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venerdì 30 aprile 2021

70 - "Delitto in una Camera Chiusa" ("The Sealed Room Murder", 1934) di Michael Crombie

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Per iniziare questa recensione, vorrei spendere qualche parola di ringraziamento in favore dell'Editore Polillo in Rusconi. Infatti, all'interno della sua collana "I Bassotti", negli ultimi mesi esso ha rapidamente dato alle stampe numerosi volumi, permettendo a noi appassionati lettori di classica crime story di poter divorare alcune opere di genere inedite in lingua italiana. Da dicembre, sono stati pubblicati "Il Rompicapo" di Lee Thayer, "La Scatola Mortale" di Basil Godfrey Quin, "Delitti al College" di Clifford Orr e "Delitto in una Camera Chiusa" di Michael Crombie, oltre alla riedizione della seconda opera di Anthony Abbot, "Il Crimine del Secolo". Mica male, per un editore che (pur dovendo restare fermo a causa di diverse vicissitudini dovute a cause interne ed esterne) si sta imponendo sempre più come il baluardo a cui fanno riferimento i lettori di romanzi gialli in Italia. Escludendo le collane da edicola del Giallo Mondadori, con la Serie Regolare e i Classici in primis, che nel corso del tempo hanno un po' mollato il colpo e si sono stabilizzate in standard a volte mediocri (però noto un miglioramento in atto, quindi sono fiducioso che le cose possano raddrizzarsi), proprio Polillo per primo ha compiuto l'azzardo di perseguire la strada della pubblicazione di romanzi del mistero della tradizione angloamericana; per cui, mi sento in dovere di attribuire una sorta di merito alla lungimiranza del suo patron e dei suoi collaboratori, i quali si sono lanciati in una sfida che al giorno d'oggi fa ben sperare nella prosperità della crime story classica. Perché poi, cosa importantissima, nella maggior parte dei casi ciò che viene dato alle stampe da Polillo è materiale inedito, quindi testi che vanno a nutrire la schiera di titoli a disposizione per chiunque sia interessato senza proporre doppioni; è questo un aspetto importante della faccenda. E poco importa se qualche volta ciò che viene tradotto e proposto non è del tutto all'altezza delle aspettative: si tratta comunque di romanzi o raccolte di racconti che fa piacere veder disponibili, perché contribuiscono ad ampliare la scelta a seconda dei diversi gusti di ognuno di noi.

Personalmente, tra questi ultimi romanzi gialli che Polillo ha pubblicato ho apprezzato di più "Delitti al College", nonostante esso presenti alcune ingenuità dovute al fatto che sia l'esordio di Clifford Orr e sia pur sempre un mystery di matrice americana. L'enigma è stato di stampo molto classico, con padre e figlio intenti ad indagare, e l'atmosfera di terrore che aleggiava sulla Dartmouth University ha suscitato la giusta dose di brividi. Meno, invece, mi è piaciuto "Il Rompicapo" proprio a causa del suo essere fin troppo incentrato nel puro mistero del cadavere in mezzo alla neve, a discapito di altri aspetti essenziali in un giallo che si rispetti, come caratterizzazione dei personaggi e stile narrativo di Thayer. "Il Crimine del Secolo" di Abbot mi ha convinto nella parte legata al police procedural, tenuto conto della precisione con cui essa è stata delineata, e nella trattazione di un enigma ispirato al caso di true crime che vide coinvolti Hall e Mills. Di "La Scatola Mortale" di Quin e del romanzo che oggi recensisco per concludere questa rassegna, "Delitto in una Camera Chiusa" di Michael Crombie (Polillo Editore, 2021), ho invece apprezzato il lato più avventuroso della trama, poiché è stato quello che mi ha intrattenuto di più e che in un certo senso ha prevalso su tutto il resto. Questi ultimi esempi, infatti, non sono riuscito a considerarli del tutto come romanzi del mistero, quanto piuttosto libri "alla Edgar Wallace", dove sono le peripezie corse dai personaggi a stare sotto le luci dei riflettori, invece delle morti sospette di alcuni individui. Oltretutto, il mistero costruito da Crombie è del tipo inverted, per cui al lettore viene già rivelato il nome dell'assassino e il bello nella lettura sta nello scoprire come il colpevole venga incastrato dall'opera dei poliziotti e degli investigatori dilettanti che lo perseguono. Forse per questo motivo piazzerei "Delitto in una Camera Chiusa" un gradino sotto rispetto al giallo di Quin. Badate, la storia fila e non manca il divertimento; soltanto ci sono alcuni piccoli difetti che non mi hanno del tutto convinto nel corso dello scorrere delle pagine. Ma andiamo con ordine.

Barrow Hill, Malcolm Midwood Milne, 1939, raffigurante una
scena simile a The Maidens
La trama prende avvio con l'imminente attracco di una nave da crociera presso il porto di Southampton. A bordo di quest'ultima si trovano due giovanotti, Alan Napier che sta facendo ritorno in patria dopo un periodo trascorso in Oriente per fare carriera nel campo bancario, e il giornalista Larry Milner che invece ha passato gli ultimi tre mesi in America ad occuparsi di un caso spinoso per conto del giornale in cui lavora. I due hanno fatto amicizia durante il viaggio e sono entrati abbastanza in confidenza perché Napier potesse confidare all'amico il suo imminente ricongiungimento con un vecchio compagno di scuola, Eric Winter: sono passati molti anni dall'ultima volta che si sono visti di persona, e Alan nutre grandi speranze nell'incontro che si prospetta all'orizzonte. Oltretutto, Winter ha promesso di presentargli la sorella Patricia, una ragazza che lui ha visto soltanto in foto ma della quale si è ormai infatuato. In attesa di sbarcare, Napier e Milner si recano a fare colazione quando all'improvviso i lieti scambi tra i due vengono interrotti dall'arrivo di una lettera spedita proprio dalla signorina Winter. Le notizie che porta sono terribili: Eric è morto da una settimana per delle complicazioni dovute a febbre tifoide e la ragazza sospetta non si tratti di una casualità, ma di un deliberato omicidio architettato dallo zio Godfrey. Sconvolto dallo shock, Alan Napier sbarca non appena possibile per cercare delle risposte alle domande che si affollano nella sua testa... ed incappa proprio nell'avvocato Godfrey Winter, il quale minimizza il fatto che Patricia non sia venuta ad accoglierlo (come aveva promesso nella lettera) e lo invita a rimandare la sua visita a The Maidens in occasioni più liete. Alan non riesce a convincersi che l'uomo non lo stia prendendo in giro: forse sono state le parole della donna che ama ad influenzarlo, ma egli ha come l'impressione che l'altro si sia voluto sbarazzare di lui... E infatti, non appena Napier sale sul treno per Londra accompagnato da Milner, l'avvocato torna nella casa in cui alloggia assieme alla nipote e il lettore scopre come la sua coscienza sia tutt'altro che pulita. Winter è un giocatore incallito alle corse dei cavalli, conduce uno stile di vita che richiede molto denaro e ormai ha esaurito i fondi da investire; per cui è naturale che abbia ucciso il nipote per ereditare la sua fortuna. Patricia, tuttavia, ha le idee ben chiare sullo zio e si è già impegnata a diffondere i pettegolezzi più insinuanti e ad inviare una lettera nientemeno che a Scotland Yard, per spingere l'opinione pubblica a fare qualcosa per fermarlo.

Sfortunatamente per lei, Godfrey è un avversario temibile. Da buon avvocato, egli ha pianificato il suo crimine in modo da non lasciare tracce che possano essere ricondotte alla sua persona e ha studiato un modo inattaccabile per far cessare le voci che girano sul suo conto: accusare la nipote di essere matta ed eventualmente internarla da qualche parte per renderla inoffensiva. Patricia stessa si rende conto di quanto la sua vita sia in pericolo quando, dopo un'accesa lite con lo zio, si mette al volante della propria auto per raggiungere Londra e finisce fuori strada per la rottura dell'asse dello sterzo, opportunamente limata fin quasi a tagliarla da qualcuno che vuole metterla a tacere. Intanto Alan Napier non si dà pace: Milner è preoccupato per lui e decide di raccogliere qualche informazione ufficiosa da un poliziotto che conosce, l'ispettore Evans di Scotland Yard, il quale rassicura i giovanotti sull'integrità del verdetto sulla morte di Eric Winter. Però poi i tre leggono la notizia dell'incidente quasi mortale di Patricia. Strano, non è vero, che una ragazza così giovane e sveglia, a bordo di un auto nuova, sia uscita di strada in quel modo? Milner inizia a dubitare dell'innocenza di Godfrey Winter e sfrutta le conoscenze a propria disposizione al giornale e nei luoghi che frequenta di solito per fare qualche indagine discreta; e l'incontro con l'avvocato (il quale quasi lo sequestra in un impeto di irrazionale timore) lo convince della colpevolezza di quest'ultimo. Ma come provarlo? Forse, se tornasse a The Maidens potrebbe raccogliere qualche indiscrezione dalla gente del villaggio e trovare le risposte che cercano lui e Napier. Ma per prima cosa bisogna fare in modo che Patricia non sia più nelle mani di Winter; così  Alan si reca in tutta segretezza alla villa in cui ella è rinchiusa e, con un colpo da maestro, riesce ad introdursi nella casa e a sottrarre l'amata dalle grinfie del tutore legale. Ma le avventure e i pericoli non sono finiti qui... Milner, affiancato da Napier e Patricia, dovrà faticare a lungo prima di incastrare Winter; e più di una persona dovrà morire per mano dell'avvocato, nel suo irriducibile tentativo di salvarsi dal giudizio capitale.

Farmhouse Bedroom, Eric Ravilious, 1939, raffigurante un
interno simile alla camera dell'infermiera Hopkins
Come dicevo sopra, "Delitto in una Camera Chiusa" può essere considerato più un romanzo d'avventura con sfumature misteriose che il contrario, come sarebbe più probabile che fosse. Con questo non intendo stroncarlo: il livello è superiore a quello di "Congelato" di Anthony Weymouth, dove mi sentivo di respingere ogni cosa, dallo stile antiquato al mistero debole ai personaggi poco caratterizzati oppure sgradevoli. Almeno stavolta mi sono divertito nel leggere. Però non possiamo certamente considerarlo come un giallo a tutti gli effetti. Se le peripezie corse dai protagonisti vengono descritte seguendo una vena che si concentra più sull'azione pura e si tralascia il fattore enigma, al punto che ci interessa di più scoprire in quali pericoli incorrerà Milner rispetto alle mosse che egli metterà in pratica per sconfiggere il suo avversario, capirete che c'è un bel problema di fondo. Lo sbaglio compiuto da Crombie, a mio parere, è stato quello di voler fare troppe cose insieme. Da come era partito, l'assetto della trama lasciava intendere uno svolgimento sulla falsariga di "L'Insospettabile" di Charlotte Armstrong, con un presunto assassino che ben presto si rivela tale e i suoi tentativi calcolati di screditare i suoi accusatori, con una protagonista femminile minacciata dal colpevole. Credo che se le cose avessero continuato in questo senso, magari approfondendo l'aspetto psicologico del criminale, dei sospettati complici, dell'investigatore e dei suoi amici, con tanto di riflessioni e cambi di punto di vista a seconda del personaggio che compiva tali ragionamenti, "Delitto in una Camera Chiusa" si sarebbe rivelato un eccellente tentativo di introdurre in Inghilterra quel giallo di suspense che in America aveva trovato un terreno molto fertile su cui crescere e svilupparsi (come avrebbe poi dimostrato proprio il romanzo di Armstrong una dozzina d'anni dopo). Invece, di punto in bianco, l'indagine viene affidata al giornalista Milner il quale intraprende un metodo che si riconduce a quello di un suo egregio collega, quello Spargo protagonista di "Delitto a Middle Temple" che entusiasmò addirittura il presidente degli Stati Uniti e diede enorme fama a J.S. Fletcher. Cosa ancora più triste, Milner inizia a compiere azioni che lo mettono in aperta competizione con Godfrey Winter e gli impediscono quindi di approfittare dell'effetto sorpresa che magari avrebbe serbato ancora qualche dubbio sull'autentica colpevolezza dell'avvocato.

Da parte mia, ai fini dell'aspetto puramente enigmatico del romanzo, mi è molto dispiaciuto che la storia abbia preso questa deriva, poiché ha banalizzato tutto ciò che è venuto in seguito. L'indagine si è basata su una sorta di svelamento graduale degli indizi che avrebbero portato alla cattura e all'accusa di Winter senza dare modo al lettore di scoprirli (l'asse dell'auto trafugato dalla scena del delitto, ad esempio, viene consegnato nelle mani di Milner quasi con noncuranza, senza che ci sia stato dietro un importante lavoro di deduzione da parte sua). Pertanto, viene a cadere quel rispetto del fair play che mi sarei aspettato da un autore scozzese come Crombie; se "Delitto in una Camera Chiusa" fosse stato scritto da un autore americano, almeno non avrei avuto chissà quali aspettative. Per fortuna, questa deriva avventurosa della trama non ha tolto il piacere nello scoprire attraverso quanti pericoli il terzetto Patricia-Alan-Larry sono dovuti passare: la fuga rocambolesca da The Maidens, gli agguati e i ricatti, le visite notturne in camere sporche e gli scontri verbali-mentali tra protagonista e antagonista hanno svolto bene il loro compito,permettendomi di non annoiarmi mai fino all'ultima pagina. Però resto della mia idea iniziale, per quanto riguarda la riuscita del romanzo. Se l'autore avesse calcato meno la mano su cliché e su aspetti della trama che si riconducono al thriller sensazionalistico dei primi anni del Novecento (come complotti, ricatti da quattro soldi, travestimenti, fughe forsennate, scontri corpo a corpo), "Delitto in una Camera Chiusa" sarebbe riuscito meglio. E di sicuro proprio l'omicidio che dà il titolo al libro non si sarebbe trovato relegato agli ultimi tre capitoli, fatto e disfatto in fretta e furia! Per dare risalto all'importanza del sospetto gravante su Winter, Crombie ha tralasciato la materia fulcro del proprio romanzo. Per concludere questo discorso, tuttavia, spezzo una lancia a favore dell'autore per il fatto di aver usato un caso di true crime per prendere spunto per l'omicidio di Eric Winter: infatti, è esistito veramente un tale William Darling Shepherd che, a Chicago, ha ammazzato il giovane nipote William McClintock usando la febbre tifoide come scusa. Molto ingegnoso da parte di Crombie, ma non abbastanza per più di una modesta riuscita del suo libro.

Copertina della prima edizione originale
di "Delitto in una Camera Chiusa"
Michael Crombie, pseudonimo usato dal giallista James Ronald per firmare sette romanzi del mistero, è un altro autore del quale si possiedono pochissime informazioni. Nonostante la sua prolificità, infatti, egli rimane una figura avvolta da una relativa oscurità, poiché fu sì famoso in patria per aver scritto una quarantina di gialli, ma per il resto si conosce poco o nulla su di lui. Nacque a Glasgow, in Scozia, nel 1905, ed esordì nella letteratura di genere nel 1932 con "Counsel of Defence". Fin da quell'anno Crombie si diede molto da fare, arrivando a volte a scrivere ben quattro libri all'anno fino al 1938 quando si trasferì in Connecticut e rallentò notevolmente il ritmo di pubblicazione delle proprie opere. La sua passione più grande, condivisa da un gran numero di colleghi, era quella per il delitto della camera chiusa e su questo sottogenere egli di impegnò per dare vita a storie ambientate nel mondo della piccola borghesia. Protagonista dei romanzi che firmò col suo vero nome è il giornalista Julian Mendoza del "London Morning World", il quale esordì nel 1934 in "Death Croons the Blues" e apparve in seguito in "Cross Marks the Spot" (1933), nel quale egli indaga su un omicidio avvenuto in un appartamento occupato dalla sola vittima; "Murder in the Family" (1936) dove una signora viene strangolata alla presenza della nipote che sta leggendo un libro; "Promessa Mantenuta" (1942), in cui un signore rinchiuso in manicomio pare deciso a gustare una dolce vendetta contro i soci che lo hanno internato a suo dire senza necessità. Il più celebre, tuttavia, resta "This Way Out" del 1940, il quale venne trasposto su pellicola da Robert Siodmak nel film "Quinto: non ammazzare!" interpretato da Charles Laughton ed Ella Raines. Come Michael Crombie, invece, pubblicò solo alcune opere tre il 1934 e il 1941 che al giorno d'oggi sono rarissime e vendute a prezzi esorbitanti, dove il protagonista è l'altro giornalista Larry Milner, il quale si differenzia da Mendoza soltanto per poche caratteristiche fisiche. Oltre al fatto che Crombie tornò in patria nel 1955 e che da quel momento fino alla sua morte, avvenuta nel 1972, non pubblicò più nulla, le uniche altre informazioni che possediamo sul suo conto vengono da voci e chiacchiere. J.F. Norris del blog Pretty Sinister Books (che vi invito a consultare, dal momento che ha recensito "Delitto in una Camera Chiusa" in modo diametralmente opposto al mio) ha infatti riportato come un suo amico, il libraio Jamie Sturgeon, gli abbia confidato che Ronald sia stato costretto a tornare a Glasgow in seguito a una faccenda poco chiara di debiti verso lo Stato di New York, e che forse egli abbia adottato un giovane in modo non ufficiale.

Questo è quanto sappiano su Michael Crombie/James Ronald. Che altro si può aggiungere? Basandomi su "Delitto in una Camera Chiusa", ho avuto l'impressione che egli fosse un conservatore, nel senso che non andasse molto alla ricerca di innovazioni originali, sia nei temi sia negli aspetti formali, da inserire nei suoi libri. Proprio quello recensito oggi presenta una serie di luoghi comuni a molti romanzi dei primi del Novecento, dove l'onore, la cavalleria, il melodramma e tutte queste faccende andavano per la maggiore. Alla maniera dell'opera di Wilkie Collins, esistono complotti per danneggiare la reputazione di personaggi che non possono ribellarsi e devono combattere per averla vinta su inquietanti individui pronti a tutto pur di sopraffarli; l'azione predomina sul mistero al punto da occupare un ruolo fin troppo di primo piano, indebolendo la forza di "Delitto in una Camera Chiusa" e relegandolo a mera storia d'avventura con piccole sfumature di genere crime. Nemmeno l'ambientazione spicca più di tanto, essendo confinata a brevi descrizioni che appaiono scarne e frettolose. Lo stile è buono, pur non restando impresso nel lettore; per capirci, nello stesso anno in cui Crombie diede alle stampe questo libro, Dorothy L. Sayers pubblicava "Il Segreto delle Campane": il periodo è lo stesso, ma i risultati sono assolutamente e impietosamente differenti. Pure i personaggi non convincono del tutto: non sono antipatici come quelli di "Congelato", però a mio parere non prendono vita del tutto, restano come imbrigliati in stereotipi e in uno sfondo simile a carta moschicida. Ancora una volta, l'azione e il melodramma li caratterizzano, tralasciando lo studio della psicologia che li avrebbe resi migliori e più di impatto. Patricia assomiglia prima a un'isterica e in seguito quasi scompare dal racconto; Alan Napier fa la stessa fine, incarnando però prima l'ideale stereotipato dell'eroe che accorre in soccorso dell'amata peraltro mai incontrata dal vivo. Godfrey Winter assomiglia a quegli antagonisti diabolici ma incapaci di affrancarsi dal tipo "freddo-che-ride-sinistro-dominando-tutti". Milner soltanto riesce ad essere descritto a tutto tondo, essendo l'investigatore protagonista, ma ancora una volta l'autore cade in luoghi comuni e non riesce a conferirgli alcuna originalità. Per quanto riguarda gli altri attori sulla scena, sono figure incapaci di spiccare abbastanza per ottenere ruoli importanti, nonostante alcune figure (come quella del ragazzino che aiuta Milner nelle indagini a The Maidens) risultino simpatiche. Insomma, "Delitto in una Camera Chiusa" è una lettura che non lascia grandi segni, pur intrattenendo chi legge adeguatamente: si tratta di un libro che si inserisce meglio in quel filone che vede al suo interno pure "Il Mistero del Diario" di Milward Kennedy e A.G. Macdonell, nel quale sono le avventure corse dai protagonisti ad occupare soprattutto la trama e il carattere mystery viene declinato in base ad esse, non al contrario come sarebbe meglio che fosse. Pazienza. Consiglio questo giallo di Crombie a chi desidera trascorrere qualche ora in quieta tranquillità, senza serbare grandi aspettative sull'evoluzione dell'indagine che, a mio parere, non bisognerebbe neppure considerare come "delitto della camera chiusa" poiché relega questo aspetto alla parte finale del racconto.


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