Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Si possono fare tanti esempi su questo tipo di romanzo del mistero: nel genere metropolitano, mi viene in mente "L'Arte di Uccidere" di John Dickson Carr, in cui il giudice istruttore Henri Bencolin si trova coinvolto in un mistero che vede svolgersi la maggior parte delle indagini all'interno di un edificio terrorizzante, calato in una Londra spettrale; "Svanita nel Nulla" e "Qualcuno ti Osserva", esemplari tipici della narrativa di Ethel Lina White, mettono in scena ossessioni che spaziano da caseggiati a dimore isolate, in cui i personaggi sono perseguitati e devono mettersi in salvo; "Poirot e la Strage degli Innocenti" di Agatha Christie e "Notti di Halloween" di Leo Bruce sfruttano le caratteristiche della festa di Ognissanti (zucche intagliate e ghignanti, maschere paurose, armi giocattolo, visite a cimiteri e in generale l'atmosfera di terrore) per esaltare le loro storie in villaggi rurali; "Come in uno Specchio" di Helen McCloy prende in prestito elementi del folklore e della tradizione dei tempi bui, per proiettare spettri in una scuola femminile del presente e dare vita a una vicenda in cui non si distinguono più finzione e realtà. Ognuno di questi libri, a modo suo, traccia una rappresentazione della società e del mondo che ci circonda, e lo fa dipingendo situazioni dove non mancano i brividi sul piano delle emozioni forti. Tuttavia, come dicevo sopra, non di solo terrore si va avanti. Anche il contrasto tra ciò che è confortevole e ciò che mette disagio gioca spesso un ruolo di primo piano all'interno di un romanzo del mistero. Questo è un carattere che molte volte ho trovato nella narrativa di un autore in particolare: Richard Austin Freeman. Con il suo stile un po' antico ma melodrammatico, egli è riuscito a tratteggiare momenti pregni di drammaticità, infondendo un forte senso della realtà a situazioni che dovevano apparire fantascientifiche agli occhi dei suoi lettori di inizio Novecento, ma senza per questo rinunciare a inserire una dose di ironia o leggerezza per stemperare l'atmosfera o descrivere passaggi dove il sentimento, scollato dalla sua componente intimidatoria, attira tutta l'attenzione sul proprio lato romantico. In "L'Occhio di Osiride" avevo fatto un discorso simile, e anche col romanzo di oggi, "Arsenico" (Polillo Editore, 2016), ritenuto come un altro tra i suoi capolavori, ripeto questo concetto. Nell'indagine sull'efferato omicidio di un malato cronico, infatti, si alternano passaggi dove emerge la malvagità dell'assassino e la ragione pare lasciare il posto a un'anarchia di paura e sospetto, con altri in cui si nota quanto sia ingiusto considerare i personaggi e gli scenari domestici creati dall'autore come incapaci di trasmettere emozioni. Non di sole scienza e inchiesta è piena l'opera di Freeman: pure la parte meno materialista, quella legata alla sfera del sentimento, spicca per restituire al lettore un ritratto a tutto tondo del delitto e dei suoi protagonisti.
King's Bench Walk, Londra, strada in cui abita il professor Thorndyke, ritratta in una cartolina d'epoca |
Tutto inizia quando il reverendo Amos Monkhouse, in viaggio dalla lontana parrocchia in cui risiede, si reca in visita al fratello nella sua grande casa di Londra. Quest'ultimo, Harold, ha sempre sofferto di salute cagionevole, ma negli ultimi tempi pare patire più del solito a causa di una malattia incapace da identificarsi con sicurezza. Come si scoprirà una volta consultato il medico, il dottor Dimsdale, tra i sintomi vi sono difficoltà respiratorie, un'insofferenza cardiaca che gli impedisce addirittura di alzarsi dal letto, e tutta una serie di altri piccoli disturbi che, sommati insieme, lasciano il malato impotente pur non essendo da imputare a un malessere preciso e definito. Resosi conto della situazione, Monkhouse non è per nulla tranquillo; non solo per la brutta cera di Harold, ma soprattutto perché in casa, al momento del suo arrivo, ha trovato con immenso sconcerto soltanto un amico di famiglia, Rupert Mayfield, e alcune domestiche; mentre la moglie di suo fratello si è recata nel Kent per sostenere la causa delle suffragette in cui milita, la nipote acquisita Madeline insegna a scuola e il segretario Wallingford è in giro per la città per affari. Come è possibile assicurare un'adeguata cura per il malato, se nessuno sembra volersi preoccupare di lui? Così, assecondato da Dimsdale e Mayfield (il quale funge da narratore della storia), Monkhouse si affretta a consultare uno specialista affinché trovi un rimedio per il fratello. A questo punto, Mayfield intraprende un viaggio di lavoro e si allontana da Londra, augurandosi che tutto possa risolversi per il meglio nonostante serbi nel cuore un certo timore... Timore che, non appena torna a casa, si rivela fondato: proprio la sera prima del suo rientro, Harold Monkhouse viene a mancare nella sua camera da letto, mentre legge un libro a lume di candela per non disturbare gli altri abitanti dell'edificio. Pure Barbara, la moglie del morto, ha fatto ritorno proprio quella mattina, senza riuscire a dare l'ultimo saluto al consorte; pertanto Mayfield, da amico di famiglia ed esecutore testamentario, decide di sollevare dall'amica le responsabilità aggravate dal lutto, prende in mano la faccenda e si fa portavoce per gli abitanti della casa, organizzando ogni cosa per assicurare un funerale degno per Harold. In fondo, tutti sono troppo sconvolti per riuscire a far fronte agli impegni e lui è lieto di potersi rendere utile, soprattutto grazie al proprio ruolo di avvocato.
Sfortunatamente, però, il giorno della cerimonia si presenta alla porta di casa un poliziotto che convoca i residenti a un'inchiesta che si terrà due giorni dopo, affermando che ogni altro impegno in vista della sepoltura è stato rinviato a una data da stabilirsi. Cosa può essere successo di tanto grave? Ebbene, come scopriranno ben presto i residenti di casa Monkhouse, Harold è stato ucciso freddamente grazie alla ripetuta somministrazione di arsenico, con molta probabilità sfruttando il cibo o la medicina ingeriti di volta in volta ogni giorno. Così, di punto in bianco Barbara, Madeline, Wallingford, le domestiche e lo stesso Mayfield vengono sospettati di essere assassini, piombando in un incubo ad occhi aperti che li vede piegarsi a fastidiosi interrogatori e perquisizioni da parte della polizia. Come risolvere la situazione facendo meno danni possibili? Per fortuna, Mayfield conosce l'uomo giusto per occuparsi del caso in fretta e senza suscitare scandali: il professor Evelyn Thorndyke, anatomopatologo e medico legale, il quale una volta interpellato si dice lieto di poter dare una mano al suo amico di lunga data. Così, l'investigatore si mette all'opera e, grazie al proprio ingegno di carattere matematico e alle apparecchiature di cui dispone, inizia a sondare il mistero della morte di Harold Monkhouse con metodo e criterio. L'unico problema è che, a suo dire, la soluzione del caso si trova nel passato, dove la scienza e i mezzi di cui dispone faticano a farsi strada. È forse possibile aggirare tale scoglio? Grazie a una serie di fortuite coincidenze e all'infaticabile ingegno di cui dispone, capace di selezionare la verità dalla menzogna e gli indizi vitali da ciò che li nasconde all'occhio inesperto degli altri, Thorndyke riuscirà a istruire un'accusa fondata e inattaccabile contro un insospettabile colpevole; anche se, per farlo, dovrà recare un grosso dolore al suo amico avvocato, legato a molti degli abitanti di casa Monkhouse da un sincero affetto.
Suggestiva copertina di un'edizione in lingua originale di "Arsenico" |
Come era stato con "L'Occhio di Osiride", anche nel caso di "Arsenico" ci troviamo di fronte a un romanzo giallo che risente ancora di una tradizione posteriore a quella della Golden Age della classica crime story, nonostante esso sia stato scritto nel 1928 (lo stesso anno, per fare un paragone, furono dati alle stampe "Bellona Club" di Dorothy L. Sayers e "Delitti di Seta" di Anthony Berkeley). Questo, tuttavia, non vuol significare che le vicende raccontate siano noiose. Anzi, nello stile tipico di Freeman, in questo libro troviamo una narrazione differente da quella dei titoli sopra citati, in cui spiccano in modo chiaro la capacità e l'intenzione dell'autore di voler evocare il mondo affascinante e suggestivo (nonché imperfetto) della fine dell'età Vittoriana, attraverso piccoli scorci sulla quotidianità del tempo e sulle vite di persone che ormai sono morte e sepolte da moltissimo tempo, ma allo stesso tempo, come imprigionate nell'ambra, ancora reali e tangibili agli occhi del lettore. Al di là dell'enigma puro, ciò che importa a Freeman è il tratteggio della società e della realtà dell'Inghilterra del suo tempo, restituito non come qualcosa di relegato a un passato freddo e asettico "da libro di storia", ma vivo nei ricordi di chi lo ha vissuto in prima persona: in sintesi, qui non sono i Grandi Avvenimenti a dominare la scena, con la loro pomposità, ma piuttosto azioni come la compilazione di un diario giorno per giorno, oppure il rapporto tra conoscenti e innamorati, tra gentiluomini e garbate signorine, fatto di inchini formali e toni lirici, ritratti di vie scomparse assieme ai loro abitanti nati e stabilitasi proprio lì da tempi immemori, descrizioni di dimore signorili e di quartieri ormai evolutesi in qualcosa di più moderno; tutte cose le quali possono essere rievocate dal lettore comune e assaporate con un pizzico di nostalgia e di tenerezza. Esse ci parlano di un'epoca passata e ormai cancellata dal progresso, che riesce ancora a vivere davanti ai nostri occhi, all'interno di queste ignare "biografie civiche" dell'autore, il quale ha destinato al futuro un'eredità preziosissima di frammenti che compongono un mosaico sulla tradizione, tanto rigoroso non solo da soddisfare la mera curiosità ma addirittura da restituire un ritratto veritiero dell'evoluzione della società, senza tralasciare fatti che altrimenti sarebbero andati perduti nelle pieghe del tempo. Il tutto, tra l'altro, in un modo che è riuscito a resistere alla prova del tempo, conservando un certo fascino e mescolando enigmi innovativi e una narrazione suggestiva che dimostrano chiaramente come il genere giallo riesca ancora a resistere a più di un secolo dalla sua nascita.
Pertanto, detto ciò, nonostante il fatto che Richard Austin Freeman appartenga a una generazione anagrafica posteriore a quella degli esponenti della Golden Age del giallo anglosassone, io non trovo che questo autore abbia qualcosa da invidiare ai suoi colleghi più giovani. Voglio dire, se la sua opera può suggerire un carattere improntato su uno stile e una caratterizzazione dei personaggi un po' datati, ciò non significa che il risultato finale sia meno interessante di quanto si potrebbe sperare, nel momento in cui ci avviciniamo a essa. Si è visto in "L'Occhio di Osiride", ma ciò appare chiaro pure in "Arsenico", il quale può essere incluso in quei romanzi gialli che definisco "antiquati" in senso positivo; non superati e vetusti da apparire fin troppo macchinosi e complicati da digerire, quanto capaci di sfruttare la tradizione in modo da accrescere il proprio valore intrinseco. Nell'altro romanzo di Freeman che avevo recensito, li avevo paragonati a scrivanie d'epoca accostate a tavoli dal design moderno, e oggi ribadisco il concetto: magari a prima vista le prime possono apparire un po' fuori luogo rispetto ai secondi e non reggere il confronto, ma non si può negare il fatto che i gialli di Freeman (le scrivanie), allo stesso modo di quelli di J. Jefferson Farjeon, riescano ad esercitare un'attrazione irresistibile per i lettori nostalgici (i compratori di mobili d'epoca) e costituiscano piacevoli esempi di period novel, ovvero quei romanzi dove, attraverso uno stile onirico che pare attraversare le nebbie del tempo, viene ritratto un certo stile di vita, con i suoi pregi e i suoi difetti. Ecco, "Arsenico" intrattiene con una sorta di semplicità apparente, dal momento che, in realtà, ci troviamo di fronte a complesse opere dove i dettagli contano e ogni cosa (ambientazione, caratterizzazione dei personaggi, stile, mistero) viene tenuta insieme da un collante "alla Dickens", solida contro lo scorrere del tempo e la fugacità delle mode. Se prestiamo attenzione, infatti, nel romanzo che recensisco oggi troviamo gli stessi elementi che risaltano all'interno delle altre opere di Freeman e gli hanno permesso di sopravvivere tanto a lungo: una scrittura improntata su un linguaggio specialistico, ma che non rinuncia a un pizzico di ironia e a un tono nostalgico e mai banale, attenta e coinvolgente a modo suo; una grande attenzione al rapporto instaurato tra i personaggi, fatto di interazioni numerose che si inseriscono in modo perfetto a spezzare i momenti più seriosi dell'indagine e infonde nei protagonisti una certa umanità; un enigma in grado di soddisfare i lettori più esigenti, dal momento che è imperniato su un metodo d'indagine scientifico ma non per questo soporifero e poco appassionante; un abile uso delle descrizioni degli ambienti che fanno da sfondo alle vicende raccontate, capaci di proiettare chi legge direttamente dentro le pagine e di dare uno spessore alle azioni che si svolgono sulla scena. E nonostante si tenda a criticare l'autore (e il suo investigatore Thorndyke) per un certo atteggiamento gelido e fin troppo tecnico (giustificato se ci si sofferma soltanto sull'esposizione del mistero in sé), bisognerebbe sottolineare quanto un simile giudizio sia riduttivo quando si prende in considerazione ciò che circonda il caso stesso di cui uno è creatore e l'altro risolutore: il buon professore sarà anche il prototipo del detective declinato sulla figura del medico legale, come il suo inventore, ma non bisogna dimenticare che egli riesce a dare prova di possedere un cuore sensibile a sentimenti come l'amore e la fedeltà. E che Freeman, nel dipingere le allegre vie della città, nel tratteggio dei dialoghi brillanti, nel toccare alcuni temi in particolare e nel descrivere il complesso ed emozionante rapporto tra individui, non è da meno.
Grafico tecnico-scientifico tracciato da Thorndyke sul caso di Monkhouse (non ho messo la didascalia che spiegava per non incorrere in spoiler) |
Considerata questa premessa, penso si capisca benissimo in cosa "Arsenico" sia diverso da "L'Occhio di Osiride". Se in quest'ultimo caso l'idea per la creazione dell'enigma derivò soltanto in modo marginale dal caso di true crime di Parkman-Webster, e l'interesse attorno al quale si sviluppa l'indagine riguarda soprattutto il sentimento nato tra Berkeley e Ruth Bellingham e le sue conseguenze in relazione al mistero, nel romanzo recensito oggi il parallelo con la triste vicenda di Florence Maybrick, assieme all'azione sulla scena del delitto, le inchieste volte alla scoperta del colpevole, gli esperimenti di Thorndyke e tutto ciò che deriva e ha a che fare con esso (legge, medicina, scienza, meccanica) occupano un ruolo decisamente più importante. Certamente, come ho detto, ci sono molte affinità tra i due titoli, come lo schema ripetitivo del "protagonista giovane e innamorato di una ragazza bisognosa di comprensione", gli ostacoli all'apparenza insormontabili tra loro, il sospetto che si insinua nella relazione; per non parlare di quegli aspetti legati alla forma, come le dettagliate descrizioni degli ambienti, lo stile pieno di digressioni di Freeman (pp. 7-9, 14-15, 21-23, 29, 41, 66-69, 75, 89, 93-94, 101-102, 109-110, \120-126, 129-130, 133, 140-141, 143-146, 168-169, 175-176, 183, 187-188, 100-202, 212-216, 219, 253) e le frequenti osservazioni di carattere legale, medico e scientifico (pp. 147-160, 178-179, 181-185, 204-207, 234-249, 255-258). Tutto ciò, tuttavia, in "Arsenico" sembra fare "da contorno" alle indagini vere e proprie di Thorndyke, dove si pone grande importanza riguardo la somministrazione del veleno, le azioni che ognuno dei personaggi potrebbe aver messo in atto per alterare il cibo oppure la medicina del malato, all'opportunità e al movente che ognuno dei sospettati poteva avere per giustificare un assassinio. In sintesi, in "L'Occhio di Osiride" assistiamo più alla nascita dell'amore sbocciato tra il protagonista e la sua amata, che all'inchiesta della polizia e di Thorndyke snodatasi di pari passo; in "Arsenico", invece, vediamo in atto il contrario, con un caso poliziesco tanto complesso ed elaborato da mettere in secondo piano il rapporto (comunque importante ai fini della soluzione finale) tra Mayfield e Barbara Monkhouse. Sono il metodo scientifico (e quello della polizia, cap. 7), la mente analitica, di Thorndyke, gli esperimenti che egli conduce nel suo laboratorio, i processi giuridici e le procedure ministeriali, la prassi della polizia, i sopralluoghi a conferire spessore a quest'ultimo mystery; l'amore, la gelosia, l'odio e le ossessioni giocano un ruolo sì decisivo, ma pur sempre secondario. In questo Freeman si è dimostrato un degno rappresentante della scuola della Golden Age di stampo inglese: oltre a essere interessato e ad affidarsi a casi reali per la realizzazione di trame originali da impiegare nei suoi libri, come fecero i membri del Detection Club, egli ha infuso una particolare cura nel perfezionamento dei dettagli materiali dei suoi delitti fittizi; cosa che lo ha reso uno tra i più importanti ed innovatori esponenti del genere fin dai primi tempi di esistenza dell'associazione.
Richard Austin Freeman, nato nel 1862 e morto nel 1943 |
Grande esperto di procedure legali e di true crime (oltre ad inserire casi reali nei suoi gialli, analizzò a fondo il mistero di Croydon), innovativo finché mori nel 1943, promotore dell'autorità della chimica e della biologia applicate alle indagini, oltre che sostenitore dell'eugenetica (al contrario di moltissimi colleghi giallisti), Richard Austin Freeman è stato un grande giallista, resta uno dei pochi autori di polizieschi dell’epoca Edoardiana ad essere letto ai giorni nostri, assieme a G.K. Chesterton ed E. C. Bentley e, cosa ancor più rara, un'esponente del giallo degli albori come di quello della Golden Age. Oltre a quelli di Chandler, il quale lo riteneva "un magnifico artista" che "non ha eguali", riuscì ad ottenere anche gli elogi di George Orwell, il quale considerava la crime story della Golden Age come troppo moderna, al contrario di quella più formale e "antiquata" da lui rappresentata: "Ricordi la nostra passione per R. Austin Freeman? Io non l'ho mai davvero dimenticata, e penso che dovrei leggere tutti i suoi libri eccetto alcuni dei suoi ultimi" osservò quest'ultimo in una lettera a un'amica nel 1949, senza contare le numerose citazioni alle opere del suo idolo che fece in altri saggi. Per quanto mi riguarda, Golden Age e giallo degli inizi non fa differenza, se si tratta di opere di valore come "Arsenico": un eccezionale romanzo che, nonostante all'inizio possa apparire troppo lento, trova i propri punti di forza non solo nell'enigma di prima qualità, ma pure nel suo essere un po' antiquato e nella gran quantità di argomenti che vengono toccati nel corso della narrazione. Già; perché Freeman non si limitò a far fare semplici affermazioni di carattere superficiale al suo Thorndyke: lo fece agire in modo molto più attivo. Scienza forense, pratica legale, meccanica, medicina sono i temi più importanti toccati nelle indagini dell'investigatore, vengono trattati con un riguardo quasi reverenziale e restituiti al lettore in un linguaggio sì specialistico, ma senza usare toni troppo altezzosi e permettendo a chiunque di comprendere i passaggi più insidiosi.
Spesso, nei mysteries contemporanei, mi sono reso conto di come la "sostanza" sia debole e fiacca, poiché mancante di una base stabile e salda per quanto riguarda il fattore stilistico e contenutistico; nel caso di questo libro, invece, mi è sembrato che l'autore sapesse molto bene di che cosa stava parlando e avesse tutte le intenzioni di renderlo noto ai suoi lettori: lo dimostrano non solo i continui riferimenti alla legge (capp. 4-5-6 sull'inchiesta e pp. 31-32, 36-40, 110-118, 157) e alla medicina (pp. 12-14, 17-18, 24, 26, 78-81, 94-98, 101-105, 135-137, 160-162, 184-185, 236-237, 243-244, 248, 251-254), i quali portarono allo sviluppo di nuove tecniche da applicare alle indagini e influenzarono autori come Dorothy L. Sayers, J.J Connington e John Rhode; ma anche le parti in cui i personaggi entrano in rapporto l'uno con l'altro, a volte leggere ed altre meno, così da mutare la pesantezza di uno stile dalle descrizioni troppo dettagliate. In particolare, la complessa e lunga questione riguardo l'arsenico (pp. 45-55, 57-65, 68-73), in qualche modo vero protagonista delle vicende, tenderebbe a diventare fin troppo astrusa per i profani e quindi ad annoiare; pertanto, Freeman si è reso conto di dover smorzare i toni e ha fatto in modo di dare il giusto pizzico di ingenuità a Mayfield affinché Thorndyke possa fare qualche battuta su di lui (come nel caso del cavallo di Troia, cap. 10). A questa serie di argomenti utili a sostenere la propria indagine fittizia, inoltre, l'autore ha affiancato un metodo ineccepibile, forse ancora troppo "ingenuo" per ingannare al meglio i lettori più abili (la cerchia dei sospetti è molto ristretta), ma perfetto in un romanzo di questo tipo, dove le innovazioni scientifiche dovevano sembrare degne di orizzonti fantastici. Come i suoi successori, infatti, Freeman si diede da fare per creare trame basate su soluzioni verificabili in laboratorio, solide e sicure, con una forte identità; sviluppò nuovi metodi delittuosi ("Se non fosse che l'autore è un medico, si potrebbe essere inclini a dubitare che gli omicidi in questa storia avrebbero potuto essere compiuti nel modo in cui li descrive" osservò addirittura il New York Times proprio riguardo "Arsenico") e spesso ideò i suoi omicidi fittizi ispirandosi a delitti reali. Ma soprattutto era deciso a dare più importanza alle modalità di uccisione, il punto forte dei casi di Thorndyke, sempre perfettamente logico e ispirato a criteri scientifici, a discapito delle sottigliezze psicologiche della Golden Age. Per questo motivo alcuni non apprezzano appieno l'opera di Freeman; in ogni caso, nonostante ciò, da parte mia mi sento più che disposto a perdonargli qualche piccola imperfezione.
Illustrazione che rappresenta Thorndyke con il suo aiutante e biografo Christopher Jervis in un disegno di H.M. Brock, pubblicato sul "Pearson's Magazine" nel 1909 |
L'altro grande sostegno per la storia di "Arsenico" e per l'opera dell'autore, invece, è dato dalla caratterizzazione dei personaggi. Senza dubbio un po' datati nei comportamenti, tra inchini e atteggiamenti vittoriani sull'ostentazione dei proprio sentimenti, essi restituiscono un'immagine vagamente retrò di educato garbo, come se stessimo leggendo le memorie di una vecchia zia, e trovano il loro compimento nel rapporto ingessato degli uni verso gli altri: i costumi li costringono ad adeguarsi a un rispetto esteriore delle convenzioni, ma dalle loro parole e dai toni con cui le esprimono percepiamo come essi posseggano un'anima ben più viva di quella delle mere marionette. Hanno una personalità solida, sono ben caratterizzati, e ciò indica come Freeman non fosse l'individuo gelido che il lettore medio immagina, basandosi sul suo essere un dottore vittoriano. "Saremmo dei cattivi biologi, e dei medici ancora peggiori se sottovalutassimo l'importanza di quella che è la funzione principale della natura [...] l'importanza vitale del sesso" e del sentimentalismo, spiegò per bocca di Thorndyke in "L'Occhio di Osiride": direi che è riuscito a mettere in pratica le sue parole, soprattutto vedendo quanto il professore stesso si senta coinvolto a livello emotivo nell'indagine di cui si occupa (pp. 123, 203-204, 261-263). Ma non solo il sentimento, anche l'ironia è una componente importante nei suoi personaggi: la ritroviamo soprattutto in Thorndyke e nel suo assistente Polton, ma pure Madeline dà prova di possederne in quantità. In "Arsenico", tuttavia, a trovare maggiore spazio sono l'amore perduto e l'ossessione che ne deriva (pp. 9-10, 20-21, 22-26, 33-34, 107-109, 165-166, 170, 172-173, 217, 220-224, 228-229, 231-232): quelli di Mayfield e Barbara verso Stella Keene, quelli di Wallingford per Barbara, quelli di Mayfield verso Barbara e viceversa. Nello sviluppo delle loro relazioni, divampano le passioni in modo meno manifesto di quanto accada ai giorni nostri, ma non per questo meno violentemente. Soprattutto i personaggi femminili (pp. 35-38, 68-73, 188, 191-192) appaiono soggetti a questo sconvolgimento interiore (e il disprezzato e debole Wallingford), come se l'autore fosse ancora legato a un'immagine datata della donna e non riuscisse ad accettare l'emancipazione femminile che stava prendendo sempre più piede (vedasi i commenti sulle suffragette alle pp. 8, 10-11). Però, allo stesso tempo, egli ha ritratto la figura di Madeline come una ragazza in carriera, con una propria professione e ambiziosa, che non trascura la soddisfazione dei propri bisogni sentimentali. Forse la sua educazione vittoriana tentava di ribellarsi all'idea di questo nuovo ruolo femminile nella società. In ogni caso, i protagonisti sono attori in carne ed ossa i quali, nonostante alcune caratteristiche stereotipate, agiscono e vivono con trasporto gli eventi contenuti in "Arsenico". Essi sono una parte importante in questo romanzo basato soprattutto sull'enigma; senza le loro personalità, sono convinto che gran parte del mistero sulla morte di Harold Monkhouse avrebbe perso molto del suo fascino. E di conseguenza "Arsenico" non sarebbe risultato il grande romanzo giallo che in effetti è.
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