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venerdì 26 marzo 2021

66 - "Il Crimine del Secolo"/"L'Amante del Reverendo" ("About the Murder of the Clergyman's Mistress"/"The Crime of the Century", 1931) di Anthony Abbot

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
In America, la tradizionale crime story ha iniziato ad imporsi al grande pubblico con un po' di fatica, rispetto a quella nata in Inghilterra. In questa nazione, infatti, vige da sempre una certa propensione a proiettare gli sforzi verso il futuro, invece che in direzione della conservazione del passato; proprio perché gli Stati Uniti non hanno avuto qualcosa come il Rinascimento italiano oppure l'epoca della Guerra delle Due Rose britannica. Essendo un Paese nato in un'epoca più tarda rispetto ad altri, l'America non ha incamerato secoli e secoli di storia come è stato per l'Europa oppure l'Asia, e di conseguenza non ha coltivato quella sorta di culto per il passato che invece sentiamo fortemente noi (soprattutto italiani, dove si sono sviluppati imperi e dinastie fin da prima della nascita di Gesù). Inoltre, ho sempre più l'impressione che gli USA non siano nemmeno così interessati a costruire delle radici solide su cui basare la loro società, ma piuttosto a cavalcare una sorta di perenne onda su di una tavola da surf, mettendosi sotto i riflettori e accettando i rischi che ciò comporta. Perciò, è comprensibile come pure nello sviluppo di correnti culturali l'America abbia deciso di tracciare strade nuove, rispetto al percorrere quelle che già erano state tracciate in precedenza. Lo ha fatto col cinema, dando vita a Hollywood e a una vera e propria "macchina da guerra", capace di produrre kolossal in tempi brevi e consegnare una fama tanto fulgida quanto effimera a stuoli di star più o meno talentuose. Lo ha fatto nel campo della musica, quando generi come l'r&b e il rap hanno visto la luce nei ghetti delle periferie delle grandi metropoli e hanno generato fenomeni di costume e forme di protesta che ancora al giorno d'oggi sono validissime. E lo ha fatto nel campo della letteratura. La prima cosa che mi viene in mente, quando penso agli scrittori americani in generale, è la cosiddetta Beat Generation, quella corrente culturale che incarnarono Jack Kerouac, Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti, la quale vedeva una sorta di rifiuto delle norme imposte e del materialismo, in favore di religioni orientali e pensiero libero, a discapito dei valori della società del tempo. Oppure la narrativa di Thomas Pynchon, che non riesce ad essere mai classificata e definita del tutto. Niente di tutto ciò era esistito prima, nel Vecchio Continente.

E una cosa del genere vale pure per la crime story che, in America, fin da subito non viene considerata allo stesso modo che in Inghilterra. Intendiamoci: in un certo senso questo è naturale, visto che un tipo di società sortisce degli effetti in modo differente da quella di qualunque altra su qualsiasi aspetto della vita quotidiana che si rapporti ad essa e la interpreti. Però è curioso notare come in America si sia andati alla ricerca di un'interpretazione del romanzo del mistero diametralmente opposta a quella britannica: non esistono quasi più famiglie aristocratiche o circoli chiusi di sospettati, viene esasperato l'uso della violenza e l'azione rispetto alla riflessione, l'investigatore dilettante è sostituito da corpi di polizia composti da innumerevoli persone oppure da private eye professionisti, con tanto di licenza e matricola... È stato come se l'America avesse voluto dimostrare di essere proprio diversa dal Paese che le ha dato i natali. Detto ciò, però, bisogna sottolineare come questo non sia avvenuto proprio sempre. Alcuni giallisti e gialliste, infatti, preferirono sforzarsi per dare un'interpretazione della realtà che li circondava continuando a perpetuare la tradizione britannica, pur senza ricalcarla alla perfezione. Per prima fu Anna Katharine Green, la quale inserì nella sua produzione alcune storie che prevedevano un mistero da risolvere; poi venne il turno di altre colleghe come Mary Roberts Rinehart e le sue women in jeopardy (con le sue discepole) e quello di scrittori maschili, primo tra tutti S.S. Van Dine, il quale fece scuola presso molteplici suoi imitatori. Tutti loro non mancarono di inserire elementi del giallo classico inglese nelle loro opere, come investigatori dilettanti alla bisogna, cerchie di sospettati abbastanza ristrette, atmosfere che richiamavano l'arte e la cultura; ma allo stesso tempo non rinunciarono a mescolare questi elementi con altri appartenenti alla crime novel americana. Tra queste opere "ibride", oggi voglio recensire la seconda in ordine cronologico di uno dei discepoli di Van Dine, Anthony Abbot: "Il Crimine del Secolo" (Polillo Editore, 2021, conosciuto anche col titolo "L'Amante del Reverendo"). Essa incarna al meglio questo discorso di miscela tra passato e modernità, presentando un duplice delitto che viene affrontato sì da una squadra di polizia investigativa, ma con a capo un individuo risoluto e astuto come il classico segugio del mystery inglese. Le similitudini non si fermano qui, ma lasciate che vi spieghi un po' com'è la trama perché possiate rendervi conto della realtà dei fatti.

Low Tide, Afternoon, Treport, Maurice
Prendergast, 1892
Le vicende prendono avvio quando una barca a remi viene speronata da un motoscafo lungo l'East River di New York. Al suo interno non si trovano i prevedibili piccioncini arrabbiati per essere stati quasi catapultati nell'acqua gelida, ma ben due cadaveri che paiono vagare alla deriva: un uomo e una donna. Si tratterebbe di una faccenda di semplice routine, se non fosse che le identità dei due sono sconosciute poiché non portano alcun documento con sé... e che la loro morte sarà destinata a generare un grosso scandalo nella società perbenista della città. Infatti, nonostante non si sappia chi siano, i due cadaveri recano tracce inconfondibili di quale ruolo svolgessero al mondo: lei ha tutta l'aria di essere una giovane signora un po' disinvolta, una di quelle ragazze che non si prendono molto sul serio e a volte commettono qualche sciocchezza, e lui è vestito in abito talare; quindi, è un sacerdote. Cosa mai potrebbe farci un parroco assieme a una ragazza che si dovrebbe accompagnare meglio a un giovanotto? La polizia, convocata immediatamente sul posto nella persona dell'investigatore capo Thatcher Colt e del suo assistente Anthony Abbot, già si prefigura scenari poco felici: evidentemente, i due erano amanti e, a giudicare dagli abiti nuovi che indossano, erano in procinto di mettere in atto una fuga d'amore. Tuttavia, qualcuno deve averli intercettati e neutralizzati, forse proprio per coprire lo scandalo che sarebbe derivato dallo svelamento della loro relazione. E non è solo la mancanza di una pistola, a giustificare le ferite d'arma da fuoco che si trovano sui corpi, a suggerire quest'ipotesi; anche la presenza di mezza lettera d'amore, di un gatto con le zampe sporche di sangue (dove sangue non ce n'è) e di una strana foglia sotto ai due disgraziati farebbero pensare che il delitto abbia avuto luogo da qualche altra parte e che il responsabile si sia liberato di tutte le prove del suo crimine. Pertanto, Thatcher Colt e la sua squadra di agenti si mettono a caccia di questo fantomatico assassino, sfruttando tutte le armi che hanno a disposizione: rilevamenti di impronte digitali sulla scena del crimine, analisi di laboratorio, esami forensi e sopralluoghi in varie parti della città.

Alla fine di una ricerca approfondita, la polizia riesce a scovare la vera scena del delitto: un appartamento in un caseggiato che in quel momento è assolutamente deserto, affittato a una giovane coppia che si rivelerà essere composta dal sacerdote e dalla ragazza e all'interno del quale sembra proprio sia stata costruita la barchetta su cui i cadaveri sono stati ritrovati. Tutto ciò è molto strano, dal momento che i due avrebbero dovuto organizzare una fuga romantica, e non un suicidio premeditato; ma allora, perché mettersi a montare un'imbarcazione in gran segreto? E poi c'è quel coltello affilato e temibile appeso alla parete, che potrebbe essere stato usato per sgozzare la ragazza una volta già morta... Colt è inquieto e sconcertato dalla quantità di indizi che contrastano tra loro; e la successiva scoperta dell'identità dei due morti non lo aiuta molto a scacciare le tenebre dall'enigma. Si tratta infatti del reverendo Timothy Beazeley e della sua corista Evelyn Saunders, integerrimi parrocchiani della chiesa di St. Michael and All Angels. Questo significa avere a che fare con i loro familiari: dalla parte del parroco si contano la signora Elizabeth Beazeley, la sua vedova scostante e fredda come un iceberg, assieme ai fratelli Paddington e Gerald Curtainwood (il primo è menomato mentalmente e appassionato di coltelli, mentre il secondo ha tutta l'aria di aver ereditato un genere differente di pazzia: quello legato agli scatti d'ira); dalla parte dei Saunders, il marito ubriacone di Evelyn e sua figlia, William e Isabel. Tutti costoro sono sospettabili per il delitto, dal momento che presentano moventi plausibili che vanno dalla gelosia a uno spiccato senso del rispetto dell'onore ai meri sentimenti di odio e vendetta personale; ma nel corso dell'indagine si aggiungono pure un paio di ex segretarie del sacerdote: le signorine Bessy Struber, compassata e fin troppo indefessa al lavoro, e la chiacchierona Emma Hicks. A chiudere il cerchio, il fabbricere Mr. Chadwick. Pressato dal procuratore distrettuale, il quale vorrebbe chiudere il caso il prima possibile per non irritare l'opinione pubblica, e da un avvocato petulante e capace come il colonnello Powell, Colt deve contare solo sulla sua capacità di scindere le bugie dalla verità e sull'abilità della propria squadra per risolvere quello che i giornali già definiscono come "Il Crimine del Secolo". Ci riuscirà? Forse dopo aver appreso alcune informazioni che si nascondono nel Norfolk e in seguito all'inseguimento di un espresso da parte di un aereo...

Copertina dell'edizione
pubblicata nei Classici
del Giallo Mondadori
La pubblicazione di questo titolo della collana dei Bassotti Polillo si è fatta attendere come nessun'altra, visto che era prevista ancora prima della scomparsa del patron della casa editrice. Da parte mia, quindi, c'era una grande aspettativa al riguardo, nonostante sapessi che si trattava semplicemente di una ripubblicazione con tanto di traduzione mondadoriana; tuttavia, adesso vi devo confessare di essere stato soddisfatto solo in parte dalla sua lettura. Certamente non è stato qualcosa di noioso; anzi, ha saputo intrattenere dall'inizio alla fine, senza grandi cali di attenzione da parte mia. Però ho avuto l'impressione che fossero riusciti meglio gli altri due romanzi gialli di Abbot che ho letto diversi anni fa, "La Signora dei Nightclub" e "Sette Piccioni Sporchi di Sangue". Non saprei, questo "Il Crimine del Secolo" mi ha dato l'impressione di essere stato meno articolato e approfondito, come se l'autore si fosse curato di alcune cose e ne avesse tralasciate altre. Il ché è un peccato, visto che la trama è stata basata su una coppia di delitti avvenuti nella realtà. Si tratta del celebre Caso Hall-Mills, avvenuto in America alla fine del 1922: tali Edward Hall, sacerdote episcopale, ed Eleanor Mills, corista della sua parrocchia, erano stati ritrovati assassinati in un campo poco fuori New Brunswick (New Jersey) e il loro decesso aveva avuto una delle più potenti ripercussioni sulla società del tempo, tanto da essere oscurato soltanto dal rapimento Lindbergh (sfruttato da Agatha Christie per la trama del celeberrimo "Assassino sull'Orient-Express"). I fatti in breve: entrambi i cadaveri presentavano ferite d'arma da fuoco alla testa, la donna era stata pure sgozzata e messa di fianco al presunto amante, e tra di loro furono trovate lettere d'amore strappate. Ogni cosa faceva pensare a una sorta di vendetta da parte di un coniuge tradito... e infatti presto furono accusati dell'omicidio la vedova di Hall, Frances Noel Stevens, e i fratelli di lei, Henry Hewgill e William Carpender. Tuttavia la scena del crimine venne contaminata da curiosi accorsi sul posto e da una deplorevole gestione della faccenda da parte delle forze dell'ordine, così che per qualche tempo non si riuscì ad incriminare nessuno; fu solo grazie alle pressioni esercitate dal "New York Daily Mirror" che alla fine si decise di mettere sotto processo la signora Stevens. L'accusa fece di tutto per incriminare i sospettati, arrivando a convocare come teste una certa Jane Gibson, allevatrice di maiali che sosteneva di essere stata quasi testimone oculare del crimine; però la donna cambiò versione in più occasioni e la difesa si impegnò a screditarla, finché il verdetto non assolse gli imputati per mancanza di prove. La risonanza generata dallo scandalo e dall'importanza delle famiglie coinvolte, tuttavia, aveva catturato l'attenzione del pubblico (nel quale si trovava pure una certa Mary Roberts Rinehart) che rese il processo un vero e proprio "circo mediatico" e spinse la signora Stevens a denunciare il "New York Daily Mirror" per diffamazione.

Se fino a qui vi sembra che alcuni fatti siano praticamente identici a quelli che vi ho riassunto qui sopra, sappiate che le cose sono molto più complesse di quanto appaia a prima vista. Infatti, potrei aggiungere altri dettagli per dimostrare come Abbot abbia trasportato il Caso Hall-Mills dentro la sua trama e ci abbia poi costruito attorno alcuni aspetti inventati: oltre alle circostanze legate alla scena del delitto (corpi messi vicini, ferite causate da arma da fuoco e coltello) e l'accoppiata sacerdote più corista, ci sono alcune similitudini negli abiti indossati dalle vittime reali e quelle fittizie; il fatto che mancasse l'orologio dal polso sia di Hall sia di Beazeley; i sospetti suscitati contro la famiglia Stevens e quella dei Curtainwood, entrambe potenti e con ruoli di spicco all'interno della società; il curioso nome dell'avvocato dell'accusa, Alexander, identico a quello dell'uomo incaricato della difesa dei familiari di Beazeley. Ciò dimostra come Abbot non fosse uno sprovveduto oppure un autore che scriveva per il semplice gusto di farlo, privo di coscienza; anzi, mette in luce la sua intenzione di dare spessore alle storie che scriveva. Le vicende di "Il Crimine del Secolo" sono pertanto molto ben strutturate, dietro alla costruzione delle azioni dei personaggi e di quanto accade c'è ben più di un semplice lavoro di accumulo di fatti e di indizi. L'autore si è sforzato di rappresentare, dentro la finzione del suo romanzo, una certa realtà dei fatti: ha fatto agire la polizia come se assistessimo a un'indagine reale, ha spiegato quali siano le difficoltà a cui essa va incontro (ad esempio, è interessante rilevare come il procuratore Dougherty faccia molta pressione su Colt affinché quest'ultimo chiuda il caso in fretta, per permettergli di glorificarsi davanti ai giornalisti; oppure va sottolineato come spesso e volentieri le piste investigative possano finire in vicoli ciechi dai quali bisogna subito svicolare); Abbot ha mostrato quanto sia importante per un investigatore/ispettore la conoscenza del proprio mestiere, coltivata con studi approfonditi di casi esemplari su cui basare il proprio operato per poi mettersi all'opera in base alle circostanze peculiari di ogni delitto. Credo sia stato questo il punto più interessante toccato da "Il Crimine del Secolo": dimostrare come il police procedural sia strutturato in una sorta di percorso ad ostacoli da superare, tra sfide e vittorie (pp. 25-29, 31-34, 37-39, 43-44, 62-65, 70, 74-75, 82-85, 87-89, 95, 101-102, 108-111, 113-114, 122-125, 127-130, 133-134). Abbot è stato incredibilmente competente nel fare questo. Allora, vi chiederete qual è il problema che mi spinge a non considerarmi del tutto soddisfatto dalla lettura. Ebbene, penso che questo dispiegamento di forze e di astuzia e di esperienza da parte dell'autore non sia stato del tutto degno dell'indagine a cui esse sono state destinate. Ho percepito una debolezza di fondo nelle vicende, come se non fossero state del tutto esplorate: il finale stupisce ma non sconvolge, il gatto con le zampe macchiate di sangue, ad esempio, è scomparso poco dopo la sua apparizione quando magari poteva essere impiegato per ulteriori sviluppi; alcuni tra i personaggi sono comparsi il tempo di essere interrogati e poi sono stati messi da parte; la stessa azione ha occupato un posto che sta tra il troppo e il troppo poco, essendo esercitata più dalla "macchina" della polizia con i suoi agenti rispetto allo stesso Colt. Ecco, questi piccoli difettucci hanno intaccato la godibilità di "Il Crimine del Secolo", a mio parere un po' statico e troppo indirizzato a chi è appassionato di true crime, pur restando quest'ultimo una lettura più che valida rispetto a titoli meno riusciti.

Charles Fulton Oursler,
alias Anthony Abbot, nato
nel 1893 e morto nel 1952
Detto ciò, ho tutta l'intenzione di recuperare (con i tempi giusti) altre opere di Charles Fulton Oursler, vero nome di Anthony Abbot, poiché mi incuriosisce capire se le sensazioni che ho provato leggendo "La Signora dei Nightclub" e "Sette Piccioni Sporchi di Sangue" sono rimaste inalterate nel tempo. Nato a Baltimora nel Maryland, nel 1893, egli era figlio di un supervisore alla United Railways and Electric Company, discendente nientemeno che da una delle famiglie più antiche della città ma sfortunatamente non tra le più abbienti. Infatti, Fulton fu costretto ad abbandonare la scuola prima degli studi superiori per contribuire al sostentamento familiare e svolse innumerevoli lavori: imballatore in un grande magazzino, venditore porta a porta di latticini, impiegato in uno studio legale, prestigiatore nei night-club... Poi l'illuminazione: scoprì di possedere del talento nella scrittura e decise di tradire le aspettative dei genitori, i quali lo volevano avvocato, diventando reporter per il "Baltimore American". Da quel momento iniziò la sua lenta ascesa: nel 1918 si trasferì a New York dove si impiegò come caporedattore per "The Music Trades", per passare due anni dopo alla MacFadden Publications, una casa editrice di riviste popolari che gli affidò la direzione editoriale della testata e gli diede da lavorare per circa vent'anni. In questo periodo, Fulton si appassionò alle investigazioni criminali e a tutto ciò che su di esse trovava: articoli di cronaca, resoconti di processi, testimonianze tratte da interviste a sospettati... Per non parlare di quei mysteries che furoreggiavano al tempo, soprattutto quelli a firma S.S. Van Dine. Questo lo portò a cimentarsi nella narrativa del mistero come un discepolo di quest'ultimo, e in rapida successione (tra il 1930 e il 1943) Fulton pubblicò otto romanzi di genere sotto lo pseudonimo di Anthony Abbot: "Sette Piccioni Sporchi di Sangue" (conosciuto anche come "L'Omicidio di Geraldine Foster"), "Il Crimine del Secolo" o "L'Amante del Reverendo", "La Signora dei Nightclub", "La Regina del Circo", "Il Mistero di Madeline", "L'Uomo che Temeva le Donne", "La Soglia della Paura" e "Killer²". I primi sei si differenziano dagli ultimi due per un paio di caratteristiche: la prima è data dal fatto che, nel titolo originale, iniziano con la formula "About the Murder of..." (forse un espediente per far comparire i suoi libri in cima agli elenchi delle biblioteche pubbliche, assieme all'assunzione di uno pseudonimo le cui iniziali erano sempre date dalla lettera "A"? L'autore smentì la cosa), mentre la seconda riguarda il protagonista delle indagini: l'ispettore Thatcher Colt.

Costui è il capo della polizia di New York, un uomo duro ma giusto coi suoi uomini, disposto a lodarli e a redarguirli in ugual misura in base alla necessità, capace di compiere ragionamenti sensati pur senza apparire un superuomo "alla Sherlock Holmes". Egli infatti non incarna alcun ideale di segugio dotato al di sopra della media, quanto quello di un individuo sveglio e nel pieno delle facoltà fisiche e mentali dell'uomo comune che può sbagliare. Come dicevo, Colt fu personaggio principale in molti romanzi gialli di Abbot; finché l'autore decise di tentare di rimescolare le carte. Ma ormai l'interesse di Fulton si stava spostando dal mystery verso il giornalismo (che restò sempre la sua passione più grande): dal 1931 al 1942, infatti, aveva diretto la rivista "Liberty", per poi diventare commentatore radiofonico ed essere nominato, nel 1944, responsabile editoriale del "Reader's Digest". Tuttavia furono un viaggio in Palestina e la repentina conversione alla chiesa cattolica a imprimere sulla sua carriera di scrittore il segno dell'immortalità: nel 1949 Fulton pubblicò una rivisitazione del Nuovo Testamento sotto il titolo "The Greatest Story Ever Told" e questo lo consegnò definitivamente alla celebrità. Il romanzo di genere religioso vendette milioni di copie e da esso venne tratto un kolossal cinematografico, così l'autore decise di dedicarsi a questo tipo di narrativa e continuò fino alla fine della sua vita, stroncata da un infarto nel 1952. Come spesso accade, tuttavia, al giorno d'oggi la fama di Fulton resta legata alle sue opere del mistero, nelle quali come dicevo si riscontano somiglianze con quelle del suo ispiratore S.S. Van Dine. Ad esempio, entrambi usarono casi di true crime per costruire i loro delitti: in questo romanzo Abbot ha usato quello Hall-Mills, Van Dine in "Lo Strano Caso del Signor Benson" si ispirò all'assassinio di Joseph Bowne Elwell e in "La Canarina Assassinata" all'uccisione di Dot King. Oppure entrambi inserirono osservazioni e citazioni sul genere giallo per fare paragoni oppure rilevare distinzioni tra indagini (pp. 9, 32, 61, 82, 106).

Detto ciò, tuttavia, vanno rilevate le differenze che Abbot apportò al modello del suo ispiratore: nel caso in questione, abbiamo un investigatore che sta dentro la polizia e non è, invece, in sfida contro le forze dell'ordine, per cui vediamo le cose da un punto di vista differente e seguiamo il metodo degli agenti in azione e l'interazione che esiste tra loro; all'estetismo e a un ampio uso della cultura viene contrapposto il pragmatismo dell'azione applicata all'enigma (pp. 35-36, 46-50, 122-125, 138-139, 147-150), pur con lo sfruttamento di svariati campi di conoscenza (penso a quello della botanica per scoprire a quale pianta appartenga la foglia trovata nella barca); vi è un uso più frequente di crudezza, nei gialli di Abbot, rispetto a quelli di Van Dine, dal momento che in questi ultimi il sangue non appare quasi mai in primo piano; infine, c'è molto più movimento negli spostamenti messi in atto da Colt e Abbot rispetto a quelli che potrebbe far compiere Van Dine al suo pigro investigatore. Quest'ultimo punto permette ad Abbot di descrivere meglio la città di New York e le sue strade, i suoi palazzi e i giardini (pp. 15-16, 23-24, 36-37, 39-41, 44-47, 53, 56, 61, 112, 117, 125, 134-135, 141-142); ma d'altra parte focalizza meno l'attenzione sui personaggi che, come dicevo, non vengono del tutto esplorati a mio parere (pp. 54-60, 64, 66, 72, 76, 80-81, 91, 100-101, 118, 165). Certamente i principali sospettati ci vengono presentati sufficientemente e con un'aderenza importante ai modelli reali del caso Hall-Mills (ad esempio, oltre a quelli già citati sopra, mi ha colpito come William Carpender assomigli a Paddington Curtainwood nell'atteggiamento particolare che adotta); però alcuni testimoni e individui secondari non assumono mai vita propria, come il fabbriciere Chadwick. Detto questo, comunque, ribadisco come "Il Crimine del Secolo" sia stato una lettura interessante e piacevole. Lettura che (qui concludo) si presta a un'interpretazione affascinante, per certi aspetti. Infatti, ho notato come l'autore abbia in qualche modo criticato la Chiesa e il suo perbenismo (pp. 117, 135,168-169, 171-175, 179-181): la figura del reverendo Beazeley non viene dipinta sotto luci tanto favorevoli e neppure i suoi parrocchiani fanno una bella figura, vengono citati brani della Bibbia come a commento di alcune azioni vergognose dei personaggi, la foglia trovata nella barca (guarda caso) è di un albero del paradiso. Ho avuto l'impressione, insomma, che Abbot non fosse ancora stato convertito alla bontà del cattolicesimo che lo avrebbe poi reso celebre. Proprio uno strano caso del destino, ma si sa che chi ha a che fare con la classica crime story incappa spesso e volentieri in queste circostanze quantomeno curiose.

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