Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
E una cosa del genere vale pure per la crime story che, in America, fin da subito non viene considerata allo stesso modo che in Inghilterra. Intendiamoci: in un certo senso questo è naturale, visto che un tipo di società sortisce degli effetti in modo differente da quella di qualunque altra su qualsiasi aspetto della vita quotidiana che si rapporti ad essa e la interpreti. Però è curioso notare come in America si sia andati alla ricerca di un'interpretazione del romanzo del mistero diametralmente opposta a quella britannica: non esistono quasi più famiglie aristocratiche o circoli chiusi di sospettati, viene esasperato l'uso della violenza e l'azione rispetto alla riflessione, l'investigatore dilettante è sostituito da corpi di polizia composti da innumerevoli persone oppure da private eye professionisti, con tanto di licenza e matricola... È stato come se l'America avesse voluto dimostrare di essere proprio diversa dal Paese che le ha dato i natali. Detto ciò, però, bisogna sottolineare come questo non sia avvenuto proprio sempre. Alcuni giallisti e gialliste, infatti, preferirono sforzarsi per dare un'interpretazione della realtà che li circondava continuando a perpetuare la tradizione britannica, pur senza ricalcarla alla perfezione. Per prima fu Anna Katharine Green, la quale inserì nella sua produzione alcune storie che prevedevano un mistero da risolvere; poi venne il turno di altre colleghe come Mary Roberts Rinehart e le sue women in jeopardy (con le sue discepole) e quello di scrittori maschili, primo tra tutti S.S. Van Dine, il quale fece scuola presso molteplici suoi imitatori. Tutti loro non mancarono di inserire elementi del giallo classico inglese nelle loro opere, come investigatori dilettanti alla bisogna, cerchie di sospettati abbastanza ristrette, atmosfere che richiamavano l'arte e la cultura; ma allo stesso tempo non rinunciarono a mescolare questi elementi con altri appartenenti alla crime novel americana. Tra queste opere "ibride", oggi voglio recensire la seconda in ordine cronologico di uno dei discepoli di Van Dine, Anthony Abbot: "Il Crimine del Secolo" (Polillo Editore, 2021, conosciuto anche col titolo "L'Amante del Reverendo"). Essa incarna al meglio questo discorso di miscela tra passato e modernità, presentando un duplice delitto che viene affrontato sì da una squadra di polizia investigativa, ma con a capo un individuo risoluto e astuto come il classico segugio del mystery inglese. Le similitudini non si fermano qui, ma lasciate che vi spieghi un po' com'è la trama perché possiate rendervi conto della realtà dei fatti.
Low Tide, Afternoon, Treport, Maurice Prendergast, 1892 |
Alla fine di una ricerca approfondita, la polizia riesce a scovare la vera scena del delitto: un appartamento in un caseggiato che in quel momento è assolutamente deserto, affittato a una giovane coppia che si rivelerà essere composta dal sacerdote e dalla ragazza e all'interno del quale sembra proprio sia stata costruita la barchetta su cui i cadaveri sono stati ritrovati. Tutto ciò è molto strano, dal momento che i due avrebbero dovuto organizzare una fuga romantica, e non un suicidio premeditato; ma allora, perché mettersi a montare un'imbarcazione in gran segreto? E poi c'è quel coltello affilato e temibile appeso alla parete, che potrebbe essere stato usato per sgozzare la ragazza una volta già morta... Colt è inquieto e sconcertato dalla quantità di indizi che contrastano tra loro; e la successiva scoperta dell'identità dei due morti non lo aiuta molto a scacciare le tenebre dall'enigma. Si tratta infatti del reverendo Timothy Beazeley e della sua corista Evelyn Saunders, integerrimi parrocchiani della chiesa di St. Michael and All Angels. Questo significa avere a che fare con i loro familiari: dalla parte del parroco si contano la signora Elizabeth Beazeley, la sua vedova scostante e fredda come un iceberg, assieme ai fratelli Paddington e Gerald Curtainwood (il primo è menomato mentalmente e appassionato di coltelli, mentre il secondo ha tutta l'aria di aver ereditato un genere differente di pazzia: quello legato agli scatti d'ira); dalla parte dei Saunders, il marito ubriacone di Evelyn e sua figlia, William e Isabel. Tutti costoro sono sospettabili per il delitto, dal momento che presentano moventi plausibili che vanno dalla gelosia a uno spiccato senso del rispetto dell'onore ai meri sentimenti di odio e vendetta personale; ma nel corso dell'indagine si aggiungono pure un paio di ex segretarie del sacerdote: le signorine Bessy Struber, compassata e fin troppo indefessa al lavoro, e la chiacchierona Emma Hicks. A chiudere il cerchio, il fabbricere Mr. Chadwick. Pressato dal procuratore distrettuale, il quale vorrebbe chiudere il caso il prima possibile per non irritare l'opinione pubblica, e da un avvocato petulante e capace come il colonnello Powell, Colt deve contare solo sulla sua capacità di scindere le bugie dalla verità e sull'abilità della propria squadra per risolvere quello che i giornali già definiscono come "Il Crimine del Secolo". Ci riuscirà? Forse dopo aver appreso alcune informazioni che si nascondono nel Norfolk e in seguito all'inseguimento di un espresso da parte di un aereo...
Copertina dell'edizione pubblicata nei Classici del Giallo Mondadori |
Se fino a qui vi sembra che alcuni fatti siano praticamente identici a quelli che vi ho riassunto qui sopra, sappiate che le cose sono molto più complesse di quanto appaia a prima vista. Infatti, potrei aggiungere altri dettagli per dimostrare come Abbot abbia trasportato il Caso Hall-Mills dentro la sua trama e ci abbia poi costruito attorno alcuni aspetti inventati: oltre alle circostanze legate alla scena del delitto (corpi messi vicini, ferite causate da arma da fuoco e coltello) e l'accoppiata sacerdote più corista, ci sono alcune similitudini negli abiti indossati dalle vittime reali e quelle fittizie; il fatto che mancasse l'orologio dal polso sia di Hall sia di Beazeley; i sospetti suscitati contro la famiglia Stevens e quella dei Curtainwood, entrambe potenti e con ruoli di spicco all'interno della società; il curioso nome dell'avvocato dell'accusa, Alexander, identico a quello dell'uomo incaricato della difesa dei familiari di Beazeley. Ciò dimostra come Abbot non fosse uno sprovveduto oppure un autore che scriveva per il semplice gusto di farlo, privo di coscienza; anzi, mette in luce la sua intenzione di dare spessore alle storie che scriveva. Le vicende di "Il Crimine del Secolo" sono pertanto molto ben strutturate, dietro alla costruzione delle azioni dei personaggi e di quanto accade c'è ben più di un semplice lavoro di accumulo di fatti e di indizi. L'autore si è sforzato di rappresentare, dentro la finzione del suo romanzo, una certa realtà dei fatti: ha fatto agire la polizia come se assistessimo a un'indagine reale, ha spiegato quali siano le difficoltà a cui essa va incontro (ad esempio, è interessante rilevare come il procuratore Dougherty faccia molta pressione su Colt affinché quest'ultimo chiuda il caso in fretta, per permettergli di glorificarsi davanti ai giornalisti; oppure va sottolineato come spesso e volentieri le piste investigative possano finire in vicoli ciechi dai quali bisogna subito svicolare); Abbot ha mostrato quanto sia importante per un investigatore/ispettore la conoscenza del proprio mestiere, coltivata con studi approfonditi di casi esemplari su cui basare il proprio operato per poi mettersi all'opera in base alle circostanze peculiari di ogni delitto. Credo sia stato questo il punto più interessante toccato da "Il Crimine del Secolo": dimostrare come il police procedural sia strutturato in una sorta di percorso ad ostacoli da superare, tra sfide e vittorie (pp. 25-29, 31-34, 37-39, 43-44, 62-65, 70, 74-75, 82-85, 87-89, 95, 101-102, 108-111, 113-114, 122-125, 127-130, 133-134). Abbot è stato incredibilmente competente nel fare questo. Allora, vi chiederete qual è il problema che mi spinge a non considerarmi del tutto soddisfatto dalla lettura. Ebbene, penso che questo dispiegamento di forze e di astuzia e di esperienza da parte dell'autore non sia stato del tutto degno dell'indagine a cui esse sono state destinate. Ho percepito una debolezza di fondo nelle vicende, come se non fossero state del tutto esplorate: il finale stupisce ma non sconvolge, il gatto con le zampe macchiate di sangue, ad esempio, è scomparso poco dopo la sua apparizione quando magari poteva essere impiegato per ulteriori sviluppi; alcuni tra i personaggi sono comparsi il tempo di essere interrogati e poi sono stati messi da parte; la stessa azione ha occupato un posto che sta tra il troppo e il troppo poco, essendo esercitata più dalla "macchina" della polizia con i suoi agenti rispetto allo stesso Colt. Ecco, questi piccoli difettucci hanno intaccato la godibilità di "Il Crimine del Secolo", a mio parere un po' statico e troppo indirizzato a chi è appassionato di true crime, pur restando quest'ultimo una lettura più che valida rispetto a titoli meno riusciti.
Charles Fulton Oursler, alias Anthony Abbot, nato nel 1893 e morto nel 1952 |
Costui è il capo della polizia di New York, un uomo duro ma giusto coi suoi uomini, disposto a lodarli e a redarguirli in ugual misura in base alla necessità, capace di compiere ragionamenti sensati pur senza apparire un superuomo "alla Sherlock Holmes". Egli infatti non incarna alcun ideale di segugio dotato al di sopra della media, quanto quello di un individuo sveglio e nel pieno delle facoltà fisiche e mentali dell'uomo comune che può sbagliare. Come dicevo, Colt fu personaggio principale in molti romanzi gialli di Abbot; finché l'autore decise di tentare di rimescolare le carte. Ma ormai l'interesse di Fulton si stava spostando dal mystery verso il giornalismo (che restò sempre la sua passione più grande): dal 1931 al 1942, infatti, aveva diretto la rivista "Liberty", per poi diventare commentatore radiofonico ed essere nominato, nel 1944, responsabile editoriale del "Reader's Digest". Tuttavia furono un viaggio in Palestina e la repentina conversione alla chiesa cattolica a imprimere sulla sua carriera di scrittore il segno dell'immortalità: nel 1949 Fulton pubblicò una rivisitazione del Nuovo Testamento sotto il titolo "The Greatest Story Ever Told" e questo lo consegnò definitivamente alla celebrità. Il romanzo di genere religioso vendette milioni di copie e da esso venne tratto un kolossal cinematografico, così l'autore decise di dedicarsi a questo tipo di narrativa e continuò fino alla fine della sua vita, stroncata da un infarto nel 1952. Come spesso accade, tuttavia, al giorno d'oggi la fama di Fulton resta legata alle sue opere del mistero, nelle quali come dicevo si riscontano somiglianze con quelle del suo ispiratore S.S. Van Dine. Ad esempio, entrambi usarono casi di true crime per costruire i loro delitti: in questo romanzo Abbot ha usato quello Hall-Mills, Van Dine in "Lo Strano Caso del Signor Benson" si ispirò all'assassinio di Joseph Bowne Elwell e in "La Canarina Assassinata" all'uccisione di Dot King. Oppure entrambi inserirono osservazioni e citazioni sul genere giallo per fare paragoni oppure rilevare distinzioni tra indagini (pp. 9, 32, 61, 82, 106).
Detto ciò, tuttavia, vanno rilevate le differenze che Abbot apportò al modello del suo ispiratore: nel caso in questione, abbiamo un investigatore che sta dentro la polizia e non è, invece, in sfida contro le forze dell'ordine, per cui vediamo le cose da un punto di vista differente e seguiamo il metodo degli agenti in azione e l'interazione che esiste tra loro; all'estetismo e a un ampio uso della cultura viene contrapposto il pragmatismo dell'azione applicata all'enigma (pp. 35-36, 46-50, 122-125, 138-139, 147-150), pur con lo sfruttamento di svariati campi di conoscenza (penso a quello della botanica per scoprire a quale pianta appartenga la foglia trovata nella barca); vi è un uso più frequente di crudezza, nei gialli di Abbot, rispetto a quelli di Van Dine, dal momento che in questi ultimi il sangue non appare quasi mai in primo piano; infine, c'è molto più movimento negli spostamenti messi in atto da Colt e Abbot rispetto a quelli che potrebbe far compiere Van Dine al suo pigro investigatore. Quest'ultimo punto permette ad Abbot di descrivere meglio la città di New York e le sue strade, i suoi palazzi e i giardini (pp. 15-16, 23-24, 36-37, 39-41, 44-47, 53, 56, 61, 112, 117, 125, 134-135, 141-142); ma d'altra parte focalizza meno l'attenzione sui personaggi che, come dicevo, non vengono del tutto esplorati a mio parere (pp. 54-60, 64, 66, 72, 76, 80-81, 91, 100-101, 118, 165). Certamente i principali sospettati ci vengono presentati sufficientemente e con un'aderenza importante ai modelli reali del caso Hall-Mills (ad esempio, oltre a quelli già citati sopra, mi ha colpito come William Carpender assomigli a Paddington Curtainwood nell'atteggiamento particolare che adotta); però alcuni testimoni e individui secondari non assumono mai vita propria, come il fabbriciere Chadwick. Detto questo, comunque, ribadisco come "Il Crimine del Secolo" sia stato una lettura interessante e piacevole. Lettura che (qui concludo) si presta a un'interpretazione affascinante, per certi aspetti. Infatti, ho notato come l'autore abbia in qualche modo criticato la Chiesa e il suo perbenismo (pp. 117, 135,168-169, 171-175, 179-181): la figura del reverendo Beazeley non viene dipinta sotto luci tanto favorevoli e neppure i suoi parrocchiani fanno una bella figura, vengono citati brani della Bibbia come a commento di alcune azioni vergognose dei personaggi, la foglia trovata nella barca (guarda caso) è di un albero del paradiso. Ho avuto l'impressione, insomma, che Abbot non fosse ancora stato convertito alla bontà del cattolicesimo che lo avrebbe poi reso celebre. Proprio uno strano caso del destino, ma si sa che chi ha a che fare con la classica crime story incappa spesso e volentieri in queste circostanze quantomeno curiose.
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