Translate

Visualizzazione post con etichetta Lucille Fletcher. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Lucille Fletcher. Mostra tutti i post

venerdì 31 luglio 2020

41 - "Laura - Vertigine" ("Laura", 1943) di Vera Caspary

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Se pensiamo a un romanzo giallo classico di ambientazione vacanziera oppure estiva, ci viene naturale soffermarci quasi in automatico su alcuni scenari specifici: il villaggio di campagna, simbolo della tradizione e monito su quanto possano essere ingannevoli le apparenze suscitate a un primo sguardo da distese di pacifici campi arati, oppure quelle località balneari sulla costa inglese che tra giugno e settembre si riempiono di chiassosi turisti, intenzionati a trascorrere giorni e giorni a prendere il sole senza muovere un muscolo. Esempi di queste tipologie di romanzo possono essere rispettivamente "Il Picco delle Streghe" di Glyn Carr, nel quale il capocomico e investigatore dilettante Abercrombie Lewker si reca in un villaggio del Lake District per trascorrere qualche giorno in relax e si imbatte in uno strano incidente occorso a una scalatrice, e "Corpi al Sole" di Agatha Christie, che abbiamo visto la settimana scorsa e incarna lo stereotipo del mystery ambientato in un hotel sul mare, teatro di una morte violenta che prontamente susciterà la curiosità dell'investigatore di turno. In realtà, potrei citare molti altri romanzi del mistero di questo tenore, soprattutto britannici; ma non è questo il punto che voglio affrontare nell'introduzione alla recensione di oggi. Quello che mi preme sottolineare è che, nonostante questi scenari sorgano con più facilità alla nostra mente quando pensiamo a un delitto che si verifica nei mesi estivi, gli sfondi di questo tipo di delitto non sono riconducibili soltanto alle campagne e ai villaggi sulla costa. Anche la metropoli ostile, con i suoi pericoli urbani e la cappa di afa e di umidità soffocante che preme sugli sfortunati che si trovano costretti a trascorrere i mesi più caldi dell'anno in minuscoli appartamenti, senza il refrigerio dell'aria condizionata, gioca un ruolo importante nel costituire, all'interno di un romanzo del mistero, la scenografia su cui si stagliano i drammi del genere umano. Certo, in questo modo le vicende raccontate assumono un tono più prosaico, minimalista, che personalmente riconduco soprattutto a romanzi e film di genere noir girati in bianco e nero a Hollywood, negli anni '40 e '50: il gioco di luci e ombre che rappresenta simbolicamente il conflitto tra bene e male, l'inchiesta portata avanti dalla polizia o dal private eye, la sfiducia e l'alienazione suscitate dalla Grande Depressione del 1929 e dal Proibizionismo; tutto questo può verificarsi solo in una grande città americana del secolo scorso. Però, finché non si sconfina troppo sulla violenza e sugli aspetti più volgari del genere hard-boiled, trovo che la metropoli possa costituire un'ambientazione soddisfacente per una tragedia estiva atta a soddisfare gli appassionati di giallo classico.

Le atmosfere buie, soffocanti e malsane del noir e il riscatto dei personaggi, oppressi tanto dal clima quanti dalla società che lo considera sbagliati oppure inferiori perché pervasi da una profonda inquietudine, in lotta contro diabolici nemici e assassini insospettabili e resi folli dalla sete di potere, in qualche modo possono essere accostati agli elementi della tradizione di stampo britannico, dove troviamo individui che agiscono in situazioni simili i quali, alla pari di detective privati e giornalisti d'assalto, si impegnano a contrastare il male che vuole trionfare in ogni essere umano, trovandosi ogni tanto invischiati in esso, e mettono in luce una sottesa critica sociale. Ancor più in estate, quando gli animi dovrebbero rallegrarsi ed essere lieti, i protagonisti dei mysteries noir sono oscuri e curvi sotto il peso di tormenti che intorbidiscono le loro coscienze e generano dubbi esistenziali. Mi affascina moltissimo questo mondo contorto e malato che scaturisce dal noir, nonostante esso sembri così lontano dalla crime story britannica, proprio perché mette in discussione quelle che dovrebbero essere certezze e suscita interrogativi esistenziali che svelano quanto sia ipocrita una certa fetta della società; per cui ho deciso di inserire, tra le letture estive, un romanzo di questo tipo che amo molto e che (guarda caso) si svolge proprio nel corso di alcune settimane afose a New York. Il titolo del libro porta il nome della sua bellissima protagonista, "Laura" (Polillo Editore, 2009), ed è stato scritto da Vera Caspary, una delle scrittrici che più hanno sottolineato la necessità di mutare l'immagine della donna da sottomessa a quella che lavora e ha diritto all'indipendenza, all'interno del giallo americano. Forse questi appellativi non significano niente per voi, ma se vi dicessi che questo libro è stato trasformato in un film da Otto Preminger, col titolo "Vertigine"? Se lo avete visto, non avrete di certo dimenticato la sua storia diabolica e maledetta, in cui i colpi di scena di susseguono uno dopo l'altro e i personaggi sono animati da emozioni turbolente e sentimenti inarrestabili; se così non fosse, vi consiglio di affrontare per primo il romanzo di Caspary e di lasciarvi travolgere dalla sua narrazione tanto nebulosa e ambigua quanto feroce.

Un'assolata New York degli anni '40, simile a
quella che troviamo in "Laura"
Il racconto si apre con un colpo di scena magistrale: Waldo Lydecker, scrittore, filantropo e perverso critico letterario sta raccogliendo le forze al fine di scrivere un epitaffio per la sua carissima amica Laura Hunt, la protagonista del romanzo, la quale è stata assassinata appena due giorni prima con una scarica di pallini in volto, dopo aver aperto ignara la porta del suo appartamento all'omicida. L'uomo ha trascorso le ultime ventiquattr'ore carico di emozioni e dolori, a piangere e consumare tutte le sue capacità di sofferenza, e adesso si sente pronto a dare libero sfogo alla propria vena artistica e istrionica per rendere immortale la sua pupilla; quando all'improvviso viene interrotto dall'arrivo di Mark McPherson, il poliziotto incaricato delle indagini sull'omicidio di Laura. Siccome il punto di vista che il lettore segue è quello di Waldo, un individuo colto e raffinato al punto da apparire quasi effeminato, fin da subito ci facciamo un'idea netta e negativa del giovane tenente, dipinto come uno di quei tipi duri e un po' volgari che popolano le storie degli autori hard-boiled: dedito alla raccolta di testimonianze e indizi quasi controvoglia, cinico e tormentato da una vecchia ferita di guerra che non gli dà tregua, cresciuto in un mondo dove gli agi non esistono e tutto si deve guadagnare col sudore della fronte e stando attenti a non pestare i piedi delle persone sbagliate. McPherson vede il delitto di Laura come l'ennesimo regolamento di conti tra una ragazza "facile" e il suo amante, e non si fa illusioni su quale sarà l'esito dell'inchiesta; con fare un po' snob, auspica che il successo nella cattura del colpevole possa almeno giovargli nella sua scalata di carriera.

Eppure, sotto la scorza del tipo inflessibile e puritano, mentre il racconto sgorga dai vivi ricordi di Waldo, scorgiamo nel poliziotto qualche spiraglio di intelligenza e di sentimento; soprattutto quando apprende i particolari sulla vittima che gli vengono forniti di interrogatorio in interrogatorio da Lydecker, la signora Susan Treadwell (la zia di Laura) e il giovane promesso sposo della defunta, Shelby Carpenter. Mettendoli tutti insieme, non esce la solita figura sbiadita e insignificante della prostituta e della donna preoccupata soltanto di apparire bella che ha incontrato ogni giorno della sua vita; McPherson si rende conto sempre più che Laura è stata una donna intraprendente, vivace, ambiziosa, un po' timida ma determinata, persino intelligente. Il mistero che aleggia attorno alla morte della ragazza ben presto si trasferisce sulla sua persona, su quello che ha fatto, su chi amava e sugli oggetti che ogni giorno toccava con mano. Il tenente scopre con sconcerto di ritrovarsi molto più spesso del solito sulla scena del crimine, l'appartamento di Laura, e di provare un sentimento nuovo verso la vittima: in parole povere, si innamora perdutamente di una donna che non ha mai incontrato dal vivo e che mai più potrà conversare con lui. Solo la compagnia di Waldo lenisce il dolore e l'emozione che McPherson sente crescere sempre di più nel suo cuore e che non vuole ammettere nemmeno con se stesso; Lydecker, un tempo innamorato anche lui di Laura, lo può capire e compatire. La tensione e i sottintesi tra i due cresce sempre più finché, al termine di una cena elegante da Montagnino, in un'atmosfera carica di umidità e un temporale in arrivo, McPherson decide di tornare all'appartamento di Laura per tentare una volta per tutte di scacciarla dalla sua mente; non sa ancora che presto riceverà una grossa sorpresa... La prima di una lunga serie, poiché le sue indagini sul delitto solleveranno ben presto molti interrogativi e metteranno in dubbio non solo i tormenti della coscienza, le oppressioni e le inquietudini di una società che non riesce a trovare un riscatto dagli abissi in cui è caduta, ma pure i sospetti che McPherson sviluppa sull'uccisione della ragazza. Chi ha mentito e aveva interesse a sopprimere una donna indipendente come Laura Hunt?

Dana Andrews (Mark McPherson) osserva il ritratto di
Gene Tierney (Laura Hunt) nel film "Vertigine"

Nel corso degli anni, "Laura" ha riscosso un successo enorme, in parte influenzato dal fatto che la sua storia è stata trasposta in molteplici forme: non solo come romanzo, ma anche film cinematografico, opera teatrale, addirittura in campo musicale grazie al tema che porta il nome della protagonista e che è stato inciso da Frank Sinatra, tra gli altri grandi interpreti. Eppure, una tale celebrità non si può spiegare solo con questa motivazione; si farebbe un grande torto a quest'opera che, a mio parere, non si può ingabbiare nel solo genere giallo. Certamente, "Laura" appartiene in qualche modo al sottogenere delle women in jeopardy: in esso troviamo i tratti fondamentali che pioniere come Mary Roberts Rinehart e Mignon G. Eberhart inserirono per prime nei loro mysteries, quali la presenza di una fanciulla in pericolo (anzi, addirittura eliminata prima dell'inizio della storia!), di un eroe che fa di tutto per salvarla o comunque darle giustizia, di una cerchia attorno alla figura della protagonista in cui si annidano individui senza scrupoli che tentano in innumerevoli modi di danneggiarla. Tuttavia, nonostante questi aspetti della storia, non possiamo fare a meno di notare come Caspary abbia dato una direzione personale e innovativa al caso dell'omicidio di Laura Hunt. In sintesi, ha compiuto un processo che è stato ripreso dalla seconda generazione di autrici discepole della scuola delle "donne in pericolo": quello di esaltare l'uno o l'altro dei topos di questo tipo di sottogenere narrativo, in base al proprio estro creativo e alle esigenze necessarie, oltre a sviluppare il circoscritto ambiente aristocratico in un campo d'azione più ampio, spesso medio-basso, popolato di personaggi meno artificiosi e vicini al sentire dei lettori. In particolare in "Laura", Caspary ha tratteggiato una storia che non si limita ad essere un caso poliziesco, ma sconfina in uno studio mirato dell'indagine del sentimento dei protagonisti dal punto di vista psicologico ed emozionale, dando vita a un romanzo che può essere letto secondo più livelli di comprensione. Quello che le interessava non era tanto lo scrivere un giallo di suspense, quanto qualcosa che riuscisse ad andare oltre la mera indagine delle scena del crimine. Sfruttando l'espediente del racconto secondo più punti di vista "interni" (su consiglio di un amico) alla maniera di Wilkie Collins, l'autrice ha sopperito alla semplicità della trama (a parte un colpo di scena più o meno a 1/3 del libro) sondando in profondità l'animo dei suoi protagonisti. È in questo che "Laura" esprime al meglio tutto il suo potenziale, non in sorprendenti salti mortali nell'esposizione delle vicende.

Grazie alla narrazione in prima persona, Caspary ci permette di entrare in contatto con la parte più viva dei suoi protagonisti, di avvicinarci alle emozioni che provano nei confronti della vittima e di sfiorare le loro più recondite paure e segreti. Essi rivelano e nascondono di volta in volta i sentimenti che li travolgono, ci fanno immaginare come debbano sentirsi, lasciano trapelare piccoli indizi che possono costituire prove aggiuntive ai nostri sospetti sul loro conto. Si tratta di un'espediente che, nel giallo tradizionale britannico, ha trovato il suo massimo esponente in "L'Omicidio è un Affare Serio" e "Il Sospetto" di Francis Iles (non a caso quest'ultimo il giallo preferito di Caspary), mentre in quello di stampo americano era stato già impiegato da Cornell Woolrich, nei suoi romanzi pieni di disperazione e sconforto, e sarà usato qualche anno più tardi anche da Charlotte Armstrong in "L'Insospettabile", nonostante la struttura di quel libro sia del tipo inverted e quindi sostanzialmente delineata in modo differente. In quest'ultimo e in "Laura" viene sviluppato l'aspetto noir delle vicende, a discapito della semplice suspense di romanzi come "Il Terrore Corre sul Filo", dove l'importante è mantenere alta la tensione pur senza affrontare ragionamenti troppo impegnativi. Conta fino a un certo punto mantenere la giusta tensione all'interno del racconto, il quale risulta una sorta di miscela tra quello hard-boiled e quello di suspense; sono i temi affrontati e la caratterizzazione dei personaggi che giocano il ruolo principale, dando vita a un'ambiguità che pervade perfettamente ogni loro azione e che, durante la rilettura, salterà agli occhi del lettore. Ecco, forse proprio in questo capovolgimento delle apparenze nei confronti dei suoi protagonisti "Laura" può essere accostato al romanzo di Lucille Fletcher e Allan Ullman: come non trovare una certa affinità, tipica del noir, tra le figure che agiscono in "Il Terrore Corre sul Filo" e quelle nel romanzo di Caspary, nelle quali convivono vittimismo ed eroismo e sono nascosti inquietudine, ambiguità e tormento?

Per il resto, ho riscontrato più affinità con "L'Insospettabile"; sia dal punto di vista stilistico, dove troviamo una narrazione per punti di vista multipli nonostante in "Laura" essa sia più marcata, sia nella trattazione di alcuni temi. In un'atmosfera influenzata da un'ambientazione soffocante, buia e malsana (la metropoli malsana e ostile immersa nella calura estiva del giorno, che trova ristoro solo nella notte in cui avvengono i crimini più efferati, pp. 9, 27-28, 39-43, 48, 71-72, 88-89, 92, 98, 172, 193, 196, 229-231), simile a quella che si respira nella casa di Luther Grandison, il conflitto tra il bene e il male, tra la luce e l'oscurità, gioca una partita infinita e senza sosta in cui si oppongono l'eroina e i suoi sostenitori (Laura e McPherson come Francis, Jane e Mathilda) contro loro antagonisti (Waldo, Shelby, Susan come Grandison e Patricia). Lo snobismo (p. 133) di una classe elevata e quasi aristocratica diventa uno strumento di oppressione sugli indifesi e sui "buoni", e viene dipinto al meglio nei suoi lati peggiori, nelle azioni dei "cattivi" che mettono in luce il marcio insito nel loro animo, non senza sottolineare una forte critica sociale all'opportunismo, alla competizione generatasi tra gli esseri umani per primeggiare e conquistare una posizione di potere, alla disparità e alle contraddizioni. Contraddizioni che sono presenti in innumerevoli aspetti: nella fatale lotta tra la Giustizia incarnata da McPherson e il Male manifestato dall'assassino, in cui il poliziotto si sforza per far trionfare il Bene ma, allo stesso tempo, è sfiduciato e consapevole del fatto che il criminale è solo l'emanazione di una forza che non può e mai potrà essere fermata; nell'immagine da sogno che la vita all'apparenza perfetta di Laura e di chi è considerato "realizzato" suscita nelle menti degli infelici, per poi rivelarsi piena di complicazioni; nelle convenzioni di facciata della società, spesso maschilista e caratterizzata da disparità, in cui si partecipa a una vita dove l'eleganza di cene, cocktail, sale da concerto è tanto esaltata quanto fatua, dal momento che in questa finzione irrompe un brutale omicidio; in un edonismo ricercato e bramato, in cui il sentimento e le emozioni selvagge e passionali dovrebbero lasciare il posto a una società intellettuale e dedita alla bellezza fine a se stessa, ma la gelosia e l'odio l'avvelenano senza scampo. Edonismo che, tra l'altro, viene criticato aspramente da Caspary, la quale lascia sottintendere con chiarezza come ci sia ben di meglio della bellezza esteriore e del sentimento fugace che essa può suscitare.

Però è soprattutto l'amore, motore di "Laura" e fulcro attorno al quale si snodano le sue vicende, a rappresentare la contraddizione suprema (pp. 19-22, 43-44, 48, 54-55,60-61, 68-69, 75-81, 94-97, 99-100, 104-109, 135-136, 141-143, 145, 148, 171, 178-180, 184-185, 193-196). È quell'elemento che rende Laura desiderabile sopra ogni altra donna le si trovi accanto, ma la incatena a una condizione di inferiorità nei confronti dell'altro sesso; è la molla che dà vita a uno degli equivoci più grandi all'interno del romanzo, senza il quale non ci sarebbe stata alcuna vittima nell'appartamento della protagonista; è la rovina del colpevole, ma anche ciò che gli permette di elevarsi tra gli altri esseri umani simili a manichini; è la salvezza di McPherson, perso nel cinismo della società e nella propria individualità, ma anche il motivo per cui rischia di fallire nella sua indagine, poiché influenzato da esso; è l'elemento che rende ciechi e che, allo stesso tempo, permette di vedere oltre le apparenze quando decidiamo di scacciare le illusioni. Oltre a tutto questo, come dicevo, l'amore è anche lo strumento attraverso cui l'autrice punta il dito contro gli ideali di adorazione della bellezza esteriore sia negli oggetti sia nelle persone, ciò che mette in mostra le debolezze dell'uomo nel bene e nel male, la lente che rivela quello che si nasconde nella psicologia dell'individuo e ne mette in mostra le ossessioni e le paure. Non solo in Laura, donna ambiziosa e consapevole del proprio valore, protagonista e figura centrale del romanzo, ma pure in Waldo, Shelby, McPherson, Susan, l'amore compie un miracolo e, pian piano, fa cadere le maschere che i personaggi portano addosso. Sia dal punto di vista dell'indagine, sia umano. In questo modo, "Laura" non risulta un semplice romanzo giallo, in cui importa soltanto chi sia l'assassino, ma può assumere molteplici forme. Soprattutto, costituisce uno studio del mistero delle pulsioni in tutte le loro manifestazioni: possiamo cogliere come gli attori sulla scena, immersi in un limbo inquieto che è l'insieme dei propri pensieri, considerino in modo diverso l'affetto e i sentimenti con cui devono convivere ogni giorno della loro esistenza, grazie ai diversi punti di vista che restituiscono l'autenticità di ognuno e ci catapultano all'interno della loro testa, così da poter leggere le loro menti come libri aperti. Gli stereotipi di genere vengono messi in discussione e ciò che ricaviamo è un ritratto incisivo della materia prima di cui è fatto l'essere umano, tanto determinato quanto fragile.

Vera Louise Caspary, nata nel 1899
e morta nel 1987
La stessa Vera Louise Caspary fu una ragazza e donna tanto ambiziosa, inquieta e vulnerabile, quanto la protagonista di "Laura". Nata nel 1899 a Chicago, la città dei gangster, da genitori di origine ebrea, manifestò fin da bambina un carattere deciso e vivace. Nonostante l'affetto che li legava, infatti, loro erano gente comune e già piuttosto avanti con l'età nel momento in cui Caspary nacque; pertanto, non stupisce più di tanto il fatto che lei, come osservò in seguito, avesse deciso fin dai dodici anni di "diventare scrittrice e di rendermi indipendente il più presto possibile, talmente la loro vita era triste e noiosa". Così, terminate le scuole superiori, rinunciò ad iscriversi all'università per dare la precedenza a un'istituto per stenografe, dove si diplomò; e nei diciotto mesi successivi passò da un lavoro d'ufficio all'altro cercando un'occupazione che le permettesse non solo di mantenersi, ma anche di scrivere. Non esisteva alcun college per lei; doveva guadagnarsi da vivere. Finalmente, venne assunta come copywriter da un'agenzia di pubblicità specializzata in vendite per corrispondenza, per la quale iniziò a sfornare una quantità enorme di testi che, quando passarono alla forma del romanzo, non si arrestarono fino al momento della sua morte. Tra un pezzo pubblicitario e un corso per corrispondenza fittizio, come le lezioni della scuola di balletto "Sergei Marinoff School of Classical Dancing", iniziò a scrivere non solo per conto proprio, ma pure per il "Trianon Topics", un settimanale di otto pagine dedicato alla danza distribuito nella sala da ballo omonima, il quale le permise di entrare nel giro giusto e di parlare con un sacco di persone differenti; tra cui numerosi giovanotti di bell'aspetto. Caspary fu, in questo senso, molto libera nei costumi: ebbe molti amanti, addirittura prima che arrivasse a seconda ondata del femminismo, conosciuti soprattutto nel suo girovagare per il Greenwich Village di New York, dove nel frattempo si era trasferita per dirigere la rivista "The Dance". Nel 1924, infatti, alla morte del padre, aveva lasciato il lavoro all'agenzia pubblicitaria perché lo considerava troppo monotono e ripetitivo, senza tuttavia dimenticare la madre che manteneva grazie al denaro che incredibilmente riusciva a cavar fuori da una macchina per scrivere articoli. Tuttavia, di nuovo, Caspary si stufò ben presto della direzione di "The Dance" e decise una volta per tutte di occupare le sue energie esclusivamente con la scrittura. Il suo primo romanzo, "Ladies and Gents", venne pubblicato nel 1929 a causa di un ritardo dovuto all'editore, lo stesso anno della sua seconda fatica letteraria, "The White Girl", storia di una ragazza nera del Sud che si trasferisce al Nord e si fa passare per bianca. L'opera venne elogiata da molti giornali afroamericani per il ritratto veritiero che Caspary seppe tratteggiare nei personaggi del libro; forse lei si era ispirata alle ragazze con cui abitava, in una "casa per giovani donne in carriera" la quale avrebbe costituito pure lo sfondo del suo successivo romanzo, "Music in the Street", caratterizzato da una feroce critica sociale alla condizione femminile sottomessa e da cui l'autrice avrebbe tirato fuori pure una versione teatrale, che però risultò in un fiasco totale. Per fortuna, dopo l'esperienza al "Trianon Topics", Caspary aveva iniziato a scrivere per un giornale simile ad esso, una guida all'intrattenimento distribuita gratuitamente negli alberghi dal nome "Gotham Life: the Metropolitan Guide"; pertanto riuscì a restare a galla. Ma la situazione stava degenerando molto in fretta; così, in condizioni economiche ormai disperate, scrisse il suo primo soggetto cinematografico (ambiente col quale era entrata in contatto grazie alle celebrità e ai press agents conosciuti scrivendo per "Gotham Life"). "The Night of June 13th" fu il mezzo con cui iniziò la rinascita di Vera Caspary, dal momento che ella dedicò all'attività di soggettista e sceneggiatrice il successivo quarto di secolo: tra gli altri, scrisse "Les Girls" per G. Cukor e l'adattamento di "Lettera a tre mogli" per J.L. Mankiewicz.

Durante la Grande Depressione, Caspary tornò ad interessarsi in modo attivo alle questioni sociali ed entrò nel partito comunista sotto uno pseudonimo, ma limitandosi alla firma di petizioni e all'ospitare riunioni in casa propria, per poi abbandonare la causa in seguito al patto Hitler-Stalin. Nonostante ciò, la Commissione per le attività antiamericane la prese di mira nel corso della caccia alle streghe dei primi anni '50, costringendola a lasciare New York in favore di Hollywood assieme al novello marito, il produttore austriaco I.G. Goldsmith. Fu laggiù che, nel 1942, scrisse il suo primo mystery e opera più celebrata, "Laura", dal quale l'anno seguente Otto Preminger trasse il film "Vertigine". Per Caspary, alla lavorazione del film furono legati ricordi poco piacevoli, raccolti assieme a molti altri nella sua autobiografia "The Secrets of Grown-Ups": innanzitutto, il regista si ostinò a imporre a tutti i costi il proprio volere sul set e a rendere impossibile la vita di tutte le persone coinvolte, finché non riuscì a vedere esauditi i propri desideri alle proprie condizioni; ma furono soprattutto le modifiche che Preminger intendeva fare alla sceneggiatura scritta da Caspary a generare i dissapori peggiori. Si narra addirittura che una sera, mentre si trovava a cena con alcuni amici, l'autrice abbia aggredito verbalmente e quasi fisicamente proprio Preminger, il quale la stuzzicò con un commento al vetriolo sulla riuscita del suo film nonostante l'inconsistenza dell'opera originaria. In ogni caso, alla fine il regista la spuntò e Caspary rinunciò al suo potere decisionale su "Vertigine", rigettandone la paternità. Questo dovrebbe dare un'idea del carattere di Vera Caspary; carattere che infuse in ogni suo personaggio femminile. Proprio come loro, ella visse un'esistenza alla "Great Gatsby", fatta di feste movimentate (una volta fu persino gettata contro un armadietto di porcellana) e amanti, ma fu comunque dedita al lavoro e alla costruzione di una solida carriera. Nel corso della sua vita, di dedicò a numerosi generi letterari, spaziando dagli articoli di giornale ai testi pubblicitari, dai copioni teatrali alle scenegggiature cinematografiche; fino ai romanzi del mistero, con cui concluse la propria esistenza nel 1987, una volta tornata a New York.

Nonostante non abbia ottenuto una grande fama con giallista, fu proprio in questo genere che Caspary diede grande prova della sua abilità di autrice: si potrebbero citare "Bedelia", l'altro suo grande capolavoro, oppure "La Signora in Visone", "Stranger Than Truth", "The Weeping and the Laughter", "Elizabeth X"... Tutte storie diverse tra loro ma, allo stesso tempo, caratterizzate da elementi comuni. Il linguaggio fu sempre un elemento di primaria importanza; tanto più in "Laura", dove i punti di vista all'interno del racconto spiccano ognuno per un registro stilistico e un dialogo peculiare, proprio come se sentissimo i personaggi esprimere il loro pensieri (pp. 18, 24-27, 49-50, 52-53, 74, 103, 120, 124, 143-144): prima l'umorismo caustico e l'istrionismo di Waldo; poi il resoconto più pacato e prosaico di McPherson, con gli idiomi e lo slang americano privo di volgarità; poi ancora il rapporto su Shelby, dove vengono messi a nudo i suoi difetti; e infine il diario di Laura, nebuloso, amplificato dalle sensazioni della narratrice e fonte di riflessioni sulla figura femminile dell'America degli anni '40. Questo espediente del narratore multiplo, inoltre, impedisce al lettore di considerare veritiero tutto ciò che legge; non si riesce a capire di chi ci si può fidare, con la conseguenza che fino alla fine restiamo nel dubbio, nonostante la scelta del colpevole non sia così sorprendente. La critica sociale, l'ambientazione ostile, il cinismo, il sentimento e i tanti altri elementi di cui ho parlato sopra possono essere considerati come sviluppati in modo comune; però sui personaggi l'autrice ha compiuto un passo in avanti notevole, dando loro una grandissima profondità psicologica ed emozionale. Ho letto che, una volta, il regista Samuel Fuller osservò che tutti noi abbiamo tre facce: quella che conosciamo noi e chi ci sta vicino, quella che mostriamo agli sconosciuti, e quella che appare in superficie quando veniamo presi alla sprovvista. Ecco, Caspary è riuscita a infondere in ogni suo protagonista ognuno di questi volti, tratteggiandoli come pervasi da una profonda inquietudine, in lotta contro nemici folli e insospettabili. Sono reali perché vogliono provare a cambiare le cose, nonostante i fallimenti e il Male che si trovano a toccare in prima persona, sono oscuri e curvi sotto il peso dei tormenti della coscienza.

Sono oppressi dalla società e da se stessi, dalle convenzioni e dagli imprevisti del Destino crudele. Sono coinvolti in un perenne squilibrio tra vittimismo ed eroismo; non solo dal punto di vista delle turbe sentimentali, le quali spingono Waldo a soffermarsi sulla propria debolezza e sull'esagerata importanza degli istinti (considerandoli come se fossero i "veri" enigmi da risolvere per capire come e perché si sia verificato un crimine), ma giocando con le percezioni e gli stati d'animo di tutti gli altri protagonisti, sia Shelby, Susan Treadwell, Diane Redfern oppure McPherson. Waldo è l'immagine dello snob frustrato, il genio del romanzo e uno tra i personaggi più problematici ed interessanti. Egocentrico, presuntuoso, incarna una parte della società malata che Caspary criticava, quella dei dandy vanesi e un po' effeminati, ciechi di fronte alle critiche e convinti di essere divinità che camminano in terra. Editorialista corpulento e arrogante, sguazza nei delitti che discute e si spaccia per quello che al giorno d'oggi definiremo influencer. Si narra che la sua figura sia stata ispirata da Alexander Woollcott, critico teatrale appassionato di crimine, e dal Conte Fosco di "La Signora in Bianco" di Wilkie Collins; ciò che è certo, tuttavia, è che Waldo è in realtà un debole, un individuo indubbiamente colto ma che finge di vivere grandi avventure per sopperire alla propria vita da impotente. Susan Treadwell è una donna vanesia, che si crogiola nella propria condizione di vedova e di indifesa. Gode nel mettere in cattiva luce Shelby, che non ha mai approvato, e insiste nel suggerire che lui abbia qualcosa a che fare con la morte della nipote. Ha influenzato la vita di Laura tanto quanto Waldo e Shelby, ma lo ha fatto usando le proprie doti femminili, insinuando e minimizzando che il suo fidanzato fosse un poco di buono. Sembra un'arpia, ma rivela una certa umanità nel constatare che McPherson sia un uomo diverso da Shelby; in fin dei conti, benché sembri insensibile e gelida, anche lei è vulnerabile alle arti misteriose dell'amore. Shelby, da parte sua, appare come il perfetto Apollo, l'uomo che tutte le donne desiderano, un po' sciocco ma con un fondo di simpatia che lo rende desiderabile. Il fatto che sia ingenuo e povero, inoltre, accresce il fascino esteriore che trasuda, l'immagine del gentiluomo del Sud atletico viene ancor più accentuata. Tuttavia, il tipo di uomo a cui appartiene viene spesso accostato al cacciatore di dote, e ci rendiamo conto di come Shelby sia un fidanzato infedele, un individuo corrotto che desidera i soldi per poter compiacere se stesso e l'amante di turno, così da sentirsi indispensabile e amato. La bellezza fisica non è sinonimo di valore interiore, nel suo caso, poiché sfrutta le proprie doti in modo subdolo e disonesto per circuire Laura, fino a capovolgere la situazione in proprio favore. Tutti costoro, Shelby, Susan Treadwell, Waldo, ruotano attorno alla figura della vittima e vengono accostati al crimine da Caspary almeno una volta, così da suscitare i sospetti di Mark McPherson. Quest'ultimo è disilluso e cinico come i tanti private eye intercambiabili tra loro che si incontrano nei romanzi hard-boiled; però riesce a dimostrare di non essere solo questo. Nonostante non abbia un grado di istruzione elevato, conosce opere letterarie perché le ha lette per diletto; apprezza l'arte e le ceramiche di Waldo, come la buona cucina. Quindi è perspicace, abile, addirittura mediocre nell'inseguire la propria carriera, pur dando prova di una complessità interiore che lo allontana dal cliché dell'uomo duro della scuola americana pulp (non per niente mette in chiaro fin da subito che lui è "uno a cui interessano le facce, prima dei fatti"). Non da meno, dimostra di possedere sentimenti insospettabili e di innamorarsi di una donna che è morta, di un'ideale di cui ha sentito parlare. Un ideale che risponde al nome di Laura Hunt, la bella famme fatale che ha dedicato anima e corpo alla propria indipendenza.

Un bel contrasto, questo; che mette in luce come ella sia travolta dalle emozioni: è fin troppo generosa, perché teme il giudizio del prossimo; è timida, eppure determinata e ambiziosa; intelligente fino a sconfinare nel macchinoso, ma altrettanto affettuosa e leale con gli amici. Ama e odio con la stessa forza, è tanto misteriosa quanto immortale; ma soprattutto è tormentata da se stessa e dall'immagine che gli altri si fanno di lei. Desidera ardentemente imporsi come individuo all'interno della società, perché è consapevole del proprio valore, ma teme di restituire un'immagine troppo sicura di sé che allontani gli uomini, i quali si sentono minacciati (se fosse uno scapolo susciterebbe invece desiderio). Vuole poter decidere se diventare madre, senza sentire sulle spalle la responsabilità di dover farlo. Tuttavia, in modo paradossale si fa manipolare da tutti i suoi conoscenti: da Diane Redfern, la modella che ha assunto per pura carità e che sta sottraendole ciò su cui ha basato la sua vita privata; da Waldo, il quale la strumentalizza come oggetto da poter esibire e che considera alla stregua di una sua creazione; da Shelby, che tesse trame sfruttando la propria influenza sul suo animo. Almeno finché non apprendiamo dal suo diario che ha incontrato un uomo altrettanto pieno di inadeguatezza, pronto ad accettarla nonostante i suoi difetti. A quel punto, Laura non è più un burattino nelle mani dei suoi aguzzini; ha compiuto una metamorfosi fatale, che l'ha cambiata dal ritratto che è appeso sopra la mensola del camino del suo appartamento (pp. 23, 49-50, 59-61, 104-109, 116-118, 127, 129-132, 173-176, 178, 186-187, 189-192, 197, 211-213, 227). "Non sono e non sarò mai legata a nulla che non farò spontaneamente" osserva. Non è più solo bella e insicura, ma ha imparato a convivere con se stessa. Come ha fatto la sua ideatrice, Vera Caspary, allo stesso tempo ambiziosa e passionale. In "Laura", ella ci dimostra come una donna possa essere indipendente e soddisfatta di sé, pur senza rinunciare alle proprie debolezze. "Ho una scarsa memoria per l'angoscia" osservò una volta Caspary, "ma posso ricordare il malcontento e la rabbia impaziente". Pertanto, sfruttò i propri dolori per trasformarli in trionfi; l'essere vittima delle protagoniste dei suoi romanzi non poteva essere la sola condizione a cui esse erano condannate. Laura incarna nel romanzo omonimo questo assioma, e diventa il fulcro sul quale si snodano tutti gli altri elementi, immersi in una continua contraddizione e in un alone di mistero simile alla nebbia dorata del tempo che si ferma. Pur ammettendo che "Vertigine" è un film stupendo, è impietoso accostarlo al libro da cui è stato tratto. Certamente, manca un enigma nel senso tradizionale del termine; ma l'atmosfera rarefatta degli ambienti, spesso notturni e tempestosi, lo stile sognante della narrazione a più voci, i personaggi che entrano ed escono dalle pagine con le loro ossessioni, prima tra tutti la protagonista, danno vita a un mistero differente e rendono "Laura" inarrivabile sotto qualunque forma artistica al di fuori di se stesso. Certamente un romanzo elegante su persone eleganti, un libro "di arguzia e stile insoliti" come disse il critico Julian Symons; ma pur sempre pieno di una malvagità turbolenta e impossibile da rappresentare in video.

Link a Laura su IBS

Link a Laura su Libraccio

Link all'edizione italiana su Amazon
 

Link all'edizione in lingua originale su Amazon
 

Link per il film in DVD su Amazon

venerdì 4 ottobre 2019

11 - "Il Terrore Corre sul Filo" ("Sorry, Wrong Number", 1948) di Lucille Fletcher & Allan Ullman

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 836
Le crime novels, grazie alle loro caratteristiche peculiari, sono prodotti letterari che si adattano molto bene alle trasposizioni in diverse forme di intrattenimento. Infatti, pur nascendo in veste di storie lunghe o di racconti brevi ed essendo apprezzate per la capacità di tenere costantemente alta l'attenzione del lettore, mentre le pagine scorrono sotto i suoi occhi, esse riescono a catturare anche l'interesse degli appassionati di film televisivi e riduzioni radiofoniche quando, grazie a qualche ritocco, vengono trasformate in un'opera teatrale, in forma di commedia o di tragedia a seconda dei casi; in un radiodramma, da recitare davanti a un microfono; oppure in una vicenda raccontata su pellicola, in cui il mistero prende forma fisica e i suoi attori si muovono davanti agli occhi dello spettatore. Tutto sta nel talento dei loro autori, capaci di reinventare qualcosa che essi stessi o altri hanno scritto: tra i copioni scritti per il teatro, ad esempio, uno dei più famosi (e il mio preferito in assoluto) è quello di "Trappola per Topi" di Agatha Christie, tratto dal racconto "Tre Topolini Ciechi" dall'autrice stessa, in cui un variegato gruppo di ospiti si rifugia in una pensione nel bel mezzo della campagna inglese, gestita da una giovane coppia di sposini, per poi scoprire di essere isolati dal resto della civiltà a causa di una furiosa tempesta di neve e prede di un maniaco omicida. Il racconto "originale" rappresenta una tipica prova della Regina del Mistero, poiché capace di stregare il lettore pur senza dilungarsi in descrizioni dettagliate o presentare trame complesse e dense di avvenimenti; la riduzione teatrale, però, conta sull'atmosfera e la tensione generate dal sospetto e dal talento degli attori nel dare l'impressione di ambiguità ad ogni loro gesto, così da sopperire all'impossibilità di un cambio di scena con un racconto giocato maggiormente sulle personalità dei personaggi e le parole che pronunciano. Tra le celebri pellicole tratte da altrettanto rinomati romanzi, invece, a mio parere spiccano "Assassinio sull'Orient-Express" di Sydney Lumet e "Testimone d'Accusa" di Billy Wilder (derivati anche questi da opere omonime della Christie, ma ad opera di sceneggiatori differenti), dove il primo può essere designato come un esempio di adattamento rigoroso della trama letteraria, mentre il secondo mostra come una vicenda, utilizzata per un semplice racconto, possa articolarsi in una trama ben più complessa grazie alla fantasia degli adattatori.

Infine, per quanto riguarda gli adattamenti radiofonici, restano celebri nella storia della crime fiction i pezzi che John Dickson Carr ("I Morti hanno il Sonno Leggero") ed Ellery Queen ("Le Falene Assassinate e altri racconti") scrissero nel corso della loro carriera per questo mezzo di intrattenimento: vicende tese, capaci di dare più di un brivido grazie all'uso di attente e sapienti voci che si spandono nell'aria. Proprio la suspense, a mio parere, si è rivelata essere un carattere fondamentale di queste tre forme di svago; non c'è dubbio, infatti, che sia grazie ad essa che gli sceneggiatori e i drammaturghi riescano a tenere incollati gli spettatori e gli ascoltatori alle loro poltrone. Uomini e donne come Alfred Hitchcock e gli autori sopra citati capirono ben presto come far leva sulle emozioni dell'essere umano, e di conseguenza crearono delle situazioni dove esse venivano solleticate di continuo, come in film quali "La Signora Scompare" e "Psycho", oppure commedie del tipo di "L'Ospite Inatteso", "Il Rifugio" o "La Tela del Ragno" della Christie. Nel 1948, in America, anche una scrittrice di gialli radiofonici decise di scrivere un'opera di questo tenore, traendo ispirazione da un pezzo che aveva precedentemente composto, in seguito a un casuale incontro per la strada. Il suo nome era Lucille Fletcher, e il risultato dei suoi sforzi fu "Il Terrore Corre sul Filo" (Classici del Giallo Mondadori n. 836 del 1999), una vicenda in cui dominano gli elementi del giallo delle women in jeopardy, come la caratterizzazione psicologica dei personaggi e il senso dell'ambientazione essenziale ma d'atmosfera, la quale divenne ben presto oggetto dell'attenzione della Paramount (la quale ne fece un film di successo con Burt Lancaster e Barbara Stanwyck).

Articolo di presentazione del film "Il Terrore Corre sul Filo",
tratto dall'omonimo romanzo dal regista A. Litvak
La storia si svolge nell'arco di un paio d'ore di una calda serata estiva a New York, durante le quali Leona Stevenson, una ricca donna nevrotica e inferma, tenta con ogni mezzo di mettersi in contatto col marito che tarda a rincasare. Lei si trova in casa da sola, poiché le domestiche hanno ottenuto il permesso di uscire, e non si sente per niente a proprio agio, imprigionata tra le quattro mura della sua camera da letto, pur possedendo un telefono pronto ad esaudire qualunque chiamata intenda fare; tanto più che tale apparecchio risulta inutile, poiché il suo Henry si ostina a non rispondere dalla linea del proprio ufficio, che lei continua a farsi passare dalla telefonista di turno. Nel corso della sua vita, Leona ha sempre evitato qualsiasi responsabilità le si sia parata davanti e ha sviluppato un carattere capriccioso e sgradevole, peggiorato da una malattia che l'ha resa attenta solo ai propri desideri e sorda a quelli della gente intorno a sé; quindi non capisce perché le addette al centralino non vogliano esaudire le sue richieste per contattare Henry e monta nei loro confronti ridicole accuse, con un'arroganza cieca alle difficoltà che loro vanno incontro per soddisfare i suoi bisogni. Henry non la farebbe mai agitare in modo simile, quindi deve essere colpa loro se lui non le risponde. Infastidita dalla faccenda, la signora Stevenson decide di assillare le povere impiegate finché la sua richiesta non sarà realizzata; finché, quando chiede per l'ennesima volta di essere messa in contatto con suo marito, all'improvviso all'altro capo del telefono risponde una voce: che sia Henry, finalmente? Ben presto, però, Leona realizza che a parlare non è suo marito, ma un individuo di nome George il quale, insieme a un altro tale e ignaro che un'estranea si sia infilata nella loro linea, sta progettando nientemeno che un omicidio a sangue freddo, ai danni di una sconosciuta.

Allarmata e consapevole di aver ascoltato una minaccia reale, la signora Stevenson tenta di scoprire l'identità del fantomatico assassino con l'aiuto delle telefoniste e, in seguito, di dare l’allarme presso la polizia, ma nessuno vuole credere alla fantastica storia di un’isterica apparentemente confusa come lei. Inoltre, il tempo passa e Henry, l'unico che potrebbe aiutarla a salvare la vita della sconosciuta destinata a morire, tarda ancora a tornare. In un disperato tentativo di capire cosa gli sia successo, Leona interpella la segretaria del marito e scopre che lui ha staccato prima dal lavoro per uscire con una giovane donna, la signora Sally Lord. Forse si tratta di un'amante; in quel caso, la signora Stevenson decide che deve saperne di più e, accecata dalla gelosia, si mette in contatto con questa supposta rivale in amore, scoprendo in lei una vecchia amica. Che coincidenza! Però è un caso anche che il signor Lord sia un investigatore e che sia sulle tracce di Henry? In un crescendo di tensione, tra boccette di sali e medicine prescritte dai dottori, la curiosità di Leona cresce e il suo umore volubile degenera sempre più, mentre apprende fatti sorprendenti sul marito e il telefono continua a squillare nel silenzio della grande casa vuota, portando con sé storie di sventura e di morte. Riuscirà a guarire se stessa e, in una disperata corsa contro il tempo, a cambiare un destino che sembra già segnato prima del frenetico finale della notte?

Il Terrore Corre sul Filo", per quanto mi riguarda, occupa un posto singolare all'interno della narrativa di genere, poiché rappresenta un'insolita variazione del giallo delle women in jeopardy, e incarna alla perfezione il concetto di paradosso. Di norma, in ogni giallo che si rispetti almeno un aspetto dell'indagine si rivela essere il contrario di quanto si credeva in realtà (la vera natura del colpevole, soprattutto); stavolta, invece, gli elementi che si vengono a capovolgere sono molto più numerosi. La sua forma, gli atteggiamenti dei personaggi, lo stile, l'ambientazione; tutto quanto appare normale a prima vista, alla fine si rivela ribaltato. Ad esempio, il romanzo non è molto lungo: conta meno di 130 pagine e si può tranquillamente leggere in una sola notte; eppure, a conti fatti, riesce comunque a provocare una sensazione forte nel lettore, allo stesso modo del film nello spettatore, come se si estendesse ben oltre i suoi confini materiali e invadesse altre aree. Inoltre, ci aspetteremmo che la resa finale non sia più di tanto valorizzata da questa brevità, quando invece è indubbio che lo svolgimento "in tempo reale", tra la 21:30 e le 23:15, riesce a conferire un ritmo irresistibile a una trama la quale, pur stringata, scorre davanti ai nostri occhi come se fosse una pellicola, con le intestazioni dei capitoli in forma di orari che scandiscono il numero di minuti rimanenti all'assassino per colpire. In questo caso, pertanto, la brevità diventa un carattere a favore dello svolgimento, in cui contano soprattutto l'urgenza e il senso di tensione, e la profondità del carattere di Leona e degli altri personaggi non viene sacrificata a vantaggio della frenesia; anzi, ci permette di conoscere i tratti essenziali di tutti i protagonisti senza dilungarsi troppo.

A questo proposito, poi, troviamo un nuovo aspetto paradossale di "Il Terrore Corre sul Filo", che riguarda la personalità di tutti gli attori sulla scena. La nevrotica protagonista (pp. 7-10, ma non solo), circondata dal lusso e dal potere, antipatica fin dall'inizio al lettore per il suo carattere viziato e noioso, astuta e instabile, alla fine risulta essere una vittima chiusa come in una gabbia dorata (pp. 22-23), bisognosa di affetto e che trascorre l'esistenza come in un carcere, tradita dai familiari e dalla falsa concezione del mondo che è andata costruendosi nel corso della vita; suo padre, Jim Cotterell, da potente affarista e pragmatico uomo d'azione, degno della stima dei suoi pari, si rivela essere uno zerbino e il tipico esempio di sprezzante e ottuso parvenu, convinto che solo il denaro faccia la felicità e che gli affetti siano superflui (pp. 24-28); la signora Jennings, zelante segretaria sul posto di lavoro, lascia emergere una natura pettegola che la fa paragonare a un uccello non solo nella descrizione (pp. 30-35); Henry Stevenson, all'apparenza intelligente e integerrimo vicepresidente della società di Cotterell, in realtà dimostra di essere ingenuo, vanesio (pp. 100-101), spregiudicato, orgoglioso, molto determinato e troppo esigente; Sally Lord sembra una dolce madre di famiglia, ma non prova alcun rimorso nell'abbandonare Leona all'incertezza sul destino del marito (p. 68), come pure Mr. Evans, il quale nasconde una natura debole e la coscienza sporca dietro futili scuse (p. 93). Tutti costoro, insomma, appaiono agli occhi del lettore sotto una certa luce la quale, man mano che il tempo scorre e le 23:15 si avvicinano, cambia e li trasforma negli opposti di quanto credevamo, tanto da farci affezionare anche alla protagonista, nonostante i suoi difetti, e a condividere i suoi timori nel parossismo di tensione che genera la trama.

Fino alla fine restiamo accanto a Leona, ci poniamo i suoi stessi quesiti, proviamo il suo enorme egoismo (tema centrale del romanzo, assieme a quello della famiglia malata e dei rapporti che ne scaturiscono (p. 24-26), raccontati da Charlotte Armstrong in opere come "L'Insospettabile"), seguiamo il suo cammino verso una vita irrealizzabile e assurda, nutriamo pietà per lei, scaviamo nella storia grazie alle sue telefonate e ai numerosi flashback, che ritraggono gli ambienti con essenziale cura, e ricaviamo scampoli di un'esistenza futile e infelice e le informazioni che lei stessa ottiene dai suoi interlocutori, alla ricerca di un omicida che prima o poi, ne siamo certi, dovrà pur comparire sulla scena. E invece, cosa quasi impossibile in un romanzo dove i ladri e gli assassini sono necessari per la riuscita finale del prodotto, questo colpevole non si vede (quasi) mai: non sappiamo nulla di lui, non abbiamo alcuna descrizione fisica e, anche al momento in cui egli entra in scena, ci viene fornito come carattere distintivo soltanto la sua voce roca. Ecco un altro aspetto paradossale di questo piccolo capolavoro della suspense: probabilmente l'idea di usare tale connotato intangibile è derivato dal fatto che "Il Terrore Corre sul Filo" sia nato come pezzo radiofonico; tuttavia, bisogna ammettere che esso si è dimostrato un originale espediente per contraddistinguere questo romanzo del mistero (e il suo omicida) dai suoi numerosi compagni. E se l'uomo che sferra l'attacco fisico resta nell'ombra, il mandante (l'individuo di cui George e l'altro tizio parlano quando Leona intercetta la loro telefonata) appare chiaro fin dall'inizio, almeno agli occhi dei lettori smaliziati dei nostri giorni; un doppio paradosso, forse inconsapevole, ma che non influisce sulla resa finale del libro, come pure in quella del film di Litvak. Anche in quel caso, infatti, il "colpo di scena" non sortisce gli effetti che deve aver prodotto negli anni '50, quando entrambi vennero presentati al pubblico, poiché nemmeno la pellicola ci mostra mai come sia in realtà il fantomatico George; eppure non posso fare a meno di pensare che tutti e due restino una prova superba di quanto si possa fare per produrre grandi risultati, pur impiegando pochi mezzi, e rappresentino opere esemplari in entrambi questi campi.

Lucille Fletcher, nata nel 1912 e morta nel 2000
Non bisogna dimenticare, però, che "Il Terrore Corre sul Filo" nacque come radiodramma e anche in quel caso guadagnò ampi riconoscimenti. Facente parte della serie "Suspense", tra il 1943 e il 1960 venne ripreso ben sette volte, con protagonista Agnes Moorehead ogni volta (l'attrice resta famosa per la sua collaborazione con Orson Welles, il quale la fece debuttare sul grande schermo come la madre di Charles Foster Kane, il protagonista del suo capolavoro "Quarto Potere", ma anche per le interpretazioni in "Piano... piano, dolce Carlotta" di Robert Aldrich e nella sitcom "Vita da Strega"). Lo stesso Welles definì il copione del dramma come "la più grande sceneggiatura di un singolo pezzo radio di tutti i tempi", e oltre alla trasposizione per il grande schermo (che ottenne una nomination all'Oscar per la Stanwyck), esso fu adattato nel 1959 e vinse un premio Edgar. Insomma, ottenne un successo a dir poco strepitoso, se si pensa che la sua autrice ebbe il cosiddetto "lampo di genio" mentre si trovava in un negozio di generi alimentari. Lucille Fletcher (1912-2000) nata a Brooklyn e moglie del celebre compositore Bernard Herrmann, infatti, stava aspettando il suo turno in coda e, come ha raccontato una delle sue figlie, fu colpita dall'atteggiamento rude e scostante che una donna vestita di visone aveva assunto nei confronti delle altre persone. Da quell'incontro casuale nacque l'idea di usare come protagonista una signora maleducata e insopportabile, ma con crucci segreti, la quale venne umanizzata ma non ammorbidita dalla stessa Fletcher e dal suo collega Allan Ullman (1908-1982) nella figura di Leona Stevenson: ciò che rimase dai loro sforzi congiunti fu una persona reale e viva, ma che giaceva da sola nell'oscurità, in preda alla paura della Morte. In seguito, Lucille Fletcher si impegnò a scrivere altri drammi radiofonici e dieci romanzi, tra cui "La Morte aveva i suoi Occhi" e "Ossessione Senza Fine", mentre Ullman divenne editore e scrittore di libri a nome di Sandy Alan; tuttavia nessuno dei due ottenne tanto successo come con il frutto della loro prima collaborazione. "Il Terrore Corre sul Filo" è una variazione perfetta del thriller sullo stile di quello di autrici come Rinehart ed Eberhart, in cui tutto si svolge in pochissimo tempo e spazio, che mette in luce le illusioni di una donna degli anni '40 in un mondo ostile, che nutre desideri impossibili (pp. 77-80) e vuole soltanto raggiungere la felicità senza sacrificare nulla (pp. 53-54, 68, 81), e immerso in un clima di tensione ben poche volte raggiunto o superato da altri libri di questo genere. Consigliato per una lettura a letto, con luci abbassate e totale silenzio: ne vale davvero la pena, credetemi.

Link all'edizione italiana su Amazon
 

Link al film in DVD su Amazon