoluzione della società di un tempo e ci permette di apprendere fatti che altrimenti sarebbero andati perduti tra le pieghe della Storia; mica male, per una forma letteraria famosa per descrivere situazioni perlopiù fittizie.

La stessa P.D. James, scrittrice di crime novels classiche, ha osservato che si può "apprendere molto di più sui costumi sociali dell'epoca in cui un giallo è stato scritto, di quanto si possa fare dalla letteratura più pretenziosa". E anche se, in questo caso specifico, lei si riferisce al periodo della Golden Age, in cui il genere ha raggiunto l'apice in quanto ad inventiva e tratteggio dell'atmosfera sociale, secondo me la stessa cosa vale per gli anni immediatamente precedenti, quelli che vanno dalla fine dell'Ottocento agli inizi del Novecento: pure allora, infatti, vennero prodotte opere del mistero degne di essere ricordate per il loro piacevole racconto della quotidianità; certo, magari alcune non hanno resistito alla prova del tempo, a causa di uno stile che nel frattempo si è evoluto, ma altre conservano tutt'oggi un certo fascino che mescola enigmi in anticipo sui tempi e una narrazione perlomeno suggestiva, dando prova della solidità di un genere che resiste con successo da oltre 150 anni e in cui si sono cimentati, oltre ad alcuni storici, anche poeti, economisti e scienziati. In particolare, l'oggetto della recensione di quest'oggi, "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman (Polillo Editore, 2014), è un esempio dell'opera complessiva di uno stimato e controverso dottore, vissuto a cavallo di XIX e XX secolo, la quale si può ascrivere tra tali libri datati ma ancora godibili: si tratta infatti di un romanzo stupefacente, datato 1911 ma che si legge perfettamente anche ai nostri giorni e presenta alcuni aspetti tanto innovativi da apparire molto più recente, in cui il primo investigatore scientifico della Storia (dopo l'eccezione Sherlock Holmes) indaga su un delitto misterioso, che mescola Antico Egitto, sentimento autentico e l'applicazione di un metodo che non sfigurerebbe nelle moderne sezioni della "scientifica", e persegue la propria meta senza tregua, confidando nel potere della chimica, della biologia, della legge e della Giustizia.

Dipinto raffigurante Nevill's Court, quartiere di Londra
distrutto in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra
Mondiale
La vicenda si apre con una scena all'ospedale St. Margaret di Londra, dove il protagonista e narratore della storia, il dottor Paul Berkeley, assiste a una conferenza dello stimato John Thorndyke, suo docente e investigatore dilettante. L'argomento della lezione appena terminata ha riguardato il come si possa stabilire con certezza il momento della scomparsa di una persona, e il professore ha deciso di presentare agli alunni interessati un esemplare caso atto ad illustrare le teorie che ha fin lì esposto: quello di John Bellingham, egittologo di fama mondiale, sparito in circostanze eccezionali dalla casa del cugino Hurst, in cui si era recato di ritorno da un viaggio sul continente. La cameriera lo aveva accolto e fatto accomodare nello studio del padrone, in attesa che quest'ultimo ritornasse da un appuntamento in città, per poi dedicarsi alle faccende domestiche lasciate in sospeso; tuttavia, quando Mr. Hurst era rincasato, si era scoperto che Bellingham si era volatilizzato senza alcun motivo, sgusciando da un cancello sul retro. Preoccupato dallo strano comportamento del cugino, Hurst aveva subito allertato l'avvocato di Bellingham, Mr. Jellicoe, ed insieme si erano diretti dal fratello dell'archeologo, Godfrey, per scoprire che in un momento imprecisato della serata il fuggiasco aveva fatto una tappa a casa di quest'ultimo, senza farsi riconoscere dal personale, seminando sul suo cammino uno scarabeo da cui non si separava mai e facendo perdere ancora una volta le proprie tracce. E se è vero che, al di là di allarmare i suoi parenti e Jellicoe, l'atteggiamento di John Bellingham non farebbe necessariamente pensare a una disgrazia, è altrettanto vero che dà adito a numerosi dubbi sui motivi che possano averlo spinto a mettere in atto una tale messinscena. Se stava bene, perché Bellingham avrebbe dovuto lasciar cadere a terra lo scarabeo e abbandonarlo, prima di sparire? Perché ha architettato una fuga tanto pirotecnica? Ma soprattutto, adesso è morto oppure si sta nascondendo?

Il problema ha suscitato l'interesse accademico di Thorndyke e ha acceso l'immaginazione di Berkeley il quale, appena due anni dopo la scomparsa e la fine dei suoi studi, incappa per puro caso proprio in Godfrey Bellingham, caduto in disgrazia in seguito alla sospensione del reddito concessogli dal fratello, e in sua figlia Ruth. Dalla sua posizione di medico condotto, ora Berkeley può accedere a confidenze personali e a documenti che tempo prima erano stati preclusi ai giornali; e un interesse decisamente sentimentale, legato all'impressione che un grave pericolo gravi sui suoi nuovi amici, gli suggerisce di interpellare proprio John Thorndyke, affinché lo possa aiutare a risolvere il caso. Tuttavia, alcuni presagi fanno intendere che possa essere accaduto qualcosa di grave all'egittologo e non è facile intraprendere un'indagine adeguata: le complicazioni, infatti, sembrano moltiplicarsi man mano che passano i giorni. Innanzitutto, niente conferma il momento esatto in cui Bellingham è scomparso: ha fatto visita prima al fratello oppure al cugino, visto che in realtà nessuno può confermare di averlo visto di persona dopo il suo ritorno in Inghilterra? In secondo luogo, la spinosa questione del testamento del (presunto) defunto, la cui stesura presenta condizioni alle quali pare impossibile adempiere, suscita ben più di un dilemma, coinvolgendo Jellicoe e Hurst tra i sospettati di una congiura cui forse hanno avuto una parte anche i Bellingham; senza contare il misterioso affare del rinvenimento di alcuni resti umani, sparpagliati in diversi laghetti e stagni nei dintorni della vecchia casa di Godfrey e Ruth. La vicenda si protrarrà tra un idillio al British Museum, gite in vecchi cimiteri e vicoli della Londra Edoardiana, processi e inchieste del coroner, mentre Thorndyke si interroga sulla soluzione del caso, tra un esperimento e l'altro; finché egli sarà ricompensato per l'attesa e, grazie a un passo falso del suo misterioso avversario, il quale si delinea sempre più sullo sfondo della scomparsa di Bellingham, riuscirà a far luce sulla misteriosa scomparsa dell'egittologo.

Fotografia raffigurante il sarcofago della
mummia di Artemidoro
Richard Austin Freeman non è propriamente da considerarsi un autore della Golden Age del romanzo giallo inglese; nel senso che ha iniziato a scrivere nell'epoca precedente a quella di altri grandi e più famosi esponenti del genere, come Agatha Christie o Dorothy L. Sayers. Ad esempio, le avventure con protagonista Romney Pringle, le quali costituiscono il suo primo sforzo letterario, risalgono al 1902, mentre l'esordio del professor Thorndyke al 1907, poco meno di 15 anni prima di quello di Poirot. Questo fatto potrebbe indurre a credere che l'opera di Freeman sia purtroppo datata e molto meno interessante di quella dei suoi colleghi più giovani; eppure, niente potrebbe essere tanto sbagliato, e per averne conferma basta leggere "L'Occhio di Osiride". Quest'ultimo appartiene a un filone di mysteries che mi piace definire "antiquati", ma non per sottolineare in senso negativo il loro essere superati e antichi; piuttosto, per indicare come essi siano stati capaci di sfruttare il passato così da accrescere il proprio valore intrinseco nel futuro. Considerateli come se fossero scrivanie d'epoca accostate a tavoli dal design moderno: magari non reggono il confronto con alcuni capolavori venuti in seguito, soprattutto in fatto di complessità di enigma oppure di emancipazione dei personaggi; però non si può negare il fatto che i gialli di Freeman, allo stesso modo di quelli scritti (per fare un esempio) da J. Jefferson Farjeon, riescano ad esercitare un'attrazione irresistibile nei lettori nostalgici e costituiscano dei piacevoli esempi di period novel, ovvero quel tipo di romanzo in cui viene ritratto lo stile di vita di un definito arco di tempo, con i suoi pregi e i suoi difetti. Si tratta di opere suggestive, le quali sanno raccontare vicende avvolte da una sorta di alone onirico, che vediamo come attraverso la nebbia del tempo, ed intrattenere il proprio pubblico con una semplicità soltanto apparente: in realtà, infatti, in "L'Occhio di Osiride" ma non solo, ci troviamo di fronte a complessi mosaici fatti di piccole tessere dettagliate, tenute insieme da un collante costituito da stile, ambientazione e caratterizzazione dei personaggi "alla Dickens"; tutti quanti solidi contro il passare del tempo (anche se soggetti alle mode) e, nonostante la pesantezza che ogni tanto lasciano trasparire, mescolati all'indubbia attrattiva del mistero.

Nel caso specifico del romanzo di Freeman, quattro sono gli elementi che risaltano al suo interno e gli hanno permesso di sopravvivere alla prova del tempo: una scrittura ironica seppur specialistica, magari un po' nostalgica ma mai banale, attenta e a suo modo coinvolgente; un enigma capace di soddisfare anche i lettori più esigenti, imperniato su un metodo d'indagine scientifico ma non per questo poco appassionante; un sapiente uso delle descrizioni degli ambienti che fanno da sfondo alle vicende raccontate, capaci di proiettare chi legge direttamente dentro le pagine; una grande attenzione al rapporto tra i personaggi, costruito di interazioni che si inseriscono molto bene tra i momenti più "seri" dell'indagine e che permette di spezzare un racconto altrimenti troppo schematico e serioso. La critica che il più delle volte viene rivolta a Freeman (e al suo Thorndyke), infatti, è quella di adottare un atteggiamento a dir poco gelido e molto tecnico; certamente comprensibile, se si presta attenzione alla semplice esposizione del mistero, ma bisognerebbe sottolineare anche il fatto che un simile giudizio è alquanto riduttivo e arbitrario, se si tiene conto pure del contenuto effettivo e di quanto fa da contorno ai casi di cui uno è inventore e l'altro protagonista. Il buon professore sarà anche il più scientifico degli investigatori e il primo medico legale mai apparso sulla scena della narrativa del mistero, ma che dire  dell'empatia di cui dà prova in alcune occasioni? E tornando a Freeman, cosa dire delle città che ha ritratto come dipinti in movimento, dei dialoghi brillanti, dei temi toccati e dei complessi rapporti tra innamorati che letteralmente pullulano nelle sue crime novels?

Sono soprattutto questi i motivi che spingono ancora adesso alla lettura di questi straordinari romanzi. Lo stesso Raymond Chandler, durissimo nei confronti del giallo classico, elogiò apertamente il loro autore, definendolo “un magnifico artista” che “non ha eguali”. Al fine di convincervi della bontà del mio pensiero, ora prenderò in esame ognuno di questi elementi caratteristici di "L'Occhio di Osiride", partendo dai contenuti che mescolano scienza forense, pratica legale, romanticismo ed egittologia. Spesso, nei mysteries contemporanei, mi sono reso conto di come la "sostanza" sia debole e fiacca, poiché mancante di una base stabile e salda per quanto riguarda il fattore stilistico e contenutistico; nel caso di questo libro, invece, mi è sembrato che l'autore sapesse molto bene di che cosa stava parlando e avesse tutte le intenzioni di renderlo noto ai suoi lettori: lo dimostrano non solo i continui riferimenti alla pratica legale (pp. 161-198, ovvero i capitoli sull'inchiesta e sul processo di morte presunta, ma anche pp. 80-91, 122-123 e cap. 9, quest'ultimo sul modo di ragionare di un avvocato fin troppo zelante) e alla medicina (pp. 59-60, 128-131, 134, 138, 150-160, 165-169, 284-288), i quali possono essere ascritti alle critiche di cui sopra pur presentando per la prima volta una grande autorità in merito allo sviluppo di nuove tecniche da applicare alle indagini, tanto da influenzare autori come Dorothy L. Sayers, J.J Connington e John Rhode, ma anche le digressioni sul rapporto tra i personaggi principali, ironiche in modo da alleggerire la pesantezza di uno stile dalle descrizioni troppo dettagliate (come alle pp. 29, 32 2 55), oppure quelle sull'Egittologia, questa scienza strana che si occupa di imbalsamazioni e conservazione di cadaveri (cap 8, p. 221, 228-229) la quale non viene qui sfruttata solo per creare suggestioni più o meno a buon mercato, ma impiegata in modo intelligente attraverso intere pagine dedicate all'antico Egitto, alla sua religiosità, a nozioni interessanti; tanto che, alla fine della lettura, possiamo dire di sapere qualcosa di più sull'argomento.

Papiro egizio
Senza dimenticare le passeggiate e le visite che vedono protagonisti Berkeley e Ruth Bellingham (sulla loro relazione mi soffermerò più avanti): proprio queste, infatti, legano meglio tra loro ambientazione e scrittura, grazie alla caratteristica di poter essere eventualmente ripercorse anche nella realtà. Le "visioni" evocate dall'autore giocano un ruolo di prima importanza nel creare la giusta atmosfera in cui si svolgono le vicende che egli racconta: solide come sono al limite della pedanteria, risultano caratterizzate da una precisione minuziosa, che rende molto "familiare" e intimo il racconto. Con un tono un po' nostalgico, in cui sembra già affacciarsi lo spettro della Grande Guerra e di un Destino fatale (non bisogna dimenticare che "L'Occhio di Osiride risale al 1911, tre anni prima dello scoppio del primo conflitto mondiale), ci viene presentata la Londra dell'Età Edoardiana, quella che va dal 1901 (anno di morte della regina Vittoria) al 1914. Immaginate: a quel tempo, nella società si andava diffondendo l’onda positivista e la scienza acquisiva sempre più importanza; la gente nutriva ancora una grande fiducia nel futuro, anche se era diffusa la povertà (come si evince dai numerosi cenni sparsi nel libro, a pp. 25, 39, 47, 125, o dall'impiego misero di Ruth Bellingham come "approvvigionatrice letteraria" alle pp. 46-49) e tutti si sforzavano a dare il meglio di sé, dal semplice medico condotto o operaio al professore. Difficile non ritrovare questi caratteri negli allegri quadretti di luoghi come Fetter Lane o Nevill's Court (quest'ultima antica zona di Londra venne distrutta nei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, quindi la sua descrizione assume ancor più importanza) alle pp. 15-16, 57, 245-246. Tutto ciò ci aiuta a visualizzare con la mente le ambientazioni, permettendoci di entrare nella biblioteca o nelle sale del British Museum (pp. 67-70, 94-100) o di percorrere King's Bench Walk (p. 237), Cosmo Place (pp. 74-75), Heathcote Street (pp. 206-211), Gough Street e Wine Office Court (pp. 205-206), oppure sederci in piccole locande di campagna (p. 161).

Oltre alle semplici descrizioni, inoltre, questi luoghi sono spesso dotati della loro fauna caratteristica, fatta di cittadini diversissimi, contadini e locandieri che danno un tocco in più alle descrizioni, gente semplice ritratta mentre compie il proprio rituale quotidiano, il quale ci restituisce usi e costumi dei cittadini del tempo e ci permette di immedesimarci in loro. La suggestione che si ricava dall'insieme di questi due aspetti (contenuti e ambientazione) si somma poi alla scrittura, la quale possiede quella solida costruzione che gli autori nati in pieno Ottocento possono vantare come una propria caratteristica: solenne, quasi pesante in quanto a dettagli, eppure proprio con una marcia in più grazie a questi ultimi, che contribuiscono a renderla piena di sfaccettature e a darle profondità. Le digressioni, che sembrerebbero appesantire il tutto, in realtà sono affascinanti, arricchiscono la trama e ci accompagnano nelle varie situazioni; in modo simile a quelle usate da Sayers e Michael Gilbert in "Il Segreto delle Campane" e "C'è un Cadavere dall'Avvocato", l'autore inserisce una serie di osservazioni che esulano dalla risoluzione dell'enigma (una su tutte, gli splendidi paragrafi sulla mummia di Artemidoro alle pp. 95-100, e la descrizione del metodo di imbalsamazione alle pp. 298-201), pur tuttavia senza far perdere il filo della narrazione al lettore. Certamente, non a tutti può interessare lo svolgimento di un processo o una lezione sugli Egizi o sul distoma epatico; chi presta più attenzione all'enigma e meno ad ambientazione troverà tutto quanto pesante e inutile; da parte mia però trovo che ciò restituisca un pezzetto del momento in cui il romanzo fu scritto, permettendo una maggior identificazione nei personaggi e nei luoghi descritti, senza contare che si ricava la sensazione di leggere qualcosa per cui valga la pena e che non sia superficiale. Oltre ai romanzi già citati, "L'Occhio di Osiride" mi ha ricordato un po' anche "La Pietra di Luna" di Wilkie Collins, con le sue divagazioni che per alcuni distraggono ma per altri sono un motivo in più per continuare la lettura: non si sa mai cosa può essere introdotto nella pagina seguente, magari sarai sorpreso dal racconto di cose che oggi non esistono più, e io lo considero un valore aggiunto. Uno stile tanto articolato, insomma, mette in luce il grande talento degli autori della scuola vittoriana (tra cui inserisco anche Freeman) nel saper creare un piccolo universo a parte; d’altro canto, però, l'appartenere alla generazione più anziana di scrittori di crime novels non fu solo fonte di vantaggi.

Per concludere con una riflessione sull'enigma, infatti, Freeman si ritrovò ad usare in gran parte dei suoi gialli (compreso questo) lo schema ripetitivo del "giovane dottore innamorato di una paziente povera o bisognosa di comprensione, in un caso legato alla sua professione", riconoscendolo lui stesso a p. 126, magari focalizzando i sospetti su un gruppo talmente ristretto da rendere ingenua la scoperta del colpevole e peccando quindi di poca originalità in questo senso; bisogna comunque non essere troppo duri con lui e dargli atto che il mistero del romanzo risale all'alba della crime story e presenta notevoli innovazioni scientifiche che, al tempo della sua scrittura, dovettero sembrare degne di orizzonti fantastici (pp. 134, 138, ma soprattutto pp. 250-260 sugli esperimenti al British Museum e pp. 298-301 sulle tecniche di imbalsamazione). Sotto certi aspetti, mi spingerei addirittura ad affermare che questo romanzo si può considerare una sorta di prototipo anticipatore dei gialli che vennero in seguito, nel quale passato e futuro convivono in armonia. Come i suoi successori, infatti, Freeman si diede da fare per creare trame con una forte identità, sviluppò nuovi metodi delittuosi e spesso ideò i suoi delitti fittizi ispirandosi a delitti reali (nel caso di "L'Occhio di Osiride" cita apertamente il caso di George Parkman e John Webster, avvenuto a Boston, che ha portato all'impiccagione di un individuo colpevole grazie alle identificazioni effettuate sulle ceneri di un cadavere); ma era ancora deciso a dare più importanza alle modalità di uccisione, il punto forte dei casi di Thorndyke, sempre perfettamente logico e ispirato a criteri scientifici, a discapito delle sottigliezze psicologiche della Golden Age. Anche per questo motivo alcuni non apprezzano appieno l'opera di Freeman; in ogni caso, nonostante ciò, da parte mia mi sento più che disposto a perdonargli qualche piccola imperfezione.

Richard (Austin) Freeman, nato nel 1862 e
morto nel 1943
Considerando la mole di romanzi e racconti che Richard Austin Freeman pubblicò nella sua lunga vita, sorprende sempre molto venire a sapere che la sua passione per la scrittura ebbe inizio non dalla semplice vocazione, quanto piuttosto da un forte senso di disperazione. L'autore, infatti, nato a Londra nel 1862 e con un passato di medico otorinolaringoiatra, dopo un'esperienza nel servizio coloniale e il matrimonio con Annie Elizabeth Edwards si ritrovò di punto in bianco a dover affrontare una lunga malattia contratta nel continente nero, con la conseguenza di dover rimpatriare al più presto e trovare una nuova occupazione, che si adattasse ai suoi disturbi frequenti e gli permettesse di sopravvivere. La svolta arrivò con un impiego presso la prigione di Holloway, dalla quale trasse cognizioni di procedura penale e psicologia criminale, ma soprattutto con la decisione in extremis (in seguito all'abbandono definitivo della professione) di darsi alla scrittura. Dopo aver raccontato la sua esperienza africana in un volume di genere diverso, nel 1902 esordì nella narrativa gialla con una serie di avventure con protagonista una sorta di furfante gentiluomo, artista della truffa e maestro del travestimento di nome Romney Pringle, scritte in collaborazione con un amico medico. Il genere dovette riuscirgli a genio, poiché appena cinque anni dopo iniziò a sfornare gialli su gialli con protagonista John Evelyn Thorndyke, il primo investigatore scientifico della storia dopo Sherlock Holmes, entrando prepotentemente nella storia della crime novel. Con il suo esordio dal titolo "L'Impronta Scarlatta", infatti, fondò il cosiddetto "giallo scientifico", in cui contano soprattutto le prove ricavate dalle analisi di laboratorio e da ricerche sulle prove materiali, senza affidarsi allo studio della psicologia. Thorndyke, uomo di grande avvenenza (al contrario dei "mostri di bruttezza" partoriti dalla mente dei colleghi del suo inventore), istruito in una quantità incredibile di materie e sempre padrone di sé permetterà a Freeman di dominare per quasi venticinque anni la scena del giallo classico, apparendo in ben 21 romanzi e 42 racconti, tra i quali vanno citati "Arsenico", "Il Testimone Muto", "L'Affare D'Arblay" insieme ai brevi "Il Caso Oscar Brodski" e "The Singing Bone"; quest'ultimo per un motivo ben preciso. Con questa storia breve, infatti, il medico prestato alla letteratura diede il proprio secondo contributo alla storia del mystery classico creando l'inverted story; ovvero, quella tecnica secondo cui il colpevole del crimine-omicidio è già noto al lettore e il gusto del racconto non sta tanto nella scoperta di "chi-l'ha-fatto", quanto del "come-è-stato-fatto" (un po' alla maniera del Tenente Colombo). Già questo mette in luce quanto fosse importante per Freeman lo studio del metodo utilizzato dal colpevole per perpetrare il suo delitto: addirittura, egli si impegnò a sviluppare e testare numerose tecniche criminali.

Grande esperto di procedure legali e di true crime (oltre ad inserire casi reali nei suoi gialli, analizzò a fondo il mistero di Croydon), innovativo finché mori nel 1943, promotore dell'autorità della chimica e della biologia applicate alle indagini, oltre che sostenitore dell'eugenetica (al contrario di moltissimi colleghi giallisti), Richard Austin Freeman è stato un grande giallista, resta uno dei pochi autori di polizieschi dell’epoca Edoardiana ad essere letto ai giorni nostri, assieme a G.K. Chesterton ed E. C. Bentley e, cosa ancor più rara, un'esponente del giallo degli albori come di quello della Golden Age. Oltre a quelli di Chandler, inoltre, riuscì ad ottenere anche gli elogi di George Orwell, il quale considerava la crime story della Golden Age come troppo moderna, al contrario di quella più formale e "antiquata" da lui rappresentata: "Ricordi la nostra passione per R. Austin Freeman? Io non l'ho mai davvero dimenticata, e penso che dovrei leggere tutti i suoi libri eccetto alcuni dei suoi ultimi" osservò quest'ultimo in una lettera a un'amica nel 1949, senza contare le numerose citazioni alle opere del suo idolo che fece in altri saggi. Per quanto mi riguarda, Golden Age e giallo degli inizi non fa differenza, se si tratta di opere di valore come questo "L'Occhio di Osiride": un eccezionale romanzo, da recuperare solo nell'edizione dei “Grandi del mistero”, nel "Classico del giallo n. 759" e nell'edizione Polillo, e una pietra miliare del poliziesco, importante e bellissimo per i numerosi motivi di cui vi ho parlato sopra. Certo, forse un po' datato nel comportamento dei suoi personaggi, i quali si inchinano ai nemici e agli amici con una frequenza a dir poco allarmante (pp. 23, 283) e evitano di ostentare pubblicamente i propri sentimenti da buoni vittoriani; eppure tutto ciò ha anche un'aria vagamente retrò, come di qualcosa di garbatamente educato che ricorda come si comportavano le vecchie zie quando erano giovani e i tempi erano diversi e bisognava mantenere un certo contegno altrimenti si faceva brutta figura e si arrossiva per l'imbarazzo. Il rapporto tra i personaggi (unico punto su quale dovevo ancora soffermarmi) presenta l'ultimo gioiello della corona costituito da "L'Occhio di Osiride": pur essendo un po' come dei manichini fatti muovere secondo uno schema ingessato, essi posseggono un'anima ben più viva di quella delle mere marionette. Hanno una personalità solida, sono ben caratterizzati, e ciò indica come Freeman non fosse l'individuo gelido che il lettore medio pensa di conoscere. "Saremmo dei cattivi biologi, e dei medici ancora peggiori se sottovalutassimo l'importanza di quella che è la funzione principale della natura [...] l'importanza vitale del sesso" e del sentimentalismo, spiegò per bocca di Thorndyke a p. 234 per poi mettere in pratica le sue parole.

L'ironia tra l'investigatore e Jervis umanizza personaggi che altrimenti apparirebbero freddi (pp. 29, 32, 55), le dispute tra Berkeley e miss Oman ci restituiscono allegri ritratti della quotidianità (pp. 63-64, 105-108), nel cap. 9 ci viene descritto Jellicoe in tutta la sua riservatezza; ma sono Berkeley e Ruth Bellingham su tutti, nello svilupparsi della loro storia d'amore, mentre vivono le passioni dei giovani innamorati in modo più riservato rispetto ai moderni, proprio a causa del comportamento di cui ho parlato prima, ma comunque in modo vivace, a rapire il cuore del lettore. La loro grande, vera e sentita storia d’amore (a partire dal loro incontro e proseguendo nell'idillio alle pp. 36, 49-50, 54, 95-100, 220-225, 228-230, 234, 263-265, 267, 283, 307), non invadente rispetto all'intreccio, si amalgama a dare un tocco in più al racconto. Non è come in altri romanzi, in cui la love story spesso finisce per ridondare rispetto alla trama o per risultare melensa: in questo caso tutto si combina alla perfezione. Martin Edwards, nel suo "The Golden Age of Murder", ha osservato che lo stesso Freeman fu un accanito dongiovanni: che il buon dottore abbia inserito qualche riferimento alla storia con Alice Bishop, la quale viene indicata come una sua possibile amante? Chissà. Certo è che, per un periodo, i due riuscirono addirittura a vivere insieme, sotto lo stesso tetto, nonostante la presenza di Elizabeth e del marito legittimo di Alice; quindi, si trattò ben più di una scappatella e l'autore avrebbe potuto considerarla una grande storia d'amore come quella di Berkeley e Ruth. Anche in questo Freeman fu un innovatore, in un certo senso. E se "l'interesse amoroso", abbellito dell'affascinante e stupenda figura della mummia di Artemidoro (la quale si può vedere ancora oggi al British Museum) può non essere apprezzato da tutti, come accadde con Sayers, è però innegabile che esso contribuisca a dare una marcia in più, grazie ai toni sognanti e romantici al limite dello stucchevole e alle sue rinunce in nome dell'amore e gli struggimenti, a un giallo che tiene testa ad opere ben più moderne e si può tranquillamente classificare come un capolavoro senza tempo, sospeso nel sogno di un mondo passato che guardava al futuro con speranza e fiducia.

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venerdì 15 novembre 2019

14 - "Notti di Halloween" ("Death on Allhallowe'en", 1970) di Leo Bruce

Copertina dell'edizione pubblicata
nel Giallo Mondadori n. 2806
Se dovessi stilare un'ipotetica classifica delle feste a cui non potrei mai rinunciare, di sicuro ai primi due posti si troverebbero quella di Natale e quella di Halloween. La prima, infatti, con i suoi addobbi, i buoni propositi e le città imbiancate dalla neve, riesce a infondermi pace e serenità come nessun'altra; la seconda, invece, grazie alle maschere e a quella sua caratteristica atmosfera da brivido, porta per qualche tempo il sovrannaturale all'interno della vita di tutti i giorni, facendomi provare una piacevole eccitazione. Inoltre, come se ciò non bastasse, in entrambi i casi si tratta di occasioni che si adattano perfettamente a fornire uno sfondo ideale alle vicende di un romanzo giallo; cosa che, da appassionato lettore di classiche crime novels, me le fa apprezzare ancora di più. E pensare che, dal punto di vista letterario, tra queste due festività corre ben più di una differenza, soprattutto nel modo in cui esse fanno colpo sul pubblico: Natale lo fa attraverso l'incontro-scontro tra elementi confortanti, quali stanze accoglienti, fuochi accesi e banchetti sontuosi, e il disagio provocato da incredibili furti o omicidi efferati; Halloween, invece, assecondando la natura diabolica e le gesta terribili di esseri all'apparenza magici, risvegliati in occasione dei Festeggiamenti dei Morti e più che adeguati all'aura di mistero tratteggiata in questo tipo di libri. Insomma, una sfrutta maggiormente il lato "confortevole" del periodo che viene appena prima della fine dell'anno, e l'altra quello sinistro e caratteristico della festa nella notte tra il 31 Ottobre e il 1° Novembre.

A leggere questa affermazione, non sembrerebbe esserci dubbio su quale tipo di mystery riscuota più successo, tenuto conto delle caratteristiche fondamentali della letteratura del mistero; e invece, come ci si aspetterebbe dai migliori esempi di crime story, ancora una volta veniamo spiazzati: in quanto a popolarità, infatti, il "Christmas Murder Mystery" ottiene un risultato di gran lunga superiore a quello del tipo suo compagno. Forse ciò è dato dal fatto che, spesso, quest'ultimo scade nel racconto dell'orrore, accentuando gli aspetti terrorizzanti a discapito di quelli attinenti all'indagine vera e propria, sebbene esistano casi in cui essi si equilibrano, come in "Poirot e la Strage degli Innocenti" di Agatha Christie. In ogni caso, per quanto mi riguarda, questi due tipi di romanzo giallo conservano lo stesso fascino; tanto più che, anche quest'anno, con l'avvicinarsi della festa di Ognissanti, ho deciso di fare alcune letture a tema; un po' come avverrà in occasione del Natale. Tuttavia, non ho compiuto la scelta prevedibile di rileggere proprio il libro della Christie che ho sopra menzionato, ma ho optato per qualcosa di insolito come "Notti di Halloween" di Leo Bruce (Giallo Mondadori n. 2806, 2002). Infatti, anche questo autore, molto famoso in passato e oggi quasi del tutto dimenticato, si è cimentato in una prova letteraria dedicata al periodo più spettrale dell'anno; forse non del tutto riuscita, soprattutto in fatto di enigma, ma comunque adatta da fare in questo periodo e, soprattutto, affrontata in modo da calare il lettore in una faccenda suggestiva e affascinante, con tanto di personaggi ambigui, ambientazioni spettrali e, ovviamente, l'immancabile stile ricco di humor inglese.

La notte di Halloween, con la sua distesa di zucche intagliate
contro gli spiriti dei morti che tornano dall'Aldilà
Tutto prende avvio quando l'insegnante detective Carolus Deene riceve la visita di John Stainer, un vecchio amico e sacerdote di un villaggio nella penisola di Guys, in Inghilterra. La parrocchia in questione, Clibburn, è famosa (tra i pochi che la conoscono) per essere un luogo inospitale, dominato da acquitrini e un clima perlopiù nebbioso e piovoso; per il suo stile di vita caratterizzato da una certa tendenza ad ancorarsi al passato; nonché per essere popolata da un gran numero di persone superstiziose, i cosiddetti "Uomini di Guys", i quali vivono in una sorta di limbo tra il mondo naturale e quello soprannaturale, in costante preoccupazione del volubile carattere del Maligno. Proprio a questo proposito Stainer si è recato a chiedere soccorso a Deene: da qualche tempo, infatti, il Diavolo pare essere sceso sul piede di guerra contro gli spaventati abitanti del villaggio e aver lasciato il suo zampino in alcune imprese strane ed inquietanti: una croce da altare, ad esempio, è stata trovata appesa al contrario; una delle abitanti, Alice Murrain, grazie alla sua fama di strega e veggente ha iniziato a predire sventure contro chiunque, terrorizzando il circondario; uno studioso di magia nera, Xavier Matchlow, si è insediato in una casa del villaggio e si racconta abbia dato vita a numerosi riti satanici. A parte la faccenda del crocifisso capovolto, tuttavia, Deene non sembra preoccupato più di tanto dal racconto del sacerdote: probabilmente, si tratta di messinscene, atte a rendere interessante la vita monotona nella penisola di Guys. Anche Stainer si dichiarerebbe d'accordo con lui; se non fosse che i presagi di sventura non sono finiti qui.

Appena un anno prima, infatti, il piccolo Cyril Gunning è morto in circostanze perlomeno inusuali: in seguito alla sua sparizione durante la notte di Halloween, era stato ritrovato dal padre nei pressi di un antico sito archeologico locale, il Beacon, sporco di sangue e spaventato a morte. Una volta portato a casa e interpellato il medico, si era scoperto che il bambino si era buscato una terribile polmonite, con tanto di delirio dovuto a febbri molto dolorose, e a nulla era valsa l'opera della scienza: il mattino dopo, Cyril era spirato nel suo letto. Una faccenda spiacevole, conviene Deene; eppure non capisce come tutto ciò abbia a che fare con i timori del suo amico sacerdote. È presto detto: Stainer afferma di essere convinto che i genitori del piccolo intendessero farlo esorcizzare, in seguito alla sua esperienza al Beacon. Mentre stava sparlando, infatti, Cyril si era dilungato in bestemmie incredibili e in un racconto sconclusionato, il quale faceva intendere che lui avesse assistito niente meno che a una messa nera. Impensierito dalla sgradevole faccenda e dalla teoria di Stainer, secondo cui forze maligne si stiano sempre più concentrando sulla sua comunità di fedeli, Deene inizia a temere che qualcos'altro di tragico stia per succedere a Clibburn; tanto che la nuova luce gettata sui precedenti presagi funesti lo convince a recarsi a Guys, per verificare di persona se le impressioni del suo amico siano vere o no. E quando, proprio la sera del suo arrivo, uno degli abitanti verrà preso a fucilate davanti alla canonica, l'insegnante capirà che forse c'è qualcosa di vero nell'atmosfera terrorizzante, incarnata da un'ignoto individuo, che aleggia per il villaggio. La peculiare fauna della penisola di Guys, tuttavia, dà vita a un largo numero di sospetti su chi possa essere lo spietato assassino: oltre ad Alice Murrain e Xavier Matchlow, infatti, sono fin troppi gli "strambi" che vivono a Clibburn, dai fratelli Sloman allo scrittore Connor Horseman, dai coniugi Lark ai Garries allo sfuggente Poley. Tra sospetti più o meno fondati, falsi telegrammi e maledizioni velate, l'aura spettrale si farà sempre più accentuata fino all'arrivo di Halloween, quando si verificherà un delitto impossibile; toccherà a Deene far luce sul caso, ammettendo che forse, dopo tutto, da quelle parti il Diavolo ha davvero camminato in terra negli ultimi anni.

"Abbazia nel Querceto" di Caspar David Friedrich,
che raffigura rovine simili a quelle del Beacon
Devo ammettere che, tutto sommato, mi sarei aspettato qualcosa di più da "Notti di Halloween". Con questo non intendo dire che esso sia da bocciare in toto, assolutamente; soltanto, nel corso della lettura ho percepito una sorta di imprecisione continua, come se il caso non riuscisse a procedere liscio, allo stesso modo dei suoi simili. A mio parere, il problema principale di questo romanzo si riscontra proprio nello svolgimento dell'enigma: è come se l'autore si fosse sforzato a creare un'atmosfera del terrore impeccabile, per poi rendere vano tutto il lavoro con un cold case troppo dilungato e un delitto impossibile concluso, al contrario, in tutta fretta. Ad esempio, la faccenda di Cyril ci viene descritta in appena due occasioni (nel racconto iniziale di Stainer, al cap. 1, e nella testimonianza dei genitori alle pp. 60-69) ma sebbene venga senza dubbio trattata in modo esaustivo, ho avuto l'impressione che Bruce l'abbia sfruttata quasi troppo, rispetto a quella riferita al delitto nella sala da ballo. Sfortunatamente, infatti, il risultato finale si rivela molto sbilanciato: pur occupando più o meno la stessa quantità di pagine, infatti, la parte riferita al presunto rito satanico sembra non trovare mai una lunghezza adeguata, dando l'impressione di non sapere dove andare a parare e di prendere ben più di 2/3 del racconto; mentre quella dell'omicidio impossibile, intrapresa da p. 115 circa, pare trattata senza la giusta attenzione.

A peggiorare la situazione, inoltre, va aggiunto il fatto che il lettore risulta impossibilitato nel poter risolvere entrambi i casi, poiché (quasi) non esiste fair-play all'interno di questo romanzo. Deene scopre gli indizi sfruttando un metodo che ricorda molto quello di Sherlock Holmes, in cui l'investigatore capisce tutto grazie alle deduzioni e alla propria analisi specifica delle prove, tenendo conto di fattori noti soltanto a lui o indirizzabili in più direzioni, senza che siano determinanti in un senso particolare (la sospetta telefonata di Matchlow in seguito alla sua visita, alle pp. 92-94, è applicabile ad ogni abitante di Clibburn e la decisione di Deene di attribuirla a un personaggio particolare risulta un po' campata in aria e arbitraria, al fine di far quadrare i conti, oppure l'indizio del nastro nella cassetta di sicurezza, ascoltato ma non riportato parola per parola, nasconde indizi centrali per capire "chi-l'ha-fatto"). Questi elementi non vengono del tutto messi in mano a chi legge, affinché si possa scoprire le carte vincenti, e la mancanza di prove concrete (a parte il flebile cenno a un comportamento sospetto in seguito al delitto di Halloween, come sottolinea lo stesso Deene nella spiegazione dell'ultimo capitolo) o la presentazione delle stesse troppo tardi o in modo troppo vago per potere essere sfruttate suscitano un po' di delusione nel lettore più attento il quale, già amareggiato da una vicenda poco equilibrata, non si sente del tutto soddisfatto dalla conclusione della vicenda.

Rupert Croft-Cooke, alias Leo Bruce, nato
nel 1903 e morto nel 1979
In ogni caso, se la solidità dell'enigma si può considerare il punto debole e principale difetto di "Notti di Halloween", bisogna sottolineare che, per il resto, questo romanzo resta un'opera molto piacevole, pur tarda poiché datata 1970, tra quelle scritte da Rupert Croft-Cooke (vero nome di Leo Bruce). Nato in Inghilterra nel 1903, ma trasferitosi ben presto in Argentina e in seguito un po' dappertutto in giro per il mondo, egli fu antiquario di libri, lettore e critico, oltre che grande viaggiatore. Ben presto, però, decise di passare "dall'altra parte della barricata", diventando in prima persona uno scrittore di romanzi gialli: nel 1936, infatti, pubblicò la sua prima crime novel, "Un Caso per Tre Detective", la quale costituì una prova del tutto fuori dal comune per la sua ironica presa in giro di detective dilettanti come Lord Peter Wimsey e Hercule Poirot, e che si segnalò per essere il debutto del placido Sergente Beef, il quale risolverà il caso in barba alle critiche dei suoi più rinomati colleghi e del suo biografo ufficiale e "spalla", Lionel Townsend. Questo personaggio restò in carica fino al 1952, mentre l'autore trascorreva gli anni della Seconda Guerra Mondiale in India, per conto dell'Intelligence, e ogni tanto si dedicava alla scrittura di testi di tutt'altro genere, che lui riteneva più importanti ma, come spesso accade, risultano meno famosi dei suoi gialli. L'anno seguente, però, Bruce venne processato per omosessualità e condannato a trascorrere sei mesi in prigione: la cosa lo indusse, nel 1954, a lasciare definitivamente l'Inghilterra e a trasferirsi in Marocco, dove riprese a scrivere gialli ma con un protagonista diverso, il Carolus Deene di questo "Notti di Halloween" e di altri ventitré romanzi, più simile al suo autore in quanto ricco insegnante di storia e appassionato di libri antichi, nonché vicino alla classica figura dell'investigatore tradizionale. Bruce continuò a scrivere fino al 1979, quando morì, con risultati altalenanti: H.R.F Keating lo giudicò "immancabilmente eccellente", mentre Steinbrunner e Penzler nemmeno lo inclusero nella loro "Encyclopedia of Mystery and Detection". Nonostante ciò, comunque, egli viene considerato un innovatore da Martin Edwards, il quale ha paragonato la sua opera, in quanto ad inventiva, a quella di Anthony Berkeley (più precisamente, il suo "Un Caso per Tre Detective" quale degno successore di "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati", e "Case with Four Clowns" di "Assassinio in Cantina"); nonché un esponente di spicco della cosiddetta "Golden Age" del mystery classico, grazie alla pungente ironia che contraddistingue il suo stile e a un grande talento nel tratteggio della trama.

Queste caratteristiche si possono ritrovare anche in "Notti di Halloween": infatti, al di là del fatto soggettivo dell'uso di bambini come vittime (come si è visto in "Presagio di Morte" di Patrick Quentin), qui in modo meno atroce ma pur sempre poco confortevole e troppo "moderno" per alcuni, sono da sottolineare i fulminei momenti di ironia nera che spezzano la tensione, le descrizioni originali dei personaggi delle tristi vicende di Clibburn, l'ambientazione e, soprattutto, l'atmosfera affascinante e spettrale che il suo autore riesce ad evocare con impareggiabile maestria. A partire da quest'ultimo aspetto, vorrei sottolineare l'aura claustrofobica del villaggio di Clibburn, descritta in modo efficace soprattutto attraverso l'uso di nottate piovose, di continui riferimenti allo straniero e ai forestieri malvisti (pp. 9, 19, 67-68, 187-188, 192-195, 208; tema di grande attualità) e di abitanti superstiziosi al limite dell'ossessione. La stregoneria domina in tutto il romanzo (capp. 1, 5, 7, oltre a pp. 169-170), con avvenimenti ad essa legati molto ben descritti, e la psicologia dei protagonisti ne risulta influenzata: Alice Murrain (pp. 172-180) offre un esempio lampante, ma anche gli altri, come i Matchlow, gli Horseman, i Lark e i Garries, con le loro caratteristiche fisiche particolari quali una gamba di legno o una sedia a rotelle, non sono da meno nell'alimentare la psicosi maledetta che si agita nella penisola di Guys. Vengono delineati ancor meglio del solito, forse proprio perché immersi in un'atmosfera tanto lugubre, assieme a un'ambientazione sufficientemente affascinante la quale, tuttavia, avrebbe forse guadagnato qualcosa grazie a un'incursione di Deene al Beacon, con tanto di descrizione spettrale delle rovine e dell'altare dove si dice vengano sacrificati agnelli e altri piccoli animali; per non parlare del Pozzo senza Fondo, centrale nella soluzione finale ma mai mostrato, che avrebbe forse fornito qualche indizio in più, così da facilitare il compito di comprensione del lettore e arricchire l'indagine. Comunque, tutto ciò viene amalgamato a uno stile ironico e pungente, dal tono spesso cupo e cinico (non dobbiamo dimenticare che "Notti di Halloween" risale al periodo post-prigionia dell'autore) ma a volte pure spassionatamente leggero (vedasi la ridicola abitudine della signora Lark di abbreviare alcune parole), che da vita a una vicenda caratterizzata da una forte inquietudine, ma perfetta per un appassionato di giallo classico, alla ricerca di una storia leggera con cui trascorrere la notte di Halloween. Un buon libro, insomma, segnato da un enigma un po' debole ma, per questo, poco impegnativo. Buon Halloween!

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venerdì 8 novembre 2019

13 - "Presagio di Morte" ("The Grindle Nightmare", 1935) di Patrick Quentin/Q. Patrick

Copertina dell'edizione pubblicata
nel Giallo Mondadori n. 1472
Secondo definizioni inflazionate e poco originali, la crime story classica della Golden Age è stata classificata in modo categorico come "confortevole" e tacciata di essere "snobbery with violence" (ovvero altezzosa al limite del fastidioso). Le è stato imputato di mostrarsi distante dalla realtà odierna, di narrare vicende noiose e soporifere e di sfruttare stereotipi stantii, con toni pedanti al limite della pignoleria e attraverso temi insulsi. Chiunque abbia letto numerosi romanzi gialli, tuttavia, può confermare che niente potrebbe essere più distante dalla realtà. Infatti, sebbene ogni tanto essa utilizzi elementi comuni e in qualche modo prevedibili (ma quale genere letterario non lo fa?), il più delle volte li declina secondo criteri inattesi, che spesso si concentrano su aspetti cinici e poco confortevoli della vita quotidiana ma ancora attuali ai nostri giorni, introducendo elementi di rottura con le aspettative del lettore e trattando argomenti "scomodi" e spiacevoli, se non brutali, i quali vanno al di là delle impressioni superficiali che egli può farsi in un primo momento. A dimostrazione di quanto affermo, vorrei sottolineare il fatto che molte opere scritte nella prima metà del Novecento hanno addirittura contribuito a dare vita al thriller moderno: ad esempio, "L'Omicidio è un Affare Serio" di Francis Iles/Anthony Berkeley narra una storia la quale, pur essendo ambientata in un tipico villaggio di campagna inglese, in realtà presenta caratteri che provocano disagio e turbamento molto forti. Lo stesso si può dire di alcuni romanzi americani, tra i quali il più famoso è forse "La Rossa Mano Destra" di Joel Townsley Rogers, dove l'elemento dell'enigma tradizionale viene unito a un'atmosfera psicologica oscura e inquietante, in un tentativo di modernizzare la narrazione e renderla al passo con i tempi.

Non sempre questi sforzi sono stati premiati: proprio per il loro essere stati in anticipo sui gusti futuri, innovativi in un mondo che desidera evolversi ma considera le novità con diffidenza, essi non sono riusciti a far presa sulle persone e sono stati trascurati, in favore di romanzi gialli meno "di rottura", con la conseguenza di cadere in un ingiusto oblio e risultare sconosciuti al grande pubblico; finché alcuni critici non hanno saputo valorizzarli con le loro parole e restituire loro i giusti meriti. Anche io, nel mio piccolo angolo di riflessione, desidero fare la mia parte. Con l'avvicinarsi di Halloween, poi, appare adatto soffermarsi su una crime novel più macabra del solito; quindi, con la recensione di oggi voglio concentrarmi su alcuni autori poco valorizzati ma, comunque, degni di nota per il loro impegno nel voler dare al giallo classico una nuova e più moderna identità. Quindi, su consiglio dei recensori sopra menzionati, recensirò "Presagio di Morte" di Patrick Quentin, ma firmato con lo pseudonimo di Q. Patrick (Giallo Mondadori n. 1472): una vicenda dalle forti tinte fosche, in cui la paranoia la fa da padrone, la campagna apparentemente idilliaca si trasforma in lugubre scenario di massacri ed incubi terribili sembrano diventare realtà. Pur essendo classico nell'impianto generale e nell'uso dei topos narrativi, infatti, questo libro insolito si segnala per la resa del terrore che diventa palpabile, il macabro che si fa quotidiano e il disagio che trasuda dalle pagine stesse, in modo inedito e straordinario per gli stili adottati negli anni '30 del secolo scorso; tanto che lo scrittore e critico Anthony Boucher lo ha incluso nella sua classifica personale dei dieci migliori gialli mai scritti.

Villaggio di Biertan, in Transilvania, che potrebbe ben
sostituirsi a quello di Grindle quanto a eventi terrificanti
La storia, tuttavia, non inizia in modo da far sospettare le atrocità che si verranno a verificare nel corso del racconto. Per prima cosa, ci vengono presentati due dottori (meglio, due scienziati), Douglas Swanson e il suo collega Antonio Conti, mentre tornano nella casa che hanno affittato nella vallata di Grindle, nel New England: un luogo distante venti miglia dalla città di Rhodes e immerso nella natura, che di solito suscita nella mente soltanto immagini bucoliche e amene. Stanchi per la giornata di duro lavoro nei laboratori dell'ospedale universitario, stanno percorrendo in auto la strada principale del villaggio quando, d'improvviso, scorgono numerose figure intente a passare al setaccio i campi che circondano le fattorie. D'impulso, i due credono che siano ancora in corso le ricerche degli animali scomparsi: in questa moderna Arcadia, infatti, da qualche tempo si stanno verificando episodi inquietanti e irragionevoli, come la sparizione di un'oca, un gattino e alcuni cani da caccia. Nessuno li ha più visti dal momento in cui si sono allontanati dai loro padroni, e un tale silenzio da parte di esseri chiassosi come quelli fa temere che possa essere loro successo qualcosa di grave, pur non facendo presagire minacce imminenti che vedano coinvolti più di tanto gli abitanti di Grindle, come gli stessi Swanson e Conti. Se non fosse che, come apprenderanno ben presto, stavolta il soggetto delle indagini è la piccola Polly Baines, la figlia più piccola del loro giardiniere.

Anche lei è uscita sul cortile posteriore di casa sua e si è inoltrata nella vegetazione, facendo perdere le proprie tracce. Il pronto allarme dei genitori della bambina e l'utilizzo dei segugi, purtroppo, non porta a nessun risultato concreto, e il fatto diventa immediatamente l'oggetto preferito dai pettegoli locali per sparlare di questo o di quell'altro conoscente: la sera stessa della scomparsa di Polly, infatti, i due scienziati e i signori Goschen, invitati per una cena nella loro casa, escogitano innumerevoli teorie sul fatto. Nessuno viene escluso dal sospetto di essere il responsabile dei rapimenti: Valerie Middleton e sua madre, povere ma determinate; i Tailford-Jones, legati da un matrimonio infelice; gli Alstone (Seymour, suo figlio Franklin e suo nipote Gerald), padroni della maggior parte delle terre ma estranei tra loro; Peter Foote, giovane promessa nel campo della patologia e amico di Gerald; gli stessi Baines, affetti da una tara mentale. Il problema è che ognuna di queste persone sembra non avere alcun movente valido per far sparire una ragazzina di dieci anni; certo, più o meno tutto nutrono manie di qualche tipo, ma arrivare a rapire un essere umano appare davvero esagerato... o forse no? Pian piano, infatti, la faccenda inizia a farsi drammatica. Quando anche la scimmietta da compagnia di Roberta Tailford-Jones scompare nel nulla e il cane di Valerie Middleton rischierà di essere ucciso, il disagio che grava su Grindle minaccerà di esplodere come una bomba e di scatenare i rancori sopiti tra gli abitanti del luogo; ma saranno le progressive scoperte dei resti degli animali scomparsi e di numerosi cadaveri orrendamente sfigurati a diffondere, nelle strade innevate del villaggio, il terrore che tutto sia opera di un pazzo che si sta aggirando da quelle parti. Le morti fioccano, insieme alla neve, e le scoperte si fanno sempre più agghiaccianti; l'unico al di sopra di ogni sospetto è il vice-sceriffo Bracegirdle, al quale vengono affidate le indagini: riuscirà a fermare il colpevole, sostenuto dal dottor Swanson, prima che sia troppo tardi?

Piantina della Vallata di Grindle, con segnalati i punti in cui
sono stati trovati i cadaveri dello uistiti e di Baines
"Presagio di Morte" costituisce una prova memorabile e fuori dal comune nel panorama della crime story classica, anche se a una prima occhiata può sembrare che sia un convenzionale giallo di inizio Novecento. Fin dall'inizio, infatti, il narratore appare quanto mai simile alla "spalla" che accompagna investigatori quali Hercule Poirot oppure Sherlock Holmes (entrambi citati nel corso del racconto, assieme a Philo Vance); tanto più trattandosi di uno scienziato assimilabile alla figura di Watson, che vive nella stessa casa assieme al collega "più sveglio", si innamora di una bella vicina e si ritrova coinvolto in situazioni pericolose e avventurose (vedasi l'inizio del cap. 5 o lo stesso finale). L'ambientazione è quella della campagna (americana, ma intercambiabile con la sua controparte britannica), dotata di un paesino rurale composto di famiglie laboriose e all'apparenza spensierate (pp. 4 e 31-33, ma pure p. 65 e seguenti); i personaggi risultano quanto mai familiari nei rapporti tra loro, tratteggiati con attenzione in un misto di affabilità e gelosia, inframmezzati dal proverbiale pettegolezzo che si insinua in ogni pensiero (esempio alle pp. 7-16); lo stesso modo di descrivere tutto ciò rimanda allo stile della Golden Age, con l'usuale indagine sulla scomparsa di una persona smorzata ogni tanto da intervalli di carattere quotidiano, come la battuta di caccia (cap. 6) oppure le cene tra vicini (cap. 1 e pp. 27-30). La presenza di una caratteristica mappa della vallata di Grindle (p. 32), di un enigma improntato al fair-play (vedasi la spiegazione finale, negli ultimi quattro capitoli) e di una trama articolata, sommati a tutto ciò, confermerebbero dunque la convinzione di trovarci di fronte a un mystery classicissimo, un placido romanzo con "delitto-al-villaggio" sullo stile di quelli che avvengono a St. Mary Mead; se non fosse che, non appena veniamo introdotti alle prime indagini, scopriamo che in realtà le apparenze nascondono una storia ben più oscura, in cui i siparietti tra gli abitanti lasciano spazio a situazioni molto meno confortevoli.

Infatti, pur presentando l'impianto canonico che ci si aspetterebbe di trovare in un romanzo di questo genere, la storia risulta caratterizzata da un incredibile senso di agghiacciante inquietudine, suscitato nel lettore in modo sempre più forte man mano che la vicenda si sviluppa da una narrazione infinita di crudi omicidi, perpetrati con sadico piacere, fino all'angosciante finale al limite del parossismo. Si tratta di un elemento innovativo, che contrasta con quelli appartenenti al passato ma, allo stesso tempo, costituisce il cardine attorno a cui si snodano gli eventi e fa sì che la componente "classica" ne esca incredibilmente rafforzata e risulti tanto insolita quanto affascinante. Se l'idea di usare un approccio tanto moderno potrebbe farvi dubitare sulla resa complessiva del romanzo, non abbiate timore: il risultato finale, per quanto diverso dal solito, vi sorprenderà in positivo. Nei libri di Patrick Quentin, infatti, la tradizione si sposa benissimo con la novità, in un connubio evocativo e strabiliante insieme. In questo caso, se ci facciamo caso, al di là di personaggi ed ambientazione sui quali mi soffermerò più avanti, sono soprattutto i contenuti a conferire questa connotazione inedita a "Presagio di Morte" e a rappresentare il principale motivo di rottura con la precedente tradizione del giallo classico. Da un'introduzione più ordinaria, infatti, pian piano le vicende iniziano ad incentrarsi su temi inconsueti e sempre più disturbanti, in cui domina una psicologia distorta e scioccante; quali il sadismo, la mutilazione e la questione etica dei test sugli animali. Provate a seguire questa riflessione: innanzitutto il narratore, il dottor Swanson, è un giovane scienziato che si occupa di vivisezione ed esperimenti in laboratorio che prevedono cavie, assieme al suo collega Conti. Bisogna ammettere che si tratta di attività perlomeno insolite, se non molto sgradevoli, per protagonisti di libri in cui si evita di soffermarsi sugli aspetti più disagevoli degli omicidi, giusto? Più di una volta, poi, nel corso della narrazione della vicenda, spariscono animali nelle vicinanze della casa in cui loro vivono: capre, pecore, un'oca, un gattino, alcuni cani, e tutti quanti vengono ritrovati in breve tempo nei boschi e nel fiume che attraversa Grindle, quali cadaveri squartati e mutilati in modo orribile. Non so voi, ma a me tutto questo fa provare una forte repulsione.

Infine, il passaggio terribile dalla scoperta dei corpi di esseri selvatici e subumani a quelli di esseri umani veri e propri corona l'opera dello sterminatore, quando la morte tocca lo uistiti di Roberta Tailford-Jones (che ricomparirà sventrato poco dopo, a p. 20) e anche la piccola Polly Baines; accostamento, quest'ultimo, reso ancora più terribile dal fatto che la piccola scimmia, tipico "ornamento" delle donne degli anni' 30, assomigli in modo incredibile a una bambina. A pensarci bene, non dà i brividi come qualcuno possa aver partorito tante idee oscure e tutt'altro che "confortevoli" (senza dimenticare che ciò è successo nel 1935) e aver deciso di metterle insieme? D'accordo, la traduzione italiana, datata 1977, non è molto recente e al giorno d'oggi il senso di disagio che si prova a leggere simili atrocità è attenuato; però questo non inficia la forza dirompente di trovate del genere! Ammetto di essere stato molto impressionato dal tono moderno misto a gotico che è stato usato per descrivere le vicende; Martin Edwards, nel suo "The Golden Age of Murder", aveva messo in guardia il lettore dalla lettura di "Presagio di Morte", ma mai avrei immaginato fosse tanto sovversivo per i suoi tempi. Senza contare, inoltre, che questa escalation di violenza ci viene propinata in modo da non farcene quasi accorgere, e solo quando giungiamo ai fatti compiuti ci rendiamo conto di quanto essi possano essere potenti e devastanti. La crudezza delle morti, infatti, caratterizzate da fattori angoscianti (chi viene ucciso perché trascinato da automobili fino ad esalare l'ultimo respiro e in seguito annegato con i polsi stretti in trappole per topi (pp. 33-38), chi impiccato a un albero (pp. 64-69, 71-78), chi ammazzato da un colpo d'arma da fuoco (pp. 101-111)), non lascia un momento di respiro al lettore, il quale si ritrova catapultato in un incubo ad occhi aperti, dal quale sembra impossibile uscire se prima non si ha scoperto la verità. E se, come ho detto, il racconto delle uccisioni rappresenta il principale motivo di disagio per chi legge, è altrettanto vero che altri elementi della storia concorrono a rafforzare il senso di malessere e fastidio. I continui riferimenti agli esperimenti in laboratorio di Swanson e Conti (all'interno dei capitoli iniziali e nei colloqui con Bracegirdle), ad esempio, sottolineano ancora di più l'orrore di tutta la situazione e quanto essa diventi sempre più insostenibile. Oltre alla faccenda della vivisezione, i due amici e colleghi vengono criticati aspramente in quanto sospettati di essere responsabili delle scomparse (poi morti) e per il loro essere "insensibili e sadici" (pp. 12-15 da parte della signora Tailford-Jones e pp. 24-27 dal preside di facoltà). A tutti appare chiaro loro che sarebbero i primi a trarre vantaggio da un incremento delle "scorte" su cui testare nuovi farmaci (uno dei due autori che si nascondevano dietro lo pseudonimo Quentin, Richard Wilson Webb, per un periodo fu a capo di un reparto di ricerca farmaceutica, quindi sapeva bene come ci si poteva sentire ad essere accusati di simili atrocità), e non serve a nulla dimostrare che non hanno alcun legame con i delitti. Qualunque cosa facciano, Swanson e Conti sono destinati a sbagliare poiché, se prima l'accusa di sadismo veniva rivolta nei loro confronti con l'attenuante di far soffrire povere bestiole soltanto per il "Bene Superiore" dello sviluppo di cure inedite, una volta scoperta la natura schizofrenica delle uccisioni gratuite l'accusa persiste allo stesso modo, con il pretesto di fare di loro un comodo capro espiatorio.

Secondo le menti bigotte e cieche degli abitanti di Grindle, gli scienziati sono tutti freddi e insensibili, quindi è naturale che Conti abbia una mente malata secondo la quale la tortura e l'uccisione vengono viste come naturali; senza contare la concezione distorta dell'esperimento come se fosse qualcosa di simile a un rito satanico. Come capirete, dunque, anche il legame instaurato tra gli esperimenti e gli omicidi e i sospetti infondati degli abitanti mettono in luce quanto la società di Grindle sia corrotta e rendono la lettura poco confortevole; ma non è finita qui. La questione del sadismo, infatti, porta a una discussione sull'ipocrisia, messa in luce dalle reazioni dei vicini degli scienziati ai delitti: all'apparenza sono persone come tutte le altre, ma in profondità nascondono istinti animaleschi, sono incapaci di esprimere emozioni normali e nutrono pregiudizi contro il "diverso" (pp. 7-16, 20-24, 53-56, 64, 83, 114 oltre a molte altre). Ad esempio i Baines, affetti da una presunta tara mentale, vengono additati e tenuti a distanza come se fossero paria, in quanto potrebbero contaminare l'apparentemente perfetta e sana rete sociale dei cittadini più in vista di Grindle: Mark e sua sorella, soprattutto, diventano i bersagli del pettegolezzo locale, poiché considerati alla stregua di animali selvaggi e di individui disturbati (pp. 14-15). Ma non sono solo gli "strani" dichiarati a catturare l'attenzione della popolazione di Grindle; pure chi presenta menomazioni fisiche, come il veterano Edgar Tailford-Jones, accusato di essere impotente dal punto di vista sessuale, oppure il debole Gerald Alstone viene appellato con definizioni al limite della diffamazione. Lo stesso elemento sessuale, come ha approfondito Curtis Evans in un saggio contenuto in "Murder in the Closet", costituisce un altro dei caratteri spiacevoli su cui si basa "Presagio di Morte: spesso, infatti, viene sottolineato l’aspetto muscolare e virile degli uomini, in modo da far emergere una sottintesa tendenza carnale per nulla indifferente. Il soffermarsi sulla violenza perpetrata sui bambini (pp. 9, 20-22), l'utilizzo di molti termini di carattere medico e l'inserimento di scene di aggressività gratuita (come l'incendio atto ad ammazzare i cavalli di Seymour Alstone, alle pp. 48-52, o la battuta di caccia tanto "classica" nell'esposizione come quella descritta dallo stesso Quentin in "E i Cani Abbaiano...", sotto lo pseudonimo di Jonathan Stagge, quanto segnata dai comportamenti animaleschi dei suoi partecipanti, all'interno del cap. 6) coronano infine una storia carica di materiale orrorifico, sulla quale domina un mistero contraddistinto da una soluzione straordinaria e insolita per il suo tempo (basata, tra l'altro, su un caso realmente avvenuto in America che destò grande scalpore e distinto per l'innovativa mancanza di un movente razionale, elemento centrale della classica crime novel in cui tutto è guidato da una ferrea logica psicologica) e segnato da una violenza inaudita, che sembrerebbe più adatta a un hard-boiled mystery.

Anche se in questo caso, sebbene l'enigma sia velato da pura violenza e ombre terribili da "romanzo dei duri", viene data maggiore importanza alla psicologia del delitto (pp. 86-89, 107), con richiami a Krafft-Ebing e Freud e alle loro teorie sull'attrazione sessuale dello stesso genere, sull'impotenza e la psicopatia. Patrick Quentin ha miscelato tutto ciò, tra innovazione e passato, e contro le aspettative ne ha ricavato una vicenda classica che funziona: da una prima apparenza di tradizione nella forma, in seguito il romanzo vira verso la novità e il rinnovamento in quanto a contenuti, per poi tornare a un finale classico, contrassegnato da falsi indizi e ipotesi, in cui tuttavia dominano il caos e la frenesia (forse troppo?), come in uno spasmodico conto alla rovescia verso la distruzione e la pazzia più sfrenata (cap. 15-16). "Presagio di Morte" costituisce, insomma, un piccolo capolavoro della classica crime story; anche se risulta molto avanti sul suo tempo e lascia trasparire un presunto sadismo, sotto sotto sono convinto che i suoi autori volessero soltanto rompere le regole e i tabù non scritti del genere. È un astuto esempio di romanzo del mistero che ruota attorno a un alibi indistruttibile? È un trattato sulla pazzia e sul delitto? È un'opera di denuncia verso il bigottismo della società americana della provincia? È un giallo con delitto-al-villaggio-di-campagna? Oppure è un romanzo sulla depravazione? Sono fermamente convinto che, in realtà, questo strabiliante libro incarni tutte queste declinazioni.

Richard Wilson Webb, nato nel 1901 e
morto nel 1966. Fu una delle due metà che
produssero "Presagio di Morte"; dell'altra,
ovvero Mary Louise Aswell, non ci sono
fotografie.
Anche se non viene spesso ricordato (in Italia siamo stati fortunati, poiché tutti i suoi gialli sono stati pubblicati da Mondadori a partire da molti anni fa), il nome di Patrick Quentin rappresenta una delle firme più famose e sfuggenti di tutta la letteratura gialla: esso, infatti, consiste in un'intricata collaborazione tra diversi individui, che non si limitò ai "soliti" due autori, come nel caso di Ellery Queen o di Boileau-Narcejac, ma comprese ben quattro persone, le quali si diedero il cambio nel corso di quasi 35 anni di carriera, dal 1931 al 1965, e pubblicarono quasi trenta romanzi del mistero. Tutto iniziò quando Richard Wilson Webb (1901-1966), un ricercatore farmaceutico nato a Burnham, nell'Essex, ma emigrato in America in seguito a numerosi viaggi in Francia e Sud Africa, decise di scrivere una crime novel servendosi di un aiutante per la sua stesura; infatti, sebbene la sua mente brulicasse di idee geniali, non riusciva a dare loro forma adeguata sulla carta. Per fare ciò, iniziò un sodalizio con Martha Mott Kelley, una signorina di cui si conoscono soltanto la data di nascita (30 Aprile 1906, a New York), quella di morte (17 Novembre 1989) e che nel 1933 contrasse matrimonio con Stephen Shipley Wilson, dal quale nacque una figlia. Insieme scrissero due gialli tipicamente inglesi, "Tè e Veleno" (1931) e "Delitto al Club delle Donne" (1932), e li firmarono con lo pseudonimo Q. Patrick; poi Martha Kelley decise di ritirarsi e Webb, raccolto il "marchio" comune, intraprese la scrittura del suo unico romanzo "solista", "Prima che il Temporale Finisca" (1933); una storia ambientata a Cambridge, nel college dove aveva studiato. La situazione di lavoro in solitaria, però, non lo soddisfaceva e così, in quello stesso anno, diede inizio a una nuova collaborazione, stavolta in compagnia di una giovane giornalista americana, chiamata Mary Louise Aswell (1902-1984). In coppia con lei, Webb diede alla luce "In Crociera col Delitto" (1933) e "Presagio di Morte" (1935); poi si ritrovò ancora una volta solo al timone delle storie di Quentin. Fu a questo punto che i suoi sforzi vennero coronati dal successo. Di lì a poco, infatti, avrebbe conosciuto il cugino Hugh Cullingham Wheeler (1912-1987), col quale avrebbe avviato il sodalizio definitivo: insieme, scrissero tutti gli altri romanzi gialli che vanno dal 1935 al 1952, compresa la saga di stampo classico-moderno di Peter Duluth (un produttore teatrale alcolista che fece la sua prima apparizione in "Manicomio" nel 1935) che firmarono come "Patrick Quentin"; alcuni gialli dall'aspetto tradizionale ma pur sempre innovativi, quali il meraviglioso "Troppe Lettere per Grace" o i crimefiles dotati di rapporti e indizi reali come "Il Caso Claudia Cragge", ancora sotto il nome di Q. Patrick; e i nove libri con protagonista il dottor Westlake e la sia figlioletta Dawn, a firma Jonathan Stagge, improntati al mystery più classico. Per tutto questo tempo, i due cugini stettero fianco a fianco e lavorarono sodo; finché, nel 1952, Webb si ritirò alle Bermuda, stanco e ammalato, per trascorrere i giorni che gli restavano in pace e tranquillità (tra l'altro morì nell'indifferenza più totale) e lasciò il marchio al solo Wheeler il quale, tra alti e bassi, proseguì a scrivere gialli fino al 1965, tra un libretto in musica per Sweeney Todd e per A Little Night Music. Ho voluto precisare "tra alti e bassi" perché, a quanto dicono molti critici, dal momento in cui rimase solo, Wheeler diede un'impronta più psicologica e meno tradizionale ai suoi libri, pur sempre godibili ma poco interessanti dal punto dei contenuti e dei colpi di scena. Ciò renderebbe migliori quelli ideati da Webb, il vero "cervello" del duo, come "Presagio di Morte"; e osservando quest'ultimo, non si può non essere d'accordo con il loro giudizio.

Un'ambientazione evocata con vivacità (ad esempio pp. 3-4, 31-33, 65-70) e personaggi psicologicamente complessi (pp. 23, 53-56, 69) lasciano trasparire un'audacia, un'attenzione e una fantasia innate che, unite a un talento unico nel gettare il sospetto sugli attori in scena, creano situazioni indimenticabili e suscitano una tensione palpabile. In un assalto di implacabili visioni da incubo, la maggior parte dei personaggi ben presto si rivelerà composta da individui odiosi, con idiosincrasie e manie inquietanti e legate a turbamenti psichici e disfunzioni emozionali, che sembrano agire come se fossero guidati da un folle burattinaio il quale esaspera i rapporti tra loro e diffonde disagio (p. 64). Attorno a loro, Patrick Quentin costruisce una trama oscura, dove non mancano volti spettrali alle finestre, incontri su strade abbandonate, incendi dolosi e stanze piene di sangue che, tutti sommati, producono non soltanto una storia dell'orrore, ma anche un sottile ritratto di come la placida vita di campagna possa trasformarsi in un inferno. Forse tutto ciò è troppo? In effetti, tra i critici esso gode della reputazione di narrare fatti al limite del raccapricciante, con le sue strazianti mutilazioni di animali ed esseri umani e un gusto davvero perverso e abnorme nell'esecuzione delle uccisioni. Pensate che il suo editore l'ha presentato al pubblico per la prima volta come l'opera di un novello "Jekyll & Hyde"! Inoltre, secondo alcuni, la spiegazione finale presenta un problema troppo intellettuale, oltre a risultare troppo complessa e frenetica, al punto da dare la sensazione di essere imprecisa. In ogni caso, sono convinto che ciò sia dovuto al metodo particolare attraverso cui essa viene fornita al lettore e, da parte mia, vi assicuro che l'esperienza di lettura di "Presagio di Morte" vale; e se avete ancora dei dubbi, sappiate che accosterei questo romanzo fondamentale a "La Rossa Mano Destra" di Joel Townsley Rogers. Quello resta un caso a parte, certamente, ma la sensazione che ho provato alla fine della lettura è stata più o meno la stessa. Inoltre, ci sarà pure un motivo per cui Martin Edwards, Douglas Green, Anthony Boucher, Mauro Boncompagni e tanti altri elogiano questo particolare libro di Quentin. Sarebbe bello che qualcuno raccogliesse la sfida di ripubblicarlo, in questo momento d'oro per thriller. Per il momento, vi auguro di trovare una copia usata in un mercatino online o su una bancarella.

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