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Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Infatti nel 2016, come dicevo sopra, abbiamo potuto tenere tra le mani "Sangue sulla Neve", quel romanzo straordinario in cui fanno il proprio ingresso sulla scena letteraria del mistero le zitelle Beulah Pond e Bessy Petty e l'investigatore privato Mark East, ambientato in un villaggio del Nord America in cui il tempo sembra essersi fermato e dove accadono alcuni misteriosi omicidi, legati agli abitanti della grande casa che dalla collina sovrasta il villaggio. Appena due anni dopo, invece, noi lettori siamo stati in grado di leggere "La Bambola Assassina" (Polillo Editore, 2018), il terzo romanzo della saga di East e oggetto della recensione di oggi. All'appello manca ancora "A Time to Die", incentrato sulla scomparsa misteriosa di un'attraente signora, ma forse Polillo sarà così gentile da colmare la lacuna in futuro; almeno, io lo spero. Infatti, voglio subito precisare che semplicemente adoro lo stile allo stesso tempo nebuloso e chiaro di Hilda Lawrence, il modo in cui dipinge i personaggi dando risalto ai loro pensieri e a ciò che provano, le ambientazioni e scenari spesso notturni e suggestivi in cui li cala e li fa agire. Trovo che Lawrence sia l'autrice che più è riuscita a trasmettermi un senso di conforto e di brivido assieme (forse alla pari soltanto di Elizabeth Daly), per cui ho pensato che avrei potuto fare uno strappo alla regola e recensire entrambi i suoi libri tradotti in italiano a breve distanza l'uno dall'altro. In questo modo, inoltre, avrei potuto permettere a voi lettori di fare un confronto tra i due, dal momento che avrete a disposizione entrambe le mie analisi in un breve arco temporale. Così, dopo qualche altra lettura, mi sono immerso in questa nuova storia, che sposta l'attenzione dal classico villaggio di montagna del Nord America alla metropoli di New York, dove si trova una di quelle pensioni per giovani ragazze nubili che più di una volta ci è capitato di sentir nominare; una sorta di ostello come quello per studenti in "Poirot si Annoia". Gli eventi terribili che si verificano all'interno dell'edificio assicurano più di un brivido di piacevole terrore, e vedono coinvolte ancora una volta le zitelle Beulah e Bessy (nonostante abbiano un ruolo più marginale rispetto al loro esordio), oltre al canonico East; per cui andiamo a vedere nel dettaglio quali sono i fatti e cosa si può ricavare da essi a fine lettura.
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Chatham Square, New York, 1946, raffigurante una scena urbana che potrebbe essere tratta da "La Bambola Assassina" |
Appena arrivata a Hope House, Ruth è soddisfatta. Certamente, il suo carattere introverso le crea qualche difficoltà in un primo momento: nell'atrio ci sono quella scontrosa di Lillian Harris, la cattolica Dot Mainwaring, l'efficiente Kitty Brice, l'addetta all'ascensore Jewel, la governante Mrs Fister e miss Angel Small, con la quale lei stessa sta discutendo per accordarsi con le faccende burocratiche da sbrigare. Tante, troppe donne per sentirsi a proprio agio. Però ha speranza che le cose andranno bene, in fondo. Poi, all'improvviso, riconosce una voce fin troppo familiare; una voce che non avrebbe mai più voluto sentire in vita sua. Le riporta alla mente un momento orribile della propria esistenza, qualcosa che si è sforzata di cancellare ed estirpare ma spesso e volentieri torna a tormentarla. Ruth è spaventata a morte, deve pensare, deve capire come comportarsi. Dopo aver liquidato miss Small ed essere uscita all'aria aperta, la ragazza si incammina nella sera calante su New York: cosa deve fare? Abbandonare il suo sogno di abitare un un posto pieno di comfort come Hope House, oppure tenere duro? Magari si sta sbagliando e la voce che ha sentito non appartiene a quella donna... E poi c'è il telefono. Ruth lascia un biglietto al suo oculista (l'unica persona di cui si fida) perché la chiami, per calmarsi decide di comprare un tailleur blu e poi fa ritorno alla pensione, dove conosce la sostituta di miss Small, l'anziana e gentile Ethel Plummer. Quest'ultima nota subito che c'è qualcosa che non va nella giovane; ma non ci fa molto caso. Poi, nei giorni seguenti, anche le ragazze e altre dipendenti si accorgono dello strano comportamento di Ruth: salta i pasti, si intrattiene il meno possibile in luoghi scoperti... Però sanno che lei sarà costretta a partecipare alla festa in maschera che il Comitato ha organizzato. La metteranno a suo agio, tutte vestite uguali; la faranno sentire una di loro. Peccato che, nella confusione dei balli e della frenesia, quella sera nessuno veda Ruth e un'altra bambola salire le scale verso le camere dei piani superiori... Poco dopo il cadavere di Miller viene rinvenuto ai piedi della finestra della sua stanza, sita al settimo piano. Suicidio? All'apparenza è così, ma Mrs Sutton non crede affatto a questa ipotesi. Ruth voleva vivere, non morire. Così decide di chiedere al suo amico Mark East di indagare, coadiuvato dalle sue ospiti Beulah e Bessy. Ciò che tutti insieme scopriranno aprirà scenari impensabili a prima vista, e dimostrerà come un piano diabolico sia stato messo in atto per celare un oscuro segreto.
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December, Ronald Lampitt, 1958, raffigurante un giardino simile a quello che si potrebbe vedere da Hope House |
Ecco, Lawrence ha intrapreso la stessa strada di White, tenendo in considerazione il fatto di dover dipingere un contesto storico-sociale con approfondimento e struttura ossea per dargli credibilità, ma non ha tralasciato l'eredità che si era lasciata dietro la Grande Crisi del '29, con tanto di tensione e clima emozionale per trasmettere al lettore la vividezza di ciò che provano i personaggi. Nell'opera dell'autrice, e quindi pure in "La Bambola Assassina", troviamo un'atmosfera tratteggiata con toni poetici e lirici, ma spesso claustrofobica e venata da un pericolo non ben identificato che pare ossessionare e perseguitare gli attori sulla scena (pp. 65-67, 109, 159-161, 168, 194-195, 197-198, 229-230); uno stile in cui non viene a mancare l'azione di tanto in tanto, ma viene data la precedenza al fatto che conti di più il lato riflessivo del racconto (ci sono lunghe pagine di pensieri dei protagonisti riportati parola per parola, simili a flussi di coscienza da cui si possono trarre indizi velati e impressioni utili ad indirizzare i sospetti); uno spiccato senso di confortevolezza apparente in cui tutti sembrano coccolati e a loro agio, ma in realtà le dolci braccia che avvolgono i personaggi diventano strette come funi che imprigionano e irretiscono le sprovvedute vittime. Inoltre, queste stesse persone ingannate e ingannevoli non mancano di mostrare agli occhi di chi legge quanto siano scosse e intimorite, agitate da una passione irrefrenabile oppure soggiogate da forze che non si comprendono mai appieno, le quali contribuiscono a movimentare il senso di mistero e ad accrescere la tensione dal punto di vista psicologico. Fin qui sembrerebbe proprio un tipico romanzo sullo stile delle women in jeopardy, vero? Eppure, Lawrence ha fatto molto di più di questo. Come accaduto nel romanzo d'esordio, anche in "La Bambola Assassina" ha sfruttato in modo particolare alcuni caratteri essenziali della crime story americana. Ad esempio, ha cambiato genere al modello che vedeva protagonista una fanciulla in pericolo, mettendo a capo delle indagini un uomo: certamente abbiamo la spaventata e inerme Ruth Miller, inseguita da un avversario che le impedisce di cambiare il proprio funesto destino, a dominare la prima parte del racconto; però dal momento della sua morte è Mark East, coadiuvato in minor parte rispetto a "Sangue sulla Neve" dalle zitelle Beulah Pond e Bessy Petty, a condurre il gioco.
Abbiamo quindi un uomo ad essere importante in un mystery incentrato sul domestic suspense (Hope House è a tutti gli effetti una casa privata, con tanto di servitù e di dipendenti che vivono in essa). Ma non solo, Bessy e Beulah danno l'impressione di essere due povere sciocche rimbambite ma non lo sono in fin dei conti, a differenza del ruolo che spesso e volentieri veniva affidato alle zitelle nel thriller dell'epoca: loro si comportano sì in modo goffo e divertente per il lettore, ma non mancano di fare scoperte che saranno utili ad East per incriminare il colpevole. È presente un forte senso gotico (soprattutto nella prima parte della storia, quando Ruth assomiglia paurosamente a Helen Capel, la protagonista di "Qualcuno ti Osserva" di White, dal momento che sentiamo la sua essenza in prima persona, pp. 49-53, 58-65), ma pian piano viene stemperato in qualcosa di terrorizzante dal punto di vista psicologico. Insomma, quello che mi importa sottolineare è che Lawrence non si è limitata ad affrontare un mondo già ampiamente esplorato, come quello delle women in jeopardy, da un punto di vista poco originale e seguendo regole già scritte da altri; ma si è dimostrata in grado di fondere questo tipo di crime novel con quella del Regno Unito, la quale ha saputo imporsi nel tempo per innovazioni non solo dal punto di vista stilistico e formale, ma pure da quello delle tematiche. E in "La Bambola Assassina" si possono riscontare entrambe queste modifiche al modello classico; modifiche che, a mio modesto parere, costituiscono la meta principale per un autore di classica crime story, dal momento che riuscire ad equilibrare suspense dell'atmosfera del racconto, e una struttura solida e chiara delle vicende, conferisce la forma ideale a un mystery che si rispetti.
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Hildegarde Kronmiller, alias Hilda Lawrence, nata nel 1906 e morta nel 1976 |
Insomma, Hilda Lawrence sembrava destinata a risalire l'Olimpo degli scrittori di gialli americani della metà del Novecento. Pubblico e critica (in particolare Howard Haycraft la definì "di gran lunga il più entusiasmante talento nel campo dell'odierna letteratura gialla") erano dalla sua parte, pronti a sostenerla, e si aprivano davanti a lei grandi prospettive. Eppure, di punto in bianco, nel 1946 interruppe la serie con protagonista East e iniziò a pubblicare sempre meno. Nel 1949 uscì "Duet of Death", una coppia di romanzi brevi dal titolo "A Quattro Mani" e "The House/The Bleeding House"; però si tratta di storie di suspense ben diverse dal resto della sua produzione precedente (tanto che "A Quattro Mani" divenne un episodio di "The Alfred Hitchcock Hour" intitolato "The Long Silence"). Poi Lawrence pubblicò una puntata della serie "Nobody Dies but Strangers", sula rivista Ladies Home Journal nel 1951, e il racconto "A Roof in Manhattan", inserito nell'antologia "For Love of Money" curata dal Mystery Writers of America nel 1957. Da qui più nulla, fino alla morte avvenuta nel 1976. Cosa successe per arrestare la sua ascesa? Non si sa. Resta il fatto che Hilda Lawrence ha dato prova di sé con i pochi romanzi che ha scritto; romanzi che, da qualcuno, sono stati criticati aspramente per essere in un certo senso "né carne né pesce". Mi spiego meglio: la decisione dell'autrice di mettere insieme elementi del giallo britannico con quelli tipici delle women in jeopardy ha scatenato una serie di commenti e giudizi secondo cui ella ha voluto inserire nelle sue trame cose fin troppo diverse tra loro, così da non riuscire a dare un'identità precisa alla sua narrativa. L'atmosfera di Carr, come dicevo sopra, ma pure un protagonista spiritoso sulla falsariga di Archie Goodwin, aiutante di Nero Wolfe, zitelle simili a Miss Jane Marple... Avrebbe aperto a troppe cose, fallendo nel non riuscire a concentrarsi bene su una di esse. Francamente, io trovo che questo discorso sia del tutto esagerato. Certo; un problema per il lettore affezionato al giallo più tradizionale nel senso stretto del temine l'ho rilevato, leggendo "Sangue sulla Neve" e "La Bambola Assassina": gli indizi non si attengono del tutto al fair play, ovvero si può indovinare chi sia il personaggio colpevole ma non arrivare a scoprire come abbia agito in base alle prove presentate. Questo può essere una pecca, per alcuni.
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Conversation at the Cafe, Giovanni Boldini, 1896, raffigurante due figure femminili fuori da un locale |
Proprio quest'ultima, ancor più che nel romanzo d'esordio di Lawrence, è la cifra distintiva di "La Bambola Assassina"; non solo per i motivi qui sopra elencati, ma pure per tutta una serie di elementi aggiuntivi: l'uso continuo del termine "lei", comprensibile all'interno di un pensionato per ragazze e popolato da sole dipendenti di sesso femminile, ma volutamente sfruttato per indicare le persone e mettere in difficoltà chi legge ("a chi si riferirà?" è la domanda che ci poniamo di continuo nella lettura); il fatto stesso che l'identità dal colpevole sia nota alla protagonista ma non venga mai rivelata chiaramente; il contrasto tra tono ironico e melodramma, tra momenti allegri ed altri di tensione palpabile; lo stesso carattere dei personaggi che, in modo similare a quanto accaduto in "Sangue sulla Neve", non permette al lettore di farsi alcuna idea su chi sia "buono" e chi sia "cattivo". La struttura narrativa è costruita in modo da accennare soltanto ciò che è fondamentale per la ricostruzione del mistero, e sta al lettore cogliere gli indizi nascosti non solo tra le righe ma pure in ciò che non viene detto chiaramente. In "La Bambola Assassina" assistiamo inoltre a una radicale variazione di una regola del giallo classico. Se ci farete caso, vi accorgerete che per la prima volta (almeno io non mi sono mai reso conto che ciò sia avvenuto) il lettore conosce cose che sono ignote all'investigatore: il segreto di Ruth e tutta la parte che precede la sua morte, per quanto frammentati nell'esposizione, ci vengono consegnati come "in esclusiva". Sappiamo quali sforzi fa la ragazza per sottrarsi al Fato, come si ingegni per scongiurare il pericolo pur senza riuscirci, quanto sia difficile per lei mettere in chiaro i suoi obiettivi e come non abbia alcuna intenzione di suicidarsi. Tutto ciò resta ignoto alla polizia e a Mark East, che si interrogano se la ragazza abbia o meno compiuto qualche gesto insano; noi lettori, invece, abbiamo già la risposta. Accade quindi il contrario del caso che molto spesso si verifica; ovvero, la mancanza di fair play: qui è il detective a trovarsi in svantaggio, così che chi legge diventa in qualche modo burattinaio perché vorrebbe suggerire una pista ad East, mentre l'autore si sforza per far quadrare i conti. Assolutamente straordinario. In questo modo, pertanto, Lawrence infonde un fortissimo senso di ambiguità alla sua storia, confondendo le identità dei personaggi, attraverso le parole ("avevano nomi come Betty, Peggy e Janie. Non significavano niente, sembravano esattamente tutte uguali") e le immagini (le ragazze sono vestite tutte uguali al ballo), e di quelli che hanno a che fare con il romanzo. Oltre ad ambientare la trama in un luogo dove le apparenze ingannano, trasmettendo la falsa sensazione che esso sia confortevole quando in realtà appare più simile a una prigione. Credo che Lawrence sia stata in grado di evocare l'oscurità che si manifesta un po' dappertutto tanto bene quanto era accaduto in "Sangue sulla Neve", nonostante gli scenari siano diversi tra loro.
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Copertina di "Death of a Doll" nell'edizione più recente |
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