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venerdì 25 dicembre 2020

56 - "La Mattina del 25 Dicembre" ("Crime at Christmas", 1934) di C.H.B. Kitchin

Copertina dell'edizione pubblicata da
Polillo Editore
Cari lettori e amici di Three-a-Penny, tantissimi auguri di buon Natale! Questo post è stato programmato per essere pubblicato proprio la mattina del 25 (secondo i calcoli dovrei riuscire a pubblicarlo in questa data, e non come accade di solito al martedì seguente) e non so se riuscirete a leggerlo in giornata; ma non volevo saltare nemmeno un'occasione per consigliarvi qualcosa, oltre che per mettere in vetrina le mie recensioni, visto che sono determinato a fare in modo che il blog riesca ad abbracciare ogni giorno di più un ampio bacino di pubblico. Immagino che per tutti noi questo sarà un Natale differente dal solito, e forse avrete un po' più di tempo da occupare. Infatti, diversamente da quanto accade in questo periodo dell'anno, in queste settimane sono stati banditi i cenoni troppo affollati con parenti e amici, con i loro rumorosi brindisi e le chiacchiere frivole; le visite a domicilio per fare gli auguri, dove magari ci saremmo un po' annoiati ma avremmo avuto l'occasione di rivedere persone che durante gli altri giorni sono lontane dalla nostra quotidianità; i capannelli lungo le strade, dove qualcuno canta qualche canzone festosa e gli altri si uniscono in coro. Per tutti, questo sarà un Natale più raccolto, quasi intimo, il cui valore starà nel riflettere su quanto possediamo di prezioso e spesso non ci rendiamo nemmeno conto di avere. Con ciò, però, non voglio certo dire che esso sarà triste. Nonostante ci manchi qualcosa in termini di socialità, potremmo scartare i regali messi sotto l'albero, impacchettati con carte colorate e nastri sapientemente annodati; potremmo dare sfogo alla nostra vena culinaria e cucinare qualche manicaretto speciale, per poi sottoporlo al giudizio degli altri membri della nostra famiglia; e in sintesi avremmo sempre vicino qualcuno su cui contare, fosse soltanto attraverso lo schermo di un PC oppure di un cellulare. Perché, se c'è una cosa che ho imparato in questi lunghi mesi di rinunce, sconforto, frustrazioni e delusione, è proprio il fatto che da qualche parte si trova qualcuno che magari sta avendo i nostri stessi problemi (o comunque sia nel nostro stesso stato d'animo), e non c'è niente di meglio che condividere le proprie angosce e i tormenti con gli amici per ridimensionarli. Pertanto, tornando all'inizio del discorso, ho pensato di pubblicare comunque la recensione di un romanzo del mistero nel giorno di Natale. Sia, come dicevo, per una questione di ritorno puramente visivo, sia per riempire un po' la giornata di ognuno con qualcosa di argomento distensivo e interessante da leggere (o almeno spero lo sia).

Il cosiddetto "Christmas Murder Mystery", infatti, si presta particolarmente ad essere letto in questo momento della nostra Storia, dal momento che conforta e permette di "fare quello che non puoi fare mai", per citare una nota pubblicità dei dolci, almeno nel nostro immaginario. L'Inghilterra, poi, si trasforma in un paese fatato e magico, quando si tratta del Natale: fin dai tempi di Charles Dickens, l'atmosfera che si respira nel periodo natalizio è quanto mai carica di suggestione e fascino, che non vengono mai meno. In questo modo, quindi, mi auguro di farvi abbandonare le occasionali delusioni e la tristezza per una fine dell'anno quasi in solitaria. Immaginate in cosa potreste imbattervi, leggendo tali storie: i Christmas Carols, ovvero quei gruppetti di amici che si incontrano sulle strade per cantare canzoni beneauguranti e si scambiano ramoscelli sempreverdi di agrifoglio e vischio; letterine scritte a Babbo Natale con le liste dei doni che si desidera ricevere, oppure cartoline da spedire ai parenti e agli amici più cari; negozi e case addobbate con luci e festoni; maestosi alberi abbelliti con fiocchi, nastri e decorazioni in vetro, sotto al quale vengono messi i pacchetti colorati con i regali. Secondo la tradizione, la sera della vigilia si va insieme in chiesa per la Messa di Mezzanotte e, tornati a casa, i bambini appendono le calze ai caminetti e lasciano sul tavolo un bicchiere di latte, un mince pie e una carota per Babbo Natale e la sua renna. In questa stessa notte, inoltre, viene bruciato il tradizionale ceppo di Natale, il quale viene fatto durare il più a lungo possibile e se ne conserva un pezzetto per l'anno seguente. Il 25 dicembre, invece, viene dedicato alla famiglia, con un abbondante pranzo a base di tacchino ripieno accompagnato da mirtilli, purè di patate, zuppe e contorni e, ovviamente, quel celebre Pudding che occupa un ruolo tanto importante in un celebre racconto di Agatha Christie. Durante il pranzo, vengono scoppiati i Christmas crackers, piccoli petardi a forma di caramella allungata; il giorno dopo, invece, vengono fatti piccoli regali a quelle persone che si incontrano "per lavoro" durante l'anno, come il lattaio e il postino. Non è assolutamente affascinante tutto ciò? Ebbene, pensate che in un romanzo giallo tradizionale natalizio possiamo trovare numerosi di questi elementi... oltre ad avere servito un enigma che riesca a contrastare e spezzare l'aria di allegria e spensieratezza di questa occasione. Lasciatevi avvolgere dalla magia della classica crime story e tuffatevi in qualche racconto di questo tipo; come, ad esempio, quello che vi consiglio oggi e che, guarda caso, trova il suo fulcro proprio nel giorno di Natale. "La Mattina del 25 Dicembre" di C.H.B. Kitchin (Polillo Editore, 2011), infatti, è una storia classicissima, con tutto ciò che il lettore può richiedere: un circolo di persone sospette, riunite in una grande casa alla periferia di Londra; un'atmosfera di tensione repressa, che trova sfogo in occasionali scontri caratteriali ed emozionali; una serie di fatti raccontati con arguzia e sospesi in un momento eterno, quasi lirici e nebulosi; e un protagonista che si trova suo malgrado coinvolto in un crimine dall'enigma tra il tradizionale e lo psicologico, dove gli equivoci si susseguono uno dopo l'altro.

Landscape, Evgeny Lushpin, raffigurante una strada
cittadina simile a quelle presso Beresford Lodge
Ogni cosa ha inizio il giorno della Vigilia, nel pomeriggio. L'agente di cambio londinese Malcolm Warren (già protagonista di "La Morte di Mia Zia", come egli stesso non manca di farci sapere) sta ultimando tutti i preparativi per lasciare l'ufficio in cui lavora: deve soltanto telefonare a un suo illustre cliente, Axel Quisberg, per chiedergli quante azioni di una certa società deve comprare a nome suo, e poi potrà dirsi in vacanza. Le feste natalizie sono alle porte, e davanti a lui si prospetta un periodo di pace e tranquillità. Non deve neppure prendersi il disturbo di tornare a casa, visto che ha congedato la governante per una settimana e si appresta a recarsi proprio dai coniugi Quisberg, i quali si sono offerti di ospitarlo. Malcolm non avrebbe chiesto nulla di meglio, dal momento che la sua famiglia si trova in villeggiatura nel sud della Francia; e poi gli piacciono i Quisberg. Lui a volte è un po' scorbutico e nervoso, con la sua mania di restarsene a lungo isolato nella casa di famiglia a Hampstead; però sua moglie lo ha sempre trattato con amore e affetto, come se fosse un figlio. Forse ciò è dovuto al fatto che si è sposata tre volte e ne ha avuti da mariti differenti, per cui dispensa il proprio affetto a destra e sinistra. In ogni caso, a Malcolm importa soltanto rilassarsi senza subìre scossoni emotivi: dopotutto, ricorda ancora con timore la triste faccenda della morte della zia... Però, fin da quando arriva a Beresford Lodge, la dimora dei Quisberg, sorgono alcuni intoppi nel regolare svolgimento dei suoi piani. Innanzitutto, Axel e il suo segretario, Harley, devono correre in città per discutere affari urgenti con un magnate del minerale e saranno costretti a trascorrere la notte della Vigilia in uno squallido albergo. Si tratta di uno spiacevole inconveniente; però Quisberg assicura che saranno di ritorno per il pranzo di Natale. Poi, proprio sul cortile di fronte casa, in cima alla collinetta alla fine del vialetto, Malcolm fa la conoscenza del dottor Green, uno strano individuo che sembra sia stato invitato a trascorrere le feste di Natale a Beresford Lodge, proprio come lui. Green è un tipo che parla per allusioni, tutto sorrisi e cervello: Malcolm, più genuino e meno costruito, è allo stesso tempo affascinato e spaventato da quello che l'uomo potrebbe dire o fare per metterlo nei guai.

Inoltre, a peggiorare la situazione, il giovane scopre che in casa alloggiano tutti i figli della signora Quisberg. Clarence James è uno spiantato che si atteggia ad artista e possiede un temperamento tra il passionale e il melodrammatico, il quale mal sopporta il fatto che la madre si sia risposata più volte dopo la morte del primo marito. Amabel Thurston con il fidanzato Leonard Dixon sono una coppia esplosiva a dir poco: ventenne, biondissima ed estremamente sicura di sé lei; un robusto ex piantatore di tè, con un carattere violento e focoso lui. Chiudono il cerchio Sheila Thurston, una diciottenne dal carattere riservato e amabile, al limite della trasparenza ma di buon cuore, e un ragazzo di nome Cyril che è appena stato operato e sta chiuso nella sua camera. Se non si conta la placida Sheila, il miscuglio di temperamenti e caratteri rischia di scatenare odi e gelosie tra i giovani rampolli dei Quisberg; e Malcolm teme qualche scenata (o peggio) proprio durante il periodo delle feste, quando tutti quanti saranno costretti a stare a contatto gli uni con gli altri. Ma niente paura: Warren si convince di potersene stare quasi sempre chiuso nella propria stanza, magari a leggere e a riposare. Certo, non farebbe una bella figura coi suoi anfitrioni, con il dottor Green e con gli altri ospiti di Beresford Lodge, un'infermiera alla quale è affidato il piccolo Cyril e l'anziana madre di Harley. Però lui sente di aver un gran bisogno di stare sulle sue; così si organizza. Peccato che, proprio la sera della Vigilia, Amabel e Dixon abbiano la sciagurata idea di trascinare tutti quanti nel rumoroso gioco delle sedie... con la conseguenza che Malcolm si ritrova con un braccio al collo a causa di una caduta rovinosa. Dopo una notte trascorsa immerso nei confusi miasmi del sonnifero, il giovanotto si sveglia al mattino e si affaccia al balcone della sua stanza, pregustando la bellezza del Natale. Ma cos'è quel fagotto sulla ringhiera? Sembrerebbe proprio un cadavere... Che si rivelerà essere la vecchia signora Harley. Si tratta di una disgrazia causata dal sonnambulismo di cui la poveretta soffriva? O forse di una faccenda molto più complicata? Starà a Malcolm, annoiato e intimorito dalle reazioni degli abitanti di Beresford Lodge, mettere la polizia sulla traccia giusta per scovare l'eventuale colpevole di un omicidio che ha rovinato il Natale di tutti quanti.

Scena di neve ad Argenteuil, Claude Monet, 1875
In quest'analisi desidero partire subito con un'affermazione un po' forte: "La Mattina del 25 Dicembre" non è un massimo capolavoro del genere giallo. O meglio, non appartiene a quella folta schiera di romanzi del mistero che hanno dato una svolta improvvisa e definitiva al mystery tradizionale. Alcuni titoli di Christie, Sayers, Berkeley e Carr sono mille spanne sopra a questo romanzo di Kitchin, per originalità di trama, spessore psicologico, complessità e costruzione dell'enigma. In essi, sono state introdotte novità che ancora oggi lasciano senza fiato; trucchi che non smettono di sorprendere; riflessioni su tematiche che potrebbero essere state pensate e scritte poco tempo fa e possiedono una forza dirompente, nonostante sia trascorso quasi un secolo da quando vennero formulate. Penso sia questo uno dei punti cardine e più importanti quando si affronta in modo sistematico e serio la classica crime story: la capacità di mantenere immutato il proprio messaggio da trasmettere al lettore, enunciandolo in termini innovativi ed eterni. Eppure, mi piace pensare di essere una persona di ampie vedute e di aver raggiunto un'altra consapevolezza per quanto riguarda il giallo tradizionale. Cioè, mi riferisco al fatto che non necessariamente una certa storia debba essere sconvolgente fino al punto da rompere ogni regola e superare ogni limite. Come mi è già capitato di osservare, il mystery della Golden Age è nato soprattutto per distrarre i lettori che si trovavano nel pieno della Prima (e in seguito Seconda) Guerra Mondiale, alla pari di quei cruciverba a cui la gente si aggrappava per svagare la mente e non impazzire di fronte alla follia del conflitto e delle sue conseguenze terribili. Pertanto, ben vengano le grandi trasformazioni nel genere giallo e lo sviluppo di temi scomodi o poco confortevoli; ma allo stesso modo non dispiace imbattersi in qualche serie di eventi, dove il fine ultimo della narrazione è quello stesso racconto della vita e di azioni fittizie il cui fine è di intrattenere. Finora, ad esempio, abbiamo visto come "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?", di Annie Haynes, abbia affrontato un'indagine dove non ci sono state chissà quali Grandiose Riflessioni; oppure "Ipotesi per un Delitto" di Clifford Witting abbia sviscerato tematiche ostiche quali il senso di giustizia, il femminismo (il quale all'inizio del Novecento compiva passi importanti), l'identità dell'individuo e la consapevolezza all'interno della società. Tuttavia, essi si sono rivelati essere romanzi stupendi, scritti e caratterizzati meglio di certi altri più pretenziosi. Non bisogna per forza sminuire qualcosa per esaltarne un'altra, secondo me: basta trovare la giusta chiave di lettura ed entrambe si possono apprezzare, al di là dell'insindacabile gusto personale.

Pertanto, tornando all'affermazione con cui ho aperto lo scorso paragrafo, è indiscutibile che il libro di Kitchin sia inferiore ad altri, scritti magari nello stesso periodo e decisamente più articolati sotto alcuni aspetti stilistici e contenutistici; però è pur vero come "La Mattina del 25 Dicembre" non sia per questo imperfetto o scadente, e costituisca una perfetta lettura da fare quando ci si vuole prendere una pausa per rilassarsi. In particolare, a mio parere, l'autore si è impegnato a creare una giusta atmosfera di conforto e suggestione, quasi intima nella descrizione delle azioni prudenti del protagonista e nelle riflessioni che egli cala e spesso lascia libere, mentre si trova in camere riscaldate da caminetti, stanze appena soffocanti per lo sfarzo degli arredi o nel giardino lussureggiante di Beresford Lodge (pp. 123, 128-129, 143-145, 150-154, 159, 168-170). Più che all'indagine, ciò che costituisce il fulcro della narrazione è l'interazione tra i personaggi, con le loro passioni e correnti sotterranee che li legano l'uno all'altro e, allo stesso tempo, li fa scontrare ed allontanare. Il clima di tensione, mantenuto dai costanti timori di Malcolm e dai lievi cenni di inquietudine emersi dalle azioni e dalle parole nervose degli altri protagonisti del caso, viene mitigato da una certa liricità, quando questi stessi personaggi si muovono in uno scenario un po' nebuloso e fissato nel tempo, come se da quella fatidica Vigilia di Natale, fino al giorno 27 in cui ha termine il racconto, non avesse mai termine e fosse sospesa in un momento d'eternità. Ciò che nel complesso si ricava dalla lettura di "La Mattina del 25 Dicembre", dunque, è quella di aver letto un romanzo giallo delineato nel solco più classico della tradizione inglese; nonostante a un'attenta lettura emergano lo stesso piccoli cenni innovativi che lo discostano dall'uso di cliché. Tra gli altri, ad esempio, troviamo sì un gruppo eterogeneo con una prevalenza del nucleo familiare dei Quisberg; ma non c'è alcuna figura patriarcale/matriarcale a dominare la scena, come accade in "Il Natale di Poirot" per citare un titolo. Oppure la decisione di non dare una totale declinazione dell'assetto della storia sul mystery ad enigma puro o su quello di carattere psicologico, ma di farli convivere entrambi: nella prima metà, vi è una prevalenza di riflessioni sull'agire dei protagonisti e una piccola infusione nella comedy of manners, dove qualcuno potrebbe obiettare fin troppa lentezza e logorrea dell'autore; ma nella seconda troviamo un'articolazione dell'indagine da parte della polizia più sentita, basata sull'analisi di indizi più o meno materiali per riuscire ad inchiodare un dato colpevole. Lo stesso capitolo finale, dove gli indizi vengono in qualche modo evidenziati per i lettori più distratti (è forse un caso particolare di cluefinder, uno di quegli schemi che alcuni giallisti includevano in coda ai proprio romanzi proprio a questo scopo?), è una variante al giallo della tradizione più stretta. A parte ciò, comunque, "La Mattina del 25 Dicembre" si può considerate davvero come un classico giallo delle feste, il cui valore (come lo stesso autore ha implicitamente sottolineato) sta nel racconto del caso e nella delineazione di chi lo popola.

Clifford Henry Benn Kitchin, nato nel
1895 e morto nel 1967
Cosa non tanto improbabile quanto sembri a prima vista, a mio parere "La Mattina del 25 Dicembre" rispecchia perfettamente chi fu Clifford Henry Benn Kitchin. Nato a Harrogate nel 1895, egli studiò prima al Clifton College di Bristol e in seguito all'Exeter College di Oxford, dal quale dovette però allontanarsi nel momento in cui scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Fu mandato in Francia dove divenne tenente e venne ferito nel 1917, poi l'anno seguente tornò in patria e concluse gli studi per diventare avvocato. Dal 1924, per qualche tempo lavorò come agente di cambio; finché non gli cadde in grembo una provvidenziale e ingente eredità che gli permise di abbandonare qualunque tipo di carriera e di ritirarsi a vita privata. In questo modo, Kitchin poté dedicare tutte le proprie energie alle passioni che prediligeva, tra le quali spiccava la scrittura. Il suo esordio nel campo della narrativa era avvenuto con "Streamers Waving", proprio appena diplomato, ma ora aveva deciso di fare sul serio e, nel 1929, diede alle stampe "La Morte di Mia Zia", il suo primo giallo che venne presto considerato un vero e proprio classico del genere. Negli anni successivi, l'autore alternò la pubblicazione di opere non di genere, come "The Auction Sale" e "Birthday Party" (nonostante quest'ultimo sia stato molto elogiato da Martin Edwards proprio come romanzo del mistero), con altri tre libri incentrati su delitti e crimini: "La Mattina del 25 Dicembre" (intitolato anche "Conciato per le Feste"), "La Morte dello Zio Hamilton" e "The Cornish Fox". In tutti e quattro i suoi canonici mysteries, il protagonista è il givoane agente di cambio londinese Malcolm Warren, una sorta di alter ego dello scrittore, timido, riservato, docile e gentile, ma pure dotato di ironia e acume. Tra le altre cose, inoltre, Kitchin (il quale morì in seguito a problemi cardiaci nel 1967) fu pure un ottimo giocatore di scacchi, un esperto botanico, un musicista di talento, un collezionista di argenti antichi e porcellane di Meissen, non ché un appassionato scommettitore alle corse dei cani di Londra e incallito giocatore ai tavoli verdi dei casinò. Capirete, dunque, quanto di se stesso l'autore abbia riversato nelle sue opere: nello stesso "La Mattina del 25 Dicembre" possiamo trovare numerosi elementi sui quali egli si poteva dire un grande esperto e, quindi, facili da trattare nel momento di vivacizzare un po' le vicende che raccontava.

Ad esempio, troviamo numerose digressioni sui temi più disparati ed innocui, come la Borsa e gli affari economici nella City (pp. 79-80, 83-84), l'arte e la musica (p. 107), la medicina (Freud e Antaronyl), la politica e il giornalismo (pp. 172-174): in questi casi, spesso si tratta di semplici osservazioni fatte da Warren in espressione del proprio snobismo o in aggiunta alle descrizioni che ci vengono fatte dei personaggi e degli scenari. Nonostante ciò, comunque, vi voglio avvertire di non prendere sempre troppo alla leggera qualunque piccolo accenno fatto dal giovanotto o da qualche altro protagonista del romanzo, dal momento che in qualche occasione queste apparenti deviazioni dal sentiero dell'indagine si potranno rivelare importanti nel riepilogo dei fatti utili alla scoperta del colpevole e del modo in cui questa persona ha agito: se nella prima parte esse sono più numerose, non significa che siano tutte estranee al caso; anzi, a volte si riveleranno più utili degli indizi materiali e tangibili snocciolati nella seconda metà della storia. Gli stessi comportamenti degli attori sulla scena, mossi dalla psicologia umana e da ragioni che rientrano più nel campo dell'irrazionale e del campo spirituale, sono essenziali per riuscire a comprendere appieno il movente dell'omicida e come lo ha spinto ad agire. Nel testo sono presenti moltissimi dialoghi, oltre alle riflessioni del narratore-protagonista che punteggiano con costanza ogni capitolo, ed essi costituiscono forse il mezzo principale attraverso cui riuscire a scoprire la verità prima che Kitchin ce la sveli alla fine del racconto. Pure l'aspetto romantico della storia, sebbene Malcolm sia tanto pieno di sé (in senso positivo) da non lasciarsi mai andare del tutto, gioca un ruolo di una certa importanza nello svolgimento del processo di indagine verso l'individuazione del colpevole, oltre ad essere dipinto in modo ammirevole. Ma in realtà, in "La Mattina del 25 Dicembre" c'è ben poco di non superbamente tratteggiato: le vicende sono concentrate all'interno di Beresford Lodge, ma spaziano pure nei dintorni esterni della casa, nel giardino e lungo le strade che la collegano con la civiltà, delineando in tono onirico e lirico le caratteristiche dei luoghi. Ogni tanto ci troviamo di fronte a romanzi gialli che trasmettono così bene un ambiente che il lettore si sente come se ci vivesse dentro, tanto ci si ritrova a navigare tra gli scenari: ebbene, questo è uno di quelli. Se qualche volta ci pare di trovarci di fronte a descrizioni fin troppo dettagliate e quasi noiose, dobbiamo ricordare che esse ci permettono di farci meglio un'idea degli spazi in cui i protagonisti si muovono; pertanto, meglio lasciarsi trasportare dai flashback e dalle descrizioni che in qualche modo rendono la narrazione liscia come l'olio e salda. Magari quello di Kitchin non sarà il libro meglio strutturato in questo senso, ma la caratterizzazione e l'ambientazione sono così ben descritte che il risultato è straordinario (pp. 10, 14-18, 39, 48-49, 73-77, 87-89, 92-94, 97, 99-101, 106-110, cap. 11, 191-199).

Detail 2 from Hunters in the Snow, Pieter
Bruegel The Elder, 1565
"La Mattina del 25 Dicembre" soddisfa le esigenze di un romanzo giallo tradizionale, proprio come lo stesso autore lo concepiva. Nel capitolo finale, dove vengono spiegati tutti gli elementi dell'indagine, il narratore Warren-Kitchin spiega come questo tipo di storie siano studi sul comportamento di persone normali in occasioni che di normale non hanno nulla; quindi, non costituiscono tanto pretesti per dare vita a casi straordinari ed eclatanti, quanto scene con situazioni dove vengono messe alla prova la psicologia e le correnti sotterranee che scorrono e a volte si scatenano tra gli attori sulla scena. Certamente l'elemento dell'enigma è qualcosa che non può esulare dal complesso finale costituito dalla storia; ma questo non significa che esista soltanto quello, a discapito dello sviluppo dell'interazione tra i personaggi. Pertanto, ci sta che il mistero della morte della signora Harley non sia qualcosa di spettacolare: non è questo a cui punta l'autore, quanto sulle conseguenze che scatena questo decesso violento sulle persone che in esso si trovano coinvolte, sulla complessità e sulla visione che il lettore ne ricava. Tra l'altro, mi ha molto colpito come il decesso della povera donna abbia avuto ripercussioni tanto sentite nei suoi compagni. Le dinamiche tra questi ultimi vengono messe sotto i riflettori, assieme alle tante emozioni che si scatenano tutte assieme di volta in volta: percepiamo ognuno di loro come se fossero personaggi che si staccano dalla carta su cui vengono tratteggiati. Malcolm, dal canto suo, è insicuro, un po' snob ma sensibile, con uno spiccato senso di inferiorità quando viene in contatto con uomini più robusti e vigorosi di lui, spesso simpatico e cortese; proprio come se fosse il tipico giovanotto in carriera (cap. 6, pp. 69-70, 72, 84-86, 96, 100-101, 106, 122, 124-126, 141, 143-145, 153, 155-156, 160-162, 185-186, 189-190, 197). D'altra parte, abbiamo una serie di individui dalle caratteristiche contrastanti: i Quisberg sono fin troppo tranquilli e normali di facciata, mentre sotto sotto nascondono timori e preoccupazioni che li agitano; Clarence è romantico ma allo stesso tempo lunatico come i "veri" artisti bohemien; Amabel e Dixon sono giovani scapestrati, insofferenti delle regole della società e alla ricerca del brivido; Sheila una ragazza fin troppo quieta, tanto da confondersi con la carta da parati, ma che può rivelare una certa vitalità se solo lo vuole; il dottor Green è tanto gioviale quanto capace di dimostrare una determinazione tenace; il cameriere Edwins tanto solenne all'apparenza quanto un chiacchierone. Pure l'ispettore Parris, con il suo strano atteggiamento così poco credibile (vista la gentilezza che usa verso i sospettati e i suoi pregiudizi verso gli agenti di provincia) e il suo passato da studioso di teologia, resta impresso nella mente del lettore. In fin dei conti, soltanto Harley e l'infermiera appaiono poco caratterizzati.

Ma non si limita al puro tratteggio dei temperamenti, l'occhio critico di Kitchin. Ho notato una certa abilità, forse dettata dalla propria esperienza, nel descrivere quali siano le azioni che compie l'agente di borsa oppure il finanziere, la quale contrasta con quella più stereotipata di autori più celebrati della Golden Age. Una volta tanto, l'autore ha dimostrato di essere più bravo dei suoi colleghi in qualche frangente. Per quanto riguarda l'enigma puro, invece, Kitchin si è attenuto a uno schema meno articolato ed innovativo, lasciando a una certa casualità alcuni momenti di svelamento che in un altro caso forse sarebbero stati meglio trattati. Ma come dicevo, il bello di "La Mattina del 25 Dicembre" non sta tanto nel fatto che il suo mistero sia straordinariamente innovativo, quanto nel puro racconto degli eventi narrati all'interno della storia. Tutto ciò che accade prima del delitto, tra i giochi da tavolo e quello delle sedie, la cena della Vigilia, le consuetudini al momento di andare a letto e al risveglio, le interazioni tra padroni e servitù, oppure tra ospiti e anfitrioni: ogni cosa trasmette conforto e affascina, all'interno di questo romanzo intelligente e ben strutturato, il quale mette in scena una vicenda movimentata e intrigante, complessa e ben tracciata. Si tratta di una prova esemplare di come non si debba necessariamente ideare un giallo pieno di trucchi mai visti, ma soltanto saper mettere insieme alcuni elementi all'apparenza semplici per dare vita a una serie di eventi che suscitino curiosità e spingano chi legge ad andare avanti. Certo, qualcosa di declinato in modo nuovo serve sempre, ma non occorre sia chissà cosa. Pertanto, ribadisco come "La Mattina del 25 Dicembre" mi sia piaciuto molto. Esso è un eccellente classico minore del giallo di Natale, perfetto per augurarvi ancora una volta un buon Natale.

P.S. Questa recensione è idealmente dedicata a Selene, Martina, Giada, Giorgia, Miriam, Michelangelo, Lorenzino, Antonio, Federico, Flow, Valentina, Chantal, Ana, Fortunato, Viviana, Fabrizio e Andrea. Il 2020 è stato un anno meno pesante grazie a voi. Lo sapete, vi voglio bene.


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venerdì 18 dicembre 2020

55 - "Delitti di Natale" di AA.VV. (Polillo Editore, 2004)

Copertina dell'edizione pubblicata da
Polillo Editore
Con l'arrivo delle feste di Natale, ognuno di noi trova quasi sempre il tempo di dedicarsi ai propri passatempi preferiti. Infatti, in un periodo del genere, nonostante a volte siamo indaffarati più del solito a causa di cenoni da organizzare, regali da comprare, scrittura di inviti e biglietti d'auguri e molto altro, bene o male riusciamo pure a ritagliare qualche scampolo della giornata per occuparlo con qualche attività che ci renda felici. C'è chi decide di dare libero sfogo alla propria abilità in cucina, unendo quindi l'utile (per la preparazione delle cibarie natalizie) con il dilettevole (nella sperimentazione di nuove ricette); altri che approfittano della situazione per fare più allenamento, sia in casa con l'attrezzatura specifica che all'aperto grazie a salutari passeggiate, in vista dei bagordi in arrivo nei giorni di festa; altri ancora, intenzionati a dare un tocco di classe alla casa, si organizzano per rimodernare le stanze della propria abitazione per fare spazio in previsione di ospiti in arrivo o semplicemente per dare risalto allo spirito del Natale, decorando mobili e suppellettili con festoni e decorazioni. Da parte mia, nel mese di dicembre occupo il tempo che riesco a sottrarre ai miei doveri con specifiche letture a tema invernale e natalizio, non necessariamente di romanzi gialli: il bello, infatti, non sta nel soffermarsi sempre e comunque su un solo genere narrativo, così che ben presto esso possa venire a noia, ma spaziando in altri campi che riescano a rilassarmi. Ad esempio, mi diverte molto dedicare qualche ora alla lettura di fumetti, poco impegnativi a livello di sforzo mentale, ma non per questo meno affascinanti e coinvolgenti dei romanzi più strettamente attinenti alla Grande Letteratura. Quest'anno, però, all'interno della serie di analisi che ho organizzato mesi fa, ho deciso di provare a cimentarmi in qualcosa che, dalla fondazione di Three-a-Penny, non avevo ancora affrontato: racconti gialli dedicati alle feste della fine dell'anno e ambientati sulla neve. I motivi di questa scelta sono presto detti: lo faccio sia per provare qualcosa di diverso dal solito romanzo che finora ho sempre affrontato sia, riallacciandomi all'inizio di questa recensione, per consigliare una serie di testi che possano andare incontro a chi magari ha poco tempo da dedicare all'esplorazione di nuovi passatempi, e altrimenti non si avvicinerebbe al genere senza andare sul sicuro per spendere energie.

E che cosa c'è di meglio, che qualche racconto a tema natalizio, per approcciarsi alla classica crime story? Infatti, l'atmosfera delle feste si adatta perfettamente al genere giallo, con il suo contrasto tra la confortevole sensazione di trovarsi in camere e salotti illuminati da camini con fuochi scoppiettanti, nella cui penombra si stagliano abeti addobbati con palline e luci, e ai cui piedi trovano alloggio gran quantità di pacchetti legati da nastri colorati, e la minaccia di un mistero da risolvere e di un assassino nascosto nella brughiera che circonda l'edificio o in qualche stanza dei piani superiori. Tavole sontuosamente imbandite, attorno alle quali gioiosi amici chiacchierano, cantano e si divertono tutti assieme, contrastano con le gelide tempeste che si scatenano al di là del vetri delle finestre, nel buio della notte che inghiotte la campagna imbiancata dai fiocchi di neve. E in tutto questo, proprio quando tutti sembrano divertirsi tra loro, ecco che accadono alcuni strani eventi che, quasi a dispetto della gioia condivisa, sembrano accadere apposta per turbare la quiete e la tranquillità. In sintesi, nelle storie del mistero ambientate a Natale si verifica la migliore condizione che costituisce la premessa del giallo vero e proprio: una mescolanza "artistica" di ambientazione, esecuzione e dimostrazione di un enigma, in cui deve per forza dominare una certa originalità capace di allontanare ogni convenzione "noiosa" applicata alla realtà. Quindi, niente che abbia a che fare con la prevedibilità. Per questo, come prima raccolta da recensire su Three-a-Penny, ho scelto "Delitti di Natale" di Polillo Editore (tra l'altro, in questi giorni in ripubblicazione per Rusconi). L'unico problema è: come fare nella pratica? Di solito, quando mi concentro su un romanzo, mi sforzo di toccare tutti i temi e le sfaccettature che lo caratterizzano, in modo da restituire un'analisi di esso quanto più completa ed esaustiva. Ma se mi mettessi a compiere un'azione del genere per ogni racconto (vi avverto che sono ben quindici!), temo che non finirei più. Pertanto, ho deciso di seguire questo percorso: farò un breve excursus di ogni storia, cogliendo qualcosa della trama e dei temi principali che essa contiene, e lascerò perdere la parte dedicata soltanto alla vita dell'autore. Purtroppo è necessario, al fine di non dilungarmi troppo. Pertanto, andiamo a vedere il primo di questi racconti.

Henry Christopher Bailey, nato nel 1878 e
morto nel 1961
Esso si intitola "L'Assassino Sconosciuto", ed è stato scritto da Henry Christopher Bailey, il cui nome viene accorciato in H.C. Per essere la storia di apertura della raccolta, è ben strana nella sua costruzione: infatti, nonostante sia ambientata nel periodo di Natale e il primo delitto avvenga durante una festa in un orfanotrofio, essa reca ben poca di quella suggestione affascinante che abbraccia e scalda i cuori. Ciò che mi ha colpito più di tutto, infatti, è la prevalenza di un'accentuata crudeltà e malignità in tutta la faccenda, sottolineate da uno stile secco, quasi crudo. Non ci sono allegre riunioni di amici affettuosi, oppure pranzi deliziosi e personaggi animati dallo spirito delle feste. Lo stesso Reginald Fortune, l'investigatore dilettante che per caso si trova invitato al party per i bambini orfani, non lascia trasparire alcun affetto manifesto: è un chirurgo di fama nazionale, collabora con Scotland Yard da diverso tempo, e osserva ogni cosa con un distacco quasi inumano. Quando viene convocato nello studio di una dottoressa a cui hanno brutalmente tagliato la gola, lascia trasparire una preoccupazione niente affatto emotiva, quanto inorridita e gelida; nel momento in cui egli si trova a dover salvare la vita a un bambino avvelenato con dell'arsenico, si comporta con grande distacco anche nei confronti dei genitori del piccolo, dal momento che "potrebbero essere i responsabili del tentato omicidio"; nel frangente in cui l'antagonista lo attira in una trappola, non si fa scrupoli ad assumere un comportamento che, nel 1923 e ai giorni nostri, avrebbe suscitato più di una sdegnata reazione. Dopo aver letto "L'Assassino Sconosciuto", capisco perché H.C. Bailey è stato uno dei giallisti (e membri del Detection Club) più celebri nel periodo tra le due guerre mondiali: ha saputo raccontare il delitto in un modo innovativo, senza mai scadere nei cliché del genere e, soprattutto, senza intaccare nel modo più assoluto il risultato finale delle sue opere. In questa storia in particolare, sono molto importanti il tema della medicina (sviscerato in termini tecnici come sono un dottore specializzato avrebbe potuto fare) e quello della giustizia, la psicologia (pp. 16, 21, 30, 37) su cui si basa tutto il mistero (non c'è molto fair play) e, come dicevo, il diabolico, infernale, crudele e maligno soffermarsi su situazioni che non sono per niente confortevoli. Un freddo Natale aspetta Mr. Fortune e un omicida spietato e folle. (Voto complessivo: 4/5*)

Nel secondo racconto, invece, cambiamo del tutto contesto e troviamo il caro, tradizionale e suggestivo delitto nella neve, per di più avvenuto nei pressi di un treno bloccato dalla neve. In "Un Problema in Bianco" di Nicholas Blake, altro celebre giallista membro del Detection Club, tutta la faccenda si svolge nell'arco di qualche ora, durante le quali un gruppetto di passeggeri deve fare i conti con la morte di uno di loro. L'antipatico Arthur J. Kilmington, infatti, ha esasperato tutti quanti, con la sua preoccupazione per essere in ritardo per un importante appuntamento di lavoro, e quando poco dopo viene rinvenuto cadavere in mezzo alla neve ai lati del convoglio, costretto a fermarsi per la troppa neve sulle rotaie, nessuno prova grande dispiacere per la sua dipartita. E anche quando viene accertato che la morte è stata causata da uno scatto di ira violento, all'apparenza tutti sono privi di un movente; ma come sempre le cose non sono come sembrano. Come nel più classico dei gialli, i discorsi tra i passeggeri prima del fattaccio lasciano trapelare qualche cenno a possibili risvolti nel caso, primo tra tutti il ricordo di una rapina avvenuta appena qualche settimana prima, quando la posta trasportata dal convoglio era stata letteralmente gettata giù dal treno in corsa e una collana di smeraldi era stata trafugata assieme a tutto il resto. C'è forse qualche legame tra la morte di Kilmington e il prezioso gioiello? Tocca a Henry Stansfield, investigatore assicurativo, scoprire la verità all'intenro di questo racconto che, come dicevo, ricalca in toto i canoni del giallo più classico: abbiamo l'ambientazione giusta, con tanta neve (pp. 49-52) e un'isolamento dal mondo esterno; uno stile colto ma non troppo pretenzioso; personaggi sospetti e vari che vengono delineati abbastanza da poter suscitare domande nel lettore; una certa dose di ironia per alleggerire i toni; alcune riflessioni sul crimine (p 47) ma soprattutto un mistero articolato che presenta una stuzzicante sfida al lettore (il testo è diviso in due parti e la seconda si trova alla fine del volume), che si attiene al fair play e può contare su otto indizi nascosti dall'autore tra le righe. Insomma, un vero gioiellino. (Voto complessivo: 5/5*)

Gabrielle Margaret Vere Campbell, alias Marjorie
Bowen, nata nel 1885 e morta nel 1952
In "Una Buona Bevanda Calda" di Marjorie Bowen, terza storia della raccolta, ci spostiamo nel campo della suspense e del giallo basato sul suscitare emozioni più o meno confortevoli. Un dottore viene invitato a restare nella casa di un suo paziente per proteggerlo da un'oscura minaccia: sua moglie, infatti, lo starebbe avvelenando lentamente per potersi sbarazzare di lui e sposare un misterioso amante. Bevis Holroyd, il protagonista, è tuttavia scettico: il malato non gli sembra poi così messo male, nonostante non abbia una bella cera, e pertanto non bisognoso del suo appoggio. Certo, il vecchio sir Harry Strangeways deve essersi fatto suggestionare dall'atmosfera tetra e deprimente della casa, popolata da silenziosi servitori e da un segretario tutto sorrisi posticci... Eppure, dopo aver saputo la storia dello sgradevole aristocratico, Holroyd non può fare a meno di trovare alcune analogie con la sua personale: ricorda ancora adesso, dopo dieci anni, come la sua amata lo avesse abbandonato in favore di un altro uomo; e si lascia andare ai ricordi, proprio quando la signora Strangeways fa il suo ingresso nella camera del malato col solito bicchiere di latte caldo. E da lì iniziano i guai... Ciò che più mi è rimasto impresso, dalla lettura di questa storia, è stata la vena di nostalgia (pp. 63, 65-66), sottile terrore e minaccia che emerge da essa: in un'ambientazione onirica, dove chi si muove lo fa come se si trovasse in un sogno (o un incubo) ad occhi aperti, ogni cosa è vivida e allo steso tempo nebulosa (pp. 57-58, 65-67); emerge e si immerge di volta in volta, mentre le vicende scorrono come su pellicola e il protagonista si trova sempre più imbrigliato in un complotto che pare nato dalla mente delle Regine del Brivido americane. In questo caso, però, troviamo una giusta commistione tra la suspense e la solidità del classico giallo britannico, un po' vecchio stampo. L'unica cosa che ho trovato un po' scadente è l'enigma, ideato più come una serie di azioni che si susseguono senza che chi legge possa riuscire a scoprirle prima del tempo. In ogni caso, ho letto di peggio e il risultato finale contribuisce a variare le tipologie di gialli raccolti in "Delitti di Natale". (Voto complessivo: 3/5*)

Poteva mancare Agatha Christie in questa serie di racconti? Affatto. Così è stato selezionato "Una Tragedia Natalizia" da "Miss Marple e i Tredici Problemi"), con protagonista la zitella esperta della natura umana che indaga con discrezione sfruttando il pettegolezzo e la propria esperienza di vita. La dolce vecchina ricorda un delitto nel quale è stata involontariamente coinvolta, avvenuto in una stazione termale qualche anno prima: una donna era stata strangolata nella sua camera, e lei aveva sospettato fin da subito che il colpevole fosse il marito. Più di una volta, infatti, miss Marple lo aveva scorto a sorridere sotto i baffi e a tentare con disinvoltura di farla fuori; per cui era stata più all'erta possibile, anche se non era riuscita a salvarla. Ciò che la lasciava di stucco, tuttavia, era il fatto che all'apparenza il signor Sanders, il presunto assassino, poteva dimostrare di avere un alibi di ferro al momento del decesso della moglie; anzi, aveva scoperto il corpo proprio assieme a miss Marple! Esiste forse qualche tranello? La zitella ha una teoria, suscitata da uno sportello chiuso a chiave... Come sempre, Christie si dimostra una maestra della narrazione, capace di intrattenere con futili discussioni come quelle che avvengono tra gli ascoltatori della rimembranza di miss Marple, delineare personaggi stupendi che prendono vita davanti ai nostri occhi, inserire piccoli cenni autobiografici (pp. 83-85, 88, 91, 98), sull'intuizione femminile (pp. 85-87, 92) e sulla malvagità della natura umana, discutere simpatiche digressioni (pp. 81-85) e costruire un'inverted story nella quale gli indizi per arrivare alla verità non mancano, così da soddisfare qualunque tipo di lettore (attenzione però: l'idea di base è stata riciclata per un romanzo!). Più di tutto, comunque, ho apprezzato i commenti un po' cinici e disinteressati dei personaggi che trattano tutta la faccenda tra il serio e il faceto, punzecchiandosi a vicenda e sforzandosi di scoprire la soluzione del mistero, proprio come se si identificassero in noi lettori (e viceversa). Assolutamente uno dei migliori racconti della raccolta. (Voto complessivo: 5/5*)

Joseph Commings, nato nel 1914 e morto nel 1992
Il quinto racconto si intitola "Di Ritorno per Natale" ed è stato scritto dal londinese John Collier, uno scrittore che iniziò la propria carriera come poeta e in seguito approdò alla letteratura gialla e di fantascienza. In modo opposto a quanto fatto da Marjorie Bowen, la quale aveva trasportato la suspense americana nel giallo all'inglese, Collier trasferisce una storia con premesse tipicamente britanniche in un contesto che a mio parere ha più a che fare con il mystery d'oltreoceano. Poco dopo l'inizio della storia, infatti, veniamo a sapere che il dottor Carpenter ha intenzione di uccidere la moglie per potersi trasferire in America e sposare una donna più giovane; e in seguito assistiamo all'atto violento con una certa crudezza. Per il resto della vicenda, entriamo nella testa dell'assassino e ne seguiamo i pensieri folli e i repentini cambi di emozione: dapprima è determinato a compiere il proprio triste compito, poi è eccitato dall'impresa portata a termine, poi spaventato da ciò che lo aspetta, preoccupato quando i vicini di casa gli piombano in casa senza preavviso, e infine sollevato per essere scampato alla giusta punizione. Ma sarà davvero così? Non bisogna dimenticare che Collier era pure un autore di testi surreali, cosa che gli permise di emigrare a Hollywood per lavorare alle serie "Ai Confini della Realtà" e "Alfred Hitchcock Presenta". Pertanto, in "Di Ritorno per Natale" troviamo un'alta dose di ironia che potrebbe essere accostata a quella di Francis Iles, uno stile diretto e introspettivo che indaga sulla psicologia dell'omicida e ci permette di sondarne le sensazioni e i pensieri malsani, e un'aura di irrealtà la quale attraversa gli eventi narrati. L'enigma, a mio gusto personale, non mi è piaciuto molto proprio perché si rifà un po' troppo al tipo americano, con tanto di cadavere fatto a pezzi mentre l'assassino si denuda per non lasciare alcuna traccia sui propri vestiti. In ogni caso, come era stato nel caso di Bowen, non bisogna trascurare che la varietà dei tipi di giallo è molto ampia e che ci sta bene una storia come questa, in una raccolta che intenda esplorare tutte le declinazioni del genere. (Voto complessivo: 3/5*)

Con Joseph Commings e il suo "Serenata per un Assassino", entriamo finalmente nel sottogenere che molti tra gli appassionati di classica crime story prediligono: quello del delitto impossibile. E il fatto che l'autore sia un americano non deve spaventare, dal momento che la storia pare ambientata in Inghilterra e il risultato finale non fa rimpiangere i racconti scritti in Terra d'Albione. In un certo senso, ancora un volta ci troviamo nella situazione di "Una Buona Bevanda Calda": alcuni caratteri della vicenda sono senza dubbio riconducibili alla società d'oltreoceano, ma molti altri si rifanno alla tradizione più classica. Il protagonista. infatti, è un senatore gigantesco e geniale, di nome Brooks U. Banner, chiamato ad investigare sull'inspiegabile omicidio di un celebre pianista, Caspar Woolfolk, trovato morto all'interno di un padiglione attorno al quale si trova una distesa di neve immacolata. Siccome è indubbio il fatto che il decesso non sia un suicidio (manca l'arma del delitto), appare chiaro che qualcuno deve per forza essersi allontanato dalla casina dopo il fattaccio; ma come ha fatto? Recatosi sul posto, Banner entra in contatto con gli strani abitanti della casa del famoso artista: Ora Spires, la giovane e insicura segretaria del defunto; Verl Griffon, un giornalista che si interessa del caso per amore della ragazza; Caroline Spires, la sorella di Ora che aveva sfruttato le proprie doti ammaliatrici per irretire Woolfolk; e la piccola Beryl, figlioletta del pianista affidata alle cure della signorina Spires. Ognuno di loro appare come un piccolo spirito demoniaco, con manie e disturbi ossessivi; ma è soprattutto Ora ad incuriosire il senatore, dal momento che lei afferma di aver ucciso Caspar nel sonno, poiché soffre di sonnambulismo. Possibile che fatti strani e inspiegabili come quello possano accadere nella realtà? Tutto lo lascia presupporre, ma... Ho trovato questo racconto a dir poco affascinante e suggestivo: le digressioni sulla psicologia, sullo spiritismo e sulla psicologia folle e deviata riescono ad alimentare l'aura di mistero e di inspiegabilità che pervade ogni pagina della storia; i personaggi possiedono caratteri che li rendono vivi e particolari, con personalità originali; il mistero, tanto privo di spiegazione razionale nelle apparenze, riesce a presentare una soluzione plausibile che si rifà alla tradizione, con tanto di fair play, nonostante la psicologia giochi un ruolo importante al suo interno. Straordinario. (Voto complessivo: 5/5*)

Fergus Hume, nato nel 1859 e morto nel 1932
Abbiamo poi "Persone o Cose Ignote" di Carter Dickson, ovvero John Dickson Carr, il Maestro del delitto della camera chiusa. Si tratta di un racconto un po' particolare, che consiste in un lungo flashback durate il quale un ignoto anfitrione ripercorre per altrettanti ignoti ospiti una storia di terrore e delitto avvenuta nientemeno che nel XVII secolo. Mentre fuori dall'edificio infuria una tempesta, egli narra come un tale di nome Richard Oakley, promesso sposo della figlia di un importante gentiluomo del tempo, sia stato quasi fatto a pezzi da un'entità che nessuno ha visto o sentito entrare nella camera di lei; una stanza che si trova proprio nella casa dove il gruppo di avventori si sta lasciando intrattenere dal loro narratore. Bisogna specificare che costui, un tempo quasi ridotto sul lastrico da alcune leggi inglese che minacciavano di togliergli tutti i possedimenti e gli averi, aveva sottratto l'amata ragazza a un altro signore, un certo Gerald Vanning che potrebbe aver colto al balzo l'occasione per eliminare il rivale in amore: infatti, quando il povero Oakley era stato trucidato, lo stesso Vanning si trovava nella stanza assieme alla giovane ragazza e alla vittima. Tuttavia, lui era senza spada e al momento dell'inchiesta era stato quindi scagionato. Nessun altro era entrato nella camera fatale, oltre ai tre. Pertanto, si trattava di un delitto commesso da qualche demone malvagio, uno di quelli che si raccontava Oakley amasse evocare? Di questo racconto ho apprezzato il trucco (perché di questo si tratta) con cui l'antagonista ha commesso il proprio crimine, oltre alla caratteristica atmosfera di terrore e mistero che soltanto Carr riusciva ad evocare. Il melodramma, il cliché della camera infestata e maledetta, il fascino della stregoneria che offusca la razionalità degli inquirenti, il finale dove il sospetto non viene mai dissipato del tutto, oltre alla solida costruzione dell'enigma, hanno dato vita a una storia ben strutturata e intrigante. Unica pecca che forse può far storcere il naso ad alcuni lettori: le descrizioni storiche e uno stile un tantino didascalico. Ma non è il mio caso. (Voto complessivo: 5/5*)

"Il Tocco del Fantasma" di Fergus Hume, neozelandese, è l'oggetto della prossima analisi. Con esso, torniamo ancora una volta verso un passato che anticipa il Novecento, dove le persone si muovono in calesse e i trucchi dell'enigma sono legati a una tradizione che doveva ancora essere innovata. Abbiamo il narratore, il dottor Lascelles, il quale viene invitato da un vecchio amico che non vedeva da un pezzo, l'australiano Frank Ringan, a trascorrere il Natale nella vecchia casa di famiglia, immersa nei boschi della campagna inglese e di proprietà del cugino Percy. Il dottore, da parte sua, sopporta a malapena quest'ultimo e desidererebbe passare le feste per conto proprio; ma quando viene a sapere che in una certa stanza del maestoso edificio pare aleggi la misteriosa presenza di uno spettro, si lascia convincere dalla propria curiosità a recarsi laggiù. Inoltre, il povero Frank soffre di cuore debole, e Lascelles teme che un forte shock potrebbe essergli fatale, per cui decide di vegliare sull'amico. Una volta giunto sul posto, niente farebbe presagire che una minaccia stia per abbattersi sugli invitati: i pranzi e le cene sono squisiti, la governante un po' sulle sue ma disponibile ad accontentare i desideri degli ospiti, e il padrone di casa affabile. Tuttavia, dopo qualche giorno, la camera di Frank prende fuoco per uno sfortunato incidente ed egli si vede costretto a dormire nell'unica camera libera dell'edificio: quella infestata dal fantasma. Verrà visitato pure lui dall'entità misteriosa? Tutto sommato, questo non è stato un racconto brutto. Certo, ci sono alcuni appunti da fare, ma penso siano dovuti al tanto tempo trascorso da quando esso venne scritto. Ad esempio, lo stile è un po' antiquato, addirittura di più di quello di Richard Austin Freeeman; la soluzione dell'enigma non lascia chissà quale colpo di scena al lettore; e i personaggi sono pochini. Però ho apprezzato il grande senso dell'atmosfera e dell'ambientazione che pervade il racconto: si riescono ad immaginare le situazioni e i movimenti dei protagonisti, oltre ad entrare nello spirito del tempo e a farsi un'idea di come dovesse essere vivere in quel periodo. (Voto complessivo: 3/5*)

Ngaio Marsh, nata nel 1895 e
morta nel 1982
Ora viene il turno del racconto di questa raccolta che più di tutti mi è piaciuto: "Il Morto che Ascoltava la Radio" di un'altra neozelandese, la regista e superba giallista Ngaio Marsh. Lo sgradevole Septimus Tonks viene ritrovato morto, la mattina di Natale, davanti all'apparecchio radio che tanto aveva amato in vita. Oltre alla cameriera cui tocca questo triste fardello, pure il maggiordomo Chase e il segretario della vittima Hislop hanno la possibilità di osservare bene il corpo, prima dell'arrivo del dottore di famiglia, Henry Meadows, e si rendono subito conto di come il poveraccio debba essere deceduto: fulminato da un cortocircuito causato proprio dalla radio, come testimoniano le dita annerite. Ben presto, la polizia viene convocata e l'ispettore-capo Roderick Alleyn, coadiuvato dal fido sergente Fox e dalla sua squadra di agenti addestrati, si reca sul luogo del delitto. Le apparenze farebbero venire in mente una disgrazia dovuta alla casualità, ma gli astuti poliziotti hanno molti strumenti per passare in rassegna quanto è accaduto, e ben presto emerge l'incontrovertibile verdetto che qualcuno ha deliberatamente manomesso l'apparecchio del signor Tonks affinché esso gli desse una potente scossa. In casa, tutti quanti mal sopportavano il defunto: la moglie bistrattata e del tutto schiavizzata, i figli Guy, Arthur e Philippa, lo stesso Hislop, per non parlare della servitù. Dunque, chiunque avrebbe potuto approfittare dell'assenza del vecchio scorbutico per armeggiare con la radio e preparala per attivarsi, pur essendosi prima procurato un valido alibi. Ma le cose a un certo punto si complicano, quando un movente più degli altri s staglia nella mente di Alleyn... Penso davvero che Ngaio Marsh abbia meritato di essere compresa nel novero delle quattro Regine del Crimine, assieme a Dorothy L. Sayers, Agatha Christie e Margery Allingham. Leggendo questa storia, si capisce benissimo come ella fosse esperta delle procedure della polizia (i suoi gialli sono validissimi police procedural); e della cosiddetta "meccanica del delitto", vista la solida parte del caso dedicata alle spiegazioni del funzionamento dell'apparecchio di Septimus. Lo stile è avvolgente, nel senso che ci permette di calarci nelle vicende raccontate come se noi ci trovassimo sulla scena del crimine, durante gli interrogatori. L'autrice possiede inoltre il talento di generare un'atmosfera di spessore, in cui si muovono personaggi molto ben caratterizzati (in particolare, ho amato molto Philippa Tonks, pp. 186-190). La pazzia e le conseguenze che essa genera sugli altri esseri umani, dando vita a disagi e ossessioni, vengono sviscerate e restituite a ci legge con grande chiarezza, e l'enigma stesso è assolutamente pazzesco. In esso troviamo fair play e approfondimento psicologico in pari misura, così da dare vita a un racconto equilibrato e straordinario. Grande Ngaio Marsh! (Voto complessivo: 5/5*)

Il decimo racconto ci porta in America, più precisamente a New York. In "La Bambola del Delfino" di Ellery Queen, troviamo il giovane scrittore di gialli e investigatore dilettante omonimo intento a preparasi per il Natale imminente, assieme alla segretaria Nikki Porter e a suo padre, l'ispettore Richard Queen. Mentre quest'ultimo è intento a riempire il tacchino natalizio, si presenta alla loro porta l'avvocato Bondling, il quale deve risolvere una spinosa questione. A quanto parte, una ricca signora di nome Cytherea Ypson è appena deceduta e gli ha affidato il compito di amministrare la sua vastissima collezione di bambole. Si tratta di qualcosa di enorme, in mezzo al quale soltanto un esemplare potrebbe essere effettivamente venduto per rimpinguare le casse di un noto orfanotrofio della città: la celebre "Bambola del Delfino", che venne regalata al giovane Luigi XVII di Francia poco dopo la caduta dal trono dei genitori durante la Rivoluzione Francese. La bambola, in realtà, non ha quasi valore; è lo zaffiro che porta sulla testa a costituire il grosso del suo prezzo. Tutto ciò, comunque, non creerebbe alcun problema al povero Bondling, se non fosse per un piccolo intoppo: la povera signora Ypson ha decretato che, prima di essere messe in vendita, tutte le sue bambole debbano essere esposte ai Grandi Magazzini Nash. Sotto allo sguardo di tutti, la Bambola del Delfino potrebbe attirare fin troppe attenzioni; e infatti un noto ladro di nome Comus ha già anticipato che riuscirà a sottrarre il prezioso oggetto. E come in questi casi vuole la tradizione, nonostante l'ampio dispiegamento di forze della polizia messo in atto dal signora Queen Sr., la Bambola viene effettivamente sottratta. Ma come può essere riuscito il criminale a compiere il furto? Toccherà ad Ellery scoprire la verità. Tutto sommato, questo racconto costituisce un classico del giallo americano: ha tutte le carte in regola per rientrare nella categoria. Le forze di polizia abituate a fare a botte e a far rigare dritto i criminali, l'azione che va di pari passo con il lavorio della mente e lo studio della psicologia, alcune citazioni e uno stile elegante ma scattante... Tutto si rifà alla tradizione che i cugini dietro lo pseudonimo Queen fecero grande con le loro opere. In particolare, però, va segnalato come l'enigma sia costruito con una cura ancora maggiore del solito e che non veda alcun cadavere apparire sulla scena: qui infatti il crimine consiste in un semplice furto. L'impossibilità apparente del mistero dà un tocco in più al racconto, che nella mia personale classifica si ferma a quattro stelle soltanto perché ho qualche problema a farmi piacere lo stile della coppia di autori. (Voto complessivo: 4/5*)

Mary Roberts Rinehart, nata nel 1876 e
morta nel 1958
Restiamo in America ma ci spostiamo di sottogenere, da quello prettamente tradizionale alla tanto agognata suspense delle Regine del Brivido. Di Mary Roberts Rinehart, la raccolta propone un delizioso racconto intitolato "La Vigilia di Natale del Maggiordomo". Si tratta di una piacevole storia, dove regna un'atmosfera nostalgica che si adatta perfettamente al periodo delle feste natalizie. Il vecchio William è fermo alla fermata dell'autobus con un pacchetto tra le braccia e una grande apprensione nel cuore: infatti, proprio in quella fatidica vigilia si appresta a tornare nella casa dove ha trascorso gran parte della sua esistenza, facendo il maggiordomo per la famiglia del maggiore Bennett, detto il Vecchio. Costui ha impiegato la propria vita nel tentativo di essere un padre adeguato alla giovane nipote, Sally, resa orfana dalla guerra e dalle disgrazie, e si è sforzato di mettere a tacere il proprio orgoglio prorompente di fronte alle avversità. E William lo ha sempre coadiuvato, allevando per lui la bambina e provvedendo a che nella casa non mancasse nulla. Ma ormai quel tempo è passato: il marito della "piccola di casa" ora è in guerra e non si sa se tornerà mai vivo dal confitto, lei stessa è ormai cresciuta in fretta per allevare il suo bambino, e il Vecchio ha raggiunto un'età che, aggravata da una menomazione che lo ha colpito molti anni addietro, non gli lascia molto da vivere. E lo stesso William? Lui è stato licenziato da Sally per aver disubbidito agli ordini ed allontanato dalla sua vita. Ma adesso ha ricevuto una disperata richiesta di aiuto dal Vecchio, il quale nutre alcuni sospetti circa il nuovo maggiordomo, un individuo che potrebbe essere una spia in incognito: e così William si appresta a tornare dove ha lasciato i ricordi, il cuore e gli affetti. Nonostante non sia un vero mystery ma quasi una spy story, penso che questo racconto si trovi alla pari con "Il Morto che Ascoltava la Radio" nella mia personale classifica. Come dicevo, ha poco o nulla del giallo vero e proprio; però ho avuto come l'impressione che non contasse più di tanto il caso in sé, quanto ciò che da esso derivava. Sono le emozioni, le sensazioni, i dolci ricordi legati a una vita che sta scivolando via come sabbia del deserto nel vento, le ripercussioni di una guerra che non risparmia nessuno ed è fonte di angosce, il contesto tutto con le sue ambientazioni notturne e suggestive a dare valore alla storia. I personaggi, sentiti e vividi, non sono fatti per stare in una storia del mistero, quanto in una vicenda natalizia che scaldi il cuore. Assolutamente stupendo. (Voto complessivo: 4/5*)

Finalmente arriviamo a "La Collana di Perle" di Dorothy L. Sayers, immancabile classico delle feste. Esso racconta di una serata di festa trascorsa nella casa di sir Septimus Shale, uno di quei signorotti un po' anziani che spesso si lascia convincere dalla moglie a fare qualunque cosa, ma che vuole dettare legge quando si tratta di Natale. Infatti, come da tradizione, ha organizzato un piccolo party con alcuni amici e conoscenti nella sua villa di campagna, durante il quale si chiacchiera, si mangia, si beve e, soprattutto, si chiacchiera e si gioca. Dopo cena, infatti, il gruppo si raduna nel salotto, dal quale si può uscire soltanto da una porta, e decide di fare qualche gara ad "Animale, vegetale o minerale?", dove a turno ognuno degli invitati deve suggerire agli altri un dato oggetto secondo regole specifiche. Nel bel mezzo di una manche, tuttavia, si scopre che la splendida collana di perle della figlia di Shale è sparita dal tavolo sul quale era stata appoggiata. Si tratta di una bella seccatura, di motivo di imbarazzo e, ovviamente, di una disgrazia, dal momento che valeva un sacco di soldi. Come fare per ritrovarla, dal momento che tutti quanti hanno vuotato le tasche e il gioiello non è riapparso? Niente paura: tra gli invitati c'è lord Peter Wimsey, il giovane baronetto col pallino dell'investigazione, il quale si prodiga per scovare il ladro e la sua refurtiva. Ci riuscirà? Questo racconto ha qualche piccolo difetto, come il fatto che non tutti i personaggi riescono ad essere ben chiari e si rischia di fare confusione (gli invitati sono tanti) e un enigma che non è molto facile da sciogliere; però l'ho trovato divertente e ben scritto. È pieno di ironia, suscita una bella atmosfera di gioco e intrattenimento, e ancora una volta presenta la particolarità di non avere alcun omicidio, ma soltanto un furto. Quanto all'enigma, inoltre, esso ha una similitudine con un romanzo di Christie, poiché sfrutta uno stesso trucco per fornire al lettore un utile indizio per scoprire il colpevole. Insomma, un classico del mistero divertente e godibile (Voto complessivo: 4/5*)

Lillian de la Torre, nata nel 1902
e morta nel 1993
Con "Il Codice di Natale" di Lillian de la Torre, a mio modesto parere, tocchiamo il punto più basso tra i racconti riuniti in "Delitti di Natale". Non che questo significhi che esso sia scadente e assolutamente da buttare: ha certamente i suoi lati positivi. Però tra tutti è quello che mi è piaciuto meno. La storia che racconta ruota attorno a uno strano scritto rinvenuto da un'ospite di una grande casa di campagna americana, durante le feste di Natale, in mano a una cameriera: esso è costituito da sole "a" e "b", disposte in un senso a prima vista incomprensibile. Tra gli invitati al party, tuttavia, si trovano il celebre Samuel Johnson (reale letterato inglese del XVIII secolo) e il suo fido biografo James Boswell, i quali si dimostrano fin da subito interessati allo strano messaggio e si ingegnano per risolvere il mistero ad esso legato. Nel frattempo, attorno a loro si agitano i cantori e i festeggiamenti per le imminenti celebrazioni della nascita di Gesù, tra i quali troviamo un sinistro marinaio con una gamba di legno... Forse egli ha qualcosa a che fare con lo strano codice? Il punto forte della storia, a mio parere, consiste proprio nella descrizione dell'atmosfera natalizia e dei preparativi per i festeggiamenti del Natale: le descrizioni delle persone che cantano sotto le finestre, in mezzo alla neve; la preparazione delle cene e dei pranzi; i passatempi a cui ognuno si dedicava in per periodo ormai trapassato per tutti noi... In essi sta il fascino di "Il Codice di Natale", e nell'evocazione della Storia. Per il resto, sfortunatamente, ho trovato uno stile antiquato e superato, personaggi che si atteggiano a cliché triti e che non sono per nulla gradevoli (compresi i protagonisti) e un enigma che, per quanto ben costruito, non regge le aspettative dopo pagine e pagine di attesa. (Voto complessivo: 2/5*)

Con il penultimo racconto della raccolta, torniamo ai fasti a cui siamo stati abituati. Troviamo infatti "Statue di Cera" di Ethel Lina White, la scrittrice gallese di cui ho già recensito alcuni romanzi gialli. Se ben ricordate, il suo stile si rifà a quello delle Regine della Suspense americane, ma aggiungendo ad esso un forte carattere prettamente britannico; e questo racconto mette in luce tutto ciò. La storia si apre con la narratrice e protagonista, una giovane giornalista di nome Sonia, la quale ha deciso di trascorrere la notte all'interno del locale Museo delle Cere per scrivere un articolo. Secondo una diceria, infatti, proprio dentro l'edificio sarebbe morto in circostanze misteriose un consigliere comunale, e la ragazza ha intenzione di vederci chiaro sulla faccenda; soprattutto dopo essere stata sfidata da un collega, Hubert Poke, e aver ottenuto l'appoggio del giovane redattore sportivo, Wells. Però, da quando il custode se ne è andato e le luci sono state spente, Sonia ha iniziato a percepire una strana sensazione, come se qualcuno la stesse osservando. Eppure, è circondata da semplici statue e non dovrebbe avere paura... Oppure sì? Infatti, le figure immerse nella penombra sembrano assumere vita propria e muoversi, come a ghermirla. Ma deve trattarsi della sua immaginazione, si dice Sonia; non è materialmente possibile che delle candele tramutata in finti esseri umani prendano vita di colpo. Eppure, a un certo punto, lei è sicura di aver visto Poke sgusciare dalla porta nella stanza in cui si trova, e un respiro affannoso inizia ad insinuarsi nelle sue orecchie... Da parte mia, adoro questo clima di tensione e di brivido lungo la schiena che White riesce sempre a ricreare nelle sue opere. La ragazza in pericolo, inseguita da un misterioso avversario e preda di un'immaginazione sfrenata, è un personaggio affine alla mia anima melodrammatica, con il suo misto di coraggio e di terrore, audacia e timore, spaventata e suggestionabile. L'atmosfera è perfettamente delineata, con tanto di temporale che si scatena nella notte, e gli scenari sono ben visualizzati. L'inserimento della storia d'amore non cambia più di tanto l'enigma, ma conferisce una punta di sollievo in un racconto dove la suspense la fa da padrone, e dove non conta tanto il fair play quanto l'emozione e il sentimento suscitato nel lettore dai pericoli corsi dall'eroina. Un ultimo appunto a questo meraviglioso racconto: esso venne riadattato, con alcune sostanziali modifiche, in un romanzo lungo dell'autrice, "Delitto al Museo delle Cere". (Voto complessivo: 5/5*)

Un ventiduenne Cornell Woolrich,
nato nel 1903 e morto nel 1968
Infine, l'ultimo grande, struggente racconto della raccolta: "L'Impronta dell'Assassino" di Cornell Woolrich. Si tratta di una storia cupa, nera, proprio come quelle che solo il Re del Noir ha saputo raccontare e fissare su carta, pur senza far loro perdere il senso di disillusione e disagio che trasudano. Tutto parte, come spesso accade, da un fatto insignificante: il lancio di un paio di scarpe da una finestra, contro alcuni gatti che miagolano ininterrottamente e disturbano il sonno. Tom Quinn le ha gettate in un impeto di tensione e di disperazione: è stressato perché riesce a portare a casa appena il necessario per sopravvivere, e le cose non sembrano mai andare per il verso giusto. Però sua moglie gli fa notare come il suo gesto sia stato sconsiderato: già non hanno molti soldi, e lui ha buttato un paio di scarpe praticamente nuove, con un plantare caratteristico per i suoi piedi piatti, nel cortile soltanto per zittire un paio di gatti. Scendendo a riprenderle, inoltre, il povero Tom non riesce a ritrovarle, così è costretto a mettere quelle vecchie e rattoppate per andare al lavoro il giorno seguente. Tuttavia, forse la fortuna ha deciso di concedergli un premio: a mezzogiorno, un ignoto benefattore recapita le scarpe all'appartamento dei Quinn. Quindi è tutto risolto? Affatto, dal momento che a qualche isolato di distanza, in una casa fatiscente, un vecchio è stato ammazzato e derubato di una grossissima cifra... e sul terreno fuori dalla sua casa è stata rinvenuta un'impronta che si adatta alla suola delle scarpe di Tom Quinn. Il fato, inoltre, ha soltanto finto di favorire il poveretto, dal momento che gli ha fatto rinvenire un portafogli con un'ingente somma al proprio interno: una manna dal cielo, ma allo stesso tempo qualcosa che non gli permette di giustificare agli inquirenti, presto presentatisi a casa sua, come ne sia entrato in possesso. Inizia così un lungo processo, durante il quale la polizia è certa di aver catturato il loro criminale e Tom si sforza di giustificare il proprio operato; ma la sentenza di morte pendo ormai sulla sua testa... Riuscirà a salvarsi, oppure verrà giustiziato? Ma soprattutto: è davvero lui il ladro? Woolrich ha dato vita all'ennesima storia di miseria e disperazione umane, dalla quale emergono il nervosismo e la nevrosi dell'americano medio di fronte a una situazione pressoché disperata, la povertà che affliggeva la popolazione e il senso di riscatto che la gente comune agognava dopo il crollo di Wall Street, la malvagità del Fato e del Destino umano che si prendono gioco di noi, la debolezza umana e la sensazione di essere braccati che non abbandona mai i miseri disperati. La Chiesa è un conforto che non ha alcuna utilità nel momento del bisogno, dal momento che da essere si riceve soltanto una muta risposta; l'essere umano è destinato a percorrere una strada che lo porterà alla disperazione e alla distruzione, con la speranza e l'onestà che vengono derise. Lo stesso ritratto delle forze di polizia, esacerbate da un senso di rivalsa e prepotenza verso coloro che dovrebbero rieducare ed eventualmente scagionare se possibile, rende l'idea di quanto sia oscura e senza alcun conforto la visione dell'esistenza dell'autore, il quale ebbe una vita a dir poco terribile. Anche se alla fine l'opera della (poca) gente con valori ancora esistente riuscisse a salvare gli innocenti, un'ombra di sospetto li avvolgerà sempre e li marchierà a vita. Ogni cosa (ambientazione, atmosfera, personaggi, enigma) è attraversato da un pessimismo impossibile da scacciare del tutto. Questo racconto è stato davvero molto potente, e se mi riuscirà leggerò presto qualcosa altro di Woolrich. (Voto complessivo: 5/5*

Con questo, ho analizzato tutti i racconti di "Delitti di Natale". Per fare una sintesi del mio giudizio a riguardo, l'ho trovata una raccolta molto variegata, che ha saputo passare da storie prettamente tradizionali (Blake) ad altre in cui si trova uno stile originale e moderno (Woolrich), da quelle di genere storico (de la Torre) a quelle di suspense (White), da semplici storie in cui l'enigma è meno presente e pertinente rispetto al solito (Rinehart) al altre dove il fulcro delle vicende è proprio il mistero (Queen). Tutto sommato, le ambientazioni e i personaggi sono stati tratteggiati con mano capace, nonostante in qualche caso il singolo elemento sia risultato più sottolineato che in altri: ad esempio, in Bowen e in Hume lo scenario ha giocato un ruolo più importante di tutto il resto, mentre in Christie sono stati i personaggi (oltre all'enigma) a dare risalto alla narrazione. I sottogeneri sono stati esplorati in vario modo, da quello storico (Dickson) a quello del delitto impossibile (Commings). I temi trattati hanno visto uno stesso procedimento, passando dalla medicina di Bailey al pessimismo di Woolrich. Ovviamente alcuni sono risultati più riusciti di altri; come dicevo, per quanto mi riguarda "Il Morto che Ascoltava la Radio", "Statue di Cera", "La Vigilia di Natale del Maggiordomo", "L'Impronta dell'Assassino" e "Una Tragedia Natalizia" sono di un livello superiore agli altri, benché essi rimangano delle opere pregevoli. Però mi sento di dire che sono stato soddisfatto dalla lettura, e ve la consiglio se volete provare a leggere qualche racconto giallo per avvicinarvi al genere. Più avanti, se questo post vi piacerà, proverò a recensire altre raccolte di racconti. Intanto buon Natale!

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venerdì 11 dicembre 2020

54 - "Morte a Linwood Court" ("Keeps Death his Court", 1946) di Mary Durham

Copertina dell'edizione pubblicata da
Lindau Edizioni
Da alcuni anni ho intrapreso una sorta di tradizione: trascorrere tutto il periodo delle feste di Natale leggendo romanzi gialli a tema, proprio come si potrebbe fare in estate con i mysteries ambientati sulle spiagge e in vacanza. Innanzitutto, perché in questo modo riesco ad entrare meglio nello spirito giusto; ma anche perché in fondo mi piacciono molto i romanzi del mistero dove i delitti e i crimini avvengono in scenari nevosi e in occasioni che dovrebbero essere di pura gioia (ma spesso non lo sono). Il contrasto tra il calore all'interno di salotti illuminati da vivaci fiamme nei caminetti, camere avvolte dalla penombra e ritrovi tra amici e conoscenti, con il gelo che si respira dietro ai vetri appannati delle finestre, le bufere impetuose che scuotono le tegole sui tetti dei cottage e le impetuose correnti sotterranee di passioni, odi e gelosie, è forse quanto di meglio possa chiedere all'interno di un giallo scritto e ideato come si deve. E tutto ciò lo ritrovo più spesso nel "Christmas Murder Mystery". Pertanto, è sottinteso che io faccia di tutto per accaparrarmi qualsiasi titolo abbia a che fare con il Natale e ciò che ne consegue. All'inizio, a sostenermi ed aiutarmi in questa sorta di ricerca selettiva, è stato Polillo coi suoi Bassotti. Proprio in occasione delle feste, infatti, questo editore era solito pubblicare raccolte di racconti a tema (prima) oppure romanzi ambientati verso la fine dell'anno e l'inizio di quello seguente (poi). Penso, ad esempio, a "Delitti di Natale" e "Altri Delitti di Natale", i quali contengono stupende storie brevi degli autori più disparati e meritevoli; oppure a "Il Canto di Natale" di Clifford Witting, "Non si Uccide Prima di Natale" di Jack Iams, "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon, "Omicidio a Capodanno" di Christopher Bush, "La Mattina del 25 Dicembre" di C.H.B. Kitchin, "Sangue sulla Neve" di Hilda Lawrence, "Congelato" di Anthony Weymouth e "Asso di Quadri - Asso di Cuori" di Edgar Wallace. Tutti questi titoli (e probabilmente me ne è scappato qualcuno) sono stati portati in Italia e tradotti, affinché il lettore potesse divertirsi e lasciarsi suggestionare. Poi, purtroppo, questa bella iniziativa ha subìto uno stop brusco e per qualche tempo non abbiamo più trovato in libreria romanzi in veste arancione di questo genere. Ma non disperiamo, visto che sembra proprio che le cose si stiano aggiustando...

Nel frattempo, tuttavia, mentre Polillo si è fermata, il suo posto è stato preso da un altro editore, che negli ultimi anni è riuscito a instaurare un bel rapporto col pubblico e gli appassionati di giallo natalizio (e quindi a sopperire alla mancanza dell'altro editore). Lindau, infatti, ha intrapreso l'iniziativa di pubblicare un mystery a tema invernale ogni fine autunno, a partire dal 2017: ha iniziato con "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay, proseguito nel 2018 con "Morte nella Neve" di J. Jefferson Farjeon (nuova traduzione di quel "Sotto la Neve" che era già stato pubblicato da Polillo, fatto significativo che mette ancora più in luce come Lindau abbia guardato all'esempio di quest'altro editore), nel 2019 "Un Piccolo Omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan. Fino a quest'anno, quando poche settimane fa è apparso il libreria "Morte a Linwood Court" di Mary Durham (Lindau Edizioni, 2020). Quest'ultimo titolo è arrivato abbastanza di sorpresa, per quanto mi riguarda: infatti, ero mezzo convinto che sarebbe stato il turno di uno tra quelli di Gladys Mitchell, che di recente sono stati ripubblicati in Inghilterra; mentre in realtà non sapevo neppure che esistesse tale Mary Durham. Però, dopo averlo letto, vi assicuro che non sono stato affatto deluso dal risultato finale. Anzi, adesso sono incuriosito di leggere gli altri romanzi del mistero di questa autrice, nonostante sul suo conto non si sappia assolutamente, categoricamente e insindacabilmente nulla. O meglio, sappiamo che ella scrisse alcuni gialli tra il 1945 e il 1952, ma per il resto la sua esistenza è avvolta nell'oscurità più totale. Un po' come è avvenuto per la stessa Lorna Nicholl Morgan, oppure per H.H. Stanners, autore di "Com'è Morto il Baronetto?", e Annie Haynes, creatrice di "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?". Immaginate la situazione: un romanzo del mistero di Natale, ideato da una scrittrice il cui ricordo si è ormai perso nelle pieghe del tempo, e che promette un'atmosfera perfetta per trascorrere qualche ora di svago; ovviamente, mi sono subito affrettato a procurarmene una copia (inviatami da Lindau, che ringrazio). E come dicevo sopra, non posso fare altro che lodare l'iniziativa di aver riportato in auge Durham. Con il suo libro, infatti, lei è stata capace di dare vita a una storia dove non c'è nulla di particolarmente innovativo, se non l'inserimento di alcuni temi di cui vi parlerò tra poco, ma non per questo è risultato scadente. Tutt'altro: un giallo di questo tipo ha come punto forte quello di far divertire il lettore e di calarlo in un racconto dove ciò che accade è in qualche modo prevedibile, pur non essendo banale. E "Morte a Linwood Court" è riuscito perfettamente a raggiungere questo scopo, giocando su elementi tradizionali declinati in modo adeguato alle aspettative e mettendo in scena un enigma col giusto grado di fair play.

Bosco in Autunno, Luigi Bonazza, 1940, raffigurante una
foresta simile a quella intorno a Linwood Court
La vicenda si apre con un breve resoconto del rapporto che lega la giovane e bella Jean Kennet e suo marito, sir Philip Linwood. Tra i due, dopo un iniziale affetto che la ragazza ha scambiato per amore, non corre buon sangue: lui è rimasto ferito a una gamba, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e soffre di una nevralgia che lo ha fatto diventare mezzo matto e ha peggiorato il suo già pessimo carattere. Linwood, infatti, non sopporta che chi gli sta intorno sia allegro e conduca una vita piena di soddisfazioni; per cui, si ingegna per esercitare il proprio potere in modo da minare la felicità della servitù e della moglie, fino al punto da gettare tutti in uno stato di assoluta disperazione. Jean fatica a dormire ed è sempre sul chi va là, timorosa delle brutte figure che le possa fare Philip e di ciò che egli possa dire in pubblico; mentre il cameriere personale dell'uomo, un ex-detenuto costretto dalla disperazione ad accettare il posto, non trova un momento di pace dai pungoli che Linwood non manca di infliggergli. Ad esempio, lui vorrebbe sposarsi con la governante della casa del suo padrone; ma quest'ultimo si diverte a giocare al gatto col topo e li tiene entrambi sulla corda, minacciando di licenziarli e di benedirli a secondo dell'umore. Questa, dunque, è la situazione a Linwood Court, la villa di campagna dove si svolgerà la storia. E di essa è ben consapevole Archie, il fratello di Jean, il quale al momento è disoccupato e con la testa calda che si ritrova rischia di restare in tale situazione ancora a lungo. Per il momento è ospite di un vecchio amico di famiglia, Freddie Barrington, e non può fare altro per aiutare la sorella, se non confidando a quest'ultimo i suoi timori e chiedendogli di accompagnarlo fino a Linwood Court per le feste di Natale. Lui, infatti, si recherà laggiù per rispondere alla disperata richiesta di aiuto di Jean: forse vorrebbe dargli man forte? Inoltre, sarebbe un giovanotto capace di rallegrare quel mausoleo che è la casa di sir Philip. Il piano prevede di fare un po' di baldoria con gli altri ospiti della cena di Natale: i coniugi Arnold, che abitano in affitto nel cottage sito all'inizio del vialetto di Linwood Court; Steven Barclay e Fanny Mayne, alcuni loro parenti alla lontana che non hanno altro posto dove andare; il cugino di Philip, Everard Cape, che si è ormai stabilito come un parassita nelle stanze della villa; e un neurochirurgo di fama che sta prendendosi cura del baronetto, Robert Moore.

Stuzzicato dall'idea di rivedere Jean, della quale è ancora innamorato, Freddie accetta prontamente l'invito e decide di correre il rischio di venire offeso da Linwood. Nell'arco di qualche settimana, quindi, Archie e il suo amico raggiungono Linwood Court, dove si rendono conto che la situazione ha raggiunto il limite di sopportazione: Jean si è addirittura recata di nascosto dal medico del paese per tentare di ottenere qualche rassicurazione sulla salute mentale di Philip. Nel frattempo, quest'ultimo ha dato il peggio di sé, lamentandosi e reagendo con violenza ai discorsi degli altri occupanti della casa, oltre a minacciare di dare in escandescenze. La sera della vigilia si avvicina sempre di più, e l'arrivo di Steven Barclay (un giovanotto avvenente della Marina, con una testa calda tanto quanto quella di Archie) mette ancora più in pericolo il futuro di Jean, la quale si scopre innamorata di un uomo diverso da suo marito. Il giorno fatidico, purtroppo, Philip si comporta proprio come gli altri ospiti avevano temuto: sbugiarda la moglie e l'amante mentre il gruppo è riunito a tavola, e fa alcuni apprezzamenti sconvenienti alla moglie di Arnold, il quale si trattiene a stento dal mettergli le mani addosso. Ma non tutto è perduto, anche se l'atmosfera si è guastata. Philip è assonnato e si ritira nello studio col dottor Moore, così i giovani (a parte Arnold che si ritira presto) possono dedicarsi a fare qualche ballo e qualche gioco divertente. L'idea di giocare a nascondino al buio, suggerita da Archie, piace a tutti, e i ragazzi si avventurano a fare qualche manche. In breve in tutta la casa cala il silenzio, rotto soltanto da qualche urlo ogni tanto per avvertire che tocca a qualcun altro nascondersi. Anche nel giardino provato di Philip non vola una mosca... solo che, sul vialetto, giace il cadavere del baronetto. Chi lo ha colpito a morte? I sospettati con un movente valido sono molti, nonostante gli alibi all'apparenza giustificati, e gli agenti recatisi sulla scena del delitto non riescono a fare alcun passo avanti. Toccherà all'ispettore York di Scotland Yard, convocato a Linwood Court, intraprendere un'indagine atta a stabilire quale sia la verità, pescandola in mezzo a moventi, false piste, indizi che sembrano irrilevanti e sospettati recalcitranti a svelare i propri segreti.

Chaponval Landscape, Camille Pissarro, 1880, raffigurante
un villaggio simile a Netherby
Non vorrei essere troppo esagerato, ma dopo la lettura di "Morte a Linwood Court" mi sento di dire con quasi assoluta certezza che questo sia IL romanzo giallo di Natale di questo mio 2020. E il bello è che al suo interno, come scoprirete se lo leggerete, di neve non se ne vede nemmeno il miraggio! Però l'insieme di ciò che presenta e restituisce al lettore (oltre a una quota di tempo comunque plumbeo e suggestivamente tormentato) non viene intaccato da questa mancanza. Il romanzo di Durham ha tutte le carte in regola per essere il mystery ideale che qualunque appassionato di classica crime story sente il bisogno di divorare; quello che riesce a mettere insieme un giusto grado di tradizione con qualche tema più innovativo e in sintonia con l'anno in cui venne scritto, quando ormai la Golden Age si stava avviando alla sua conclusione in favore di un approccio più moderno dell'enigma. Infatti, a ben guardare, troviamo alcuni elementi (in realtà, quelli più numerosi) che si rifanno a una passata visione degli usi e costumi della società medio-alta inglese. Fino a un certo punto, ad esempio, possiamo seguire lo stesso percorso che Agatha Christie aveva tracciato in "Il Caso del Dolce di Natale", dove ci viene descritto a grandi linee quale fosse il modo di celebrare il Natale dei britannici: osserviamo i personaggi mentre si preparano a fare un viaggio che li porterà a contatto con amici e parenti in qualche luogo comune, come essi siano elettrizzati dall'incombente festeggiamento e si impegnino ad invitare pure persone costrette a restare da sole, la tradizione di andare alla messa del giorno di Natale, l'ideazione di balli e giochi per passare il tempo in compagnia a divertirsi, la preparazione della celebre "cena" che non può mancare in una casa di veri signori. In seguito, troviamo quell'atmosfera confortevole che spesso viene associata al giallo natalizio, fatta di nostalgia e malinconia suscitate dai caminetti accesi in camere in penombra, da stanze riscaldate contro il gelo esterno, da signore che lavorano a maglia alla luce delle lampade da tavolo e uomini intenti a leggere il giornale o un buon libro. La stessa ambientazione di "Morte a Linwood Court", quindi, ricalca il modello classico, dando vita a scenari in cui dominano i sentimenti e le passioni (pp. 56, 78, 81, 107-109). Pure le scene all'esterno, come le passeggiate di Jean e Steven, oppure le camminate che gli agenti intraprendono tra il Lodge, la casa degli Arnold, e Linwood Court lasciano sottintendere un certo coinvolgimento emozionale: dopotutto, il "Christmas Murder Mystery" è celebre proprio per le sue fortissime correnti sotterranee di gelosie e rancori. Infine, l'uso dei personaggi come punto focale della narrazione, come motore di ogni cosa ed elementi capaci di dare svolte improvvise all'indagine, e la presenza di numerose citazioni ad attestare come questo sia un libro destinato a un pubblico con un livello di cultura medio (tra gli altri, vengono nominati "Alice nel Paese delle Meraviglie", "Ignoto Contro Ignoto" di Philip MacDonald e una raccolta poetica di Wordsworth), sanciscono come il romanzo del mistero di Durham possa essere incluso nel genere crime più tradizionale.

D'altra parte, però, non è tutto qui. Se finora "Morte a Linwood Court" ha fatto propri alcuni cliché del giallo classico, bisogna pur evidenziare come esso stesse già compiendo alcuni passi in avanti, verso un modello meno impostato e meno necessariamente attinente a un tipo ben definito di racconto. Lo stile, ad esempio, mi è subito balzato agli occhi, fin dalle prime pagine. Se è vero che esso è elegante e coinvolgente, d'altra parte l'ho percepito più schietto di quanto fosse in altri romanzi del mistero che mi è capitato di leggere. Tra le altre cose, si fa un chiaro riferimento al sesso e a fare figli (pp. 9-11, 212-216), nonostante non si scada mai nel volgare e nel vouyerismo: una tresca amorosa tra amanti viene tranquillamente ammessa, quando solo qualche decennio prima si sarebbe fatto un largo giro di parole e sottintesi per suggerirla al lettore, e la situazione iniziale di Jean lascia ben poco spazio all'immaginazione. Inoltre, il sentimento che lega la protagonista a Steven Barclay viene espresso in termini sia poetici sia passionali, con momenti in cui i due si lasciano andare all'affetto l'uno per l'altra senza avere rimorsi di coscienza: mi è molto piaciuta questa chiara espressione di amore. A fare da contraltare a tutto ciò, però, è presente pure il lato negativo della psicologia umana: l'anormalità occupa un ampio spazio, incarnata dalla figura di sir Philip, e manifesta le proprie conseguenze nell'impressionante serie di sotterfugi, imbrogli e incomprensioni che costellano il caso sulla sua morte. Al carattere di Linwood è legato pure il tema della malattia nervosa e della pazzia, il quale non è poi così innovativo, tutto sommato, ma viene affrontato da un punto di vista medico attraverso il personaggio del dottor Moore e mette il luce come l'autrice dovesse avere qualche tipo di esperienza alle spalle, riguardo il trattare con persone affette da manie psicofisiche ossessive. La psicologia, tuttavia, è declinata all'interno di "Morte a Linwood Court" in molteplici forme (pp. 259-261, 263, 326-330): non solo dal punto di vista attinente alla medicina, ma pure da quello umano, descrivendo come una mente deviata possa influenzare quella degli altri e avere ripercussioni sull'esistenza delle sue vittime. È interessante notare quanto sia presente il sentimento, all'interno del libro: viene manifestato sotto forma della passione tra Jean e Steven, ma anche nella gelosia di Arnold nei confronti della bella moglie, in quella di sir Philip per le sue "amate", nel dolce corteggiamento tra Freddie e Fanny, nel disincanto di Moore per la felicità perduta dei giovanotti tornati dal fronte, i quali non possono trovare una soddisfazione dopo tanti sacrifici. Proprio il tema della guerra viene toccato e approfondito da Durham (pp. 192-193, 240-241, 243, 248, 253, 261, 299): il lettore percepisce perfettamente quale dovesse essere la frustrazione dei soldati, la loro voglia di trovare ad ogni costo un risvolto positivo in una situazione in cui erano stati gettati, senza preparazione e costretti ad arrangiarsi alla bell'e meglio. All'idealismo di un amore da sogno, si scontra la dura realtà in cui nulla viene garantito ed elargito con parsimonia; sconforto ed irrequietezza si mescolano a questa passione tenuta a malapena a freno, e l'idea di dover attendere per poter raggiungere ciò che si vuole diventa insopportabile, dopo la già lunga aspettativa. Tale disillusione, in forma meno forte, penso la sentiamo in qualche modo pure noi tutti al giorno d'oggi: sempre più spesso sentiamo il bisogno di trovare nuove forme di felicità, senza badare alle conseguenze, e ci aggrappiamo a ciò che ci dà conforto; forse è uno dei motivi per cui ho tanto apprezzato "Morte a Linwood Court", la descrizione di un'amare avventatezza per la quale siamo disposti a fare anche una pazzia. Ecco, per tirare le somme, soprattutto questo ho ricavato dall'esperienza di lettura del romanzo di Durham: un misto di classico e moderno, di tradizione e innovazione, equilibrato e divertente, all'interno del quale non mancano a manifestarsi brevi momenti di suspense e di tesa azione; cosa non scontata in un giallo che ha "solo" l'ambizione di far trascorrere qualche ora di svago, e niente più.

Durham Cathedral, di Autore Ignoto
Pertanto, adesso sono enormemente incuriosito dalla figura della sua autrice, Mary Durham. Figura che, come dicevo nell'introduzione alla recensione, è tangibile tanto quanto uno spettro: di lei, infatti, non sappiamo neppure la data di nascita e di morte, né dove visse né se si sposò mai, né se ebbe una vita felice oppure un'esistenza costellata da una lunga serie di infelicità. Tutto quanto conosciamo, si riduce al fatto che scrisse undici romanzi gialli, spesso ambientati in Cornovaglia e con protagonista (almeno in quattro casi) l'ispettore York di Scotland Yard, tra i quali ricordo "Hate is my Livery" (il primo), "Cornish Mystery" (il terzo), questo "Morte a Linwood Court", "Crime Insoluble" (il quinto), "Murder has Charms" (il settimo), "Corpse Errant" (l'ottavo) e "Castle Mandragora" (il nono). Questo è quanto. Anzi, una cosa posso aggiungerla: l'amministratore del blog "Furrowed Middlebrow" ha raccontato di aver saputo che l'editore di Durham aveva ultimamente rivelato come, nei registri della società, potesse esserci qualche resoconto su di lei. Purtroppo, alla fine la cosa non ha avuto seguito e non si è saputo nulla; però forse esiste qualche speranza di conoscere nuove informazioni in futuro. In ogni caso, è ben poca cosa. Per cui, come fare a fornire qualche informazione su Mary Durham? Da parte mia, mi diverto sempre a tentare di scovare qualche piccolo dettaglio all'interno dei suoi romanzi, che possa mettere in luce un lato del carattere dell'autore oppure qualche sua esperienza. E lo stesso farò in questa occasione, partendo dalla curiosa dedica che si trova all'inizio di "Morte a Linwood Court". Essa è composta da quattro lettere: A. C. C. H. Si tratta di una dicitura ben strana, non trovate? Quello che posso presumere è che si tratti di un conoscente, un amico o forse un parente, dell'autrice; comunque qualcuno con un nome altisonante (altrimenti sarebbe ben strano che esso sia composto da ben quattro parole). E questo mi porta a fare una piccola riflessione sul fatto che, a mio parere, Mary Durham sia uno pseudonimo. Nel nord dell'Inghilterra, infatti, si trova una contea chiamata proprio come il presunto cognome della scrittrice del nostro romanzo, con una cattedrale (sita nella città omonima) divenuta celebre per essere la "classe" di Minerva McGranitt nella saga di Harry Potter. Può essere che la scrittrice si sia magari ispirata al proprio luogo di nascita, quando decise di intraprendere la carriera letteraria? La giovane Mary, il cui cognome inizia per H, magari lo ha fatto per mancanza di alternative. Ma allora, cosa c'entra la Cornovaglia tanto inserita nei suoi romanzi gialli, se essa si trova quasi agli antipodi dell'isola britannica? E se la ragazza, in tempo di guerra, avesse fatto la stessa scelta di Christie di diventare infermiera, e si fosse trasferita in un centro sulla costa sud dell'Inghilterra per fornire il proprio aiuto? Mi piace questa idea e il fatto che, alla fine del conflitto, abbia deciso di mettersi a scrivere.

Ma non è finita qui. Avendo letto soltanto un suo romanzo è molto difficile farsi un'idea, ma può darsi che anche la trama romantica di "Morte a Linwood Court" abbia qualche eco autobiografico di quella di Durham. Il fatto che la protagonista abbia una certa propensione allo studio della psicologia e un passato da infermiera, potrebbe essere un ulteriore sostegno alla tesi che ho esposto qui sopra. Oppure magari lei è stata sposata con qualcuno che aveva bisogno di aiuto, un mezzo invalido che la trattò male come fa sir Philip con Jean. Forse Mary (se si chiamava così) ha incontrato un bel giovanotto, simile a Steven, e insieme hanno condiviso la stessa passione che infiamma i due personaggi del suo libro. Oppure in verità non è esistito nulla di tutto ciò: magari l'autrice si è identificata con la giovane Fanny, insicura ma dolce, che pian piano esce dal suo guscio di timidezza e costruisce la sua storia con l'eccentrico Freddie. O ancora, Mary ha messo se stessa in Maud, sposata ma non abbastanza adulta da rinunciare a giocare a nascondino al buio con ragazzi e ragazze più giovani, e dedita a una vita coniugale con un compagno che la ama e farebbe l'impossibile per proteggerla. Forse, forse, forse... Niente di tutto questo è sicuro. Però mi piace pensare a Mary Durham come ve l'ho descritta. E ritengo che almeno un po' lei fosse così, dal momento che ci vuole una grande sensibilità per poter ritrarre personaggi tanto umani, come quelli in "Morte a Linwood Court" (pp. 186-187). Allo stesso modo di come avvenuto in "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay, ognuno di loro esprime una forte personalità, nel bene e nel male, e ci capita di confonderli tra loro poche volte. Sir Philip è meschino, gretto, vendicativo, cattivo e, tutto sommato, un pover'uomo; Jean è bella, giovane, sensibile, insicura ma decisa a trovare la felicità; Steven ha un carattere passionale, forte, è innamorato ma pure disilluso e in qualche modo ferito; Archie e Freddie, tanto diversi nell'aspetto e nel carattere, si presentano come giovani in procinto di affrontare il futuro, un po' spaesati e immaturi ma di buona volontà; Fanny è legata al mondo della provincia e ha timore, ma una volta uscita dal guscio appare inarrestabile (pp. 108-112); gli Arnold sono la tipica coppia innamorata che niente e nessuno potrà mai separare, nemmeno un bieco individuo come il baronetto. Più o meno allo stesso modo si presentano Hare e la signora Wood, innamorati e decisi a spuntarla sul resto del mondo a qualunque costo; mentre Moore incarna il brillante medico ormai divenuto anziano, e quindi cinico nei confronti della vita. Ecco, forse soltanto Everard Cape resta una figura abbastanza indistinta sullo sfondo; ma in fin dei conti non è una persona che potrebbe assumere grande rilevanza in alcun contesto.

Infine, sono di importanza capitale l'ispettore York e i suoi sottoposti, dal fedele Hammond appena tornato dalla guerra e influenzato da ciò che ha provato sulla propria pelle, fino a Cullen, l'agente di provincia che vuole diventare qualcuno che conta. Nel ritratto di ognuno di loro, e in quello dei rapporti che instaurano gli uni con gli altri, emerge un'umanità che fa quasi commuovere (pp. 228-237, 390, capp. 12-18): York si preoccupa del benessere dei suoi sottoposti, diventa come un padre per loro, un mentore dal quale trarre insegnamento e col quale si può creare un rapporto di vera amicizia. Per carità, è sempre presente l'elemento del police procedural, ma esso non domina quasi mai del tutto sul rapporto emozionale. È questo un approccio che non si trova spesso, all'interno di un romanzo del mistero: è più probabile che venga messa in luce l'efficienza data dalle forze di polizia. Per concludere, insomma, a me "Morte a Linwood Court" è piaciuto moltissimo, dal momento che è riuscito a mettere insieme tantissime cose e a farlo risultando in una lettura gradevole. Soprattutto, cosa da non sottovalutare, la sua autrice ha ideato un enigma con non ha nulla da invidiare a quello di opere più celebrate. Senza svelare troppe cose, vi posso dire che ha una costruzione solida, complessa e sostanzialmente originale, e che in esso c'è un buon grado di fair play e i colpi di scena non mancano: abbiamo sospetti che cambiano in modo rapido, moventi che di volta in volta emergono e poi svaniscono, occasioni che sembrano quelle giuste ma poi si rivelano infondate, e un buon grado di tensione e di azione che non sovrasta il lavorio mentale. Spero che, se il livello è questo, Lindau riesca a portare in Italia qualche altra prova narrativa di Mary Durham. E poi voglio mettere alla prova le mie teorie sulla sua evanescente persona. Speriamo sarà così.

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