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venerdì 31 luglio 2020

41 - "Laura - Vertigine" ("Laura", 1943) di Vera Caspary

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Se pensiamo a un romanzo giallo classico di ambientazione vacanziera oppure estiva, ci viene naturale soffermarci quasi in automatico su alcuni scenari specifici: il villaggio di campagna, simbolo della tradizione e monito su quanto possano essere ingannevoli le apparenze suscitate a un primo sguardo da distese di pacifici campi arati, oppure quelle località balneari sulla costa inglese che tra giugno e settembre si riempiono di chiassosi turisti, intenzionati a trascorrere giorni e giorni a prendere il sole senza muovere un muscolo. Esempi di queste tipologie di romanzo possono essere rispettivamente "Il Picco delle Streghe" di Glyn Carr, nel quale il capocomico e investigatore dilettante Abercrombie Lewker si reca in un villaggio del Lake District per trascorrere qualche giorno in relax e si imbatte in uno strano incidente occorso a una scalatrice, e "Corpi al Sole" di Agatha Christie, che abbiamo visto la settimana scorsa e incarna lo stereotipo del mystery ambientato in un hotel sul mare, teatro di una morte violenta che prontamente susciterà la curiosità dell'investigatore di turno. In realtà, potrei citare molti altri romanzi del mistero di questo tenore, soprattutto britannici; ma non è questo il punto che voglio affrontare nell'introduzione alla recensione di oggi. Quello che mi preme sottolineare è che, nonostante questi scenari sorgano con più facilità alla nostra mente quando pensiamo a un delitto che si verifica nei mesi estivi, gli sfondi di questo tipo di delitto non sono riconducibili soltanto alle campagne e ai villaggi sulla costa. Anche la metropoli ostile, con i suoi pericoli urbani e la cappa di afa e di umidità soffocante che preme sugli sfortunati che si trovano costretti a trascorrere i mesi più caldi dell'anno in minuscoli appartamenti, senza il refrigerio dell'aria condizionata, gioca un ruolo importante nel costituire, all'interno di un romanzo del mistero, la scenografia su cui si stagliano i drammi del genere umano. Certo, in questo modo le vicende raccontate assumono un tono più prosaico, minimalista, che personalmente riconduco soprattutto a romanzi e film di genere noir girati in bianco e nero a Hollywood, negli anni '40 e '50: il gioco di luci e ombre che rappresenta simbolicamente il conflitto tra bene e male, l'inchiesta portata avanti dalla polizia o dal private eye, la sfiducia e l'alienazione suscitate dalla Grande Depressione del 1929 e dal Proibizionismo; tutto questo può verificarsi solo in una grande città americana del secolo scorso. Però, finché non si sconfina troppo sulla violenza e sugli aspetti più volgari del genere hard-boiled, trovo che la metropoli possa costituire un'ambientazione soddisfacente per una tragedia estiva atta a soddisfare gli appassionati di giallo classico.

Le atmosfere buie, soffocanti e malsane del noir e il riscatto dei personaggi, oppressi tanto dal clima quanti dalla società che lo considera sbagliati oppure inferiori perché pervasi da una profonda inquietudine, in lotta contro diabolici nemici e assassini insospettabili e resi folli dalla sete di potere, in qualche modo possono essere accostati agli elementi della tradizione di stampo britannico, dove troviamo individui che agiscono in situazioni simili i quali, alla pari di detective privati e giornalisti d'assalto, si impegnano a contrastare il male che vuole trionfare in ogni essere umano, trovandosi ogni tanto invischiati in esso, e mettono in luce una sottesa critica sociale. Ancor più in estate, quando gli animi dovrebbero rallegrarsi ed essere lieti, i protagonisti dei mysteries noir sono oscuri e curvi sotto il peso di tormenti che intorbidiscono le loro coscienze e generano dubbi esistenziali. Mi affascina moltissimo questo mondo contorto e malato che scaturisce dal noir, nonostante esso sembri così lontano dalla crime story britannica, proprio perché mette in discussione quelle che dovrebbero essere certezze e suscita interrogativi esistenziali che svelano quanto sia ipocrita una certa fetta della società; per cui ho deciso di inserire, tra le letture estive, un romanzo di questo tipo che amo molto e che (guarda caso) si svolge proprio nel corso di alcune settimane afose a New York. Il titolo del libro porta il nome della sua bellissima protagonista, "Laura" (Polillo Editore, 2009), ed è stato scritto da Vera Caspary, una delle scrittrici che più hanno sottolineato la necessità di mutare l'immagine della donna da sottomessa a quella che lavora e ha diritto all'indipendenza, all'interno del giallo americano. Forse questi appellativi non significano niente per voi, ma se vi dicessi che questo libro è stato trasformato in un film da Otto Preminger, col titolo "Vertigine"? Se lo avete visto, non avrete di certo dimenticato la sua storia diabolica e maledetta, in cui i colpi di scena di susseguono uno dopo l'altro e i personaggi sono animati da emozioni turbolente e sentimenti inarrestabili; se così non fosse, vi consiglio di affrontare per primo il romanzo di Caspary e di lasciarvi travolgere dalla sua narrazione tanto nebulosa e ambigua quanto feroce.

Un'assolata New York degli anni '40, simile a
quella che troviamo in "Laura"
Il racconto si apre con un colpo di scena magistrale: Waldo Lydecker, scrittore, filantropo e perverso critico letterario sta raccogliendo le forze al fine di scrivere un epitaffio per la sua carissima amica Laura Hunt, la protagonista del romanzo, la quale è stata assassinata appena due giorni prima con una scarica di pallini in volto, dopo aver aperto ignara la porta del suo appartamento all'omicida. L'uomo ha trascorso le ultime ventiquattr'ore carico di emozioni e dolori, a piangere e consumare tutte le sue capacità di sofferenza, e adesso si sente pronto a dare libero sfogo alla propria vena artistica e istrionica per rendere immortale la sua pupilla; quando all'improvviso viene interrotto dall'arrivo di Mark McPherson, il poliziotto incaricato delle indagini sull'omicidio di Laura. Siccome il punto di vista che il lettore segue è quello di Waldo, un individuo colto e raffinato al punto da apparire quasi effeminato, fin da subito ci facciamo un'idea netta e negativa del giovane tenente, dipinto come uno di quei tipi duri e un po' volgari che popolano le storie degli autori hard-boiled: dedito alla raccolta di testimonianze e indizi quasi controvoglia, cinico e tormentato da una vecchia ferita di guerra che non gli dà tregua, cresciuto in un mondo dove gli agi non esistono e tutto si deve guadagnare col sudore della fronte e stando attenti a non pestare i piedi delle persone sbagliate. McPherson vede il delitto di Laura come l'ennesimo regolamento di conti tra una ragazza "facile" e il suo amante, e non si fa illusioni su quale sarà l'esito dell'inchiesta; con fare un po' snob, auspica che il successo nella cattura del colpevole possa almeno giovargli nella sua scalata di carriera.

Eppure, sotto la scorza del tipo inflessibile e puritano, mentre il racconto sgorga dai vivi ricordi di Waldo, scorgiamo nel poliziotto qualche spiraglio di intelligenza e di sentimento; soprattutto quando apprende i particolari sulla vittima che gli vengono forniti di interrogatorio in interrogatorio da Lydecker, la signora Susan Treadwell (la zia di Laura) e il giovane promesso sposo della defunta, Shelby Carpenter. Mettendoli tutti insieme, non esce la solita figura sbiadita e insignificante della prostituta e della donna preoccupata soltanto di apparire bella che ha incontrato ogni giorno della sua vita; McPherson si rende conto sempre più che Laura è stata una donna intraprendente, vivace, ambiziosa, un po' timida ma determinata, persino intelligente. Il mistero che aleggia attorno alla morte della ragazza ben presto si trasferisce sulla sua persona, su quello che ha fatto, su chi amava e sugli oggetti che ogni giorno toccava con mano. Il tenente scopre con sconcerto di ritrovarsi molto più spesso del solito sulla scena del crimine, l'appartamento di Laura, e di provare un sentimento nuovo verso la vittima: in parole povere, si innamora perdutamente di una donna che non ha mai incontrato dal vivo e che mai più potrà conversare con lui. Solo la compagnia di Waldo lenisce il dolore e l'emozione che McPherson sente crescere sempre di più nel suo cuore e che non vuole ammettere nemmeno con se stesso; Lydecker, un tempo innamorato anche lui di Laura, lo può capire e compatire. La tensione e i sottintesi tra i due cresce sempre più finché, al termine di una cena elegante da Montagnino, in un'atmosfera carica di umidità e un temporale in arrivo, McPherson decide di tornare all'appartamento di Laura per tentare una volta per tutte di scacciarla dalla sua mente; non sa ancora che presto riceverà una grossa sorpresa... La prima di una lunga serie, poiché le sue indagini sul delitto solleveranno ben presto molti interrogativi e metteranno in dubbio non solo i tormenti della coscienza, le oppressioni e le inquietudini di una società che non riesce a trovare un riscatto dagli abissi in cui è caduta, ma pure i sospetti che McPherson sviluppa sull'uccisione della ragazza. Chi ha mentito e aveva interesse a sopprimere una donna indipendente come Laura Hunt?

Dana Andrews (Mark McPherson) osserva il ritratto di
Gene Tierney (Laura Hunt) nel film "Vertigine"

Nel corso degli anni, "Laura" ha riscosso un successo enorme, in parte influenzato dal fatto che la sua storia è stata trasposta in molteplici forme: non solo come romanzo, ma anche film cinematografico, opera teatrale, addirittura in campo musicale grazie al tema che porta il nome della protagonista e che è stato inciso da Frank Sinatra, tra gli altri grandi interpreti. Eppure, una tale celebrità non si può spiegare solo con questa motivazione; si farebbe un grande torto a quest'opera che, a mio parere, non si può ingabbiare nel solo genere giallo. Certamente, "Laura" appartiene in qualche modo al sottogenere delle women in jeopardy: in esso troviamo i tratti fondamentali che pioniere come Mary Roberts Rinehart e Mignon G. Eberhart inserirono per prime nei loro mysteries, quali la presenza di una fanciulla in pericolo (anzi, addirittura eliminata prima dell'inizio della storia!), di un eroe che fa di tutto per salvarla o comunque darle giustizia, di una cerchia attorno alla figura della protagonista in cui si annidano individui senza scrupoli che tentano in innumerevoli modi di danneggiarla. Tuttavia, nonostante questi aspetti della storia, non possiamo fare a meno di notare come Caspary abbia dato una direzione personale e innovativa al caso dell'omicidio di Laura Hunt. In sintesi, ha compiuto un processo che è stato ripreso dalla seconda generazione di autrici discepole della scuola delle "donne in pericolo": quello di esaltare l'uno o l'altro dei topos di questo tipo di sottogenere narrativo, in base al proprio estro creativo e alle esigenze necessarie, oltre a sviluppare il circoscritto ambiente aristocratico in un campo d'azione più ampio, spesso medio-basso, popolato di personaggi meno artificiosi e vicini al sentire dei lettori. In particolare in "Laura", Caspary ha tratteggiato una storia che non si limita ad essere un caso poliziesco, ma sconfina in uno studio mirato dell'indagine del sentimento dei protagonisti dal punto di vista psicologico ed emozionale, dando vita a un romanzo che può essere letto secondo più livelli di comprensione. Quello che le interessava non era tanto lo scrivere un giallo di suspense, quanto qualcosa che riuscisse ad andare oltre la mera indagine delle scena del crimine. Sfruttando l'espediente del racconto secondo più punti di vista "interni" (su consiglio di un amico) alla maniera di Wilkie Collins, l'autrice ha sopperito alla semplicità della trama (a parte un colpo di scena più o meno a 1/3 del libro) sondando in profondità l'animo dei suoi protagonisti. È in questo che "Laura" esprime al meglio tutto il suo potenziale, non in sorprendenti salti mortali nell'esposizione delle vicende.

Grazie alla narrazione in prima persona, Caspary ci permette di entrare in contatto con la parte più viva dei suoi protagonisti, di avvicinarci alle emozioni che provano nei confronti della vittima e di sfiorare le loro più recondite paure e segreti. Essi rivelano e nascondono di volta in volta i sentimenti che li travolgono, ci fanno immaginare come debbano sentirsi, lasciano trapelare piccoli indizi che possono costituire prove aggiuntive ai nostri sospetti sul loro conto. Si tratta di un'espediente che, nel giallo tradizionale britannico, ha trovato il suo massimo esponente in "L'Omicidio è un Affare Serio" e "Il Sospetto" di Francis Iles (non a caso quest'ultimo il giallo preferito di Caspary), mentre in quello di stampo americano era stato già impiegato da Cornell Woolrich, nei suoi romanzi pieni di disperazione e sconforto, e sarà usato qualche anno più tardi anche da Charlotte Armstrong in "L'Insospettabile", nonostante la struttura di quel libro sia del tipo inverted e quindi sostanzialmente delineata in modo differente. In quest'ultimo e in "Laura" viene sviluppato l'aspetto noir delle vicende, a discapito della semplice suspense di romanzi come "Il Terrore Corre sul Filo", dove l'importante è mantenere alta la tensione pur senza affrontare ragionamenti troppo impegnativi. Conta fino a un certo punto mantenere la giusta tensione all'interno del racconto, il quale risulta una sorta di miscela tra quello hard-boiled e quello di suspense; sono i temi affrontati e la caratterizzazione dei personaggi che giocano il ruolo principale, dando vita a un'ambiguità che pervade perfettamente ogni loro azione e che, durante la rilettura, salterà agli occhi del lettore. Ecco, forse proprio in questo capovolgimento delle apparenze nei confronti dei suoi protagonisti "Laura" può essere accostato al romanzo di Lucille Fletcher e Allan Ullman: come non trovare una certa affinità, tipica del noir, tra le figure che agiscono in "Il Terrore Corre sul Filo" e quelle nel romanzo di Caspary, nelle quali convivono vittimismo ed eroismo e sono nascosti inquietudine, ambiguità e tormento?

Per il resto, ho riscontrato più affinità con "L'Insospettabile"; sia dal punto di vista stilistico, dove troviamo una narrazione per punti di vista multipli nonostante in "Laura" essa sia più marcata, sia nella trattazione di alcuni temi. In un'atmosfera influenzata da un'ambientazione soffocante, buia e malsana (la metropoli malsana e ostile immersa nella calura estiva del giorno, che trova ristoro solo nella notte in cui avvengono i crimini più efferati, pp. 9, 27-28, 39-43, 48, 71-72, 88-89, 92, 98, 172, 193, 196, 229-231), simile a quella che si respira nella casa di Luther Grandison, il conflitto tra il bene e il male, tra la luce e l'oscurità, gioca una partita infinita e senza sosta in cui si oppongono l'eroina e i suoi sostenitori (Laura e McPherson come Francis, Jane e Mathilda) contro loro antagonisti (Waldo, Shelby, Susan come Grandison e Patricia). Lo snobismo (p. 133) di una classe elevata e quasi aristocratica diventa uno strumento di oppressione sugli indifesi e sui "buoni", e viene dipinto al meglio nei suoi lati peggiori, nelle azioni dei "cattivi" che mettono in luce il marcio insito nel loro animo, non senza sottolineare una forte critica sociale all'opportunismo, alla competizione generatasi tra gli esseri umani per primeggiare e conquistare una posizione di potere, alla disparità e alle contraddizioni. Contraddizioni che sono presenti in innumerevoli aspetti: nella fatale lotta tra la Giustizia incarnata da McPherson e il Male manifestato dall'assassino, in cui il poliziotto si sforza per far trionfare il Bene ma, allo stesso tempo, è sfiduciato e consapevole del fatto che il criminale è solo l'emanazione di una forza che non può e mai potrà essere fermata; nell'immagine da sogno che la vita all'apparenza perfetta di Laura e di chi è considerato "realizzato" suscita nelle menti degli infelici, per poi rivelarsi piena di complicazioni; nelle convenzioni di facciata della società, spesso maschilista e caratterizzata da disparità, in cui si partecipa a una vita dove l'eleganza di cene, cocktail, sale da concerto è tanto esaltata quanto fatua, dal momento che in questa finzione irrompe un brutale omicidio; in un edonismo ricercato e bramato, in cui il sentimento e le emozioni selvagge e passionali dovrebbero lasciare il posto a una società intellettuale e dedita alla bellezza fine a se stessa, ma la gelosia e l'odio l'avvelenano senza scampo. Edonismo che, tra l'altro, viene criticato aspramente da Caspary, la quale lascia sottintendere con chiarezza come ci sia ben di meglio della bellezza esteriore e del sentimento fugace che essa può suscitare.

Però è soprattutto l'amore, motore di "Laura" e fulcro attorno al quale si snodano le sue vicende, a rappresentare la contraddizione suprema (pp. 19-22, 43-44, 48, 54-55,60-61, 68-69, 75-81, 94-97, 99-100, 104-109, 135-136, 141-143, 145, 148, 171, 178-180, 184-185, 193-196). È quell'elemento che rende Laura desiderabile sopra ogni altra donna le si trovi accanto, ma la incatena a una condizione di inferiorità nei confronti dell'altro sesso; è la molla che dà vita a uno degli equivoci più grandi all'interno del romanzo, senza il quale non ci sarebbe stata alcuna vittima nell'appartamento della protagonista; è la rovina del colpevole, ma anche ciò che gli permette di elevarsi tra gli altri esseri umani simili a manichini; è la salvezza di McPherson, perso nel cinismo della società e nella propria individualità, ma anche il motivo per cui rischia di fallire nella sua indagine, poiché influenzato da esso; è l'elemento che rende ciechi e che, allo stesso tempo, permette di vedere oltre le apparenze quando decidiamo di scacciare le illusioni. Oltre a tutto questo, come dicevo, l'amore è anche lo strumento attraverso cui l'autrice punta il dito contro gli ideali di adorazione della bellezza esteriore sia negli oggetti sia nelle persone, ciò che mette in mostra le debolezze dell'uomo nel bene e nel male, la lente che rivela quello che si nasconde nella psicologia dell'individuo e ne mette in mostra le ossessioni e le paure. Non solo in Laura, donna ambiziosa e consapevole del proprio valore, protagonista e figura centrale del romanzo, ma pure in Waldo, Shelby, McPherson, Susan, l'amore compie un miracolo e, pian piano, fa cadere le maschere che i personaggi portano addosso. Sia dal punto di vista dell'indagine, sia umano. In questo modo, "Laura" non risulta un semplice romanzo giallo, in cui importa soltanto chi sia l'assassino, ma può assumere molteplici forme. Soprattutto, costituisce uno studio del mistero delle pulsioni in tutte le loro manifestazioni: possiamo cogliere come gli attori sulla scena, immersi in un limbo inquieto che è l'insieme dei propri pensieri, considerino in modo diverso l'affetto e i sentimenti con cui devono convivere ogni giorno della loro esistenza, grazie ai diversi punti di vista che restituiscono l'autenticità di ognuno e ci catapultano all'interno della loro testa, così da poter leggere le loro menti come libri aperti. Gli stereotipi di genere vengono messi in discussione e ciò che ricaviamo è un ritratto incisivo della materia prima di cui è fatto l'essere umano, tanto determinato quanto fragile.

Vera Louise Caspary, nata nel 1899
e morta nel 1987
La stessa Vera Louise Caspary fu una ragazza e donna tanto ambiziosa, inquieta e vulnerabile, quanto la protagonista di "Laura". Nata nel 1899 a Chicago, la città dei gangster, da genitori di origine ebrea, manifestò fin da bambina un carattere deciso e vivace. Nonostante l'affetto che li legava, infatti, loro erano gente comune e già piuttosto avanti con l'età nel momento in cui Caspary nacque; pertanto, non stupisce più di tanto il fatto che lei, come osservò in seguito, avesse deciso fin dai dodici anni di "diventare scrittrice e di rendermi indipendente il più presto possibile, talmente la loro vita era triste e noiosa". Così, terminate le scuole superiori, rinunciò ad iscriversi all'università per dare la precedenza a un'istituto per stenografe, dove si diplomò; e nei diciotto mesi successivi passò da un lavoro d'ufficio all'altro cercando un'occupazione che le permettesse non solo di mantenersi, ma anche di scrivere. Non esisteva alcun college per lei; doveva guadagnarsi da vivere. Finalmente, venne assunta come copywriter da un'agenzia di pubblicità specializzata in vendite per corrispondenza, per la quale iniziò a sfornare una quantità enorme di testi che, quando passarono alla forma del romanzo, non si arrestarono fino al momento della sua morte. Tra un pezzo pubblicitario e un corso per corrispondenza fittizio, come le lezioni della scuola di balletto "Sergei Marinoff School of Classical Dancing", iniziò a scrivere non solo per conto proprio, ma pure per il "Trianon Topics", un settimanale di otto pagine dedicato alla danza distribuito nella sala da ballo omonima, il quale le permise di entrare nel giro giusto e di parlare con un sacco di persone differenti; tra cui numerosi giovanotti di bell'aspetto. Caspary fu, in questo senso, molto libera nei costumi: ebbe molti amanti, addirittura prima che arrivasse a seconda ondata del femminismo, conosciuti soprattutto nel suo girovagare per il Greenwich Village di New York, dove nel frattempo si era trasferita per dirigere la rivista "The Dance". Nel 1924, infatti, alla morte del padre, aveva lasciato il lavoro all'agenzia pubblicitaria perché lo considerava troppo monotono e ripetitivo, senza tuttavia dimenticare la madre che manteneva grazie al denaro che incredibilmente riusciva a cavar fuori da una macchina per scrivere articoli. Tuttavia, di nuovo, Caspary si stufò ben presto della direzione di "The Dance" e decise una volta per tutte di occupare le sue energie esclusivamente con la scrittura. Il suo primo romanzo, "Ladies and Gents", venne pubblicato nel 1929 a causa di un ritardo dovuto all'editore, lo stesso anno della sua seconda fatica letteraria, "The White Girl", storia di una ragazza nera del Sud che si trasferisce al Nord e si fa passare per bianca. L'opera venne elogiata da molti giornali afroamericani per il ritratto veritiero che Caspary seppe tratteggiare nei personaggi del libro; forse lei si era ispirata alle ragazze con cui abitava, in una "casa per giovani donne in carriera" la quale avrebbe costituito pure lo sfondo del suo successivo romanzo, "Music in the Street", caratterizzato da una feroce critica sociale alla condizione femminile sottomessa e da cui l'autrice avrebbe tirato fuori pure una versione teatrale, che però risultò in un fiasco totale. Per fortuna, dopo l'esperienza al "Trianon Topics", Caspary aveva iniziato a scrivere per un giornale simile ad esso, una guida all'intrattenimento distribuita gratuitamente negli alberghi dal nome "Gotham Life: the Metropolitan Guide"; pertanto riuscì a restare a galla. Ma la situazione stava degenerando molto in fretta; così, in condizioni economiche ormai disperate, scrisse il suo primo soggetto cinematografico (ambiente col quale era entrata in contatto grazie alle celebrità e ai press agents conosciuti scrivendo per "Gotham Life"). "The Night of June 13th" fu il mezzo con cui iniziò la rinascita di Vera Caspary, dal momento che ella dedicò all'attività di soggettista e sceneggiatrice il successivo quarto di secolo: tra gli altri, scrisse "Les Girls" per G. Cukor e l'adattamento di "Lettera a tre mogli" per J.L. Mankiewicz.

Durante la Grande Depressione, Caspary tornò ad interessarsi in modo attivo alle questioni sociali ed entrò nel partito comunista sotto uno pseudonimo, ma limitandosi alla firma di petizioni e all'ospitare riunioni in casa propria, per poi abbandonare la causa in seguito al patto Hitler-Stalin. Nonostante ciò, la Commissione per le attività antiamericane la prese di mira nel corso della caccia alle streghe dei primi anni '50, costringendola a lasciare New York in favore di Hollywood assieme al novello marito, il produttore austriaco I.G. Goldsmith. Fu laggiù che, nel 1942, scrisse il suo primo mystery e opera più celebrata, "Laura", dal quale l'anno seguente Otto Preminger trasse il film "Vertigine". Per Caspary, alla lavorazione del film furono legati ricordi poco piacevoli, raccolti assieme a molti altri nella sua autobiografia "The Secrets of Grown-Ups": innanzitutto, il regista si ostinò a imporre a tutti i costi il proprio volere sul set e a rendere impossibile la vita di tutte le persone coinvolte, finché non riuscì a vedere esauditi i propri desideri alle proprie condizioni; ma furono soprattutto le modifiche che Preminger intendeva fare alla sceneggiatura scritta da Caspary a generare i dissapori peggiori. Si narra addirittura che una sera, mentre si trovava a cena con alcuni amici, l'autrice abbia aggredito verbalmente e quasi fisicamente proprio Preminger, il quale la stuzzicò con un commento al vetriolo sulla riuscita del suo film nonostante l'inconsistenza dell'opera originaria. In ogni caso, alla fine il regista la spuntò e Caspary rinunciò al suo potere decisionale su "Vertigine", rigettandone la paternità. Questo dovrebbe dare un'idea del carattere di Vera Caspary; carattere che infuse in ogni suo personaggio femminile. Proprio come loro, ella visse un'esistenza alla "Great Gatsby", fatta di feste movimentate (una volta fu persino gettata contro un armadietto di porcellana) e amanti, ma fu comunque dedita al lavoro e alla costruzione di una solida carriera. Nel corso della sua vita, di dedicò a numerosi generi letterari, spaziando dagli articoli di giornale ai testi pubblicitari, dai copioni teatrali alle scenegggiature cinematografiche; fino ai romanzi del mistero, con cui concluse la propria esistenza nel 1987, una volta tornata a New York.

Nonostante non abbia ottenuto una grande fama con giallista, fu proprio in questo genere che Caspary diede grande prova della sua abilità di autrice: si potrebbero citare "Bedelia", l'altro suo grande capolavoro, oppure "La Signora in Visone", "Stranger Than Truth", "The Weeping and the Laughter", "Elizabeth X"... Tutte storie diverse tra loro ma, allo stesso tempo, caratterizzate da elementi comuni. Il linguaggio fu sempre un elemento di primaria importanza; tanto più in "Laura", dove i punti di vista all'interno del racconto spiccano ognuno per un registro stilistico e un dialogo peculiare, proprio come se sentissimo i personaggi esprimere il loro pensieri (pp. 18, 24-27, 49-50, 52-53, 74, 103, 120, 124, 143-144): prima l'umorismo caustico e l'istrionismo di Waldo; poi il resoconto più pacato e prosaico di McPherson, con gli idiomi e lo slang americano privo di volgarità; poi ancora il rapporto su Shelby, dove vengono messi a nudo i suoi difetti; e infine il diario di Laura, nebuloso, amplificato dalle sensazioni della narratrice e fonte di riflessioni sulla figura femminile dell'America degli anni '40. Questo espediente del narratore multiplo, inoltre, impedisce al lettore di considerare veritiero tutto ciò che legge; non si riesce a capire di chi ci si può fidare, con la conseguenza che fino alla fine restiamo nel dubbio, nonostante la scelta del colpevole non sia così sorprendente. La critica sociale, l'ambientazione ostile, il cinismo, il sentimento e i tanti altri elementi di cui ho parlato sopra possono essere considerati come sviluppati in modo comune; però sui personaggi l'autrice ha compiuto un passo in avanti notevole, dando loro una grandissima profondità psicologica ed emozionale. Ho letto che, una volta, il regista Samuel Fuller osservò che tutti noi abbiamo tre facce: quella che conosciamo noi e chi ci sta vicino, quella che mostriamo agli sconosciuti, e quella che appare in superficie quando veniamo presi alla sprovvista. Ecco, Caspary è riuscita a infondere in ogni suo protagonista ognuno di questi volti, tratteggiandoli come pervasi da una profonda inquietudine, in lotta contro nemici folli e insospettabili. Sono reali perché vogliono provare a cambiare le cose, nonostante i fallimenti e il Male che si trovano a toccare in prima persona, sono oscuri e curvi sotto il peso dei tormenti della coscienza.

Sono oppressi dalla società e da se stessi, dalle convenzioni e dagli imprevisti del Destino crudele. Sono coinvolti in un perenne squilibrio tra vittimismo ed eroismo; non solo dal punto di vista delle turbe sentimentali, le quali spingono Waldo a soffermarsi sulla propria debolezza e sull'esagerata importanza degli istinti (considerandoli come se fossero i "veri" enigmi da risolvere per capire come e perché si sia verificato un crimine), ma giocando con le percezioni e gli stati d'animo di tutti gli altri protagonisti, sia Shelby, Susan Treadwell, Diane Redfern oppure McPherson. Waldo è l'immagine dello snob frustrato, il genio del romanzo e uno tra i personaggi più problematici ed interessanti. Egocentrico, presuntuoso, incarna una parte della società malata che Caspary criticava, quella dei dandy vanesi e un po' effeminati, ciechi di fronte alle critiche e convinti di essere divinità che camminano in terra. Editorialista corpulento e arrogante, sguazza nei delitti che discute e si spaccia per quello che al giorno d'oggi definiremo influencer. Si narra che la sua figura sia stata ispirata da Alexander Woollcott, critico teatrale appassionato di crimine, e dal Conte Fosco di "La Signora in Bianco" di Wilkie Collins; ciò che è certo, tuttavia, è che Waldo è in realtà un debole, un individuo indubbiamente colto ma che finge di vivere grandi avventure per sopperire alla propria vita da impotente. Susan Treadwell è una donna vanesia, che si crogiola nella propria condizione di vedova e di indifesa. Gode nel mettere in cattiva luce Shelby, che non ha mai approvato, e insiste nel suggerire che lui abbia qualcosa a che fare con la morte della nipote. Ha influenzato la vita di Laura tanto quanto Waldo e Shelby, ma lo ha fatto usando le proprie doti femminili, insinuando e minimizzando che il suo fidanzato fosse un poco di buono. Sembra un'arpia, ma rivela una certa umanità nel constatare che McPherson sia un uomo diverso da Shelby; in fin dei conti, benché sembri insensibile e gelida, anche lei è vulnerabile alle arti misteriose dell'amore. Shelby, da parte sua, appare come il perfetto Apollo, l'uomo che tutte le donne desiderano, un po' sciocco ma con un fondo di simpatia che lo rende desiderabile. Il fatto che sia ingenuo e povero, inoltre, accresce il fascino esteriore che trasuda, l'immagine del gentiluomo del Sud atletico viene ancor più accentuata. Tuttavia, il tipo di uomo a cui appartiene viene spesso accostato al cacciatore di dote, e ci rendiamo conto di come Shelby sia un fidanzato infedele, un individuo corrotto che desidera i soldi per poter compiacere se stesso e l'amante di turno, così da sentirsi indispensabile e amato. La bellezza fisica non è sinonimo di valore interiore, nel suo caso, poiché sfrutta le proprie doti in modo subdolo e disonesto per circuire Laura, fino a capovolgere la situazione in proprio favore. Tutti costoro, Shelby, Susan Treadwell, Waldo, ruotano attorno alla figura della vittima e vengono accostati al crimine da Caspary almeno una volta, così da suscitare i sospetti di Mark McPherson. Quest'ultimo è disilluso e cinico come i tanti private eye intercambiabili tra loro che si incontrano nei romanzi hard-boiled; però riesce a dimostrare di non essere solo questo. Nonostante non abbia un grado di istruzione elevato, conosce opere letterarie perché le ha lette per diletto; apprezza l'arte e le ceramiche di Waldo, come la buona cucina. Quindi è perspicace, abile, addirittura mediocre nell'inseguire la propria carriera, pur dando prova di una complessità interiore che lo allontana dal cliché dell'uomo duro della scuola americana pulp (non per niente mette in chiaro fin da subito che lui è "uno a cui interessano le facce, prima dei fatti"). Non da meno, dimostra di possedere sentimenti insospettabili e di innamorarsi di una donna che è morta, di un'ideale di cui ha sentito parlare. Un ideale che risponde al nome di Laura Hunt, la bella famme fatale che ha dedicato anima e corpo alla propria indipendenza.

Un bel contrasto, questo; che mette in luce come ella sia travolta dalle emozioni: è fin troppo generosa, perché teme il giudizio del prossimo; è timida, eppure determinata e ambiziosa; intelligente fino a sconfinare nel macchinoso, ma altrettanto affettuosa e leale con gli amici. Ama e odio con la stessa forza, è tanto misteriosa quanto immortale; ma soprattutto è tormentata da se stessa e dall'immagine che gli altri si fanno di lei. Desidera ardentemente imporsi come individuo all'interno della società, perché è consapevole del proprio valore, ma teme di restituire un'immagine troppo sicura di sé che allontani gli uomini, i quali si sentono minacciati (se fosse uno scapolo susciterebbe invece desiderio). Vuole poter decidere se diventare madre, senza sentire sulle spalle la responsabilità di dover farlo. Tuttavia, in modo paradossale si fa manipolare da tutti i suoi conoscenti: da Diane Redfern, la modella che ha assunto per pura carità e che sta sottraendole ciò su cui ha basato la sua vita privata; da Waldo, il quale la strumentalizza come oggetto da poter esibire e che considera alla stregua di una sua creazione; da Shelby, che tesse trame sfruttando la propria influenza sul suo animo. Almeno finché non apprendiamo dal suo diario che ha incontrato un uomo altrettanto pieno di inadeguatezza, pronto ad accettarla nonostante i suoi difetti. A quel punto, Laura non è più un burattino nelle mani dei suoi aguzzini; ha compiuto una metamorfosi fatale, che l'ha cambiata dal ritratto che è appeso sopra la mensola del camino del suo appartamento (pp. 23, 49-50, 59-61, 104-109, 116-118, 127, 129-132, 173-176, 178, 186-187, 189-192, 197, 211-213, 227). "Non sono e non sarò mai legata a nulla che non farò spontaneamente" osserva. Non è più solo bella e insicura, ma ha imparato a convivere con se stessa. Come ha fatto la sua ideatrice, Vera Caspary, allo stesso tempo ambiziosa e passionale. In "Laura", ella ci dimostra come una donna possa essere indipendente e soddisfatta di sé, pur senza rinunciare alle proprie debolezze. "Ho una scarsa memoria per l'angoscia" osservò una volta Caspary, "ma posso ricordare il malcontento e la rabbia impaziente". Pertanto, sfruttò i propri dolori per trasformarli in trionfi; l'essere vittima delle protagoniste dei suoi romanzi non poteva essere la sola condizione a cui esse erano condannate. Laura incarna nel romanzo omonimo questo assioma, e diventa il fulcro sul quale si snodano tutti gli altri elementi, immersi in una continua contraddizione e in un alone di mistero simile alla nebbia dorata del tempo che si ferma. Pur ammettendo che "Vertigine" è un film stupendo, è impietoso accostarlo al libro da cui è stato tratto. Certamente, manca un enigma nel senso tradizionale del termine; ma l'atmosfera rarefatta degli ambienti, spesso notturni e tempestosi, lo stile sognante della narrazione a più voci, i personaggi che entrano ed escono dalle pagine con le loro ossessioni, prima tra tutti la protagonista, danno vita a un mistero differente e rendono "Laura" inarrivabile sotto qualunque forma artistica al di fuori di se stesso. Certamente un romanzo elegante su persone eleganti, un libro "di arguzia e stile insoliti" come disse il critico Julian Symons; ma pur sempre pieno di una malvagità turbolenta e impossibile da rappresentare in video.

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venerdì 13 settembre 2019

8 - "L'Insospettabile" ("The Unsuspected", 1946) di Charlotte Armstrong

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 1391
Come ho osservato nella recensione di "Svanita nel Nulla" di Ethel Lina White, fin dai primi decenni del Novecento il sottogenere letterario delle women in jeopardy ha annoverato numerose discepole femminili tra gli ammiratori della sua formula, e ha riscontrato un largo consenso soprattutto in America. Proprio in questo Paese, infatti, esso era nato dai romanzi gialli di Mary Roberts Rinehart, con le sue infaticabili zitelle o fanciulle innamorate che rivivono i pericoli in cui sono incorse attraverso la filosofica frase "Se Solo Avessi Saputo...!", e nel corso degli anni ha saputo giungere a una piena evoluzione grazie all'opera di una nuova leva di autrici più o meno abili e originali, le quali, seguendo la strada tracciata dalle pioniere della suspense come Rinehart e la sua illustre collega Anna Katharine Green, hanno mantenuto con rispettosa deferenza i tratti fondamentali che le loro ispiratrici avevano stabilito, ma allo stesso tempo hanno impresso un marchio personale ai propri thriller, esaltando l'uno o l'altro di quegli stessi topos a seconda del proprio estro creativo e necessarie esigenze e iniettando linfa fresca alla crime story americana. Attraverso tale processo di innovazione, infatti, scrittrici come Mignon G. Eberhart, Helen Reilly e Dorothy Cameron Disney hanno operato grandi cambiamenti e prodotto molteplici risultati nel giallo delle "donne in pericolo", in modo tale che esso si è pian piano sviluppato dal circoscritto ambiente delle infermiere-segugio e degli aristocratici fino a comprendere un campo d'azione più vasto, spesso medio-borghese, popolato da personaggi meno artificiosi che vivono situazioni inattese e affascinanti, pur in qualche modo simili tra loro, e ha potuto conoscere un periodo di grande splendore; almeno finché la società non ha iniziato a cambiare punto di vista e l'attenzione si è spostata sul racconto della realtà di ogni giorno, con toni decisamente meno romantici.

In ogni caso, prima che ciò si verificasse inevitabilmente con il mutare dei tempi, queste donne risolute e talentuose riuscirono ad imporsi all'attenzione del pubblico e a radunare attorno a loro un largo numero di appassionati (tra i quali posso essere contato anch'io). E se la celebrità ha arriso più ad Eberhart e Reilly e ai loro detectives, senza dubbio una certa fama come autrice di suspense psicologici è riuscita ad ottenerla pure Charlotte Armstrong, della quale oggi recensisco "L'Insospettabile" (Classici del Giallo Mondadori n. 1391, 2016). Ripubblicato l'anno scorso in lingua originale dai tipi di Penzler Publishers, questo romanzo presenta i principali elementi del giallo delle women in jeopardy, tra cui la presenza della fanciulla in pericolo, dell'eroe che la salva, del "cattivo" subdolo e astuto che vuole dividerli e un'ambientazione familiare simile a un nido di serpi. A tutto ciò, tuttavia, Armstrong aggiunse uno studio mirato del tema della menzogna, delle sue manifestazioni e di come essa possa apparire verosimile quando inscenata da talentuosi artisti della finzione, e concentrò ancora una volta la propria attenzione sull'indagine dei sentimenti dei suoi protagonisti dal punto di vista psicologico ed emozionale, legandola agli enigmi puri del giallo americano, come aveva già sperimentato con la serie di MacDougal Duff. In questo modo, riuscì a tratteggiare i personaggi in maniera più veritiera del solito e, agli occhi del lettore, diede loro maggior spessore di carattere, infondendo un'impronta originale alla storia e, a lungo andare, al genere stesso di cui ho sopra discusso.

Scena tratta dal film "The Unsuspected", tratto dall'omonimo
romanzo
Tutto inizia con l'incontro in un ristorante di due persone, una signorina chiamata Jane e un giovanotto di nome Francis i quali, come si scoprirà, nonostante abbiano quasi la stessa età, sono zia e nipote. Sembrano una coppia come tutte le altre: lui è appena tornato dall'esercito, stanco e abbattuto dagli orrori della guerra; lei è una moglie affettuosa e premurosa. Eppure, fin da subito scopriamo che, dietro gli affettuosi saluti che si scambiano tra loro, si cela l'ombra di un pesante lutto: Rosaleen Wright, fidanzata di Francis e intima amica di Jane, si è da poco impiccata nello studio del suo principale, il famoso regista teatrale Luther Grandison. Ha lasciato un biglietto, come accade di solito, e le apparenze del caso, insieme alle testimonianze degli abitanti della casa, raccontano una storia che, per quanto triste, ha soddisfatto la polizia e i giudici. Anche Francis ha ormai affrontato la realtà: si è costretto a mettere il cuore in pace, e ha accettato di incontrare di nuovo la zia soltanto per capire il motivo del gesto estremo di Rosaleen. Tuttavia, Jane non ha risposte da dargli; anche lei non riesce a comprendere cosa abbia spinto la sua amica a togliersi la vita. Tutto quanto è assurdo, inspiegabile: la nota d'addio non sembra nemmeno scritta da lei, tanto lo stile è pretenzioso e ridondante, e i sottintesi nell'ultima lettera che la poveretta le ha scritto lasciano intendere che avesse dei progetti per il suo futuro con Francis. In compenso, però, Jane ha avuto l'opportunità di vedere di persona il grandioso Luther Grandison, quando si è recata con una cugina a Dedham per prendere in carico le spoglie di Rosaleen, e non si può proprio dire che quello le abbia fatto una buona impressione.

Certo; tutti conoscono l'uomo che ha messo in scena I morti non parlano, con Lilian Jellico, e il suo aspetto è apparso come quello che ci si sarebbe aspettati; però qualcosa non tornava nella sua aria tragica, da commediante, che sembrava studiata a tavolino per fare scena, tanto da indurre la ragazza a fingere di non essersi potuta recare fin laggiù e chiedere per sé, sotto falso nome, il posto lasciato vacante dalla sua amica. Francis, spazientito, non riesce a capire dove voglia andare a parare sua zia e teme di star perdendo il proprio tempo; finché Jane non cattura la sua attenzione accennando al sospetto che Rosaleen sia stata deliberatamente uccisa da Grandison. Il giovanotto è del tutto spiazzato da questa ipotesi: come avrebbe fatto un vecchio come quello a compiere un delitto del genere? Quale può essere il movente, e che prove ci sono a sostegno di questa tesi? In effetti, osserva Jane, gli elementi per incriminarlo scarseggiano; eppure, nella sua ultima lettera, Rosaleen ha accennato a un comportamento sospetto nel celebre drammaturgo, legato all'amministrazione del patrimonio di Mathilda (una delle sue protette, annegata di recente). Se avesse temuto di essere scoperto, Grandison non avrebbe esitato a servirsi del suo talento per la menzogna, acquistato grazie allo stretto rapporto col mondo delle maschere teatrali, al fine di convincere una giovane come lei a compiere certi gesti, prima di finirla. Inoltre, lui è un appassionato di delitti, e vanta di conoscere un individuo che può essere annoverato tra gli Insospettabili, ovvero coloro i quali hanno compiuto un crimine terribile e sono riusciti a scampare alla punizione. Che stesse parlando di sé? Pian piano, Francis si fa convincere dagli argomenti di Jane e, insieme a lei, decide di ideare un piano per smascherare Luther Grandison: la ragazza lo sosterrà in incognito grazie alla posizione privilegiata di segretaria del celebre drammaturgo, mentre lui fingerà di essere il marito vedovo di Mathilda e si impegnerà a raccogliere qualche prova concreta dell'assassinio di Rosaleen. Tuttavia, l'inaspettato ritorno di Mathilda nella casa di Grandison complicherà i loro progetti e le relazioni tra i personaggi; e quando sembrerà che le cose stiano finalmente volgendo al meglio, qualcun altro morirà e la situazione degenererà, in un crescendo di tensione che avrà il suo culmine in una scena di forte impatto alla discarica del distretto.

Copertina dell'edizione pubblicata da
Penzler Publishers
Con la pubblicazione di "L'Insospettabile" nel 1946, Charlotte Armstrong riuscì a far decollare sul serio la sua carriera di giallista, iniziata con la serie di MacDougal Duff. Probabilmente, la causa del considerevole successo di questo romanzo è da attribuirsi al fatto che esso presenta una sorta di struttura divisa in due parti, in cui la prima, più lenta, vede l'introduzione del "suicidio" di Rosaleen e la presentazione dei personaggi, con una graduale descrizione delle loro personalità e una maggiore concentrazione su ciò che pensano; mentre la seconda racconta in modo più frenetico e con grande enfasi le fasi del "risveglio" di Mathilda dal senso di torpore, in cui è caduta dalla rottura del suo fidanzamento con Oliver, e la sua ricerca della verità attraverso azioni pragmatiche e tutt'altro che passive. In quegli anni, infatti, lo schema del giallo di suspense prevedeva che la tensione fosse presente fin dall'inizio, impostata attraverso le atmosfere notturne o il racconto di minacciosi individui che si aggiravano nella notte; qui, invece, non viene subito percepita l'accentuata sensazione di essere precipitati in una storia in cui è in atto un'oscura macchinazione, ai danni della fanciulla di turno, ma si prova l'impressione di essere sospesi in un limbo inquieto, dentro la testa dei personaggi, e di leggere le loro sensazioni come se si trattasse di libri aperti. Si tratta di un espediente che era già stato usato dalle pioniere della crime story delle women in jeopardy per tratteggiare le figure delle loro protagoniste, ma che non era stato ancora esteso a tutti gli altri attori del dramma e messo in pratica con tale attenzione; Armstrong, invece, capì la forza del raccontare le vicende attraverso più punti di vista "interni" e sfruttò questo elemento per generare suspense in modo differente dal solito. Decise di soffermarsi in profondità sulle reazioni emozionali degli uomini e delle donne che inventava e muoveva a bacchetta, sforzandosi di far loro esprimere pensieri attinenti al modello reale cui si riferivano e rinunciando allo schema tradizionale per mettere in atto qualcosa di nuovo: concentrarsi sui legami, gli istinti e tutto ciò che i personaggi sentivano e provavano, quasi come se fossero quelli i "veri" enigmi che bisognava risolvere per capire come e perché un crimine fosse successo.

Fu un'intuizione significativa che, in sintesi, le permise di sviluppare una narrazione in cui l'indagine psicologica era sì presente fin dall'inizio, come avveniva negli altri gialli appartenenti a questo genere, ma in un primo momento essa si stemperava per farci meglio comprendere le cause che muovevano i protagonisti, in modo tale da trasformare il caso che seguiva in una diretta conseguenza dei moventi nascosti nella psiche; e tutto ciò senza rinunciare a generare tensione. Così, come Dorothy Cameron Disney e Helen Reilly fecero rispettivamente con stile e ambientazione, anche Armstrong innalzò un elemento del giallo (i soggetti) al di sopra degli altri: giocò con le percezioni e gli stati d'animo; dapprima dando spazio anche agli indizi fisici, come in "Un Cadavere al Giorno", in seguito concentrandosi sulla pura suspense. A partire da "L'Insospettabile", infatti, si percepisce un'evoluzione del mystery legato al ragionamento deduttivo-psicologico "alla Philo Vance" della serie di MacDougal Duff, dove le prove trovano significato solamente se accostate al comportamento dei personaggi, in un tipo meno pragmatico (se così si può definire) in cui conta l'esame dell'anima umana; un po' come se il famoso "sesto senso" avesse finalmente trovato una collocazione e un ruolo adeguato per poter influire sulla cattura di un criminale. L'attenzione per i sentimenti non tocca soltanto i personaggi, ma si riflette sullo stile, tanto nebuloso da apparire quasi confusionario, sulle ambientazioni, viste quali amplificatori di sensazioni, circondate da un alone di mistero simile a una nebbia dorata e immerse in un senso di pericolo incombente che rispecchia l'odio represso, e nello sviluppo dell'enigma e del tema principale sul quale ruota l'intero romanzo: la menzogna. Analizzata a fondo, con le sue molteplici sfaccettature, gli inganni sottili, le maschere sovrapposte, essa è il catalizzatore che scatena le tempeste, un mezzo che permette di influenzare ciò che le persone pensano, tanto da convincerle e manovrarle, e viene personificata nella figura più affascinante e angosciante di tutte; ovvero, quella di Luther Grandison. Appassionato di delitti celebri (come spesso avviene nei gialli classici), drammaturgo, egli può vantare trascorsi teatrali utili alla sua natura distorta, oltre a una reputazione rispettabile, che lo proteggono dai sospetti e gli sono d'aiuto per manovrare gli altri. Grazie alla sua arte affabulatoria, riesce a capovolgere le accuse che gli vengono rivolte come se per lui fosse naturale quanto respirare; può usare la manipolazione delle emozioni di quanti gli stanno attorno per scatenare crisi oppure per sollevare difese a proprio vantaggio; può dire qualunque cosa, anche improbabile, e sarà creduto più di un estraneo come Francis; può esagerare con le sue manovre, tanto gli altri penserebbero a una reazione della sua personalità drammatica, come se fosse un'espressione dei sentimenti e non qualcosa di calcolato, e crederebbero che nessuno potrebbe essere tanto sfacciato da mentire in modo tanto plateale. Addirittura, Francis risulta più sospettabile di essere un bugiardo a causa delle sue accuse a Grandison, che se lo stesso Grandison fosse davvero colpevole.

La menzogna, grazie al talento del drammaturgo, diventa una sorta di protezione fisica dal sospetto. Ciò sembrerà fin troppo fantasioso, ma in realtà non lo è: in fin dei conti, solo le prove stabiliscono con certezza se uno "lo-ha-fatto" oppure no; al massimo possono esserci pettegolezzi, ma se l'antagonista ha un ego abbastanza grande da sostenere (e sminuire) la situazione e una coscienza immune dai rimorsi, può considerarsi a posto per sempre. Si tratta di quello che la stessa Armstrong definisce, a pagina 16, come "Insospettabile": "Io conosco un uomo di questo tipo. [...] che ha commesso il più grave e il più interessante dei delitti, l'omicidio, e che non è mai stato sfiorato dal minimo sospetto. No, vive da anni con la maschera che porta per noi che dobbiamo avvicinarlo per le sue incombenze quotidiane, eppure ha ucciso. [...] Io lo so. Avrei fatto meglio ad aggiungere che anche le autorità lo sanno. Ma, ahimè, non c'è nulla che possa costituire una prova legale. [...] Vedete, con tutta la nostra intelligenza, noi non sappiamo come strappargli la maschera dal viso. Anzi, se io facessi il suo nome, lui potrebbe appellarsi alla legge e farmi condannare per calunnia. [...] Oh, sono in mezzo a noi. [...] Ci sono non soltanto delitti che non hanno trovato soluzione, ma anche delitti di cui mai nessuno ha sentito parlare, delitto ignoti... [...] Ci sono uomini e donne che sono scesi nella tomba senza che si facesse il minimo chiasso attorno al loro nome". In un certo senso, Grandison costituisce il prototipo del criminale perfetto, quello che "gioca a fare Dio" (p. 57) e che nella realtà si incontra pochissime volte e che gli autori della Golden Age come Anthony Berkeley (come dimenticare il dottor Bickleigh di "L'Omicidio è un Affare Serio"?) hanno provato a dipingere di volta in volta. Ognuno l'ha fatto a modo proprio, sondando con attenzione la mente traviata del suo cattivo attraverso l'ideazione di delitti all'apparenza perfetti; in questo caso, grazie alla formula dell'inverted story applicata al thriller e al superbo sviluppo del tema della menzogna, con "L'Insospettabile" Armstrong riesce a far entrare ancor più facilmente il lettore nel labirinto degli istinti e delle pulsioni costituito dai pensieri di Grandison (e degli altri personaggi), così che egli riesca appieno a comprendere non solo i conflitti interiori degli uomini e delle donne nell'America dei primi del Novecento, ma anche come sia facile, per chi è davvero abile, influenzare l'opinione di ognuno attraverso la menzogna; come se si trattasse di una sorta di "sfida spirituale" tra un mostro, che ha dalla sua la fortuna, e chi lo combatte, che deve spesso sforzarsi per farsi valere su un destino che sembra già scritto.

Charlotte Armstrong Lewi, nata nel 1905 e morta
nel 1969
Il concetto di "sconfiggere il Fato avverso" rappresenta uno dei nodi principali nei romanzi di Charlotte Armstrong Lewi, della cui vita si sa ben poco. Nata nel 1905 a Vulcan, nel Michigan, figlia di un ingegnere minerario, dopo gli studi e la laurea ottenuta al Barnard College iniziò a lavorare come giornalista, per poi passare alla scrittura di opere teatrali, per una compagnia che aveva fondato lei stessa, in seguito al matrimonio con Joseph Lewi. L'insuccesso in questo genere la indusse in breve tempo a cambiare registro e a cimentarsi nella crime story, dove esordì con il romanzo "Un Cadavere al Giorno" il cui protagonista era MacDougal Duff, un segugio dilettante ed ex-professore di storia che apparirà anche nei due gialli successivi. La serie presentava tutte le premesse per continuare a lungo e con un discreto successo; eppure, per ragioni sconosciute, essa venne accantonata, assieme al suo eroe, e dal 1946 Armstrong iniziò a progettare mysteries in cui le protagoniste erano donne. Giovani o anziane, nel ruolo di detectives oppure di vittime, esse costituivano tasselli di trame intricate e dai risvolti psicologici molto profondi, spesso caratterizzate da incursioni nei meandri delle menti dei personaggi e da sviluppi legati alla sfera emotiva; e nella maggior parte dei casi, da gentili donzelle in pericolo, le sue eroine assumevano nel finale ruoli che rimettevano in discussione i costumi che rivestivano della società del tempo. Proprio a partire da "L'Insospettabile" (per il quale l'autrice trasse ispirazione dai suoi trascorsi nel mondo del teatro), infatti, Armstrong iniziò a mettere in risalto il tema del Destino all'apparenza segnato, che rompeva lo schema adottato nei libri con Duff, grazie al quale le protagoniste vivevano una situazione di stallo e di insoddisfazione personale che, nel corso della narrazione, sfociava in una maggiore presa di coscienza di sé, in modo da mostrarsi meno disposte ad attenersi a ruoli inerti e apatici.

Da questa concezione della posizione della donna all'interno della società, l'autrice sviluppò un tipo di una narrativa che assunse una forte componente femminista, dove la famiglia giocava molte volte un ruolo negativo: in "Grazie per la Cioccolata", ad esempio, analizzò l'idea della difficile accettazione della parità dei sessi e, soprattutto, la rivalità tra parenti-serpenti a causa della gelosia e dell'odio; in "Mischief", Nell è causa della propria fortuna e della propria rovina grazie alle precedenti influenze della propria cerchia familiare; in "The Turret Room" la protagonista finalmente si è emancipata e si guadagna da vivere, però agli occhi della società ha ancora bisogno della protezione costituita dai tutori, che la osteggiano e tentano di corromperla. La soluzione, sembra suggerire Armstrong, è quella di evolvere per sopravvivere: la donna deve fare proprie le idee tradizionali e svilupparle in chiave moderna, e portò avanti questa convinzione anche nei romanzi seguenti, tra cui vanno ricordati "A Dram of Poison" (il quale vinse l'Edgar come "Migliore Romanzo" nel 1957) e "The Protégé". Allontanarsi dalla famiglia borghese, ancorata al passato e quindi malata, per costruire il proprio avvenire con fiducia in se stessi deve essere una priorità; anche Mathilda in "L'Insospettabile" compie un percorso simile. Il rapporto esistente tra lei e Grandison avrebbe finito per causarle un profondo conflitto interiore e malattie mentali (vedasi pp. 23-31 e 54-56, per esempio), fino a portarla alla distruzione, se non avesse incontrato Francis: la mente deviata del suo tutore l'aveva soggiogata (significativa la metafora dell'ago e della cera a p. 61, anche se applicata a un altro contesto), l'aveva convinta di non essere bella, di essere amata solo per il suo denaro, di essere considerata seconda in rapporto ad Althea (creata e distrutta a sua immagine e somiglianza, innalzata a dea ma ancora troppo umana da possedere desideri irrealizzabili), di essere caduta nelle trame di Francis perché sciocca, di non fidarsi di nessuno perché la gente mente, di stargli vicino perché solo lui la poteva capire. Il potere di Grandison (ed indirettamente di questa famiglia malata) viene espresso perfettamente da lui stesso in un passaggio del capitolo 19, alle pp. 106-107: "C'è qualcosa nella mia casa. Non puoi vederlo, naturalmente. Non puoi sentirlo. I cinque sensi non bastano a fartelo intendere, ma tu lo avverti lo stesso. È la Morte, credo. Non la Morte che ci è familiare, quella che viene a tempo debito per i vecchi e gli ammalati. Questa è la Morte che affascina. La Morte che è come un nero amante. Non vedi, anatroccola? [...] C'è un'attrazione, un impulso irresistibile. Ti è mai capitato, Tyl, di fermarti sull'orlo di un precipizio e di avvertire l'impulso di buttarti giù? [...] È la stessa cosa. Attrazione. Impulso. Che differenza c'è? Qualcosa vuole che tu ti butti giù e la faccia finita".

Con queste parole, Armstrong vuole mettere in guardia dalle influenze nefaste di chi circonda i suoi personaggi; non solo Mathilda, ma anche Jane e Francis sono in difficoltà. Eppure c'è un messaggio di speranza, alla fine: tutti loro riescono a far fronte alla situazione di disagio in cui si trovano (meraviglioso il confronto tra Mathilda e Jane alle pp. 138-141 e 169-173); persino la protagonista, da donna indifesa e insipida, acquista carattere, fiducia, forza d'animo, voglia di riscatto, e riesce ad affrancarsi dai suoi nemici, grazie alle esperienze e prove che la fanno crescere ed evolvere di pari passo con lo stile, da "impressionista" a sempre meno vago man mano che la storia prosegue. E qual è l'elemento di svolta, il motore di tale cambiamento? L'Amore, ovviamente, legato alla Fiducia; che salva non solo Mathilda, ma anche Jane dalla disperazione per il cugino e Francis dal dolore per la perdita di Rosaleen. Che proviene soprattutto da chi scegliamo di avere vicino. Il rapporto creato tra i due amati costituisce la proverbiale "ciliegina sulla torta" in una storia di cui, come accadde per "Mischief" e "Grazie per la Cioccolata", venne realizzato un film nel 1947, e che permise a Charlotte Armstrong di avviare una luminosa carriera che la portò, alla morte avvenuta nel 1969, a pubblicare nel corso di trent'anni un corpus di romanzi tale da ricevere la lode di numerosi colleghi, tra cui il critico e romanziere Anthony Boucher. Fu una scrittrice dal tratto vivido, atmosferico; usò il genere delle women in jeopardy per esplorare enigmi che andavano al di là del mondo fisico, per indagare il comportamento e i desideri degli uomini e delle donne. Aveva una grande considerazione del giallo tensivo: "Le persone che non leggono mai [storie di suspense] tendono a definirle tutte "mera evasione". [...] Se suppongono che un romanzo di suspense sia facile da fare e quindi in qualche modo economico, dovrebbero provare a farlo" osservò una volta; pertanto costruì intrecci molto curati, in cui le sensazioni dei personaggi erano gli unici elementi capaci di squarciare il velo della mistificazione, intessuto dagli antagonisti. Come se suggerisse che solo i sentimenti guidano l'uomo e gli permettono di vedere veramente, al di là del mondo onirico in cui si ritrova, dove le azioni si confondono, nulla è chiaro e i fantasmi dei rimpianti vagano senza meta. A me pare un bellissimo messaggio, che mi trova d'accordo.

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