Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Sarebbe impossibile e poco veritiero asserire che non esistano titoli scadenti, ed è una cosa normalissima dire: "Questo non mi è piaciuto per questo motivo ecc...". Io stesso, pertanto, non mi sottraggo a una tale situazione. Tra i volumi che finora ho recensito, almeno in due casi sono stato molto deluso dai risultati a fine lettura (nonostante la mia innata natura mi abbia spinto a spendere qualche parola per rimediare alle stroncature che stavo scrivendo): in "Notti di Halloween" di Leo Bruce e in "Un Cadavere al Campo Due" di Glyn Carr. Il primo si è rivelato essere più concentrato sull'evocazione di una certa atmosfera di terrore e mistero, rispetto all'enigma, allo stile e al tratteggio dei personaggi: a parte il trucco con cui è stato commesso l'omicidio e alcune descrizioni che, avendolo letto ad Halloween, sono risultate azzeccate per calare il lettore all'interno della storia, non ho ricavato alcun altro piacere dalla sua lettura. Il secondo, al contrario, ha puntato ogni cosa nelle descrizioni del paesaggio del Nepal e del percorso intrapreso dai personaggi per raggiungere una delle vette dell'Everest. Su questo punto non c'è stato nulla da eccepire; tuttavia, l'enigma ha visto il proprio effettivo svolgimento in un arco temporale ridottissimo: ci sono state moltissime premesse, le quali hanno permesso a chi leggeva di farsi un'idea del carattere dei protagonisti, ma il delitto vero e proprio si è compiuto a tre capitoli dalla fine del libro! Troppo tardi per permettere un coinvolgimento totale in esso. Anche in questo caso, tuttavia, essendo stata una lettura avvenuta durante il primo duro lockdown, quando non ci era permesso di uscire di casa se non per emergenze gravi, il soffermarsi sul paesaggio si era rivelato in un certo senso una cosa buona. Col titolo che recensisco oggi, invece, cadiamo del tutto in una storia che mi ha profondamente deluso, senza alcun appello a cui aggrapparsi. Prima o poi doveva succedere, e questo triste evento è stato provocato da "Congelato" di Anthony Weymouth (Polillo Editore, 2016). Infatti, devo proprio ammettere che la trama, la sua trattazione, i personaggi e il mistero stesso non mi hanno soddisfatto per nulla: ogni cosa mi è sembrata dipinta con superficialità, come se stessi leggendo delle sciocchezze incapaci di estraniarmi dalla realtà. Forse questo fatto è stato esacerbato dal mio umore un po' tetro di questa settimana; eppure non sarei poi così sicuro che non sia stato Weymouth ad aver compiuto più di un passo falso nella costruzione della storia.
Burdens Farm with Melbury Beacon, Gilbert Spencer, 1943, raffigurante uno scenario simile a Prentice Park |
Al contrario, Mary Brocklebank appare così innocente da non suscitare alcun sospetto... se non fosse che il suo promesso sposo, suo cugino Martin, il quale è una testa calda, potrebbe averla indotta a diventare complice di un crimine terribile, sempre per ottenere un vantaggio economico dalla dipartita dello zio. Questi sono i principali sospettati del delitto (perché di questo si tratta), nonostante nella mente dei poliziotti che hanno seguito l'indagine sull'"incidente" del baronetto si sia affacciato il sospetto di un'intromissione di un gruppo di gitani, i quali per qualche tempo avevano sostato sulle terre di Prentice. Ma il sovrintendente McTurn non riesce ad accettare una spiegazione tanto semplice: qualcosa di molto più diabolico e losco deve essersi messo in moto, la sera in cui la vittima è stata uccisa. Così, di buona lena, la polizia inizia a muoversi con cautela all'interno della famiglia del defunto, sondando il terreno e iniziano a scoprire come piccoli segreti siano stati celati agli occhi della gente comune... Inoltre, cosa di grandissima importanza, McTurn viene a sapere che Lord Prentice assumeva una medicina che, se stimolata con dell'alcol, avrebbe potuto disperdere il proprio principio attivo nei tessuti del vecchio corpo e renderlo quasi inerme. Questo fatto può avere una qualche importanza nell'assassinio? Probabile. Però McTurn resta pur sempre un poliziotto di campagna, inadeguato a trattare un caso complesso come quello senza la guida di un individuo carismatico. Pertanto, viene convocata Scotland Yard nella persona dell'ispettore Treadgold, un individuo a dir poco eccentrico che ha l'abitudine di non stare mai fermo e di usare un linguaggio fin troppo diretto con i testimoni e i sospettati. Treadgold si mette subito a caccia di indizi, col suo fare brusco e originale, e ben presto si rende conto che tutto porta in una direzione ben precisa, verso un individuo in particolare... Sarà lui il colpevole? Oppure basterà che McTurn accenni a un fatto insignificante per fargli accendere la classica lampadina e puntare su di una pista che porta in una delle stanze della casa di Lord Prentice?
Piantina di Prentice Park |
Di conseguenza a questo mio giudizio categorico, non poteva esserci speranza per il romanzo di Weymouth. Non ho apprezzato questa lettura e, francamente, ho fatto di tutto per riuscire a finirlo il più brevemente possibile. Il tutto è risultato come annacquato: l'ambientazione è stata tratteggiata in modo semplicistico, non c'è stata quella solida rappresentazione della realtà che di solito caratterizza la tradizionale crime story britannica, i personaggi sono apparsi poso approfonditi e odiosi con tutte le loro piccole manie oppure nella rappresentazione vetusta che di essi è stata data. Su una cosa posso dirmi d'accordo con quanto detto da chi ha apprezzato il romanzo: la costruzione dell'enigma è stata interessante. Fino a un certo punto mi è piaciuto come l'indagine sia stata portata avanti in una sorta di tandem ideale e mentale, con McTurn e Treadgold che si gettavano ognuno dietro una pista differente, per poi venire a convergere in un unico finale dove le prove raccolte da ognuno sono servite a completare le ipotesi e le teorie dell'altro per incastrare il colpevole. La pecca, in questo caso, è però stata da rilevare nell'atteggiamento di Treadgold, il quale è risultato fin troppo sopra le righe per poter essere accettato come un personaggio reale e non una macchietta da avanspettacolo. Pertanto, mi vedo già pronto a concludere questa mia analisi, dal momento che non trovo molti altri elementi da portare a sostegno di una qualsiasi redenzione di "Congelato": lo scenario non è stato affatto affascinante, a parte alcune descrizioni dei giardini e di Prentice Park; non è esistito il fair play per quanto riguarda la scoperta di come è stato compiuto l'omicidio, dal momento che il metodo è stato soltanto indicato da un fatto che per tutto il resto del caso è stato messo in luce una volta, e per questo la complessità dell'enigma è passata in secondo piano; lo stile è risultato più antico di quello di Richard Austin Freeman, il quale non sarà stato un campione in fatto di azione e scattante velocità nella narrazione, ma almeno è riuscito a imprimere una nota lirica e per questo immortale alle sue descrizioni. Lo stesso finale, per legarmi per un momento ancora all'enigma, non riesco ad elogiare: al posto della tradizionale riunione con i sospettati, i quali vengono messi in difficoltà dalle rivelazioni improvvise e scenografiche dell'investigatore di turno, troviamo una sorta di consiglio riservato della polizia in cui Treadgold snocciola uno dopo l'altro gli indizi che (a suo dire) avrebbero portato all'individuazione del colpevole; si perde tutta la tensione che si sarebbe accumulata in caso di svelamento classico. Per non parlare dei personaggi, talmente stereotipati nelle loro azioni da apparire come dei burattini imbalsamati o impagliati. Sono molto dispiaciuto di dover scrivere queste critiche, ma le ritengo tutte giuste fino all'ultima parola. Forse "Congelato" si è rivelato essere fin troppo classico, al punto da diventare qualcosa di piatto e, appunto, morto. Oppure ideato da un autore che, pur con tutte le buone intenzioni di dare vita a qualcosa di audace, non è stato all'altezza del compito prefisso.
Copertina dell'edizione originale di "Congelato" |
Questi sono tutti temi che ci starebbero più che bene all'interno di un romanzi giallo classico, non lo nego. Tuttavia è il resto che, come abbiamo visto, non è all'altezza. Come se non bastasse quanto ho detto finora, ho notato un fastidioso razzismo emergere dai commenti dei personaggi contro i cosiddetti "zingari", sospettati di aver ammazzato Lord Prentice: i toni con cui vengono appellati, i sottintesi volti a gettare sospetti gratuiti nei loro confronti, e una certa sgradevole mediocrità antiquata nell'uso di parole che posso solo definire grezze mi hanno lasciato con l'amaro in bocca (pp. 36-39, 102, 152, 161). Ho letto tantissimi romanzi gialli classici, dove magari certi personaggi posso essere tacciati di razzismo, ma mai in modo palese come in questo caso. Ogni cosa è debole e superficiale, ma i personaggi e le loro personalità battono ogni cosa: il colonnello Arundell assomiglia a uno di quei militari bigotti e arretrati che di solito si prende in giro all'interno di questo tipo di libri; Mary Brocklebank e suo cugino Martin non hanno alcuno spessore psicologico e agiscono in qualche scena appena per poi scomparire; Lady Letitia viene raffigurata come una signora vittoriana sgradevole e antipatica; Jim Broad è un tizio grezzo che pare uscito da una stampa di caccia, col suo cappello con la coda alla Davy Crockett; sua moglie un'anima insulsa e priva di personalità; Charles Gavon uno snob della peggior specie. Gli unici a spiccare nel racconto sono, per ovvi motivi, McTurn e Treadgold, i poliziotti che indagano sul delitto di Lord Prentice. Eppure, entrambi appaiono poco simpatici al lettore. Weymouth ha compiuto l'esatto contrario di quanto di solito accade nella costruzione di un giallo: dovrebbero essere i sospetti a dare pepe alla storia, grazie ai reconditi segreti che nascondono nel proprio cuore, ai drammi, agli intrighi e alle recite che mettono in piedi per vivacizzare il racconto, mentre gli investigatori hanno il compito di dimostrarsi al di sopra di ogni cosa e di analizzare ciò che si verifica sotto i loro occhi con mente fredda. Invece, stavolta abbiamo personaggi fin troppo anonimi e detective che si agitano inutilmente sulla scena. Lo stesso Treadgold, in particolare, fa una figura ridicola nel guidare senza alcun ritegno la sua auto, come i pagliacci del circo, oppure nel fare osservazioni che spiazzano l'interlocutore e piantandolo in asso di punto in bianco (ad esempio pp. 62-68). E come se non bastasse, come ha sottolineato la stessa Sayers nella sua recensione, Treadgold si comporta in un modo che non sarebbe stato accettato nella realtà dei fatti: se soltanto il poliziotto avesse provato a sparire di punto in bianco davanti a un superiore mentre questi stava parlandogli, avrebbe come minimo subìto un richiamo ufficiale, se non di peggio. Pertanto, in aggiunta agli altri difetti, Weymouth ha avuto la sfortuna di dipingere un investigatore che non avrebbe mai potuto trovare riscontro nella realtà, dando in questo modo un'aura ancor meno solida alla sua storia. Nell'atteggiamento frenetico, instancabile e strambo di Treadgold troviamo l'essenza di "Congelato": un romanzo giallo che non ha anima, una personalità ben definita, alcuna misura nel restituire al lettore un degno esempio di mystery classico. Forse, con un po' più di esperienza e di attenzione per la vera essenza della gente comune, sarebbe riuscito a dare vita a un libro più solido e valido. Peccato, così non è stato.
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