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venerdì 19 febbraio 2021

62 - "La Bambola Assassina" ("Death of a Doll", 1947) di Hilda Lawrence

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Circa un mese fa, come voi lettori di Three-a-Penny ricorderete perfettamente, ho pubblicato la recensione di "Sangue sulla Neve" di Hilda Lawrence, mystery d'esordio di un'autrice americana semi sconosciuta che è stata scoperta dal grande pubblico di appassionati di crime story nel 2016, ma che in realtà aveva già fatto la sua comparsa in traduzione italiana nientemeno che nel 1949. In quell'anno, infatti, la casa editrice Nerbini aveva dato il via a una brevissima collana (composta da quattro volumi) di romanzi gialli, chiamata "Collezione del Gufo" che raccoglieva alcuni tra i capolavori del giallo americano dell'epoca, i quali vertevano su di un miscuglio tra il genere suspense e quello prettamente horror. Essa era composta da "Dov'è il Professor Neubrunn?" di Leonard C.L., "Morte nell'Acqua Verde" di Patrick Quentin (in questo caso l'autore era stato presentato con cognome e nome invertiti), "Chiamatemi Pandora" di Dean Amber e "Il Padiglione sul Mare" di Lawrence. Quest'ultimo romanzo trattava una storia abbastanza insolita per le crime novels dell'epoca, dal momento che essa non era ambientata né in una grande casa aristocratica simile a quelle presenti nei libri delle Regine della Suspense, né in una caotica metropoli infernale e violenta come nel giallo della scuola hard-boiled dei duri; ma raccontava un intreccio gotico sito nel Sud degli Stati Uniti. Conoscendo l'intento della collana di Nerbini, non fatico a comprendere come mai l'editore abbia a suo tempo deciso di puntare su questo romanzo; eppure, mi lascia abbastanza colpito il fatto che non si sia pensato di proporre anche il resto della breve opera letteraria di Lawrence. Voglio dire, andarono a scegliere quello che viene considerato come il meno riuscito dei suoi gialli, e tralasciarono gli altri tre titoli più che validi che compongono la saga del personaggio principale creato dall'autrice. Da una parte, però, forse è stato meglio così, visto che dubito che la traduzione del 1949 di "Il Padiglione sul Mare" sia adatta ai nostri tempi e soprattutto sia integrale; invece, grazie agli sforzi di Polillo, noi lettori contemporanei abbiamo potuto godere del testo integrale di quelli che sono gli intrecci meglio architettati da Lawrence.

Infatti nel 2016, come dicevo sopra, abbiamo potuto tenere tra le mani "Sangue sulla Neve", quel romanzo straordinario in cui fanno il proprio ingresso sulla scena letteraria del mistero le zitelle Beulah Pond e Bessy Petty e l'investigatore privato Mark East, ambientato in un villaggio del Nord America in cui il tempo sembra essersi fermato e dove accadono alcuni misteriosi omicidi, legati agli abitanti della grande casa che dalla collina sovrasta il villaggio. Appena due anni dopo, invece, noi lettori siamo stati in grado di leggere "La Bambola Assassina" (Polillo Editore, 2018), il terzo romanzo della saga di East e oggetto della recensione di oggi. All'appello manca ancora "A Time to Die", incentrato sulla scomparsa misteriosa di un'attraente signora, ma forse Polillo sarà così gentile da colmare la lacuna in futuro; almeno, io lo spero. Infatti, voglio subito precisare che semplicemente adoro lo stile allo stesso tempo nebuloso e chiaro di Hilda Lawrence, il modo in cui dipinge i personaggi dando risalto ai loro pensieri e a ciò che provano, le ambientazioni e scenari spesso notturni e suggestivi in cui li cala e li fa agire. Trovo che Lawrence sia l'autrice che più è riuscita a trasmettermi un senso di conforto e di brivido assieme (forse alla pari soltanto di Elizabeth Daly), per cui ho pensato che avrei potuto fare uno strappo alla regola e recensire entrambi i suoi libri tradotti in italiano a breve distanza l'uno dall'altro. In questo modo, inoltre, avrei potuto permettere a voi lettori di fare un confronto tra i due, dal momento che avrete a disposizione entrambe le mie analisi in un breve arco temporale. Così, dopo qualche altra lettura, mi sono immerso in questa nuova storia, che sposta l'attenzione dal classico villaggio di montagna del Nord America alla metropoli di New York, dove si trova una di quelle pensioni per giovani ragazze nubili che più di una volta ci è capitato di sentir nominare; una sorta di ostello come quello per studenti in "Poirot si Annoia". Gli eventi terribili che si verificano all'interno dell'edificio assicurano più di un brivido di piacevole terrore, e vedono coinvolte ancora una volta le zitelle Beulah e Bessy (nonostante abbiano un ruolo più marginale rispetto al loro esordio), oltre al canonico East; per cui andiamo a vedere nel dettaglio quali sono i fatti e cosa si può ricavare da essi a fine lettura.

Chatham Square, New York, 1946, raffigurante una scena
urbana che potrebbe essere tratta da "La Bambola Assassina"
Il racconto si snoda a partire da una fredda serata di novembre, quando la signorina (Angel)ine Small rincasa nel pensionato per giovani donne che amministra, come braccio destro, assieme alla direttrice Monica (Monny) Brady. Al centralino l'accoglie Kitty Brice, la quale sta sbrigando un po' di corrispondenza e altre faccende per conto della pensione, mentre in salotto sonnecchia Lillian Harris, una delle ospiti che si appresta ad andare a lavorare nell'ufficio della Western Union mentre le sue amiche rincasano. Tutto appare quanto meno tranquillo e sotto controllo, nonostante la Brady abbia dovuto correre a una riunione improvvisa con uno dei potenti membri del Comitato dell'ostello: i fuochi sono accesi nei caminetti, i rumori della carta e delle penne sono smorzati, le luci soffuse. Eppure, la serata che si appresta a prendere il via è piena di fermento; non solo le ragazze stanno per rincasare e di lì a breve i suoni e gli odori della cucina si spanderanno per l'atrio e la sala da pranzo, ma Small prevede pure una serata a tu per tu con Brady nella sua stanza (cosa che la rende particolarmente euforica) e una nuova ragazza è in procinto di aggiungersi al numero delle ospiti. Certo, si tratta di una commessa dei magazzini Blackman's e non bisognerebbe rischiare di accogliere troppe persone che lavorano in uno stesso posto (già due dipendenti, chiamate amichevolmente Moke e Poke, sono impiegate nel grande magazzino), ma a quanto pare Brady ha pensato fosse una buona idea. A questo punto, la scena si sposta proprio in centro città, al bancone dove Ruth Miller sta servendo la facoltosa ma affabile Mrs Sutton. Miller è un tipino timido, un po' insignificante, che trova nella sua interlocutrice periodica una sorta di amica a cui confidare le piccole gioie della vita; anche quella sera le fa una rivelazione: andrà finalmente a vivere in un posto come Dio comanda! Più precisamente a Hope House, una di quelle pensioni dove le ragazze non devono scappare dagli affittuari se ritardano di qualche giorno nel pagare le spese, e dove l'acqua è sempre calda. A Ruth Miller non sembra vero di riuscire a lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita per intraprendere un nuovo percorso pieno di gioie, e Mrs Sutton è altrettanto felice per la giovane impiegata.

Appena arrivata a Hope House, Ruth è soddisfatta. Certamente, il suo carattere introverso le crea qualche difficoltà in un primo momento: nell'atrio ci sono quella scontrosa di Lillian Harris, la cattolica Dot Mainwaring, l'efficiente Kitty Brice, l'addetta all'ascensore Jewel, la governante Mrs Fister e miss Angel Small, con la quale lei stessa sta discutendo per accordarsi con le faccende burocratiche da sbrigare. Tante, troppe donne per sentirsi a proprio agio. Però ha speranza che le cose andranno bene, in fondo. Poi, all'improvviso, riconosce una voce fin troppo familiare; una voce che non avrebbe mai più voluto sentire in vita sua. Le riporta alla mente un momento orribile della propria esistenza, qualcosa che si è sforzata di cancellare ed estirpare ma spesso e volentieri torna a tormentarla. Ruth è spaventata a morte, deve pensare, deve capire come comportarsi. Dopo aver liquidato miss Small ed essere uscita all'aria aperta, la ragazza si incammina nella sera calante su New York: cosa deve fare? Abbandonare il suo sogno di abitare un un posto pieno di comfort come Hope House, oppure tenere duro? Magari si sta sbagliando e la voce che ha sentito non appartiene a quella donna... E poi c'è il telefono. Ruth lascia un biglietto al suo oculista (l'unica persona di cui si fida) perché la chiami, per calmarsi decide di comprare un tailleur blu e poi fa ritorno alla pensione, dove conosce la sostituta di miss Small, l'anziana e gentile Ethel Plummer. Quest'ultima nota subito che c'è qualcosa che non va nella giovane; ma non ci fa molto caso. Poi, nei giorni seguenti, anche le ragazze e altre dipendenti si accorgono dello strano comportamento di Ruth: salta i pasti, si intrattiene il meno possibile in luoghi scoperti... Però sanno che lei sarà costretta a partecipare alla festa in maschera che il Comitato ha organizzato. La metteranno a suo agio, tutte vestite uguali; la faranno sentire una di loro. Peccato che, nella confusione dei balli e della frenesia, quella sera nessuno veda Ruth e un'altra bambola salire le scale verso le camere dei piani superiori... Poco dopo il cadavere di Miller viene rinvenuto ai piedi della finestra della sua stanza, sita al settimo piano. Suicidio? All'apparenza è così, ma Mrs Sutton non crede affatto a questa ipotesi. Ruth voleva vivere, non morire. Così decide di chiedere al suo amico Mark East di indagare, coadiuvato dalle sue ospiti Beulah e Bessy. Ciò che tutti insieme scopriranno aprirà scenari impensabili a prima vista, e dimostrerà come un piano diabolico sia stato messo in atto per celare un oscuro segreto.

December, Ronald Lampitt, 1958, raffigurante un giardino
simile a quello che si potrebbe vedere da Hope House
Alla fine della lettura di "La Bambola Assassina", mi sono seriamente chiesto come mai Hilda Lawrence non venga tenuta più in considerazione dal bacino di lettori appassionati di classica crime story. Perché è limpido come l'aria di settembre che lei può candidarsi ad essere un'autrice simbolica del giallo americano del dopoguerra. Nella sua opera sono racchiusi tantissimi elementi importanti del romanzo del mistero che si venne a sviluppare in questo paese, tanto che sono disposto a considerarla alla pari di Elizabeth Daly, l'altra mia giallista preferita di suspense psicologica vissuta dall'altra parte dell'Atlantico. Forse una parte di questo oblio immeritato in cui ella è caduta è dovuto a un fatto di mera sfortuna: ebbe infatti una carriera breve, anche se non si sa bene per quale motivo. Inoltre, come capita spesso, le innovazioni e l'introduzione di nuovi elementi alle trame non sono sempre visti con gioia, per cui potrebbe anche aver intrapreso una strada che al tempo avrebbe fatto storcere il naso a più di una persona. Penso a parte dell'opera di Milward Kennedy, ad esempio, il cui valore non viene colto del tutto nemmeno oggi. In ogni caso, trovo che Lawrence sia ingiustamente poco celebrata, e per questo ho deciso di leggere i suoi libri e presentarveli: perché voglio in qualche modo contribuire a diffondere ciò che ci ha lasciato. E si tratta di qualcosa di molto, molto buono. I suoi sono romanzi "ibridi", in cui si mescolano caratteri del giallo tradizionale e altri appartenenti a quello delle woman in jeopardy solo all'apparenza distanti tra loro. Penso allo stile accurato e solido con cui vengono dipinti scenari e personaggi in una società tipicamente USA, dove serpeggia il pesante spettro della Depressione e della guerra che ha portato povertà e sfiducia; oppure a quel coesistere di brivido e pragmaticità che fece pure la fortuna di Ethel Lina White. Se ricordate, nella recensione di "Sangue sulla Neve" avevo già fatto questa osservazione, ribadendo come Lawrence avesse raccolto un immaginario testimone proprio dalla sua collega gallese, nell'anno in cui essa diede alle stampe il suo ultimo giallo, e non si fosse limitata a fare un "copia-e-incolla" ma avesse tratto ispirazioni da fonti comuni (come lo scrittore Wilkie Collins) per poi dare vita a un tipo di mystery specificatamente proprio.

Ecco, Lawrence ha intrapreso la stessa strada di White, tenendo in considerazione il fatto di dover dipingere un contesto storico-sociale con approfondimento e struttura ossea per dargli credibilità, ma non ha tralasciato l'eredità che si era lasciata dietro la Grande Crisi del '29, con tanto di tensione e clima emozionale per trasmettere al lettore la vividezza di ciò che provano i personaggi. Nell'opera dell'autrice, e quindi pure in "La Bambola Assassina", troviamo un'atmosfera tratteggiata con toni poetici e lirici, ma spesso claustrofobica e venata da un pericolo non ben identificato che pare ossessionare e perseguitare gli attori sulla scena (pp. 65-67, 109, 159-161, 168, 194-195, 197-198, 229-230); uno stile in cui non viene a mancare l'azione di tanto in tanto, ma viene data la precedenza al fatto che conti di più il lato riflessivo del racconto (ci sono lunghe pagine di pensieri dei protagonisti riportati parola per parola, simili a flussi di coscienza da cui si possono trarre indizi velati e impressioni utili ad indirizzare i sospetti); uno spiccato senso di confortevolezza apparente in cui tutti sembrano coccolati e a loro agio, ma in realtà le dolci braccia che avvolgono i personaggi diventano strette come funi che imprigionano e irretiscono le sprovvedute vittime. Inoltre, queste stesse persone ingannate e ingannevoli non mancano di mostrare agli occhi di chi legge quanto siano scosse e intimorite, agitate da una passione irrefrenabile oppure soggiogate da forze che non si comprendono mai appieno, le quali contribuiscono a movimentare il senso di mistero e ad accrescere la tensione dal punto di vista psicologico. Fin qui sembrerebbe proprio un tipico romanzo sullo stile delle women in jeopardy, vero? Eppure, Lawrence ha fatto molto di più di questo. Come accaduto nel romanzo d'esordio, anche in "La Bambola Assassina" ha sfruttato in modo particolare alcuni caratteri essenziali della crime story americana. Ad esempio, ha cambiato genere al modello che vedeva protagonista una fanciulla in pericolo, mettendo a capo delle indagini un uomo: certamente abbiamo la spaventata e inerme Ruth Miller, inseguita da un avversario che le impedisce di cambiare il proprio funesto destino, a dominare la prima parte del racconto; però dal momento della sua morte è Mark East, coadiuvato in minor parte rispetto a "Sangue sulla Neve" dalle zitelle Beulah Pond e Bessy Petty, a condurre il gioco.

Abbiamo quindi un uomo ad essere importante in un mystery incentrato sul domestic suspense (Hope House è a tutti gli effetti una casa privata, con tanto di servitù e di dipendenti che vivono in essa). Ma non solo, Bessy e Beulah danno l'impressione di essere due povere sciocche rimbambite ma non lo sono in fin dei conti, a differenza del ruolo che spesso e volentieri veniva affidato alle zitelle nel thriller dell'epoca: loro si comportano sì in modo goffo e divertente per il lettore, ma non mancano di fare scoperte che saranno utili ad East per incriminare il colpevole. È presente un forte senso gotico (soprattutto nella prima parte della storia, quando Ruth assomiglia paurosamente a Helen Capel, la protagonista di "Qualcuno ti Osserva" di White, dal momento che sentiamo la sua essenza in prima persona, pp. 49-53, 58-65), ma pian piano viene stemperato in qualcosa di terrorizzante dal punto di vista psicologico. Insomma, quello che mi importa sottolineare è che Lawrence non si è limitata ad affrontare un mondo già ampiamente esplorato, come quello delle women in jeopardy, da un punto di vista poco originale e seguendo regole già scritte da altri; ma si è dimostrata in grado di fondere questo tipo di crime novel con quella del Regno Unito, la quale ha saputo imporsi nel tempo per innovazioni non solo dal punto di vista stilistico e formale, ma pure da quello delle tematiche. E in "La Bambola Assassina" si possono riscontare entrambe queste modifiche al modello classico; modifiche che, a mio modesto parere, costituiscono la meta principale per un autore di classica crime story, dal momento che riuscire ad equilibrare suspense dell'atmosfera del racconto, e una struttura solida e chiara delle vicende, conferisce la forma ideale a un mystery che si rispetti.

Hildegarde Kronmiller, alias Hilda
Lawrence, nata nel 1906 e morta nel 1976
Come avevo avuto modo di scrivere nella recensione di "Sangue sulla Neve", l'unica cosa che mi lascia contrariato dopo aver letto i suoi gialli, è sapere che Hildegarde Kronmiller (vero nome di Hilda Lawrence) ha scritto soltanto cinque romanzi del mistero nel corso della sua carriera. Pochissimi, se si pensa alla qualità della sua opera narrativa. Nata nel 1906 a Baltimora, nel Maryland, era figlia nientemeno che di un membro del Congresso degli Stati Uniti d'America. Il fatto di appartenere a una famiglia tanto importante le aprì tutte le porte per poter intraprendere una carriera scolastica impeccabile: studiò infatti alla Columbia School di Rochester, prima di diventare lettrice per i non vedenti e, in seguito, trasferirsi a New York per entrare nella redazione della casa editrice MacMillan. Qualche tempo dopo, tuttavia, passò a quella del Publishers Weekly, per approdare saltuariamente come sceneggiatrice radiofonica per "The Rudy Vallee Show". Nel 1924 decise di sposarsi col commediografo Reginald Lawrence; tuttavia, ben presto i due divorziarono, nonostante lei decise di tenere il cognome del marito per firmare i suoi romanzi del mistero. Da sempre, infatti, era stata un'accanita lettrice di questo genere letterario: divorava qualunque titolo su cui riuscisse a mettere le mani, finché a un certo punto si ritrovò nella situazione di non riuscire più a soddisfare il proprio appetito in modo adeguato. Non c'erano più titoli abbastanza intriganti e piacevoli da leggere, per cui come fare? Semplice: decise di mettersi a scrivere lei stessa qualche mystery che fosse di suo gusto. In questo modo, nel 1944, diede alle stampe "Sangue sulla Neve", dove introdusse come protagonista l'investigatore privato Mark East, newyorchese che in questo specifico titolo viene aiutato nell'inchiesta dalle zitelle Beulah Pond e Bessy Petty. Garbato, ironico, vero gentiluomo che si discosta dalla massa di detective violenti tipici di quel periodo in America, ma nonostante questo pronto a correre qualunque pericolo e a gettarsi nella mischia, East fu uno dei motivi per cui "Sangue sulla Neve" venne accolto con gioia dal pubblico e dalla critica, tanto da avere ben quattro ristampe in edizione rilegata. In seguito, Lawrence riprese il personaggio in altri due gialli: "Time to Die", incentrato sulla scomparsa di un'attraente signora, e "La Bambola Assassina", dove il fulcro delle vicende è ambientato in una rispettabile pensione per giovani donne a New York. East non compare, invece, in "Il Padiglione sul Mare", un thriller gotico ambientato nel sud degli Stati Uniti.

Insomma, Hilda Lawrence sembrava destinata a risalire l'Olimpo degli scrittori di gialli americani della metà del Novecento. Pubblico e critica (in particolare Howard Haycraft la definì "di gran lunga il più entusiasmante talento nel campo dell'odierna letteratura gialla") erano dalla sua parte, pronti a sostenerla, e si aprivano davanti a lei grandi prospettive. Eppure, di punto in bianco, nel 1946 interruppe la serie con protagonista East e iniziò a pubblicare sempre meno. Nel 1949 uscì "Duet of Death", una coppia di romanzi brevi dal titolo "A Quattro Mani" e "The House/The Bleeding House"; però si tratta di storie di suspense ben diverse dal resto della sua produzione precedente (tanto che "A Quattro Mani" divenne un episodio di "The Alfred Hitchcock Hour" intitolato "The Long Silence"). Poi Lawrence pubblicò una puntata della serie "Nobody Dies but Strangers", sula rivista Ladies Home Journal nel 1951, e il racconto "A Roof in Manhattan", inserito nell'antologia "For Love of Money" curata dal Mystery Writers of America nel 1957. Da qui più nulla, fino alla morte avvenuta nel 1976. Cosa successe per arrestare la sua ascesa? Non si sa. Resta il fatto che Hilda Lawrence ha dato prova di sé con i pochi romanzi che ha scritto; romanzi che, da qualcuno, sono stati criticati aspramente per essere in un certo senso "né carne né pesce". Mi spiego meglio: la decisione dell'autrice di mettere insieme elementi del giallo britannico con quelli tipici delle women in jeopardy ha scatenato una serie di commenti e giudizi secondo cui ella ha voluto inserire nelle sue trame cose fin troppo diverse tra loro, così da non riuscire a dare un'identità precisa alla sua narrativa. L'atmosfera di Carr, come dicevo sopra, ma pure un protagonista spiritoso sulla falsariga di Archie Goodwin, aiutante di Nero Wolfe, zitelle simili a Miss Jane Marple... Avrebbe aperto a troppe cose, fallendo nel non riuscire a concentrarsi bene su una di esse. Francamente, io trovo che questo discorso sia del tutto esagerato. Certo; un problema per il lettore affezionato al giallo più tradizionale nel senso stretto del temine l'ho rilevato, leggendo "Sangue sulla Neve" e "La Bambola Assassina": gli indizi non si attengono del tutto al fair play, ovvero si può indovinare chi sia il personaggio colpevole ma non arrivare a scoprire come abbia agito in base alle prove presentate. Questo può essere una pecca, per alcuni.

Conversation at the Cafe, Giovanni Boldini, 1896, raffigurante
due figure femminili fuori da un locale
Ma io, come ho già avuto modo di spiegare, preferisco concentrarmi sul risultato complessivo del romanzo, senza pretendere un gioco pulitissimo dall'autore; e quello che ho ricavato dalla lettura di questo "La Bambola Assassina" mi ha soddisfatto tanto quanto era successo con "Sangue sulla Neve". Tra i due titoli ci sono numerose affinità ed altrettante differenze. Riguardo alle prime, penso che esse costituiscano i punti di forza del libro: sono lo stile e l'ambientazione che, come era accaduto nel romanzo l'esordio dell'autrice, vengono sfruttati in modo da dare vita a un sogno ad occhi aperti, a volte benevolo (le accurate descrizioni degli interni soprattutto notturni delle stanze di Hope House, con tanto di mobili d'epoca e lampade discrete, oppure di saloni con caminetti accesi e caratterizzati da una quieta atmosfera, pp. 124, 177-178, 190) ed altre volte maligno, simile a un incubo ad occhi aperti (i corridoi minacciosi e fin troppo silenziosi che percorrono ogni piano dell'edificio, e le porte che vengono aperte da mani invisibili e fanno pensare subito a qualche minaccia in agguato). Il lettore ha l'impressione di camminare in una regione fantastica, in cui spazio e tempo non hanno poi questa grande importanza, e ogni cosa pare circondata da un'aura nebulosa che ne offusca i confini definiti, come se le fattezze reali non venissero mai tratteggiate sul serio. Lo sfruttamento del passato come chiave per interpretare il caso (altro espediente già usato in "Sangue sulla Neve") possiede uguale importanza: sappiamo che Ruth Miller è perseguitata da un terribile segreto che non è mai riuscita ad affrontare; si tratta di un'indistinta paura nei confronti di una situazione oppure una persona in particolare, la quale ha giurato di non lasciarle alcuno scampo. Ci facciamo un'idea imprecisa grazie ai suoi pensieri in tumulto, percepiamo le sue paure semi-sepolte e improvvisamente tornate a galla, conosciamo l'angoscia che monta come un fiume in piena nella sua mente. Quest'abilità dell'autrice nel saper dire e non dire le cose, tra l'altro, è molto affascinante: già in "Sangue sulla Neve" si era notata questa sua qualità, ma nel romanzo oggetto della recensione di oggi le cose si sono spinte più in là. Infatti, oltre al saper accennare indizi e poi sottrarli alla vista subito dopo, con rapidità e silenziosa maestria, Lawrence non ha soltanto nascosto allusioni nel tipico modo delle sue colleghe americane, ma ci ha dipinto un racconto in cui chi legge non possiede alcuna certezza. In ogni caso, il passato viene raffigurato come un'entità "fatale", nel senso che non permette scampo a chi tenta di aggirarlo e dimenticarlo. Eppure, non sappiamo di preciso cosa sia accaduto e ogni cosa è ambigua.

Proprio quest'ultima, ancor più che nel romanzo d'esordio di Lawrence, è la cifra distintiva di "La Bambola Assassina"; non solo per i motivi qui sopra elencati, ma pure per tutta una serie di elementi aggiuntivi: l'uso continuo del termine "lei", comprensibile all'interno di un pensionato per ragazze e popolato da sole dipendenti di sesso femminile, ma volutamente sfruttato per indicare le persone e mettere in difficoltà chi legge ("a chi si riferirà?" è la domanda che ci poniamo di continuo nella lettura); il fatto stesso che l'identità dal colpevole sia nota alla protagonista ma non venga mai rivelata chiaramente; il contrasto tra tono ironico e melodramma, tra momenti allegri ed altri di tensione palpabile; lo stesso carattere dei personaggi che, in modo similare a quanto accaduto in "Sangue sulla Neve", non permette al lettore di farsi alcuna idea su chi sia "buono" e chi sia "cattivo". La struttura narrativa è costruita in modo da accennare soltanto ciò che è fondamentale per la ricostruzione del mistero, e sta al lettore cogliere gli indizi nascosti non solo tra le righe ma pure in ciò che non viene detto chiaramente. In "La Bambola Assassina" assistiamo inoltre a una radicale variazione di una regola del giallo classico. Se ci farete caso, vi accorgerete che per la prima volta (almeno io non mi sono mai reso conto che ciò sia avvenuto) il lettore conosce cose che sono ignote all'investigatore: il segreto di Ruth e tutta la parte che precede la sua morte, per quanto frammentati nell'esposizione, ci vengono consegnati come "in esclusiva". Sappiamo quali sforzi fa la ragazza per sottrarsi al Fato, come si ingegni per scongiurare il pericolo pur senza riuscirci, quanto sia difficile per lei mettere in chiaro i suoi obiettivi e come non abbia alcuna intenzione di suicidarsi. Tutto ciò resta ignoto alla polizia e a Mark East, che si interrogano se la ragazza abbia o meno compiuto qualche gesto insano; noi lettori, invece, abbiamo già la risposta. Accade quindi il contrario del caso che molto spesso si verifica; ovvero, la mancanza di fair play: qui è il detective a trovarsi in svantaggio, così che chi legge diventa in qualche modo burattinaio perché vorrebbe suggerire una pista ad East, mentre l'autore si sforza per far quadrare i conti. Assolutamente straordinario. In questo modo, pertanto, Lawrence infonde un fortissimo senso di ambiguità alla sua storia, confondendo le identità dei personaggi, attraverso le parole ("avevano nomi come Betty, Peggy e Janie. Non significavano niente, sembravano esattamente tutte uguali") e le immagini (le ragazze sono vestite tutte uguali al ballo), e di quelli che hanno a che fare con il romanzo. Oltre ad ambientare la trama in un luogo dove le apparenze ingannano, trasmettendo la falsa sensazione che esso sia confortevole quando in realtà appare più simile a una prigione. Credo che Lawrence sia stata in grado di evocare l'oscurità che si manifesta un po' dappertutto tanto bene quanto era accaduto in "Sangue sulla Neve", nonostante gli scenari siano diversi tra loro.

Copertina di "Death of a Doll"
nell'edizione più recente
Tra le altre differenze rispetto all'esordio, voglio segnalare come in "La Bambola Assassina" l'unione di sottogeneri differenti del giallo si manifesti con più forza. Rispetto a "Sangue sulla Neve", qui l'unione tra police procedural, investigazione privata professionale e dilettantismo del tipo "zitelle che indagano alla bell'e meglio" è più marcata, e quella di East sovrasta le altre. Questo significa che Bessy e Beulah avranno di conseguenza un ruolo minore nella risoluzione del mistero; ma non che siano inutili, visto che il loro approccio mette in luce il contesto sociale meglio di qualunque altra cosa. Ci divertiamo a osservarle atteggiarsi, battibeccare nelle loro interazioni, spronarsi l'una con l'altra e agire con più senno di quanto ci si aspetterebbe (pp. 83-89, 132-135, 141-143, 247-249). Rilevamenti pratici e riflessioni si mescolano e danno vita a un racconto dove i dettagli non sono mai irrilevanti: se Lawrence ha evidenziato qualcosa, possiamo stare certi che non si sia trattato di un caso. In secondo luogo, poi, nel romanzo in oggetto quest'oggi la componente autobiografica si fa più sentita. L'autrice attinse dalla propria esperienza personale per dipingere il mondo di una giovane ragazza che decide di buttarsi nel mondo frenetico e pieno di pericoli della New York degli anni '40, costretta a vivere in un pensionato per contenere le ingenti spese rispetto agli esigui guadagni; lei stessa dovette guadagnarsi da vivere come meglio poté, quindi sapeva di cosa parlava. Sfruttò il proprio talento per mostrare quanto fosse complicato fare la commessa in un grande magazzino (Ruth, Moke e Poke), la centralinista per una sorta di albergo (Kitty Brice), l'addetta all'ascensore bistrattata e tiranneggiata (Jewel), l'assistente sociale (Angel Small) e la direttrice di un istituto (Monny Brady); ma allo stesso tempo dipinse la forza di volontà di queste donne volenterose e desiderose di indipendenza, attratte dalla vita mondana e dalla comunità, gentili e vendicative, affabili e gelose, determinate e fragili nei rapporti di conflitto e rivalità. Dipinse quindi i personaggi con cura, mettendone in luce pregi e difetti, senza dimenticare il tema della sessualità, e abitudini come passatempi quotidiani o piccole infrazioni delle regole, tratteggiando una fauna diversa che passa da individui aristocratici come Mrs Marshall-Gill a zitelle di mezza età quali Mrs Plummer e Mrs Fister, fino a insignificanti esserini come la cieca e inquietante April Hooper. Lawrence esplora tutti i personaggi descrivendo le correnti sotterranee che, scorrendo impetuose, li legano e separano tra loro, in modo da mettere in luce le ossessioni e gli spettri che li perseguitano (ritorna un po' Wilkie Collins, vero?, pp. 91-92, 140, 147-148, 153-155, 172-173, 220-229, 298-299, 305-307). Nessuno è escluso, nemmeno East che si ritrova invischiato in un'indagine da cui sarebbe stato volentieri lontano considerata la sua natura. Tutti portano maschere (metaforiche) attaccate in modo precario sui loro volti, che ne alterano le caratteristiche. Forse fin troppo? Alcuni hanno riscontrato una certa confusione nell'esposizione dei fatti, con ripetizioni che forse potevano essere tagliate assieme ad alcuni segugi "di troppo". Da parte mia, non cambierei proprio nulla in "La Bambola Assassina". Abbiamo un miscuglio di ironia e tragicità, un racconto della società che restituisce al meglio la visione del tempo, personaggi ambigui e inquietanti che si confondono in un incubo ad occhi aperti e ci fanno domandare: "sono pazzi oppure seni di mente?". Al lettore il compito di interpretare in base a ciò che viene detto e ciò che non viene detto. E nonostante l'enigma non rispetti il tanto desiderato fair play, trovo che questa sia una lettura stupenda per immergersi in un mondo "altro". Essa funziona, è irta di tensione e segreti nascosti e dimostra come le amicizie (femminili ma pure maschili) abbiano lati pericolosi da cui guardarsi. Basta un momento perché le gelosie meschine si trasformino in odi e vendette, se non addirittura rabbie omicide. A questo punto, mi auguro venga presto tradotto "A Time to Die".

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venerdì 22 gennaio 2021

59 - "Sangue sulla Neve" ("Blood Upon the Snow", 1944) di Hilda Lawrence

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Una delle cose che più mi piace fare, da quando ho deciso di aprire Three-a-Penny, è quella di andare a rileggere quei romanzi gialli che un tempo mi sono molto piaciuti, per poi recensirli per bene. Infatti, nonostante già anni fa non fossi certo uno che leggeva gialli in modo superficiale, devo ammettere che il passare del tempo ha contribuito a insabbiare i ricordi di quei libri e ad avvolgere le loro trame in una sorta di nebbia dorata, dove i fatti si scorgono a malapena ed è molto facile confondere un certo assassino oppure alcuni indizi presenti un un racconto con altri, inseriti in una storia del tutto diversa. L'idea di fondare questo blog è stata suggerita un po' da questo inconveniente: se scrivo qualcosa, esso si conserverà nel tempo non solo per chi vorrà cercare qualche opinione a riguardo, ma pure per me stesso, nel caso in cui tra alcuni anni avessi bisogno di rinfrescarmi la memoria. Ad esempio, se avessi bisogno di fare un parallelo tra l'oggetto di una nuova analisi e (mettiamo caso) "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman, e malauguratamente non dovessi ricordare qualche passaggio del romanzo oppure in che modo un certo tema è stato trattato, non devo fare altro che percorrere all'indietro la storia di Three-a-Penny e ritrovare le informazioni di cui ho bisogno. In effetti, è un peccato che abbia deciso di mettere in atto questo stratagemma soltanto un paio di anni fa, dal momento che il grosso della mia carriera di lettore si è concentrato proprio tra il 2016 e il 2019, quando proprio a causa delle recensioni da scrivere settimana per settimana ho dovuto limitare il tempo da dedicare al piacere della lettura. In ogni caso, come dicevo, lentamente ho deciso di recuperare tutte le letture che ho mezzo dimenticato nel corso del tempo, alternandole con i volumi in uscita e con alcuni mysteries che riescono ad attirare la mia attenzione; e uno di essi è proprio il titolo che vi voglio presentare questa settimana, il quale è stato pubblicato nel 2016 e figura tra i primi gialli tradizionali veri e propri che abbia comprato in libreria. Proprio in quell'anno, infatti, sono tornati sugli scaffali dei negozi di libri i Bassotti Polillo, in quella che si potrebbe definire come "seconda generazione".

Tra il 2002 e il 2014 era uscita una prima serie ininterrotta di titoli, a partire da "I Delitti di Praed Street" di John Rhode per terminare con "Veleni, Pugnali e altre Amenità", tipica raccolta di racconti curata dall'editore; poi, per un paio di anni la produzione di volumi si era arrestata, soprattutto per il calo delle vendite a cui il mercato era andato incontro. Dopo qualche tempo, tuttavia, si era messa in moto una nuova linea di gialli che aveva ripreso la numerazione da dove era stata interrotta, come se nulla fosse accaduto nel frattempo; e i primi romanzi a vedere la luce erano stati "Morte in Ascensore" di Alan Thomas, una delle camere chiuse più celebrate di tutti i tempi che lo stesso bacino di lettori britannici ci invidia, e l'oggetto della recensione di oggi: "Sangue sulla Neve" dell'americana Hilda Lawrence. Al tempo, io mi ero avvicinato già da un po' alle collane dirette da Marco Polillo; ero partito collezionando quei titoli che erano stati pubblicati in allegato al Corriere della Sera, per poi passare ad accaparrarmi la maggior parte di copie di quelli che aveva precedentemente pubblicato, ricorrendo a siti di remainders e a mercatini dell'usato. Però, con l'uscita di questi due mysteries nuovi di zecca ho dato davvero inizio al mio sostegno ai Bassotti, e da lì non mi sono più fermato, se non quando Polillo ha di nuovo cessato di produrre nuovi gialli per qualche tempo, per passare a Rusconi. Pertanto, sono molto legato a queste due crime novels così differenti tra loro: una inglese, l'altra americana; una sul genere del delitto impossibile avvenuto in un luogo chiuso, l'altra fondando la propria cifra sulla suspense. Però, tra i due ho sempre preferito il romanzo di Lawrence, dal momento che (come ho accertato con gioia durante questa rilettura) non ha nulla da invidiare all'opera di un autore nato e cresciuto in Inghilterra. In esso, si mescolano perfettamente quei caratteri che si trovano nei gialli che preferisco: un solido background, costituito da personaggi vividi e da uno stile chiaro ma all'occorrenza lirico tipici della narrativa britannica, pur senza tralasciare quell'atmosfera un po' onirica e l'ambientazione suggestiva di un mystery appartenente alla tradizione delle woman in jeopardy. È stata una lettura molto gradevole, perfetta da affrontare dopo il discreto nuovo Bassotto di Polillo/Rusconi, "Il Rompicapo" di Lee Thayer, dal momento che questi due libri sono del tutto differenti tra loro. Il bello della classica crime story: quello di partire da premesse simili per dare vita a risultati agli antipodi.

The Entrance to Giverny under the Snow, Claude Monet, 1885,
raffigurante una scena nevosa simile a quella di Crestwood
Tutto ha inizio in una gelida sera d'inverno. Il treno proveniente da New York giunge a Crestwood, una minuscola località nelle montagne dell'America, e mentre il controllore Amos Partridge esce dalla stazione per fare tutti i segnali del caso, dalla coda del convoglio scende silenziosamente un uomo. Si tratta di Mark East, un investigatore privato che è stato convocato nella grande casa sulla collina dietro il villaggio, di proprietà del colonnello Davenport, da uno degli ospiti che in quel momento risiedono nella villa: l'archeologo Joseph Stoneman. Costui si trova a Crestwood assieme a una famiglia di amici, i Morey, costituita da Jim, Laura e le piccole Anne e Ivy, servito e riverito da una schiera di domestici che comprendono un maggiordomo, Perrin, una cuoca governante, Mrs Lacey, e due ragazze nel ruolo di cameriere e sguattere, Florrie e Violet. Tuttavia, come si accorge ben presto East, Stoneman non si trova affatto nella piacevole posizione che lui si sarebbe aspettato: per prima cosa, il poveretto pare essere stato trattato nientemeno che come un sacco da boxe, con tutte le botte e le fasciature che gli ricoprono le parti scoperte del corpo; e come se questo non bastasse, è chiaro che l'archeologo è in preda a un fortissima tensione. Trema, si guarda alle spalle come se si aspettasse di essere assalito da un momento all'altro, e insiste nell'affermare di aver assunto Mark per lettera scambiandolo per un segretario, e non per i suoi servigi di investigatore. East è perplesso dal comportamento dell'uomo, ma al momento non ha di meglio da fare e così decide di stare al gioco del suo nuovo capo, installandosi a villa Davenport. Già nelle prime ore della sera, tuttavia, mentre fuori la neve cade copiosa sui tetri boschi immersi nel silenzio della notte, l'investigatore si trova inserito in un focolare domestico molto particolare, in cui nessuno pare comportarsi con naturalezza: Jim Morey appare fin troppo allegro e desideroso di scambiare facezie col suo nuovo ospite; Laura, sua moglie, dal canto suo resta sempre chiusa nella sua camera da letto, con le bambine, e non scende nemmeno per i pasti, come in una sorta di clausura volontaria causata da una malattia nervosa non meglio specificata; Stoneman, come dicevamo, sembra sul punto di avere un collasso e si mantiene in posizione eretta bevendo un bicchiere di liquore dietro l'altro.

Nemmeno Perrin, silenzioso come un gatto e con mani forti e delicate allo stesso tempo, la risoluta e spaventata Florrie, l'incosciente Violet e la tremebonda Mrs Lacey paiono passarsela bene. Quest'ultima, soprattutto, ha annunciato di volersene andare quella sera stessa, dopo aver inviato le proprie dimissioni scritte al piano di sopra e aver impacchettato tutta la sua roba in fretta e furia. Chissà cosa mai l'ha spaventata... Perché anche questo appare chiaro agli occhi allenati di Mark East. Eppure, la povera Mrs Lacey dovrà cambiare i propri piani, e farlo per sempre: mentre sta dormendo nella sua stanza nel seminterrato della villa, infatti, rimane vittima di un incendio che è scoppiato a causa di una serie di sfortunate coincidenze. Al villaggio, tutti si stringono attorno alle spoglie mortali della donna: Ella May Bittner con suo marito, Amos Partridge, ma soprattutto le zitelle Beulah Pond e Bessy Petty, sempre pronte a ficcare il naso a destra e a manca per raccogliere e discutere il pettegolezzo del momento. Chiacchiere che corrono ben presto, quando il dubbio che la morte della cuoca dei Morey sia dovuta a un atto provocato dall'uomo di insinua nella mente di East e in quella della polizia del villaggio. Ma chi potrebbe mai aver voluto uccidere un donnone inoffensivo come Mrs Lacey? Era un essere umano insignificante, in fatto di importanza; non era un personaggio particolarmente noto da costituire una minaccia. Eppure, quando si verificherà una seconda morte violenta, sempre legata alla casa di Davenport, East non potrà più fingere che non ci sia sotto qualcosa a questa serie di decessi improvvisi. Qualcosa che forse, come è nella migliore tradizione del giallo classico, si trova celato nel passato più oscuro, in quel luogo dove ci celano i crimini mai scoperti e le nefandezze di cui l'uomo di è macchiato? La neve cade, cade copiosa su Crestwood, e ricopre col suo fitto mantello i segreti dei personaggi del romanzo: riuscirà Mark East a scoprire la verità e ad impedire che qualcosa di orrendo si compia prima che sia troppo tardi? L'aiuto delle zelanti Miss Pond e Miss Petty, che a loro rischio e pericolo tutto sanno e tutto comprendono molto meglio di agenti addestrati, sarà essenziale per raggiungere il traguardo.

Winter View, Stepan Feodorovich Kolesnikov, raffigurante una
casa simile a villa Davenport
Come dicevo poco sopra, "Sangue sulla Neve" è un romanzo giallo che si potrebbe definire come un piacevole ibrido. In esso, infatti, si mescolano caratteri provenienti da sottogeneri letterari che hanno in comune il fatto di essere crime, ma per il resto sono perlopiù distanti tra loro. Almeno, nella maggior parte dei casi non sono soliti fondersi in un miscuglio. Ad esempio, lo spiccato senso della suspense con tanto di fanciulle in pericolo e insidiate da nemici nascosti nell'ombra, non sarebbe mai potuto essere inserito in un romanzo di Dorothy L. Sayers (fosse solo per il fatto che le protagoniste femminili di questa autrice posseggono spessissimo un carattere forte, determinato e indipendente, opposto a quello delle protagoniste della classica crime story dell'altra parte dell'Atlantico). D'altro canto, nei mysteries delle esponenti della corrente delle women in jeopardy non si sarebbero praticamente mai trovati misteri ed enigmi impostati secondo il modello britannico, con trucchi e metodi di omicidio perlopiù legati a meccanismi ad orologeria e a strutture schematiche e articolate: nei libri di Rinehart ed Eberhart, il fulcro delle vicende spesso viene evidenziato soprattutto nell'atmosfera suscitata nel tratteggio dell'ambientazione e dei personaggi, più vividi dal punto di vista psicologico-emozionale che da quello del "chi-avrebbe-potuto-farlo". Pertanto, nella maggior parte dei casi questi due tipi di letteratura del mistero sono rimasti separati e indipendenti l'uno dall'altro. Detto ciò, però, ogni tanto una contaminazione è avvenuta e (secondo il mio parere personale) l'incontro ha dato esiti più che felici. Nonostante a prima vista possa sembrare quanto meno azzardato, infatti, questo stratagemma di unire il giallo di stampo britannico con quello che fece la fortuna delle Regine del Brivido americane, ha funzionato alla grande. Ne è un esempio l'opera di Elizabeth Daly (almeno in parte), dove a uno spiccato senso di minaccia, pesante quanto una cappa soffocante, viene accostata una grande attenzione allo stile e a una rappresentazione della società che rimanda a quella tanto cara a Sayers e Agatha Christie; oppure quella di Ethel Lina White, la quale ha fatto del dualismo "suspense-materialismo" un vero e proprio marchio.

Proprio da quest'ultima, secondo me, Lawrence ha colto ispirazione per scrivere gialli come questo "Sangue sulla Neve"; da lei e da quei classici della letteratura britannica che (oltre alla saga di Sherlock Holmes) sono stati tanto importanti per l'evoluzione della crime story: "La Pietra di Luna" e "La Signora in Bianco" di Wilkie Collins. Essi, infatti, hanno a modo loro influenzato tutta quanta l'opera dei giallisti posteri: a quelli residenti nella Vecchia Europa hanno suggerito quanto fossero importanti il contesto storico-sociale in cui le vicende devono essere ambientate, per risultare credibili, e la forza dirompente di uno stile solido per conferire struttura ossea alle loro trame; a quelli americani, come la creazione di un clima di tensione e suscitare emozioni nel lettore possa aiutare a vivacizzare un racconto dove il mero sunto dei fatti può risultare un po' indigesto. White, Daly e Lawrence hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con l'opera di Collins (White viveva in Galles e non poteva non conoscere di fama l'autore, mentre Daly e Lawrence hanno apertamente dichiarato la loro ammirazione per il loro collega d'oltreoceano); per cui, è innegabile come egli le abbia influenzate; e lo abbia fatto al punto di suggerire loro di seguire le sue stesse orme, in modo da dare vita a mysteries in cui i caratteri del giallo tipicamente tradizionale si fondono con quelli dell'avanguardia americana rappresentata soprattutto da Rinehart ed Eberhart. Lawrence, nello specifico, sembra aver compiuto un percorso che fino a un certo punto può essere simile a quello delle due colleghe sopra citate, dal momento che ha infuso in romanzi come "Sangue sulla Neve" molti dei topoi comuni al sottogenere in cui viene ascritta dai più: l'atmosfera tratteggiata con toni poetici e lirici, l'ambientazione claustrofobica accentuata dalla potente tempesta di neve che viene a scatenarsi su Crestwood, uno stile caratterizzato dall'alternarsi tra azione (poca) e riflessione (tanta), una certa aria di confortevolezza apparente in cui i personaggi sembrano coccolati, nonostante nel corso del tempo si susseguano omicidi tutt'altro che tranquillizzanti. Inoltre, abbiamo personaggi che lasciano trapelare come siano particolarmente scossi e agitati, intimoriti da qualche minaccia nebulosa, e un mistero dove bisogna stare attenti a cogliere indizi di carattere psicologico.

Però non bisogna fermarsi alle apparenze: alcune sostanziali differenze fanno capire come Lawrence non si sia limitata a ricalcare le trame delle sue colleghe. L'autrice, in qualche modo, si fece carico dell'eredità di White e, proprio nell'anno in cui quest'ultima pubblicò il suo ultimo giallo, ella raccolse un metaforico testimone proseguendo secondo una propria logica, che vedeva l'introduzione di alcune modifiche al modello: nonostante protagonista sia il terzetto East-Pond-Petty, quello che sarà deus ex machina sarà il solo investigatore, in modo da avere un protagonista maschile in questa vicenda dipinta sul tipo del domestic suspense; le due zitelle non sono affatto sciocche come apparirebbe a prima vista, anche se in un'occasione corrono un pericolo mortale, per cui viene in parte a cadere il ruolo della "gentile donzella in pericolo"; il senso di pericolo che di solito attanaglia la protagonista nel caso di "Sangue sulla Neve" è meno accentuato, non essendo calcata la mano sul fattore gotico della storia (pur restando presenti il sospetto insinuante e la tensione che qualcosa di grave stia per abbattersi su villa Davenport). Mi è capitato di leggere alcuni accostamenti tra l'atmosfera di questo romanzo con quella manifestata nientemeno che nei romanzi di John Dickson Carr (secondo me, il paragone è un po' esagerato). Inoltre, ho come colto una sorta di tentativo di imitare non solo White, ma addirittura Sayers: quest'ultima è stata addirittura citata attraverso il personaggio di Lord Peter Wimsey, mentre in un'occasione Lawrence ha lasciato intendere come il giallo tradizionale britannico fosse il migliore. Quindi, abbiamo qui un'autrice americana che si dimostra apertamente affezionata alla classica crime story della Terra d'Albione, che fino a un certo punto è stata discepola di Ethel Lina White per poi applicare il suo metodo con sostanziali modifiche, ma senza snaturarlo. Personalmente, ammetto di essere stato entusiasta di come si sia rivelato "Sangue sulla Neve": in ibridi come questo libro, oppure nelle opere di White e Daly, si manifesta quella che a mio parere dovrebbe essere la forma ideale di equilibrio all'interno di un mystery; ovvero, la commistione tra tensione e suspense, per quanto riguarda l'atmosfera del racconto, e una costruzione solida e chiara della struttura tecnica delle vicende: Come se un castello fatto di vetro fosse stato costruito su un terreno di pietra.

Hildegarde Kronmiller, alias Hilda
Lawrence, nata nel 1906 e morta nel 1976
L'unica cosa che mi ha contrariato, quando sono arrivato alla fine di "Sangue sulla Neve", è stato scoprire che Hildegarde Kronmiller (vero nome di Hilda Lawrence) ha scritto soltanto cinque romanzi gialli nel corso della sua carriera. Pochissimi, se si pensa alla qualità del suo esordio. Nata nel 1906 a Baltimora, nel Maryland, era figlia nientemeno che di un membro del Congresso degli Stati Uniti d'America. Il fatto di appartenere a una famiglia tanto importante le aprì tutte le porte per poter intraprendere una carriera scolastica impeccabile: studiò infatti alla Columbia School di Rochester, prima di diventare lettrice per i non vedenti e, in seguito, trasferirsi a New York per entrare nella redazione della casa editrice MacMillan. Qualche tempo dopo, tuttavia, passò a quella del Publishers Weekly, per approdare saltuariamente come sceneggiatrice radiofonica per "The Rudy Vallee Show". Nel 1924 decise di sposarsi col commediografo Reginald Lawrence; tuttavia, ben presto i due divorziarono, nonostante lei decise di tenere il cognome del marito per firmare i suoi romanzi del mistero. Da sempre, infatti, era stata un'accanita lettrice di questo genere letterario: divorava qualunque titolo su cui riuscisse a mettere le mani, finché a un certo punto si ritrovò nella situazione di non riuscire più a soddisfare il proprio appetito in modo adeguato. Non c'erano più titoli abbastanza intriganti e piacevoli da leggere, per cui come fare? Semplice: decise di mettersi a scrivere lei stessa qualche mystery che fosse di suo gusto. In questo modo, nel 1944, diede alle stampe "Sangue sulla Neve", dove introdusse come protagonista l'investigatore privato Mark East, newyorchese che in questo specifico titolo viene aiutato nell'inchiesta dalle zitelle Beulah Pond e Bessy Petty. Garbato, ironico, vero gentiluomo che si discosta dalla massa di detective violenti tipici di quel periodo in America, ma nonostante questo pronto a correre qualunque pericolo e a gettarsi nella mischia, East fu uno dei motivi per cui "Sangue sulla Neve" venne accolto con gioia dal pubblico e dalla critica, tanto da avere ben quattro ristampe in edizione rilegata. In seguito, Lawrence riprese il personaggio in altri due gialli: "Time to Die", incentrato sulla scomparsa di un'attraente signora, e "La Bambola Assassina", dove il fulcro delle vicende è ambientato in una rispettabile pensione per giovani donne a New York. East non compare, invece, in "Il Padiglione sul Mare", un thriller gotico ambientato nel sud degli Stati Uniti.

Insomma, Hilda Lawrence sembrava destinata a risalire l'Olimpo degli scrittori di gialli americani della metà del Novecento. Pubblico e critica (in particolare Howard Haycraft la definì "di gran lunga il più entusiasmante talento nel campo dell'odierna letteratura gialla") erano dalla sua parte, pronti a sostenerla, e si aprivano davanti a lei grandi prospettive. Eppure, di punto in bianco, nel 1946 interruppe la serie con protagonista East e iniziò a pubblicare sempre meno. Nel 1949 uscì "Duet of Death", una coppia di romanzi brevi dal titolo "A Quattro Mani" e "The House/The Bleeding House"; però si tratta di storie di suspense ben diverse dal resto della sua produzione precedente (tanto che "A Quattro Mani" divenne un episodio di "The Alfred Hitchcock Hour" intitolato "The Long Silence"). Poi Lawrence pubblicò una puntata della serie "Nobody Dies but Strangers", sula rivista Ladies Home Journal nel 1951, e il racconto "A Roof in Manhattan", inserito nell'antologia "For Love of Money" curata dal Mystery Writers of America nel 1957. Da qui più nulla, fino alla morte avvenuta nel 1976. Cosa successe per arrestare la sua ascesa? Non si sa. Resta il fatto che Hilda Lawrence ha dato prova di sé con i pochi romanzi che ha scritto; romanzi che, da qualcuno, sono stati criticati aspramente per essere in un certo senso "né carne né pesce". Mi spiego meglio: la decisione dell'autrice di mettere insieme elementi del giallo britannico con quelli tipici delle women in jeopardy ha scatenato una serie di commenti e giudizi secondo cui ella ha voluto inserire nelle sue trame cose fin troppo diverse tra loro, così da non riuscire a dare un'identità precisa alla sua narrativa. L'atmosfera di Carr, come dicevo sopra, ma pure un protagonista spiritoso sulla falsariga di Archie Goodwin, aiutante di Nero Wolfe, zitelle simili a Miss Jane Marple... Avrebbe aperto a troppe cose, fallendo nel non riuscire a concentrarsi bene su una di esse. Francamente, io trovo che questo discorso sia del tutto esagerato. Certo; un problema per il lettore affezionato al giallo più tradizionale nel senso stretto del temine l'ho rilevato, leggendo "Sangue sulla Neve": gli indizi non si attengono del tutto al fair play, ovvero si può indovinare chi sia il personaggio colpevole ma non arrivare a scoprire come abbia agito in base alle prove presentate. Questo può essere una pecca, per alcuni.

Ma io, come ho già avuto modo di spiegare, preferisco concentrarmi sul risultato complessivo del romanzo, senza pretendere un gioco pulitissimo dall'autore. Neppure che la soluzione cada dall'alto senza preavviso di sorta, ma una via di mezzo la posso accettare. E in fin dei conti "Sangue sulla Neve" è un giallo che possiede innumerevoli qualità positive. I punti di forza del libro sono senza dubbio lo stile e l'ambientazione, che riescono ad avvolgere chi legge in una sorta di sogno ad occhi aperti: ogni cosa viene spiegata come se stessimo camminando in una regione fantastica, le cui fattezze sono all'apparenza reali ma, allo stesso tempo, tutto si muove lentamente; le descrizioni si soffermano sui dettagli del mobilio, sugli scenari del giardino e delle piccole case degli abitanti di Crestwood, includendo villa Davenport. Vediamo con gli occhi della mente i personaggi che agiscono in un palcoscenico allestito al meglio, dove niente viene lasciato al caso e gli oggetti assumono grande importanza e aiutano a collocare meglio ciò che succede. Tutto è affascinante, chiaro ed evocativo allo stesso tempo, come avvolto in una nebbia dorata in cui i contorni si sfumano allo stesso modo di quelli dei dipinti impressionisti. Ho avuto l'impressione di affrontare la storia come se indossassi guanti di velluto, al cui interno si trovavano però salde mani pronte ad agire. Nel corso del tempo che scorre nelle vicende, ci addentriamo sempre di più nel disegno che Lawrence ha preparato per noi; un racconto dove la suspense viene tenuta a partire dalle prime pagine, nelle quali la tensione e la Morte fanno già il loro ingresso sulla scena attraverso l'illusione del mausoleo di Beulah, fino alla fine. Un'altra cosa che mi ha affascinato, mentre leggevo "Sangue sulla Neve", è stata la capacità dell'autrice di dire e non dire le cose, di accennare gli indizi e poi sottrarli alla vista nel momento seguente, rapida, silenziosa: tra le righe si nascondono molte allusioni, come si addice a un tipico giallo americano degli anni '40, ma non mancano pure le correnti sotterranee che scorrono impetuose tra i personaggi e particolari calore e confortevolezza a sottolineare il tutto... questo fino a un certo punto.

In questa variazione del giallo secondo HIKB abbiamo più sostanza dal punto di vista dello stile, e più spessore nella trattazione dei temi, passando dall'arte (pp. 17-18, 49-51) alla letteratura (pp. 29, 31-32, 155, 171-172, 195-196), dall'archeologia (pp. 102-106, 194-195, 203-204) allo spiritismo (pp. 9-10, 30, 40-45, 49, 163), fino alla morte che si aggira come uno spettro entrando e uscendo dalle pagine (pp. 9, 104, 136-137, 163). Legato alla morte che emerge e si immerge, pure il tema del passato che ritorna occupa un ruolo importante nella trama, mescolandosi con una certa amara ironia del destino. I personaggi sembrano ossessionati da qualcosa che non vuole lasciarli liberi, e vengono tratteggiati con piglio sicuro e abilità: esprimono sentimenti e struggimento come se fossero attori di un melodramma vittoriano (ritorna Wilkie Collins, vedete?), ma d'altra parte riescono ad incarnare personalità calate nella modernità del tempo in cui è ambientato il libro. Tra tutti, risaltano la misteriosa Laura Morey, novella "donna in bianco" che sta sulle sue senza farsi avvicinare; le zitelle Pond e Petty, brillanti e sagaci pur senza apparire dominanti su East, che osservano come "falchi benevoli" quanto accade e sono pronte a correre dei rischi pur di assecondare la loro curiosità; la giovane Violet, la quale nasconde un grande spirito di osservazione dietro la facciata di sempliciotta; e lo stesso Mark East, interessante variazione dello stereotipo in voga tra gli scrittori di gialli americani. Tutto sommato, comunque, i personaggi non sono mai quello che sembrano; nascondono lati delle loro personalità dietro a maschere attaccate precariamente sui loro volti. Sono buoni o cattivi? Pazzi oppure sani di mente? Sta al lettore dare la propria interpretazione in base ai fatti e ai risvolti del caso. L'enigma, infine, si presenta stratificato e complesso: il lettore non può riuscire a spiegare da solo tutti i passaggi dell'indagine, dal momento che (come dicevo) non esiste un vero e proprio fair play nell'esposizione delle prove contro il colpevole. Tuttavia, man mano che il caso evolve, le cose iniziano ad essere sempre più chiare e ci sono fatti che soltanto all'apparenza non hanno importanza. Penso che, tutto sommato, il mistero sia adeguato alle aspettative; pertanto, promuovo con gioia "Sangue sulla Neve". Credetemi, si tratta di un giallo che merita di essere letto e conosciuto, alla pari della sua autrice. Mi impegno a leggere al più presto pure "La Bambola Assassina", per scoprire se le mie sensazioni su questo libro verranno consolidate; se così sarà, aspettatevi un altro caloroso consiglio di lettura.

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