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venerdì 5 febbraio 2021

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Febbraio 2021)

Cari amici dell'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario, bentornati da queste parti. Spero che il vostro inizio dell'anno sia stato migliore del mio, dal momento che il mio umore non è dei più alti. Spero con grande forza che questo mio piccolo blog possa permettermi di rendermi sempre più indipendente e che mi dia tante soddisfazioni, visto che spesso sugli altri fronti le cose non sempre vanno come io desidererei. Ma bando alle ciance, non ho certo voglia di annoiarvi con ciò che mi affligge personalmente; siete qui per un altro motivo: essere consigliati sulle nuove uscite di genere giallo nelle edicole e nelle librerie, italiane e internazionali. Prima di fare ciò, tuttavia, lasciatemi annunciare che Three-a-Penny, proprio per permettermi di farmi conoscere il più largamente possibile, è sbarcato con qualche mese di anticipo pure su Instagram (questo il link alla pagina, alla quale vi invito ad iscrivervi per restare sempre aggiornati sulle novità del blog). Entro l'estate spererei di riuscire ad avere un buon numero di nuovi lettori interessati per Three-a-Penny; per cui, se vorrete spargere la voce e condividere un po' dappertutto quello che faccio qua, ve ne sarò molto grato. Come avrete capito, ho intenzioni più che serie ma, se non avrò fortuna, sarò costretto a concentrare le mie energie su altri fronti e a ridurre le pubblicazioni di post. Bene, concludo questo momento di autopromozione augurandovi buona lettura e inizio con i consigli del mese di Febbraio.

Per prima cosa, vi segnalo l'uscita di ben tre nuovi Bassotti, messi in vendita da Polillo/Rusconi. Si tratta di quei titoli che da lungo tempo la casa editrice si sta portando dietro, un po' a causa della pandemia che ha rallentato i normali tempi di pubblicazione, un po' per la triste scomparsa di Marco Polillo alla fine del 2019. Più precisamente, abbiamo "Il Crimine del Secolo" di Anthony Abbot, "Delitti al College" di Clifford Orr e "Delitto in una Camera Chiusa" di Michael Crombie. Vediamoli uno per uno.

Copertina di "Il Crimine del Secolo"
pubblicato da Polillo
"Il Crimine del Secolo" è la seconda opera di Anthony Abbot, scrittore di mystery statunitense il cui vero nome era Charles Fulton Oursler, che Polillo pubblica nella sua collana. Già presentata ai lettori italiani nella versione dei Classici del Giallo Mondadori sotto il titolo "L'Amante del Reverendo", essa narra del tragico ritrovamento di due cadaveri su di una barca che scende l'East River, il fiume di New York, in un afosa giornata di inizio estate. Di per sé, già questo basterebbe per turbare gli animi delle persone che si sono ritrovate invischiate in questo fattaccio; ma le cose sono ancora più complicate di quanto sembri a prima vista. La donna, infatti, è stata uccisa con un colpo di pistola al cuore e addirittura quasi decapitata, mentre l'uomo dall'aspetto mite, con un foro di pallottola sulla fronte, indossa nientemeno che gli abiti talari. Pertanto, non ci vuole poi molto a capire come egli non sia un individuo qualunque, ma il parroco di una chiesa episcopale. Che scandalo, che un sacerdote devoto alla Chiesa si sia macchiato di un crimine orrendo come quello! Perché, come appare chiaro agli inquirenti, le apparenze farebbero pensare a un caso di omicidio-suicidio, compiuto proprio dall'uomo. Tuttavia, la fretta è cattiva consigliera e la polizia vuole andarci piano. Innanzitutto, cosa ci faceva mai un parroco in compagnia di quella che si rivelerà essere una ballerina di fila? La risposta a questa domanda è molto importante; non solo perché potrebbe sollevare un polverone ancora più grosso sulla reputazione dell'uomo, ma anche per il fatto che nella barca (nuova di zecca, tra l'altro) è stato ritrovato un foglio di carta appallottolato: ovvero, una lettera d'amore inviata da un "lui" a una "lei". Sembra proprio che sia parte della corrispondenza che i due cadaveri si sarebbero scambiati... Oltre al foglio, per la sorpresa della polizia, sulla barca si trova pure un gatto con le zampe sporche di sangue; forse ha assistito al delitto? Può darsi, ma allora dove è il sangue su cui si sarebbe macchiato i piedi? Quello sulla scena del crimine è solo sui corpi. Toccherà a Thatcher Colt, capo della polizia investigativa della città, trovare la risposta a tutte queste domande. Come il resto della produzione di Abbot, anche questo romanzo si inserisce nella serie di romanzi gialli nati sul solco dell'esempio dato da S.S. Van Dine, pur concentrandosi più sul police procedural e su uno spiccato senso per la violenza (basta vedere come sono stati mutilati i cadaveri). Un ottimo mix tra giallo classico e hard-boiled.

Copertina di "Delitti al College"
pubblicato da Polillo
Il secondo romanzo pubblicato da Polillo, "Delitti al College", ci fa restare ancora in America. Infatti, la storia è ambientata al Dartmouth, uno di quei prestigiosi college che punteggiano una vasta parte del territorio degli USA, dove un diabolico assassino ha deciso di turbare il quieto vivere degli studenti e dei professori. Il clima di serena operosità viene spezzato in un grigio mattino di pioggia, quando il giovane Kenneth Harris viene svegliato alle sei del mattino da uno strano rumore alla finestra. Infastidito, si alza e si avvicina al vetro per scoprire cosa stia provocando quel fastidioso ticchettio, misto alle gocce che cadono dal cielo... e scopre con sconcerto il cadavere del proprio compagno di stanza, Byron Coates, appeso per il collo a una corda fissata all'esterno della finestra. L'orrenda immagine lo lascia senza parole: il pigiama di Coates è fradicio e il rumore proviene dai piedi nudi dello sventurato giovanotto ormai al di sopra delle tribolazioni umane. Dopo aver avvertito la polizia, Kenneth si fa da parte e osserva l'operato degli agenti, i quali sembrano propendere per l'ipotesi abbastanza chiara di un suicidio, dovuto allo stress scolastico e ad altre preoccupazioni che affliggevano la vittima. Eppure, ben presto, si affaccia una nuova teoria alla mente degli inquirenti: omicidio. Le indagini, quindi, riprendono con forza e gli eventi si susseguono, mente Harris si mantiene ai margini del cerchi di sospettati... finché non si aggiungono altre due misteriose morti all'elenco dei tragici eventi accaduti a Dartmouth. A quel punto, un Kenneth sempre più perplesso ma determinato a scoprire la verità si ritrova ad interrogare le persone che gli stanno intorno, in questo clima di macabro incubo. Addirittura suo padre, legale e autore di romanzi del mistero giunto sul posto per contribuire alla cattura dell'assassino, figura tra i probabili sospettati. Come andrà a finire? Per saperlo, vi basterà leggere questo romanzo che fu l'esordio nel genere per Clifford Orr, autore di testi da musical e di canzoni (una delle quali portata al successo da Doris Day), giornalista e romanziere divenuto celebre per lo straordinario "La Casa sulla Scogliera", tratteggiato sulla falsariga dell'opera di John Dickson Carr.

Copertina di "Delitto in una Camera
Chiusa" pubblicato da Polillo
Infine, ultimo titolo in pubblicazione da parte di Polillo: "Delitto in una Camera Chiusa" dello scozzese James Ronald, che qui si firma come Michael Crombie. Dopo essere tornato in Inghilterra in seguito a un periodo trascorso all'estero, Alan Napier intende riprendere in mano i legami che si è lasciato alle spalle e tornare a rivedere gli amici persi di vista, tra i quali figura un suo vecchio compagno di scuola, tale Eric Winter. Mentre osserva la costa avvicinarsi dal ponte della nave, Napier pregusta già tutto quello che ha intenzione di fare di lì a poco; eppure, il destino ha altro in mente. I suoi piani, infatti, vengono stravolti quando, una volta attraccata l'imbarcazione, Alan riceve una lettera da parte di Patricia Winter, la sorella del suo amico, la quale gli annuncia con costernazione il decesso improvviso del fratello. Ma non è tutto qui: la ragazza nutre dei sospetti precisi sulla causa della morte di Winter e accusa di omicidio lo zio Godfrey, nonostante non abbia alcuna prova a suffragio della sua convinzione. Dapprima Napier non riesce a crederci; è tutto troppo fantastico! Tuttavia, piano piano, inizia a scoprire alcuni elementi di sospetto sul conto dell'uomo: Godfrey, infatti, è certo un brillante avvocato, ma pure un forte scommettitore sui cavalli che conosceva bene a chi sarebbe andato il denaro di Eric alla sua morte: proprio a lui. Peccato solo che il decesso sia stato certificato da un medico insospettabile come naturale. In ogni caso, ben presto si verificano altre due morti, delle quali una all'interno di una camera ermeticamente chiusa per mezzo di un paio di forbici. Difficile si sia trattato di un suicidio; ma allora, come è stato compiuto il crimine? Seguite questa storia ideata da Crombie, inglese trapiantato in America e autore di opere di vario genere, per scoprire come sono andate le cose.

Copertina di "Linea Retta"
pubblicato nel Giallo Mondadori
Per quanto riguarda il Giallo Mondadori da edicola, invece, questo mese di febbraio offre un titolo a testa in entrambe le collane dell'editore. Per la Serie Regolare, ritroviamo un autore italiano che ha saputo raccogliere l'interesse del pubblico attento al giallo classico, pur declinando le sue opere in chiave moderna: Enrico Luceri, il quale stavolta presenta "Linea Retta". Si tratta di una storia incentrata sulla morte di Roberto Salazar, un celebre agente letterario italiano il quale viene ucciso da un auto pirata mentre attraversa la strada per buttare la spazzatura. Nonostante le apparenze facciano supporre che si tratti di un tragico incidente, d'altra parte le coincidenze sono un po' troppe, se sommate insieme, e il fatto che gli elementi del caso mettano in luce alcuni aspetti poco conosciuti della vita dell'uomo, fanno presagire al commissario Tonio Buonocore che forse nell'esistenza di Salazar e nel suo passato possano nascondersi moventi fin troppo validi per la sua morte. L'agente letterario, infatti, era un uomo cinico e abile, invidiato e temuto da molte persone, addirittura odiato. Sono in troppi ad aver desiderato la sua dipartita, e man mano che i fatti emergono il quadro di fa sempre più complesso: la giovane seconda moglie, un figlio con il quale non aveva più rapporti da anni, i collaboratori ambiziosi e gli autori insoddisfatti che popolavano il suo mondo; tutti loro sono sospettabili della sua morte. Paradossalmente, Buonocore si rende conto di come tutti quanti siano legati tra loro (e a Salazar) da una serie infinita di linee rette; ma è sempre la via più breve quella giusta da percorrere per trovare il bandolo di una matassa? Forse bisogna indagare su rapporti più complessi, che mettano in luce come le linee rette siano, quando viste da vicino, composte da tante piccole curve... e da altre morti, avvenute in passato. Storia intrigante, non è vero? Sappiate che, oltre al romanzo, all'interno del volume si trova il racconto "Il tempo presente. Io e il commissario Buonocore" sempre dello stesso autore; oltre alla nuova puntata della rubrica "La storia del Premio Tedeschi". Vi consiglio di dare una possibilità a questo autore.

Copertina di "Il Volto Macchiato"
pubblicato nei Classici del Giallo
Mondadori
Nei Classici del Giallo, invece, questo mese troviamo una vecchia conoscenza per il lettori di "Three-a-Penny": R.A.J. Walling, autore di "Il Cadavere in Pantofole Rosse", il quale torna nella collana da edicola dopo tantissimi anni di assenza con "Il Volto Macchiato". Si tratta di una di quelle che vengono chiamate "Palmine", ovvero quei gialli del primo Dopoguerra che recavano in copertina proprio l'immagine di una palma e che sono molto ricercati dai collezionisti. Finalmente, Mondadori ce l'ha riproposta comodamente. La storia parte con la risoluzione di un caso di persona scomparsa che Philip Tolefree, investigatore privato a tempo perso, ha messo a punto a tempo di record. Niente di strano, vero? Peccato solo che l'individuo in questione sia morto stecchito. Il cadavere del banchiere Benjamin Broadall, infatti, è stato rinvenuto nel suo ufficio di Londra, strangolato brutalmente e con il contenuto della grande cassaforte sparso dappertutto, come se tra le quattro mura si sia scatenato un uragano improvviso. Abbiamo un calamaio rovesciato, inchiostro sparso sui fogli e tante monete gettate a terra... Inoltre, il volto della vittima è anch'esso macchiato di nero. L'ispettore Pierce di Scotland Yard viene convocato sul posto e, affiancato da Tolefree, inizia subito a darsi da fare. Un enorme problema, tuttavia, si staglia subito sul percorso che i due devono compiere: i sospettati del delitto sono davvero tanti. Abbiamo la figlia del banchiere, assieme ai suoi innumerevoli corteggiatori; un nipote squattrinato; una devota segretaria che forse nasconde qualche segreto dietro alla facciata di rispettabilità; uno squallido portiere dall'atteggiamento equivoco; un'amabile vedova che avrebbe un valido motivo per essere contenta; il tradizionale amico di gioventù col quale Broadall ha condiviso tante avventure; addirittura il figlio dello stalliere! Tutti costoro avrebbero avuto un motivo valido per l'uccisione del banchiere, ma nessuno possiede il movente convincente per un atto tanto spregiudicato. Tolefree ne è convinto. Eppure, qualcuno deve essere stato: allora che ci sia qualche segreto oscuro che nessuno ha il coraggio di rivelare? Lo scoprirete leggendo questo romanzo giallo, che vi consiglio di non lasciarvi scappare.

Copertina di "Murder's a Swine"
pubblicato dalla British Library Crime
Classics
Passiamo adesso ai romanzi gialli in lingua inglese. Come sempre, abbiamo un titolo pubblicato dall'ottima British Library Crime Classics, curata dal critico Martin Edwards. Stavolta tocca a "Murder's a Swine" di Nap Lombard, un autore che vi devo confessare non conoscevo minimamente. Dietro a questo pseudonimo si nascondeva una di quelle coppie che, oltre a condividere una vita intera dal punto di vista matrimoniale, ha sfruttato la propria coesione per dare vita a un sodalizio letterario: Pamela Hansford Johnson e Gordon Neil Stewart, infatti, scrissero due gialli classici sotto pseudonimo all'inizio degli anni '40, dei quali il secondo è proprio il giallo qui riproposto. La sua storia è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale: siamo in una fredda notte invernale, durante uno dei frequenti blackout di cui la capitale inglese è soggetta a causa dei raid aerei tedeschi. Mentre l'investigatrice dilettante Agnes Kinghof sta tornando a casa, assieme a una giovane vedetta antiaerea si imbatte in un cadavere riposto nei muri del rifugio contro gli attacchi nemici, sito nella loro strada, proprio tra i sacchi di sabbia che ne costituiscono la struttura. Non può che trattarsi di omicidio, dal momento che nessuno riuscirebbe ad infilarsi in quella posizione e poi lasciarsi morire; pertanto, la ragazza decide di indagare sul delitto, al fianco della polizia. Eppure, le sorprese non sono ancora finite per quella notte: l'oscurità ben presto viene squarciata da un urlo. A spaventarsi è stata la signora Sibley, vicina di casa di Agnes, la quale ha visto una macabra testa di maiale alla sua finestra del quarto piano. Cosa sta succedendo? Poco dopo vengono rivolte altre minacce da un certo "Pig-sticker", e la vicenda si fa sempre più misteriosa. Cosa che non può fare altro che sollecitare Agnes e suo marito Andrew, i quali decidono di indagare per contro proprio e scovare l'identità di questo personaggio malvagio che si nasconde tra gli inquilini del loro condominio. Come avrete capito, si tratta di un giallo molto spiritoso e spensierato, nonostante sia ambientato in un momento storico di grande tensione, pieno di intriganti dettagli d'epoca e riproposto al pubblico per la prima volta dalla sua prima edizione, nel 1943. Vi divertirà.

Copertina di "Murder at Monk's
Barn" pubblicato da Dean Street
Press
In secondo luogo, torna sulla scena Dean Street Press, l'editore inglese che in questi ultimi anni ha fatto felici tantissimi lettori di classica crime story, grazie alle sue numerosissime pubblicazioni, non solo di genere giallo. Nel mese di febbraio, infatti, questo marchio torna ad arricchire il proprio catalogo con quattro romanzi molto rari, firmati Cecil Waye: di preciso, "The Prime Minister's Pencil", "The End of the Chase", "The Figure of Eight" e "Murder at Monk's Barn". Si tratta di titoli che non vedono la luce da molto tempo, e che appartengono all'opera immensa di un autore che gli appassionati giallisti conoscono molto bene: John Rhode, inventore del logico e scientifico dottor Priestley. Conosciuto pure sotto lo pseudonimo di Miles Burton, egli ha dato vita a questi romanzi nei primi anni '30 del Novecento, prima di diventare un membro celebre del Detection Club; eppure, essi sono titoli comunque molto interessanti. Il primo è incentrato sulla scomparsa del segretario del Primo Ministro inglese, il signor Cuthbert Solway, il quale si è volatilizzato in seguito a una visita presso uno specialista di Harley Street. Christopher Perrin, l'investigatore protagonista, viene interpellato dalla figlia del politico affinché lo rintracci, ed egli si avvale dell'aiuto dell'amico ispettore Philpott per portare a termine il compito assegnatogli. Purtroppo, la caccia termina quando il cadavere di Solway viene ritrovato morto nei terreni di Oldwick Manor, una vecchia casa di campagna legata alla figura di Ethelred Rushburton, il leader inglese. Sono molte le stranezze che circondano questo decesso: innanzitutto, il medico locale non riesce a trovare alcuna causa della morte; ma lo stesso atteggiamento sprezzante di Ethelred lascia sconcertati. Alla fine, la diagnosi è morte causata da una malattia esotica. Come ha fatto Solway ad ammalarsi? Le indagini proseguono con uno sviluppo sbalorditivo e uno degli omicidi più sensazionali del giallo classico della Golden Age... Il secondo, invece, vede Perrin sulle tracce di "Duggie il Fabbro", un criminale sospettato di essere dietro a una grossa rapina. Catturato in Belgio, il criminale confessa il crimine e viene riportato in Inghilterra; ma Perrin non capisce perché lui si sia dovuto recare fin laggiù.

Copertina di "The Prime Minister's
Pencil" pubblicato da Dean Street
Press
Inoltre, tra la folla che ha assistito alla retata c'era un certo Maurus Kaulin, uno dei più abili falsari esistenti. C'è forse un legame tra i due criminali? L'investigatore ha qualche sospetto, così decide di chiedere aiuto al'ex poliziotto di Vienna Johann Barndt affinché lo assista nella scoperta di una probabile rete criminale di scala europea. Saranno coinvolti nobili e poveracci, in questa caccia sul continente, finché Perrin troverà la risposta proprio in Inghilterra, dove tutto è partito. Il terzo romanzo di Waye ci porta su di un autobus londinese, dove una donna sembra dormire profondamente. Sembra... dal momento che è sul punto di morire. Portata all'ospedale, infatti, Lola Martines rende l'anima al Creatore. Nata a Montevideo, un paese del Centro America la cui politica instabile potrebbe portare a una guerra mondiale, sembrerebbe essersi spenta per cause naturali. Tuttavia Christopher Perrin vede del marcio nella vicenda, soprattutto dopo aver appreso dei sospetti di un diplomatico montedoriano. Si sospetta un omicidio, ma come provarlo? Seguono morti e sparizioni che culminano in una cospirazione internazionale. Infine, il quarto ci trasporta nel magico mondo del teatro. L'attore Gregory Wynter viene ucciso a colpi di arma da fuoco attraverso la finestra del suo camerino. Non esistono moventi, né possibilità che il criminale sia fuggito prima dell'arrivo della polizia sulla scena del delitto; eppure, la verità non emerge. Così il fratello del morto chiede aiuto a Perrin, affinché risolva il dilemma, e quest'ultimo di immerge nelle complesse relazioni all'interno della famiglia Wynter. C'entra pure una scatola di cioccolatini, in questa faccenda, ma vi lascio scoprire da soli in quale modo... Insomma, si tratta di quattro romanzi diversi tra loro ma molto intriganti. Se vi ho stuzzicato, provate a dare loro una possibilità.

Copertina di "The Plague Court
Mystery" pubblicato da Penzler
Publishing
Ultimo consiglio per il mese di febbraio, il nuovo titolo di Penzler Publishing, la casa editrice curata dal critico Otto Penzler che riesuma dal dimenticatoio grandi classici del giallo USA. Stavolta tocca a un capolavoro del crime all'inglese, nato dalla penna di un americano trapiantato in Inghilterra: il "Maestro del Delitto della Camera Chiusa" John Dickson Carr. Con "The Plague Court Mystery", infatti, egli diede avvio alla sua seconda serie di mysteries, quella che firmò con lo pseudonimo Carter Dickson. Tutto ruota attorno alla Plague Court del titolo, un'antica residenza avita di proprietà della famiglia Halliday, la quale possiede la cattiva fama di essere una vera e propria casa del mistero. Come racconta Dean Halliday al suo amico Ken Blake, incontrato una sera al club, essa è da tempo disabitata, dal momento che si narra sia infestata dallo spirito maligno di un aiutante del boia dei tempi dell'ultima grande epidemia di peste inglese, tale Louis Playge. Negli ultimi tempi, tuttavia, sua zia Lady Benning e la sua fidanzata Marion Latimer si sono fatte convincere da un medium celebre tra i membri dell'alta società, Roger Darworth, ad esorcizzare questo demone terribile. Halliday preferirebbe lasciare tutto come sta, ma l'ascendente di Darworth sia avendo la meglio su Marion e teme di perderla; così Blake propone all'amico di far controllare quell'individuo dal capitano Masters, un ispettore. Subito i tre si recano a Plague Court, dove la seduta è già in corso e Darworth si è fatto rinchiudere in una casetta di pietra poco distante. Ben presto, nonostante le precauzioni, lo spiritista viene rinvenuto cadavere nella casupola, senza che il terreno fangoso intorno ad essa rechi qualche impronta, pugnalato alle spalle con il pugnale di Louis Playge. Il delitto mette subito in crisi la polizia, così Blake si vede costretto a chiedere l'aiuto di Sir Henry Merrivale, suo ex capo nei servizi segreti e investigatore dilettante, il quale dimostrerà come l'assassinio sia stato compiuto. Tradotto in italiano col titolo "La Casa Stregata" sui Classici del Giallo Mondadori, questo romanzo è una prova straordinaria del talento di Carr/Dickson nel mettere in scena delitti all'apparenza impossibili da spiegare. Altamente consigliato, soprattutto se vi piacciono le atmosfere tenebrose e paurose.

Bene, con questo ho terminato la mia lista di consigli. Come dicevo sopra, se ne avete la possibilità e la voglia, usate i link che metto qui in fondo al post per ordinare i titoli che vi interessano e vi hanno convinto (così ci guadagno qualcosa pure io in termini economici). Inoltre, condividete i post e il blog sui social network. Vi do appuntamento al prossimo mese per altri consigli letterari nel segno del giallo, mentre alla prossima settimana per la consueta recensione. A presto!

Copertina di "I Delitti della Gazza
Ladra" pubblicato da Rizzoli
AGGIORNAMENTO: Mi è stato riferito (grazie Paola!) che il giorno 23 febbraio Rizzoli porterà in libreria la traduzione italiana di "The Magpie Murders" di Anthony Horowitz, col titolo "I Delitti della Gazza Ladra". Si tratta di un romanzo per così dire "moderno", scritto in epoca contemporanea, ma tratteggiato per imitare lo stile del giallo classico in voga nei primi anni del Novecento. Tutti noi sappiamo che non c'è niente che possa battere un mystery tradizionale, con un investigatore acuto, indizi ben disseminati lungo la storia, false piste e colpi di scena; ebbene, ne è convinta pure Susan Ryeland, editor di una casa editrice che pubblica i romanzi di Alan Conway, con protagonista il detective per metà greco e metà tedesco Atticus Pünd. La ragazza nutre una passione profonda per questo tipo di libri, per cui appena arriva il nuovo manoscritto pronto per essere messo in lavorazione, si getta nella lettura per scoprire quali avventure vivrà stavolta il suo eroe. L'ambientazione è quella di un sonnolento villaggio inglese della metà degli anni '50: un classico, insomma. Tuttavia, man mano che continua a leggere la storia, Susan si rende conto che in mezzo ai cadaveri fittizi e ai sospettati corre una linea narrativa che annoda la sua stessa vita a quella di Conway e del suo personaggio. Una vicenda che parla di gelosie, passioni, ambizioni ed avidità... Siete curiosi di saperne di più? Provate voi stessi il brivido della scoperta. Di nuovo, a presto!

Link ai titoli consigliati su IBS
"Il crimine del secolo" di Anthony Abbot;
"Delitti al college" di Clifford Orr;
"Delitto in una camera chiusa" di Michael Crombie;
"I delitti della gazza ladra" di Anthony Horowitz.

Link ai titoli consigliati su Libraccio
"Il crimine del secolo" di Anthony Abbot;
"Delitti al college" di Clifford Orr;
"Delitto in una camera chiusa" di Michael Crombie;
"I delitti della gazza ladra" di Anthony Horowitz.

Link ai titoli consigliati su Amazon
"Il crimine del secolo" di Anthony Abbot;
"Delitti al college" di Clifford Orr;
"Delitto in una camera chiusa" di Michael Crombie;
"Linea retta" di Enrico Luceri;
"Il volto macchiato" di R.A.J. Walling;
"Murder's a swine" di Nap Lombard;
"The End of the Chase" di Cecil Waye;
"The Figure of Eight" di Cecil Waye;
"Murder at Monk's Barn" di Cecil Waye;
"The Plague Court mystery" di Carter Dickson;
"I delitti della gazza ladra" di Anthony Horowitz.

venerdì 29 gennaio 2021

60 - "Congelato" ("Frozen Death", 1934) di Anthony Weymouth

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Gli assidui lettori di Three-a-Penny (che mi auguro aumentino sempre di più perché la classica crime story merita di essere conosciuta e riconosciuta per il suo valore storico e sociale intrinseco) sanno bene che la missione che mi sono riproposto di intraprendere con questo mio spazio di condivisione comune, è quella di affrontare tale materia con grande puntiglio e tentando di mettere in risalto, soprattutto, ciò che di buono si può ricavare dalla lettura dei cosiddetti romanzi "gialli". In più di un caso, infatti, ho sottolineato il fatto che, nonostante un certo libro con una certa storia e contenente certi temi magari non sia quel capolavoro in anticipo sui tempi o quell'espressione straordinaria di innovazione che uno si aspetterebbe, d'altra parte resta comunque una lettura gradevole. Non si riconduce tutto a un elemento solo: esistono mysteries in cui l'enigma a volte non è all'altezza delle aspettative che uno si era fatto, ma sono significativi per l'atmosfera che evocano (vedasi "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon); altri dove proprio l'enigma gioca un ruolo talmente centrale da spostare tutta l'attenzione su di sé, lasciano scoperti e più superficiali il tratteggio dei personaggi oppure quello dell'ambientazione (penso a "Uno Dopo l'Altro" di A.G. Macdonell); altri ancora che fanno dello spessore psicologico degli attori sulla scena il fulcro della narrazione, sottolineando le correnti sotterranee che li legano l'uno all'altro e le loro reazioni di fronte ai fatti più disparati (come in "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy). Questo è uno dei motivi per cui, a mio parere, la narrativa del mistero è affascinante; perché può declinarsi in molteplici forme pur restando se stessa. E lo fa intrattenendo, divertendo, scacciano dalla nostra mente le tristezze e le ansie che di volta in volta possono piombarci addosso, quasi senza che noi ce ne rendiamo conto. Personalmente ho un grosso debito nei confronti del giallo, e non solo perché mi è stato di conforto quando ne avevo bisogno, ma pure perché proprio negli ultimi tempi mi ha permesso di avvicinarmi a persone stupende che mi vogliono bene. Detto ciò, tuttavia, sarebbe ipocrita e davvero sbagliato se cercassi di giustificare i palesi difetti di qualunque romanzo giallo. Come in tutto quanto, ogni tanto deve per forza esserci qualcosa capace di deluderci, in modo che noi possiamo mettere dei punti fermi quando facciamo un giudizio in positivo.

Sarebbe impossibile e poco veritiero asserire che non esistano titoli scadenti, ed è una cosa normalissima dire: "Questo non mi è piaciuto per questo motivo ecc...". Io stesso, pertanto, non mi sottraggo a una tale situazione. Tra i volumi che finora ho recensito, almeno in due casi sono stato molto deluso dai risultati a fine lettura (nonostante la mia innata natura mi abbia spinto a spendere qualche parola per rimediare alle stroncature che stavo scrivendo): in "Notti di Halloween" di Leo Bruce e in "Un Cadavere al Campo Due" di Glyn Carr. Il primo si è rivelato essere più concentrato sull'evocazione di una certa atmosfera di terrore e mistero, rispetto all'enigma, allo stile e al tratteggio dei personaggi: a parte il trucco con cui è stato commesso l'omicidio e alcune descrizioni che, avendolo letto ad Halloween, sono risultate azzeccate per calare il lettore all'interno della storia, non ho ricavato alcun altro piacere dalla sua lettura. Il secondo, al contrario, ha puntato ogni cosa nelle descrizioni del paesaggio del Nepal e del percorso intrapreso dai personaggi per raggiungere una delle vette dell'Everest. Su questo punto non c'è stato nulla da eccepire; tuttavia, l'enigma ha visto il proprio effettivo svolgimento in un arco temporale ridottissimo: ci sono state moltissime premesse, le quali hanno permesso a chi leggeva di farsi un'idea del carattere dei protagonisti, ma il delitto vero e proprio si è compiuto a tre capitoli dalla fine del libro! Troppo tardi per permettere un coinvolgimento totale in esso. Anche in questo caso, tuttavia, essendo stata una lettura avvenuta durante il primo duro lockdown, quando non ci era permesso di uscire di casa se non per emergenze gravi, il soffermarsi sul paesaggio si era rivelato in un certo senso una cosa buona. Col titolo che recensisco oggi, invece, cadiamo del tutto in una storia che mi ha profondamente deluso, senza alcun appello a cui aggrapparsi. Prima o poi doveva succedere, e questo triste evento è stato provocato da "Congelato" di Anthony Weymouth (Polillo Editore, 2016). Infatti, devo proprio ammettere che la trama, la sua trattazione, i personaggi e il mistero stesso non mi hanno soddisfatto per nulla: ogni cosa mi è sembrata dipinta con superficialità, come se stessi leggendo delle sciocchezze incapaci di estraniarmi dalla realtà. Forse questo fatto è stato esacerbato dal mio umore un po' tetro di questa settimana; eppure non sarei poi così sicuro che non sia stato Weymouth ad aver compiuto più di un passo falso nella costruzione della storia.

Burdens Farm with Melbury Beacon, Gilbert Spencer, 1943,
raffigurante uno scenario simile a Prentice Park
Mi è dispiaciuto ancora di più, nel dare questo giudizio negativo, per il fatto che le premesse non lasciavano assolutamente intendere come poi sarebbe stato il risultato. Tutto si apre con una scena d'effetto: in un gelido mattino invernale Jim Broad, guardiacaccia nella tenuta di Lord Prentice, si precipita alla porta di casa del suo padrone con una notizia sconvolgente. Lo stesso baronetto, infatti, è stato ritrovato lungo il vialetto che collega la strada principale con la villa, senza vita e mezzo sommerso dalla neve che sta cadendo con foga dal cielo. Henry, il cameriere rimasto di guardia nell'edificio (poiché il maggiordomo, la figlia di Prentice e alcuni nipoti si sono recati in soggiorno in Francia oppure a Londra per predisporre i preparativi di un futuro viaggio), non crede alle proprie orecchie: il suo padrone è un uomo molto anziano: perché mai sarebbe dovuto uscire durante la notte, sotto i fiocchi gelidi? Eppure, poco dopo il cadavere viene portato dentro casa da Broad e da Hobbs, il custode, e i fatti non lasciano dubbi: Lord Prentice è proprio morto. Congelato, a quanto pare, dal momento che non si notano ferite superficiali sul suo corpo, a parte un ematoma sopra l'occhio destro. Questo può significare che l'uomo è inciampato ed è caduto, tramortendosi una volta toccato il suolo e quindi morendo assiderato? Il responso dell'inchiesta sulla sua morte è proprio questo: un incidente. Peccato solo che i due medici, convocati per accertare il decesso di Prentice e poi ascoltati quali testimoni durante il processo, non siano del tutto convinti di questa teoria. In ballo ci sono troppi soldi, e troppi eredi che avrebbero potuto architettare un piano per ottenere quello che a loro parere gli sarebbe spettato. Abbiamo lo stesso Jim Broad, il quale appare genuinamente sconvolto dalla morte del padrone, ma da qualche tempo sta pensando di trasferirsi in un altro posto assieme alla moglie... e per farlo servirebbero libertà e denaro. Poi c'è il maggiore Charles Gavon, nipote di Lord Prentice che gode di una rendita ristretta e, nel caso volesse iniziare a costruirsi un avvenire, avrebbe potuto eliminare l'augusto parente. Lady Letitia Brocklebank, figlia del defunto, è una di quelle donne vittoriane che sarebbero capaci di tutto, sotto alla loro apparente aria di distinta signorilità: nessuno si stupirebbe più di tanto se estraesse un frustino per farlo schioccare sulla schiena di un servitore.

Al contrario, Mary Brocklebank appare così innocente da non suscitare alcun sospetto... se non fosse che il suo promesso sposo, suo cugino Martin, il quale è una testa calda, potrebbe averla indotta a diventare complice di un crimine terribile, sempre per ottenere un vantaggio economico dalla dipartita dello zio. Questi sono i principali sospettati del delitto (perché di questo si tratta), nonostante nella mente dei poliziotti che hanno seguito l'indagine sull'"incidente" del baronetto si sia affacciato il sospetto di un'intromissione di un gruppo di gitani, i quali per qualche tempo avevano sostato sulle terre di Prentice. Ma il sovrintendente McTurn non riesce ad accettare una spiegazione tanto semplice: qualcosa di molto più diabolico e losco deve essersi messo in moto, la sera in cui la vittima è stata uccisa. Così, di buona lena, la polizia inizia a muoversi con cautela all'interno della famiglia del defunto, sondando il terreno e iniziano a scoprire come piccoli segreti siano stati celati agli occhi della gente comune... Inoltre, cosa di grandissima importanza, McTurn viene a sapere che Lord Prentice assumeva una medicina che, se stimolata con dell'alcol, avrebbe potuto disperdere il proprio principio attivo nei tessuti del vecchio corpo e renderlo quasi inerme. Questo fatto può avere una qualche importanza nell'assassinio? Probabile. Però McTurn resta pur sempre un poliziotto di campagna, inadeguato a trattare un caso complesso come quello senza la guida di un individuo carismatico. Pertanto, viene convocata Scotland Yard nella persona dell'ispettore Treadgold, un individuo a dir poco eccentrico che ha l'abitudine di non stare mai fermo e di usare un linguaggio fin troppo diretto con i testimoni e i sospettati. Treadgold si mette subito a caccia di indizi, col suo fare brusco e originale, e ben presto si rende conto che tutto porta in una direzione ben precisa, verso un individuo in particolare... Sarà lui il colpevole? Oppure basterà che McTurn accenni a un fatto insignificante per fargli accendere la classica lampadina e puntare su di una pista che porta in una delle stanze della casa di Lord Prentice?

Piantina di Prentice Park
"Congelato", come ho avuto modo di dirvi, purtroppo si è rivelato essere una grossa delusione. Ci sono tante piccole cose che non vanno per il verso giusto, nel ricondurre a un risultato perlomeno soddisfacente, e la cosa mi rattrista molto. Davvero, ben poco si può salvare a mio parere. L'unica cosa che mi consola è che non sono l'unico a pensarla così. Certo, per correttezza bisogna dire che persone di mia conoscenza hanno letto il romanzo e si sono dette più che soddisfatte del risultato: sono stati sottolineati l'ambientazione suggestiva, la complessità del crimine, la figura senza dubbio eccentrica dell'investigatore protagonista, questo Treadgold che trova la propria cifra in un atteggiamento frenetico, instancabile e strambo. Per non parlare di chi ha elogiato lo stile e il fatto che nel finale vengano elencati gli indizi che hanno portato all'individuazione del colpevole, oppure una certa originalità nella trattazione della storia, nonostante essa resti calata in una cornice tradizionale. Ci sono elementi classici come una piantina, e lo scenario nevoso non è soltanto un abbellimento ma ha una funzione ben precisa nel piano dell'assassino (anche se, già qui, mi sento di bacchettare l'autore per il dare l'impressione di dimenticarsene ogni tanto...). Tutto molto bello, e può essere benissimo così: magari mi sono sbagliato oppure non ho colto del tutto l'essenza di "Congelato". Ma sapere qual è secondo me il più grosso problema di questo libro, quello che ha pregiudicato qualsiasi mio giudizio in appello? Il fatto che, semplicemente, questa storia ideata da Weymouth non ha anima. Niente, zero. Questa è una trama che fila, ma non mi ha detto nulla dall'inizio alla fine. Come se le parole fossero passate dentro la mia mente simili all'acqua limpida di un ruscello, priva di contenuti e di sostanza. Di conseguenza, ciò che ho ricavato dalla lettura di "Congelato" è stato qualcosa di estremamente sciocco e noioso. La stessa Dorothy L. Sayers, quando recensì questo titolo per il "Sunday Times", osservò che nonostante la storia sia stata descritta con grande cura e ci sia stato un tentativo di "introdurre un investigatore con trucchi stilistici nel parlato e nei modi", tutto sommato il contenuto non è stato all'altezza delle aspettative. Io stesso, siccome sto attraversando un periodo un po' nero, avevo avuto il dubbio che il problema potesse essere mio, e non del romanzo in sé; invece, con grande sorpresa, ho scoperto come la stessa Sayers abbia descritto la mia stessa sensazione. "Forse sono stata in un momento di indisposizione quando lo ho letto"... Sono quindi giunto alla conclusione che sia proprio "Congelato" ad avere un problema; come se il suo stesso titolo fosse diventato una sorta di emanazione fisica e avesse ghiacciato i fatti raccontati, rendendoli morti.

Di conseguenza a questo mio giudizio categorico, non poteva esserci speranza per il romanzo di Weymouth. Non ho apprezzato questa lettura e, francamente, ho fatto di tutto per riuscire a finirlo il più brevemente possibile. Il tutto è risultato come annacquato: l'ambientazione è stata tratteggiata in modo semplicistico, non c'è stata quella solida rappresentazione della realtà che di solito caratterizza la tradizionale crime story britannica, i personaggi sono apparsi poso approfonditi e odiosi con tutte le loro piccole manie oppure nella rappresentazione vetusta che di essi è stata data. Su una cosa posso dirmi d'accordo con quanto detto da chi ha apprezzato il romanzo: la costruzione dell'enigma è stata interessante. Fino a un certo punto mi è piaciuto come l'indagine sia stata portata avanti in una sorta di tandem ideale e mentale, con McTurn e Treadgold che si gettavano ognuno dietro una pista differente, per poi venire a convergere in un unico finale dove le prove raccolte da ognuno sono servite a completare le ipotesi e le teorie dell'altro per incastrare il colpevole. La pecca, in questo caso, è però stata da rilevare nell'atteggiamento di Treadgold, il quale è risultato fin troppo sopra le righe per poter essere accettato come un personaggio reale e non una macchietta da avanspettacolo. Pertanto, mi vedo già pronto a concludere questa mia analisi, dal momento che non trovo molti altri elementi da portare a sostegno di una qualsiasi redenzione di "Congelato": lo scenario non è stato affatto affascinante, a parte alcune descrizioni dei giardini e di Prentice Park; non è esistito il fair play per quanto riguarda la scoperta di come è stato compiuto l'omicidio, dal momento che il metodo è stato soltanto indicato da un fatto che per tutto il resto del caso è stato messo in luce una volta, e per questo la complessità dell'enigma è passata in secondo piano; lo stile è risultato più antico di quello di Richard Austin Freeman, il quale non sarà stato un campione in fatto di azione e scattante velocità nella narrazione, ma almeno è riuscito a imprimere una nota lirica e per questo immortale alle sue descrizioni. Lo stesso finale, per legarmi per un momento ancora all'enigma, non riesco ad elogiare: al posto della tradizionale riunione con i sospettati, i quali vengono messi in difficoltà dalle rivelazioni improvvise e scenografiche dell'investigatore di turno, troviamo una sorta di consiglio riservato della polizia in cui Treadgold snocciola uno dopo l'altro gli indizi che (a suo dire) avrebbero portato all'individuazione del colpevole; si perde tutta la tensione che si sarebbe accumulata in caso di svelamento classico. Per non parlare dei personaggi, talmente stereotipati nelle loro azioni da apparire come dei burattini imbalsamati o impagliati. Sono molto dispiaciuto di dover scrivere queste critiche, ma le ritengo tutte giuste fino all'ultima parola. Forse "Congelato" si è rivelato essere fin troppo classico, al punto da diventare qualcosa di piatto e, appunto, morto. Oppure ideato da un autore che, pur con tutte le buone intenzioni di dare vita a qualcosa di audace, non è stato all'altezza del compito prefisso.

Copertina dell'edizione originale di "Congelato"
Ivo Geikie Cobb, vero nome di Anthony Weymouth, non dovette aver goduto di una grandissima fama neppure tra i suoi contemporanei; e questo potrebbe essere indice del fatto che, forse, non ho avuto tutti i torti nello stroncare il suo romanzo. In ogni caso, egli nacque a Londra nel 1887. Sulla sua esistenza si conosce molto poco: si sa che fu un medico, che amava i mysteries (cosa abbastanza scontata, altrimenti non ne avrebbe scritti lui stesso) e che fu pure autore di numerosi testi di medicina. In tutto, nella sua carriera di giallista, produsse sette titoli: "Congelato", "The Doctors are Doubtful", "No, Sir Jeremy", "Hard Liver", "Delitto in Cornovaglia", "Tempt me Not" e "Inspector Treadgold Investigates". In ognuno di essi, protagonista è l'eccentrico e sopra le righe ispettore Treadgold di Scotland Yard, questo strano individuo che mi ha tanto irritato nel corso della lettura. Dopo il settimo romanzo giallo, Weymouth decise di dedicarsi completamente alla medicina, forse subodorando il poco gradimento dei suoi libri di narrativa e del suo personaggio, e morì nel 1953. Questo è quanto, riguardo la sua esistenza. È davvero poco, ma forse qualcosa di più si può ricavare dal contenuto dei suoi romanzi del mistero. Penso che Weymouth sia stato un personaggio di spicco all'interno dell'esercito, o che comunque avesse sviluppato una conoscenza approfondita della materia, dal momento che in "Congelato" vengono messi in luce spesso i comportamenti dei militari (maggiori, colonnelli e quant'altro) e tutto ciò che li riguarda da vicino. Inoltre, ho l'impressione che l'autore fosse un grande appassionato di storia: soltanto in questo titolo in particolare, vengono citati Napoleone, i Borgia e altre figure del passato, nonché la qualità delle biografie rispetto alla mera letteratura di intrattenimento e sullo sport. In terzo luogo, il carattere tecnico-meccanico dell'enigma lascia trasparire una certa mentalità analitica e logica in Weymouth, tipica di un dottore: non solo però dal punto di vista medico, con una grandissima attenzione data agli aspetti scientifici dell'assassino (basti pensare all'importanza conferita al medicinale di Lord Prentice e a tutte le possibili ipotesi che vengono fatte a riguardo, pp. 71-76, 110-112 211-212), ma pure da quello delle rilevazioni della polizia, con un'attenzione particolare a rilevamenti, interrogatori e inchieste.

Questi sono tutti temi che ci starebbero più che bene all'interno di un romanzi giallo classico, non lo nego. Tuttavia è il resto che, come abbiamo visto, non è all'altezza. Come se non bastasse quanto ho detto finora, ho notato un fastidioso razzismo emergere dai commenti dei personaggi contro i cosiddetti "zingari", sospettati di aver ammazzato Lord Prentice: i toni con cui vengono appellati, i sottintesi volti a gettare sospetti gratuiti nei loro confronti, e una certa sgradevole mediocrità antiquata nell'uso di parole che posso solo definire grezze mi hanno lasciato con l'amaro in bocca (pp. 36-39, 102, 152, 161). Ho letto tantissimi romanzi gialli classici, dove magari certi personaggi posso essere tacciati di razzismo, ma mai in modo palese come in questo caso. Ogni cosa è debole e superficiale, ma i personaggi e le loro personalità battono ogni cosa: il colonnello Arundell assomiglia a uno di quei militari bigotti e arretrati che di solito si prende in giro all'interno di questo tipo di libri; Mary Brocklebank e suo cugino Martin non hanno alcuno spessore psicologico e agiscono in qualche scena appena per poi scomparire; Lady Letitia viene raffigurata come una signora vittoriana sgradevole e antipatica; Jim Broad è un tizio grezzo che pare uscito da una stampa di caccia, col suo cappello con la coda alla Davy Crockett; sua moglie un'anima insulsa e priva di personalità; Charles Gavon uno snob della peggior specie. Gli unici a spiccare nel racconto sono, per ovvi motivi, McTurn e Treadgold, i poliziotti che indagano sul delitto di Lord Prentice. Eppure, entrambi appaiono poco simpatici al lettore. Weymouth ha compiuto l'esatto contrario di quanto di solito accade nella costruzione di un giallo: dovrebbero essere i sospetti a dare pepe alla storia, grazie ai reconditi segreti che nascondono nel proprio cuore, ai drammi, agli intrighi e alle recite che mettono in piedi per vivacizzare il racconto, mentre gli investigatori hanno il compito di dimostrarsi al di sopra di ogni cosa e di analizzare ciò che si verifica sotto i loro occhi con mente fredda. Invece, stavolta abbiamo personaggi fin troppo anonimi e detective che si agitano inutilmente sulla scena. Lo stesso Treadgold, in particolare, fa una figura ridicola nel guidare senza alcun ritegno la sua auto, come i pagliacci del circo, oppure nel fare osservazioni che spiazzano l'interlocutore e piantandolo in asso di punto in bianco (ad esempio pp. 62-68). E come se non bastasse, come ha sottolineato la stessa Sayers nella sua recensione, Treadgold si comporta in un modo che non sarebbe stato accettato nella realtà dei fatti: se soltanto il poliziotto avesse provato a sparire di punto in bianco davanti a un superiore mentre questi stava parlandogli, avrebbe come minimo subìto un richiamo ufficiale, se non di peggio. Pertanto, in aggiunta agli altri difetti, Weymouth ha avuto la sfortuna di dipingere un investigatore che non avrebbe mai potuto trovare riscontro nella realtà, dando in questo modo un'aura ancor meno solida alla sua storia. Nell'atteggiamento frenetico, instancabile e strambo di Treadgold troviamo l'essenza di "Congelato": un romanzo giallo che non ha anima, una personalità ben definita, alcuna misura nel restituire al lettore un degno esempio di mystery classico. Forse, con un po' più di esperienza e di attenzione per la vera essenza della gente comune, sarebbe riuscito a dare vita a un libro più solido e valido. Peccato, così non è stato.

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venerdì 22 gennaio 2021

59 - "Sangue sulla Neve" ("Blood Upon the Snow", 1944) di Hilda Lawrence

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Una delle cose che più mi piace fare, da quando ho deciso di aprire Three-a-Penny, è quella di andare a rileggere quei romanzi gialli che un tempo mi sono molto piaciuti, per poi recensirli per bene. Infatti, nonostante già anni fa non fossi certo uno che leggeva gialli in modo superficiale, devo ammettere che il passare del tempo ha contribuito a insabbiare i ricordi di quei libri e ad avvolgere le loro trame in una sorta di nebbia dorata, dove i fatti si scorgono a malapena ed è molto facile confondere un certo assassino oppure alcuni indizi presenti un un racconto con altri, inseriti in una storia del tutto diversa. L'idea di fondare questo blog è stata suggerita un po' da questo inconveniente: se scrivo qualcosa, esso si conserverà nel tempo non solo per chi vorrà cercare qualche opinione a riguardo, ma pure per me stesso, nel caso in cui tra alcuni anni avessi bisogno di rinfrescarmi la memoria. Ad esempio, se avessi bisogno di fare un parallelo tra l'oggetto di una nuova analisi e (mettiamo caso) "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman, e malauguratamente non dovessi ricordare qualche passaggio del romanzo oppure in che modo un certo tema è stato trattato, non devo fare altro che percorrere all'indietro la storia di Three-a-Penny e ritrovare le informazioni di cui ho bisogno. In effetti, è un peccato che abbia deciso di mettere in atto questo stratagemma soltanto un paio di anni fa, dal momento che il grosso della mia carriera di lettore si è concentrato proprio tra il 2016 e il 2019, quando proprio a causa delle recensioni da scrivere settimana per settimana ho dovuto limitare il tempo da dedicare al piacere della lettura. In ogni caso, come dicevo, lentamente ho deciso di recuperare tutte le letture che ho mezzo dimenticato nel corso del tempo, alternandole con i volumi in uscita e con alcuni mysteries che riescono ad attirare la mia attenzione; e uno di essi è proprio il titolo che vi voglio presentare questa settimana, il quale è stato pubblicato nel 2016 e figura tra i primi gialli tradizionali veri e propri che abbia comprato in libreria. Proprio in quell'anno, infatti, sono tornati sugli scaffali dei negozi di libri i Bassotti Polillo, in quella che si potrebbe definire come "seconda generazione".

Tra il 2002 e il 2014 era uscita una prima serie ininterrotta di titoli, a partire da "I Delitti di Praed Street" di John Rhode per terminare con "Veleni, Pugnali e altre Amenità", tipica raccolta di racconti curata dall'editore; poi, per un paio di anni la produzione di volumi si era arrestata, soprattutto per il calo delle vendite a cui il mercato era andato incontro. Dopo qualche tempo, tuttavia, si era messa in moto una nuova linea di gialli che aveva ripreso la numerazione da dove era stata interrotta, come se nulla fosse accaduto nel frattempo; e i primi romanzi a vedere la luce erano stati "Morte in Ascensore" di Alan Thomas, una delle camere chiuse più celebrate di tutti i tempi che lo stesso bacino di lettori britannici ci invidia, e l'oggetto della recensione di oggi: "Sangue sulla Neve" dell'americana Hilda Lawrence. Al tempo, io mi ero avvicinato già da un po' alle collane dirette da Marco Polillo; ero partito collezionando quei titoli che erano stati pubblicati in allegato al Corriere della Sera, per poi passare ad accaparrarmi la maggior parte di copie di quelli che aveva precedentemente pubblicato, ricorrendo a siti di remainders e a mercatini dell'usato. Però, con l'uscita di questi due mysteries nuovi di zecca ho dato davvero inizio al mio sostegno ai Bassotti, e da lì non mi sono più fermato, se non quando Polillo ha di nuovo cessato di produrre nuovi gialli per qualche tempo, per passare a Rusconi. Pertanto, sono molto legato a queste due crime novels così differenti tra loro: una inglese, l'altra americana; una sul genere del delitto impossibile avvenuto in un luogo chiuso, l'altra fondando la propria cifra sulla suspense. Però, tra i due ho sempre preferito il romanzo di Lawrence, dal momento che (come ho accertato con gioia durante questa rilettura) non ha nulla da invidiare all'opera di un autore nato e cresciuto in Inghilterra. In esso, si mescolano perfettamente quei caratteri che si trovano nei gialli che preferisco: un solido background, costituito da personaggi vividi e da uno stile chiaro ma all'occorrenza lirico tipici della narrativa britannica, pur senza tralasciare quell'atmosfera un po' onirica e l'ambientazione suggestiva di un mystery appartenente alla tradizione delle woman in jeopardy. È stata una lettura molto gradevole, perfetta da affrontare dopo il discreto nuovo Bassotto di Polillo/Rusconi, "Il Rompicapo" di Lee Thayer, dal momento che questi due libri sono del tutto differenti tra loro. Il bello della classica crime story: quello di partire da premesse simili per dare vita a risultati agli antipodi.

The Entrance to Giverny under the Snow, Claude Monet, 1885,
raffigurante una scena nevosa simile a quella di Crestwood
Tutto ha inizio in una gelida sera d'inverno. Il treno proveniente da New York giunge a Crestwood, una minuscola località nelle montagne dell'America, e mentre il controllore Amos Partridge esce dalla stazione per fare tutti i segnali del caso, dalla coda del convoglio scende silenziosamente un uomo. Si tratta di Mark East, un investigatore privato che è stato convocato nella grande casa sulla collina dietro il villaggio, di proprietà del colonnello Davenport, da uno degli ospiti che in quel momento risiedono nella villa: l'archeologo Joseph Stoneman. Costui si trova a Crestwood assieme a una famiglia di amici, i Morey, costituita da Jim, Laura e le piccole Anne e Ivy, servito e riverito da una schiera di domestici che comprendono un maggiordomo, Perrin, una cuoca governante, Mrs Lacey, e due ragazze nel ruolo di cameriere e sguattere, Florrie e Violet. Tuttavia, come si accorge ben presto East, Stoneman non si trova affatto nella piacevole posizione che lui si sarebbe aspettato: per prima cosa, il poveretto pare essere stato trattato nientemeno che come un sacco da boxe, con tutte le botte e le fasciature che gli ricoprono le parti scoperte del corpo; e come se questo non bastasse, è chiaro che l'archeologo è in preda a un fortissima tensione. Trema, si guarda alle spalle come se si aspettasse di essere assalito da un momento all'altro, e insiste nell'affermare di aver assunto Mark per lettera scambiandolo per un segretario, e non per i suoi servigi di investigatore. East è perplesso dal comportamento dell'uomo, ma al momento non ha di meglio da fare e così decide di stare al gioco del suo nuovo capo, installandosi a villa Davenport. Già nelle prime ore della sera, tuttavia, mentre fuori la neve cade copiosa sui tetri boschi immersi nel silenzio della notte, l'investigatore si trova inserito in un focolare domestico molto particolare, in cui nessuno pare comportarsi con naturalezza: Jim Morey appare fin troppo allegro e desideroso di scambiare facezie col suo nuovo ospite; Laura, sua moglie, dal canto suo resta sempre chiusa nella sua camera da letto, con le bambine, e non scende nemmeno per i pasti, come in una sorta di clausura volontaria causata da una malattia nervosa non meglio specificata; Stoneman, come dicevamo, sembra sul punto di avere un collasso e si mantiene in posizione eretta bevendo un bicchiere di liquore dietro l'altro.

Nemmeno Perrin, silenzioso come un gatto e con mani forti e delicate allo stesso tempo, la risoluta e spaventata Florrie, l'incosciente Violet e la tremebonda Mrs Lacey paiono passarsela bene. Quest'ultima, soprattutto, ha annunciato di volersene andare quella sera stessa, dopo aver inviato le proprie dimissioni scritte al piano di sopra e aver impacchettato tutta la sua roba in fretta e furia. Chissà cosa mai l'ha spaventata... Perché anche questo appare chiaro agli occhi allenati di Mark East. Eppure, la povera Mrs Lacey dovrà cambiare i propri piani, e farlo per sempre: mentre sta dormendo nella sua stanza nel seminterrato della villa, infatti, rimane vittima di un incendio che è scoppiato a causa di una serie di sfortunate coincidenze. Al villaggio, tutti si stringono attorno alle spoglie mortali della donna: Ella May Bittner con suo marito, Amos Partridge, ma soprattutto le zitelle Beulah Pond e Bessy Petty, sempre pronte a ficcare il naso a destra e a manca per raccogliere e discutere il pettegolezzo del momento. Chiacchiere che corrono ben presto, quando il dubbio che la morte della cuoca dei Morey sia dovuta a un atto provocato dall'uomo di insinua nella mente di East e in quella della polizia del villaggio. Ma chi potrebbe mai aver voluto uccidere un donnone inoffensivo come Mrs Lacey? Era un essere umano insignificante, in fatto di importanza; non era un personaggio particolarmente noto da costituire una minaccia. Eppure, quando si verificherà una seconda morte violenta, sempre legata alla casa di Davenport, East non potrà più fingere che non ci sia sotto qualcosa a questa serie di decessi improvvisi. Qualcosa che forse, come è nella migliore tradizione del giallo classico, si trova celato nel passato più oscuro, in quel luogo dove ci celano i crimini mai scoperti e le nefandezze di cui l'uomo di è macchiato? La neve cade, cade copiosa su Crestwood, e ricopre col suo fitto mantello i segreti dei personaggi del romanzo: riuscirà Mark East a scoprire la verità e ad impedire che qualcosa di orrendo si compia prima che sia troppo tardi? L'aiuto delle zelanti Miss Pond e Miss Petty, che a loro rischio e pericolo tutto sanno e tutto comprendono molto meglio di agenti addestrati, sarà essenziale per raggiungere il traguardo.

Winter View, Stepan Feodorovich Kolesnikov, raffigurante una
casa simile a villa Davenport
Come dicevo poco sopra, "Sangue sulla Neve" è un romanzo giallo che si potrebbe definire come un piacevole ibrido. In esso, infatti, si mescolano caratteri provenienti da sottogeneri letterari che hanno in comune il fatto di essere crime, ma per il resto sono perlopiù distanti tra loro. Almeno, nella maggior parte dei casi non sono soliti fondersi in un miscuglio. Ad esempio, lo spiccato senso della suspense con tanto di fanciulle in pericolo e insidiate da nemici nascosti nell'ombra, non sarebbe mai potuto essere inserito in un romanzo di Dorothy L. Sayers (fosse solo per il fatto che le protagoniste femminili di questa autrice posseggono spessissimo un carattere forte, determinato e indipendente, opposto a quello delle protagoniste della classica crime story dell'altra parte dell'Atlantico). D'altro canto, nei mysteries delle esponenti della corrente delle women in jeopardy non si sarebbero praticamente mai trovati misteri ed enigmi impostati secondo il modello britannico, con trucchi e metodi di omicidio perlopiù legati a meccanismi ad orologeria e a strutture schematiche e articolate: nei libri di Rinehart ed Eberhart, il fulcro delle vicende spesso viene evidenziato soprattutto nell'atmosfera suscitata nel tratteggio dell'ambientazione e dei personaggi, più vividi dal punto di vista psicologico-emozionale che da quello del "chi-avrebbe-potuto-farlo". Pertanto, nella maggior parte dei casi questi due tipi di letteratura del mistero sono rimasti separati e indipendenti l'uno dall'altro. Detto ciò, però, ogni tanto una contaminazione è avvenuta e (secondo il mio parere personale) l'incontro ha dato esiti più che felici. Nonostante a prima vista possa sembrare quanto meno azzardato, infatti, questo stratagemma di unire il giallo di stampo britannico con quello che fece la fortuna delle Regine del Brivido americane, ha funzionato alla grande. Ne è un esempio l'opera di Elizabeth Daly (almeno in parte), dove a uno spiccato senso di minaccia, pesante quanto una cappa soffocante, viene accostata una grande attenzione allo stile e a una rappresentazione della società che rimanda a quella tanto cara a Sayers e Agatha Christie; oppure quella di Ethel Lina White, la quale ha fatto del dualismo "suspense-materialismo" un vero e proprio marchio.

Proprio da quest'ultima, secondo me, Lawrence ha colto ispirazione per scrivere gialli come questo "Sangue sulla Neve"; da lei e da quei classici della letteratura britannica che (oltre alla saga di Sherlock Holmes) sono stati tanto importanti per l'evoluzione della crime story: "La Pietra di Luna" e "La Signora in Bianco" di Wilkie Collins. Essi, infatti, hanno a modo loro influenzato tutta quanta l'opera dei giallisti posteri: a quelli residenti nella Vecchia Europa hanno suggerito quanto fossero importanti il contesto storico-sociale in cui le vicende devono essere ambientate, per risultare credibili, e la forza dirompente di uno stile solido per conferire struttura ossea alle loro trame; a quelli americani, come la creazione di un clima di tensione e suscitare emozioni nel lettore possa aiutare a vivacizzare un racconto dove il mero sunto dei fatti può risultare un po' indigesto. White, Daly e Lawrence hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con l'opera di Collins (White viveva in Galles e non poteva non conoscere di fama l'autore, mentre Daly e Lawrence hanno apertamente dichiarato la loro ammirazione per il loro collega d'oltreoceano); per cui, è innegabile come egli le abbia influenzate; e lo abbia fatto al punto di suggerire loro di seguire le sue stesse orme, in modo da dare vita a mysteries in cui i caratteri del giallo tipicamente tradizionale si fondono con quelli dell'avanguardia americana rappresentata soprattutto da Rinehart ed Eberhart. Lawrence, nello specifico, sembra aver compiuto un percorso che fino a un certo punto può essere simile a quello delle due colleghe sopra citate, dal momento che ha infuso in romanzi come "Sangue sulla Neve" molti dei topoi comuni al sottogenere in cui viene ascritta dai più: l'atmosfera tratteggiata con toni poetici e lirici, l'ambientazione claustrofobica accentuata dalla potente tempesta di neve che viene a scatenarsi su Crestwood, uno stile caratterizzato dall'alternarsi tra azione (poca) e riflessione (tanta), una certa aria di confortevolezza apparente in cui i personaggi sembrano coccolati, nonostante nel corso del tempo si susseguano omicidi tutt'altro che tranquillizzanti. Inoltre, abbiamo personaggi che lasciano trapelare come siano particolarmente scossi e agitati, intimoriti da qualche minaccia nebulosa, e un mistero dove bisogna stare attenti a cogliere indizi di carattere psicologico.

Però non bisogna fermarsi alle apparenze: alcune sostanziali differenze fanno capire come Lawrence non si sia limitata a ricalcare le trame delle sue colleghe. L'autrice, in qualche modo, si fece carico dell'eredità di White e, proprio nell'anno in cui quest'ultima pubblicò il suo ultimo giallo, ella raccolse un metaforico testimone proseguendo secondo una propria logica, che vedeva l'introduzione di alcune modifiche al modello: nonostante protagonista sia il terzetto East-Pond-Petty, quello che sarà deus ex machina sarà il solo investigatore, in modo da avere un protagonista maschile in questa vicenda dipinta sul tipo del domestic suspense; le due zitelle non sono affatto sciocche come apparirebbe a prima vista, anche se in un'occasione corrono un pericolo mortale, per cui viene in parte a cadere il ruolo della "gentile donzella in pericolo"; il senso di pericolo che di solito attanaglia la protagonista nel caso di "Sangue sulla Neve" è meno accentuato, non essendo calcata la mano sul fattore gotico della storia (pur restando presenti il sospetto insinuante e la tensione che qualcosa di grave stia per abbattersi su villa Davenport). Mi è capitato di leggere alcuni accostamenti tra l'atmosfera di questo romanzo con quella manifestata nientemeno che nei romanzi di John Dickson Carr (secondo me, il paragone è un po' esagerato). Inoltre, ho come colto una sorta di tentativo di imitare non solo White, ma addirittura Sayers: quest'ultima è stata addirittura citata attraverso il personaggio di Lord Peter Wimsey, mentre in un'occasione Lawrence ha lasciato intendere come il giallo tradizionale britannico fosse il migliore. Quindi, abbiamo qui un'autrice americana che si dimostra apertamente affezionata alla classica crime story della Terra d'Albione, che fino a un certo punto è stata discepola di Ethel Lina White per poi applicare il suo metodo con sostanziali modifiche, ma senza snaturarlo. Personalmente, ammetto di essere stato entusiasta di come si sia rivelato "Sangue sulla Neve": in ibridi come questo libro, oppure nelle opere di White e Daly, si manifesta quella che a mio parere dovrebbe essere la forma ideale di equilibrio all'interno di un mystery; ovvero, la commistione tra tensione e suspense, per quanto riguarda l'atmosfera del racconto, e una costruzione solida e chiara della struttura tecnica delle vicende: Come se un castello fatto di vetro fosse stato costruito su un terreno di pietra.

Hildegarde Kronmiller, alias Hilda
Lawrence, nata nel 1906 e morta nel 1976
L'unica cosa che mi ha contrariato, quando sono arrivato alla fine di "Sangue sulla Neve", è stato scoprire che Hildegarde Kronmiller (vero nome di Hilda Lawrence) ha scritto soltanto cinque romanzi gialli nel corso della sua carriera. Pochissimi, se si pensa alla qualità del suo esordio. Nata nel 1906 a Baltimora, nel Maryland, era figlia nientemeno che di un membro del Congresso degli Stati Uniti d'America. Il fatto di appartenere a una famiglia tanto importante le aprì tutte le porte per poter intraprendere una carriera scolastica impeccabile: studiò infatti alla Columbia School di Rochester, prima di diventare lettrice per i non vedenti e, in seguito, trasferirsi a New York per entrare nella redazione della casa editrice MacMillan. Qualche tempo dopo, tuttavia, passò a quella del Publishers Weekly, per approdare saltuariamente come sceneggiatrice radiofonica per "The Rudy Vallee Show". Nel 1924 decise di sposarsi col commediografo Reginald Lawrence; tuttavia, ben presto i due divorziarono, nonostante lei decise di tenere il cognome del marito per firmare i suoi romanzi del mistero. Da sempre, infatti, era stata un'accanita lettrice di questo genere letterario: divorava qualunque titolo su cui riuscisse a mettere le mani, finché a un certo punto si ritrovò nella situazione di non riuscire più a soddisfare il proprio appetito in modo adeguato. Non c'erano più titoli abbastanza intriganti e piacevoli da leggere, per cui come fare? Semplice: decise di mettersi a scrivere lei stessa qualche mystery che fosse di suo gusto. In questo modo, nel 1944, diede alle stampe "Sangue sulla Neve", dove introdusse come protagonista l'investigatore privato Mark East, newyorchese che in questo specifico titolo viene aiutato nell'inchiesta dalle zitelle Beulah Pond e Bessy Petty. Garbato, ironico, vero gentiluomo che si discosta dalla massa di detective violenti tipici di quel periodo in America, ma nonostante questo pronto a correre qualunque pericolo e a gettarsi nella mischia, East fu uno dei motivi per cui "Sangue sulla Neve" venne accolto con gioia dal pubblico e dalla critica, tanto da avere ben quattro ristampe in edizione rilegata. In seguito, Lawrence riprese il personaggio in altri due gialli: "Time to Die", incentrato sulla scomparsa di un'attraente signora, e "La Bambola Assassina", dove il fulcro delle vicende è ambientato in una rispettabile pensione per giovani donne a New York. East non compare, invece, in "Il Padiglione sul Mare", un thriller gotico ambientato nel sud degli Stati Uniti.

Insomma, Hilda Lawrence sembrava destinata a risalire l'Olimpo degli scrittori di gialli americani della metà del Novecento. Pubblico e critica (in particolare Howard Haycraft la definì "di gran lunga il più entusiasmante talento nel campo dell'odierna letteratura gialla") erano dalla sua parte, pronti a sostenerla, e si aprivano davanti a lei grandi prospettive. Eppure, di punto in bianco, nel 1946 interruppe la serie con protagonista East e iniziò a pubblicare sempre meno. Nel 1949 uscì "Duet of Death", una coppia di romanzi brevi dal titolo "A Quattro Mani" e "The House/The Bleeding House"; però si tratta di storie di suspense ben diverse dal resto della sua produzione precedente (tanto che "A Quattro Mani" divenne un episodio di "The Alfred Hitchcock Hour" intitolato "The Long Silence"). Poi Lawrence pubblicò una puntata della serie "Nobody Dies but Strangers", sula rivista Ladies Home Journal nel 1951, e il racconto "A Roof in Manhattan", inserito nell'antologia "For Love of Money" curata dal Mystery Writers of America nel 1957. Da qui più nulla, fino alla morte avvenuta nel 1976. Cosa successe per arrestare la sua ascesa? Non si sa. Resta il fatto che Hilda Lawrence ha dato prova di sé con i pochi romanzi che ha scritto; romanzi che, da qualcuno, sono stati criticati aspramente per essere in un certo senso "né carne né pesce". Mi spiego meglio: la decisione dell'autrice di mettere insieme elementi del giallo britannico con quelli tipici delle women in jeopardy ha scatenato una serie di commenti e giudizi secondo cui ella ha voluto inserire nelle sue trame cose fin troppo diverse tra loro, così da non riuscire a dare un'identità precisa alla sua narrativa. L'atmosfera di Carr, come dicevo sopra, ma pure un protagonista spiritoso sulla falsariga di Archie Goodwin, aiutante di Nero Wolfe, zitelle simili a Miss Jane Marple... Avrebbe aperto a troppe cose, fallendo nel non riuscire a concentrarsi bene su una di esse. Francamente, io trovo che questo discorso sia del tutto esagerato. Certo; un problema per il lettore affezionato al giallo più tradizionale nel senso stretto del temine l'ho rilevato, leggendo "Sangue sulla Neve": gli indizi non si attengono del tutto al fair play, ovvero si può indovinare chi sia il personaggio colpevole ma non arrivare a scoprire come abbia agito in base alle prove presentate. Questo può essere una pecca, per alcuni.

Ma io, come ho già avuto modo di spiegare, preferisco concentrarmi sul risultato complessivo del romanzo, senza pretendere un gioco pulitissimo dall'autore. Neppure che la soluzione cada dall'alto senza preavviso di sorta, ma una via di mezzo la posso accettare. E in fin dei conti "Sangue sulla Neve" è un giallo che possiede innumerevoli qualità positive. I punti di forza del libro sono senza dubbio lo stile e l'ambientazione, che riescono ad avvolgere chi legge in una sorta di sogno ad occhi aperti: ogni cosa viene spiegata come se stessimo camminando in una regione fantastica, le cui fattezze sono all'apparenza reali ma, allo stesso tempo, tutto si muove lentamente; le descrizioni si soffermano sui dettagli del mobilio, sugli scenari del giardino e delle piccole case degli abitanti di Crestwood, includendo villa Davenport. Vediamo con gli occhi della mente i personaggi che agiscono in un palcoscenico allestito al meglio, dove niente viene lasciato al caso e gli oggetti assumono grande importanza e aiutano a collocare meglio ciò che succede. Tutto è affascinante, chiaro ed evocativo allo stesso tempo, come avvolto in una nebbia dorata in cui i contorni si sfumano allo stesso modo di quelli dei dipinti impressionisti. Ho avuto l'impressione di affrontare la storia come se indossassi guanti di velluto, al cui interno si trovavano però salde mani pronte ad agire. Nel corso del tempo che scorre nelle vicende, ci addentriamo sempre di più nel disegno che Lawrence ha preparato per noi; un racconto dove la suspense viene tenuta a partire dalle prime pagine, nelle quali la tensione e la Morte fanno già il loro ingresso sulla scena attraverso l'illusione del mausoleo di Beulah, fino alla fine. Un'altra cosa che mi ha affascinato, mentre leggevo "Sangue sulla Neve", è stata la capacità dell'autrice di dire e non dire le cose, di accennare gli indizi e poi sottrarli alla vista nel momento seguente, rapida, silenziosa: tra le righe si nascondono molte allusioni, come si addice a un tipico giallo americano degli anni '40, ma non mancano pure le correnti sotterranee che scorrono impetuose tra i personaggi e particolari calore e confortevolezza a sottolineare il tutto... questo fino a un certo punto.

In questa variazione del giallo secondo HIKB abbiamo più sostanza dal punto di vista dello stile, e più spessore nella trattazione dei temi, passando dall'arte (pp. 17-18, 49-51) alla letteratura (pp. 29, 31-32, 155, 171-172, 195-196), dall'archeologia (pp. 102-106, 194-195, 203-204) allo spiritismo (pp. 9-10, 30, 40-45, 49, 163), fino alla morte che si aggira come uno spettro entrando e uscendo dalle pagine (pp. 9, 104, 136-137, 163). Legato alla morte che emerge e si immerge, pure il tema del passato che ritorna occupa un ruolo importante nella trama, mescolandosi con una certa amara ironia del destino. I personaggi sembrano ossessionati da qualcosa che non vuole lasciarli liberi, e vengono tratteggiati con piglio sicuro e abilità: esprimono sentimenti e struggimento come se fossero attori di un melodramma vittoriano (ritorna Wilkie Collins, vedete?), ma d'altra parte riescono ad incarnare personalità calate nella modernità del tempo in cui è ambientato il libro. Tra tutti, risaltano la misteriosa Laura Morey, novella "donna in bianco" che sta sulle sue senza farsi avvicinare; le zitelle Pond e Petty, brillanti e sagaci pur senza apparire dominanti su East, che osservano come "falchi benevoli" quanto accade e sono pronte a correre dei rischi pur di assecondare la loro curiosità; la giovane Violet, la quale nasconde un grande spirito di osservazione dietro la facciata di sempliciotta; e lo stesso Mark East, interessante variazione dello stereotipo in voga tra gli scrittori di gialli americani. Tutto sommato, comunque, i personaggi non sono mai quello che sembrano; nascondono lati delle loro personalità dietro a maschere attaccate precariamente sui loro volti. Sono buoni o cattivi? Pazzi oppure sani di mente? Sta al lettore dare la propria interpretazione in base ai fatti e ai risvolti del caso. L'enigma, infine, si presenta stratificato e complesso: il lettore non può riuscire a spiegare da solo tutti i passaggi dell'indagine, dal momento che (come dicevo) non esiste un vero e proprio fair play nell'esposizione delle prove contro il colpevole. Tuttavia, man mano che il caso evolve, le cose iniziano ad essere sempre più chiare e ci sono fatti che soltanto all'apparenza non hanno importanza. Penso che, tutto sommato, il mistero sia adeguato alle aspettative; pertanto, promuovo con gioia "Sangue sulla Neve". Credetemi, si tratta di un giallo che merita di essere letto e conosciuto, alla pari della sua autrice. Mi impegno a leggere al più presto pure "La Bambola Assassina", per scoprire se le mie sensazioni su questo libro verranno consolidate; se così sarà, aspettatevi un altro caloroso consiglio di lettura.

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