Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Tra il 2002 e il 2014 era uscita una prima serie ininterrotta di titoli, a partire da "I Delitti di Praed Street" di John Rhode per terminare con "Veleni, Pugnali e altre Amenità", tipica raccolta di racconti curata dall'editore; poi, per un paio di anni la produzione di volumi si era arrestata, soprattutto per il calo delle vendite a cui il mercato era andato incontro. Dopo qualche tempo, tuttavia, si era messa in moto una nuova linea di gialli che aveva ripreso la numerazione da dove era stata interrotta, come se nulla fosse accaduto nel frattempo; e i primi romanzi a vedere la luce erano stati "Morte in Ascensore" di Alan Thomas, una delle camere chiuse più celebrate di tutti i tempi che lo stesso bacino di lettori britannici ci invidia, e l'oggetto della recensione di oggi: "Sangue sulla Neve" dell'americana Hilda Lawrence. Al tempo, io mi ero avvicinato già da un po' alle collane dirette da Marco Polillo; ero partito collezionando quei titoli che erano stati pubblicati in allegato al Corriere della Sera, per poi passare ad accaparrarmi la maggior parte di copie di quelli che aveva precedentemente pubblicato, ricorrendo a siti di remainders e a mercatini dell'usato. Però, con l'uscita di questi due mysteries nuovi di zecca ho dato davvero inizio al mio sostegno ai Bassotti, e da lì non mi sono più fermato, se non quando Polillo ha di nuovo cessato di produrre nuovi gialli per qualche tempo, per passare a Rusconi. Pertanto, sono molto legato a queste due crime novels così differenti tra loro: una inglese, l'altra americana; una sul genere del delitto impossibile avvenuto in un luogo chiuso, l'altra fondando la propria cifra sulla suspense. Però, tra i due ho sempre preferito il romanzo di Lawrence, dal momento che (come ho accertato con gioia durante questa rilettura) non ha nulla da invidiare all'opera di un autore nato e cresciuto in Inghilterra. In esso, si mescolano perfettamente quei caratteri che si trovano nei gialli che preferisco: un solido background, costituito da personaggi vividi e da uno stile chiaro ma all'occorrenza lirico tipici della narrativa britannica, pur senza tralasciare quell'atmosfera un po' onirica e l'ambientazione suggestiva di un mystery appartenente alla tradizione delle woman in jeopardy. È stata una lettura molto gradevole, perfetta da affrontare dopo il discreto nuovo Bassotto di Polillo/Rusconi, "Il Rompicapo" di Lee Thayer, dal momento che questi due libri sono del tutto differenti tra loro. Il bello della classica crime story: quello di partire da premesse simili per dare vita a risultati agli antipodi.
The Entrance to Giverny under the Snow, Claude Monet, 1885, raffigurante una scena nevosa simile a quella di Crestwood |
Tutto ha inizio in una gelida sera d'inverno. Il treno proveniente da New York giunge a Crestwood, una minuscola località nelle montagne dell'America, e mentre il controllore Amos Partridge esce dalla stazione per fare tutti i segnali del caso, dalla coda del convoglio scende silenziosamente un uomo. Si tratta di Mark East, un investigatore privato che è stato convocato nella grande casa sulla collina dietro il villaggio, di proprietà del colonnello Davenport, da uno degli ospiti che in quel momento risiedono nella villa: l'archeologo Joseph Stoneman. Costui si trova a Crestwood assieme a una famiglia di amici, i Morey, costituita da Jim, Laura e le piccole Anne e Ivy, servito e riverito da una schiera di domestici che comprendono un maggiordomo, Perrin, una cuoca governante, Mrs Lacey, e due ragazze nel ruolo di cameriere e sguattere, Florrie e Violet. Tuttavia, come si accorge ben presto East, Stoneman non si trova affatto nella piacevole posizione che lui si sarebbe aspettato: per prima cosa, il poveretto pare essere stato trattato nientemeno che come un sacco da boxe, con tutte le botte e le fasciature che gli ricoprono le parti scoperte del corpo; e come se questo non bastasse, è chiaro che l'archeologo è in preda a un fortissima tensione. Trema, si guarda alle spalle come se si aspettasse di essere assalito da un momento all'altro, e insiste nell'affermare di aver assunto Mark per lettera scambiandolo per un segretario, e non per i suoi servigi di investigatore. East è perplesso dal comportamento dell'uomo, ma al momento non ha di meglio da fare e così decide di stare al gioco del suo nuovo capo, installandosi a villa Davenport. Già nelle prime ore della sera, tuttavia, mentre fuori la neve cade copiosa sui tetri boschi immersi nel silenzio della notte, l'investigatore si trova inserito in un focolare domestico molto particolare, in cui nessuno pare comportarsi con naturalezza: Jim Morey appare fin troppo allegro e desideroso di scambiare facezie col suo nuovo ospite; Laura, sua moglie, dal canto suo resta sempre chiusa nella sua camera da letto, con le bambine, e non scende nemmeno per i pasti, come in una sorta di clausura volontaria causata da una malattia nervosa non meglio specificata; Stoneman, come dicevamo, sembra sul punto di avere un collasso e si mantiene in posizione eretta bevendo un bicchiere di liquore dietro l'altro.
Nemmeno Perrin, silenzioso come un gatto e con mani forti e delicate allo stesso tempo, la risoluta e spaventata Florrie, l'incosciente Violet e la tremebonda Mrs Lacey paiono passarsela bene. Quest'ultima, soprattutto, ha annunciato di volersene andare quella sera stessa, dopo aver inviato le proprie dimissioni scritte al piano di sopra e aver impacchettato tutta la sua roba in fretta e furia. Chissà cosa mai l'ha spaventata... Perché anche questo appare chiaro agli occhi allenati di Mark East. Eppure, la povera Mrs Lacey dovrà cambiare i propri piani, e farlo per sempre: mentre sta dormendo nella sua stanza nel seminterrato della villa, infatti, rimane vittima di un incendio che è scoppiato a causa di una serie di sfortunate coincidenze. Al villaggio, tutti si stringono attorno alle spoglie mortali della donna: Ella May Bittner con suo marito, Amos Partridge, ma soprattutto le zitelle Beulah Pond e Bessy Petty, sempre pronte a ficcare il naso a destra e a manca per raccogliere e discutere il pettegolezzo del momento. Chiacchiere che corrono ben presto, quando il dubbio che la morte della cuoca dei Morey sia dovuta a un atto provocato dall'uomo di insinua nella mente di East e in quella della polizia del villaggio. Ma chi potrebbe mai aver voluto uccidere un donnone inoffensivo come Mrs Lacey? Era un essere umano insignificante, in fatto di importanza; non era un personaggio particolarmente noto da costituire una minaccia. Eppure, quando si verificherà una seconda morte violenta, sempre legata alla casa di Davenport, East non potrà più fingere che non ci sia sotto qualcosa a questa serie di decessi improvvisi. Qualcosa che forse, come è nella migliore tradizione del giallo classico, si trova celato nel passato più oscuro, in quel luogo dove ci celano i crimini mai scoperti e le nefandezze di cui l'uomo di è macchiato? La neve cade, cade copiosa su Crestwood, e ricopre col suo fitto mantello i segreti dei personaggi del romanzo: riuscirà Mark East a scoprire la verità e ad impedire che qualcosa di orrendo si compia prima che sia troppo tardi? L'aiuto delle zelanti Miss Pond e Miss Petty, che a loro rischio e pericolo tutto sanno e tutto comprendono molto meglio di agenti addestrati, sarà essenziale per raggiungere il traguardo.
Winter View, Stepan Feodorovich Kolesnikov, raffigurante una casa simile a villa Davenport |
Proprio da quest'ultima, secondo me, Lawrence ha colto ispirazione per scrivere gialli come questo "Sangue sulla Neve"; da lei e da quei classici della letteratura britannica che (oltre alla saga di Sherlock Holmes) sono stati tanto importanti per l'evoluzione della crime story: "La Pietra di Luna" e "La Signora in Bianco" di Wilkie Collins. Essi, infatti, hanno a modo loro influenzato tutta quanta l'opera dei giallisti posteri: a quelli residenti nella Vecchia Europa hanno suggerito quanto fossero importanti il contesto storico-sociale in cui le vicende devono essere ambientate, per risultare credibili, e la forza dirompente di uno stile solido per conferire struttura ossea alle loro trame; a quelli americani, come la creazione di un clima di tensione e suscitare emozioni nel lettore possa aiutare a vivacizzare un racconto dove il mero sunto dei fatti può risultare un po' indigesto. White, Daly e Lawrence hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con l'opera di Collins (White viveva in Galles e non poteva non conoscere di fama l'autore, mentre Daly e Lawrence hanno apertamente dichiarato la loro ammirazione per il loro collega d'oltreoceano); per cui, è innegabile come egli le abbia influenzate; e lo abbia fatto al punto di suggerire loro di seguire le sue stesse orme, in modo da dare vita a mysteries in cui i caratteri del giallo tipicamente tradizionale si fondono con quelli dell'avanguardia americana rappresentata soprattutto da Rinehart ed Eberhart. Lawrence, nello specifico, sembra aver compiuto un percorso che fino a un certo punto può essere simile a quello delle due colleghe sopra citate, dal momento che ha infuso in romanzi come "Sangue sulla Neve" molti dei topoi comuni al sottogenere in cui viene ascritta dai più: l'atmosfera tratteggiata con toni poetici e lirici, l'ambientazione claustrofobica accentuata dalla potente tempesta di neve che viene a scatenarsi su Crestwood, uno stile caratterizzato dall'alternarsi tra azione (poca) e riflessione (tanta), una certa aria di confortevolezza apparente in cui i personaggi sembrano coccolati, nonostante nel corso del tempo si susseguano omicidi tutt'altro che tranquillizzanti. Inoltre, abbiamo personaggi che lasciano trapelare come siano particolarmente scossi e agitati, intimoriti da qualche minaccia nebulosa, e un mistero dove bisogna stare attenti a cogliere indizi di carattere psicologico.
Però non bisogna fermarsi alle apparenze: alcune sostanziali differenze fanno capire come Lawrence non si sia limitata a ricalcare le trame delle sue colleghe. L'autrice, in qualche modo, si fece carico dell'eredità di White e, proprio nell'anno in cui quest'ultima pubblicò il suo ultimo giallo, ella raccolse un metaforico testimone proseguendo secondo una propria logica, che vedeva l'introduzione di alcune modifiche al modello: nonostante protagonista sia il terzetto East-Pond-Petty, quello che sarà deus ex machina sarà il solo investigatore, in modo da avere un protagonista maschile in questa vicenda dipinta sul tipo del domestic suspense; le due zitelle non sono affatto sciocche come apparirebbe a prima vista, anche se in un'occasione corrono un pericolo mortale, per cui viene in parte a cadere il ruolo della "gentile donzella in pericolo"; il senso di pericolo che di solito attanaglia la protagonista nel caso di "Sangue sulla Neve" è meno accentuato, non essendo calcata la mano sul fattore gotico della storia (pur restando presenti il sospetto insinuante e la tensione che qualcosa di grave stia per abbattersi su villa Davenport). Mi è capitato di leggere alcuni accostamenti tra l'atmosfera di questo romanzo con quella manifestata nientemeno che nei romanzi di John Dickson Carr (secondo me, il paragone è un po' esagerato). Inoltre, ho come colto una sorta di tentativo di imitare non solo White, ma addirittura Sayers: quest'ultima è stata addirittura citata attraverso il personaggio di Lord Peter Wimsey, mentre in un'occasione Lawrence ha lasciato intendere come il giallo tradizionale britannico fosse il migliore. Quindi, abbiamo qui un'autrice americana che si dimostra apertamente affezionata alla classica crime story della Terra d'Albione, che fino a un certo punto è stata discepola di Ethel Lina White per poi applicare il suo metodo con sostanziali modifiche, ma senza snaturarlo. Personalmente, ammetto di essere stato entusiasta di come si sia rivelato "Sangue sulla Neve": in ibridi come questo libro, oppure nelle opere di White e Daly, si manifesta quella che a mio parere dovrebbe essere la forma ideale di equilibrio all'interno di un mystery; ovvero, la commistione tra tensione e suspense, per quanto riguarda l'atmosfera del racconto, e una costruzione solida e chiara della struttura tecnica delle vicende: Come se un castello fatto di vetro fosse stato costruito su un terreno di pietra.
Hildegarde Kronmiller, alias Hilda Lawrence, nata nel 1906 e morta nel 1976 |
Insomma, Hilda Lawrence sembrava destinata a risalire l'Olimpo degli scrittori di gialli americani della metà del Novecento. Pubblico e critica (in particolare Howard Haycraft la definì "di gran lunga il più entusiasmante talento nel campo dell'odierna letteratura gialla") erano dalla sua parte, pronti a sostenerla, e si aprivano davanti a lei grandi prospettive. Eppure, di punto in bianco, nel 1946 interruppe la serie con protagonista East e iniziò a pubblicare sempre meno. Nel 1949 uscì "Duet of Death", una coppia di romanzi brevi dal titolo "A Quattro Mani" e "The House/The Bleeding House"; però si tratta di storie di suspense ben diverse dal resto della sua produzione precedente (tanto che "A Quattro Mani" divenne un episodio di "The Alfred Hitchcock Hour" intitolato "The Long Silence"). Poi Lawrence pubblicò una puntata della serie "Nobody Dies but Strangers", sula rivista Ladies Home Journal nel 1951, e il racconto "A Roof in Manhattan", inserito nell'antologia "For Love of Money" curata dal Mystery Writers of America nel 1957. Da qui più nulla, fino alla morte avvenuta nel 1976. Cosa successe per arrestare la sua ascesa? Non si sa. Resta il fatto che Hilda Lawrence ha dato prova di sé con i pochi romanzi che ha scritto; romanzi che, da qualcuno, sono stati criticati aspramente per essere in un certo senso "né carne né pesce". Mi spiego meglio: la decisione dell'autrice di mettere insieme elementi del giallo britannico con quelli tipici delle women in jeopardy ha scatenato una serie di commenti e giudizi secondo cui ella ha voluto inserire nelle sue trame cose fin troppo diverse tra loro, così da non riuscire a dare un'identità precisa alla sua narrativa. L'atmosfera di Carr, come dicevo sopra, ma pure un protagonista spiritoso sulla falsariga di Archie Goodwin, aiutante di Nero Wolfe, zitelle simili a Miss Jane Marple... Avrebbe aperto a troppe cose, fallendo nel non riuscire a concentrarsi bene su una di esse. Francamente, io trovo che questo discorso sia del tutto esagerato. Certo; un problema per il lettore affezionato al giallo più tradizionale nel senso stretto del temine l'ho rilevato, leggendo "Sangue sulla Neve": gli indizi non si attengono del tutto al fair play, ovvero si può indovinare chi sia il personaggio colpevole ma non arrivare a scoprire come abbia agito in base alle prove presentate. Questo può essere una pecca, per alcuni.
Ma io, come ho già avuto modo di spiegare, preferisco concentrarmi sul risultato complessivo del romanzo, senza pretendere un gioco pulitissimo dall'autore. Neppure che la soluzione cada dall'alto senza preavviso di sorta, ma una via di mezzo la posso accettare. E in fin dei conti "Sangue sulla Neve" è un giallo che possiede innumerevoli qualità positive. I punti di forza del libro sono senza dubbio lo stile e l'ambientazione, che riescono ad avvolgere chi legge in una sorta di sogno ad occhi aperti: ogni cosa viene spiegata come se stessimo camminando in una regione fantastica, le cui fattezze sono all'apparenza reali ma, allo stesso tempo, tutto si muove lentamente; le descrizioni si soffermano sui dettagli del mobilio, sugli scenari del giardino e delle piccole case degli abitanti di Crestwood, includendo villa Davenport. Vediamo con gli occhi della mente i personaggi che agiscono in un palcoscenico allestito al meglio, dove niente viene lasciato al caso e gli oggetti assumono grande importanza e aiutano a collocare meglio ciò che succede. Tutto è affascinante, chiaro ed evocativo allo stesso tempo, come avvolto in una nebbia dorata in cui i contorni si sfumano allo stesso modo di quelli dei dipinti impressionisti. Ho avuto l'impressione di affrontare la storia come se indossassi guanti di velluto, al cui interno si trovavano però salde mani pronte ad agire. Nel corso del tempo che scorre nelle vicende, ci addentriamo sempre di più nel disegno che Lawrence ha preparato per noi; un racconto dove la suspense viene tenuta a partire dalle prime pagine, nelle quali la tensione e la Morte fanno già il loro ingresso sulla scena attraverso l'illusione del mausoleo di Beulah, fino alla fine. Un'altra cosa che mi ha affascinato, mentre leggevo "Sangue sulla Neve", è stata la capacità dell'autrice di dire e non dire le cose, di accennare gli indizi e poi sottrarli alla vista nel momento seguente, rapida, silenziosa: tra le righe si nascondono molte allusioni, come si addice a un tipico giallo americano degli anni '40, ma non mancano pure le correnti sotterranee che scorrono impetuose tra i personaggi e particolari calore e confortevolezza a sottolineare il tutto... questo fino a un certo punto.
In questa variazione del giallo secondo HIKB abbiamo più sostanza dal punto di vista dello stile, e più spessore nella trattazione dei temi, passando dall'arte (pp. 17-18, 49-51) alla letteratura (pp. 29, 31-32, 155, 171-172, 195-196), dall'archeologia (pp. 102-106, 194-195, 203-204) allo spiritismo (pp. 9-10, 30, 40-45, 49, 163), fino alla morte che si aggira come uno spettro entrando e uscendo dalle pagine (pp. 9, 104, 136-137, 163). Legato alla morte che emerge e si immerge, pure il tema del passato che ritorna occupa un ruolo importante nella trama, mescolandosi con una certa amara ironia del destino. I personaggi sembrano ossessionati da qualcosa che non vuole lasciarli liberi, e vengono tratteggiati con piglio sicuro e abilità: esprimono sentimenti e struggimento come se fossero attori di un melodramma vittoriano (ritorna Wilkie Collins, vedete?), ma d'altra parte riescono ad incarnare personalità calate nella modernità del tempo in cui è ambientato il libro. Tra tutti, risaltano la misteriosa Laura Morey, novella "donna in bianco" che sta sulle sue senza farsi avvicinare; le zitelle Pond e Petty, brillanti e sagaci pur senza apparire dominanti su East, che osservano come "falchi benevoli" quanto accade e sono pronte a correre dei rischi pur di assecondare la loro curiosità; la giovane Violet, la quale nasconde un grande spirito di osservazione dietro la facciata di sempliciotta; e lo stesso Mark East, interessante variazione dello stereotipo in voga tra gli scrittori di gialli americani. Tutto sommato, comunque, i personaggi non sono mai quello che sembrano; nascondono lati delle loro personalità dietro a maschere attaccate precariamente sui loro volti. Sono buoni o cattivi? Pazzi oppure sani di mente? Sta al lettore dare la propria interpretazione in base ai fatti e ai risvolti del caso. L'enigma, infine, si presenta stratificato e complesso: il lettore non può riuscire a spiegare da solo tutti i passaggi dell'indagine, dal momento che (come dicevo) non esiste un vero e proprio fair play nell'esposizione delle prove contro il colpevole. Tuttavia, man mano che il caso evolve, le cose iniziano ad essere sempre più chiare e ci sono fatti che soltanto all'apparenza non hanno importanza. Penso che, tutto sommato, il mistero sia adeguato alle aspettative; pertanto, promuovo con gioia "Sangue sulla Neve". Credetemi, si tratta di un giallo che merita di essere letto e conosciuto, alla pari della sua autrice. Mi impegno a leggere al più presto pure "La Bambola Assassina", per scoprire se le mie sensazioni su questo libro verranno consolidate; se così sarà, aspettatevi un altro caloroso consiglio di lettura.
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