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venerdì 13 novembre 2020

51 - "Il Capanno sulla Spiaggia" ("I'll Be Judge, I'll Be Jury", 1937) di Milward Kennedy

Copertina dell'edizione pubblicata da
Polillo Editore/Rusconi

Questo è un grande giorno per Three-a-Penny e per il sottoscritto. Con il post di oggi, infatti, raggiungo un traguardo che mi ero prefissato da moltissimo tempo: collaborare (pur molto alla lontana) con Polillo Editore, rilevato da Rusconi appena un anno fa. Se ben ricordate, infatti, le vicissitudini che questa casa editrice ha dovuto affrontare non sono state poche e semplici: ha subìto un primo stop quasi dieci anni fa, poi una ripresa nel 2016 che era coincisa con l'agognata pubblicazione di "Morte in Ascensore" di Alan Thomas, una delle camere chiuse più celebrate della classica crime story; poi ancora una nuova brusca fermata in concomitanza con l'uscita di "Il Mistero della Candela Ritorta" di Edgar Wallace, alla quale era purtroppo seguita la morte del patron dei Bassotti, Marco Polillo. A questo punto, devo ammettere che avevo un po' perso la speranza che la collana sarebbe stata ripresa in mano da qualcuno; e invece, per fortuna, è subentrata Rusconi e sono stati annunciati nuovi titoli molto interessanti. Eppure, i guai non erano finiti: come se tutto ciò non fosse bastato, infatti, ci si è messa di mezzo la pandemia di Coronavirus, a ritardare ulteriormente la pubblicazione di "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy e qualche altro romanzo giallo, in procinto di uscire nelle librerie. Ma ora ci siamo sul serio: alla fine di ottobre l'editore mi ha gentilmente spedito un paio di mysteries nuovi di zecca (con una brossura forse migliore di quella già ottima di qualche anno fa) e mi sto apprestando a recensirli, dopo averli letteralmente divorati entrambi nell'arco di una settimana. Si tratta, come dicevo, di un traguardo che sento di aver toccato con notevole sforzo: fin da quando ho iniziato a studiare il classico romanzo giallo, infatti, mi ero prefisso l'obiettivo di fare qualcosa di concreto per sdoganare una volta per tutte questo genere letterario, tanto bistrattato in Italia e considerato con un ingiusti pregiudizio come "narrativa di serie B". Polillo è stata e resta tutt'ora la fonte primaria da cui ho attinto e attingo per le recensioni su Three-a-Penny e per le mie letture a tema, e sono convinto che tutti dovrebbero capire quanto sia stata difficile la sfida che ha dovuto affrontare per affermarsi nella cerchia di appassionati di giallo della Golden Age. Pertanto, erano anni che avevo l'intenzione di contattare chi dirigeva la casa editrice per proporre il mio sostegno e "fare qualcosa" di concreto per questo tipo di romanzo.

Fino a quest'anno, tuttavia, non sono mai riuscito a trovare un mezzo adatto per fare ciò. Finché Marco Polillo era in vita, una volta ho provato a farmi avanti; ma probabilmente si trattava già di un periodo in cui lui non stava bene e, quindi, non penso fosse interessato a dare vita a nuove collaborazioni, quando aveva cose decisamente più importanti a cui pensare. Inoltre, il fatto che il destino della casa editrice fosse precario e che essa stessa occupasse un posto molto ristretto nell'ampio campo dell'editoria, credo che abbiano influito sul mio insuccesso. Ma ora, per fortuna, questi ostacoli sono caduti e, come dicevo, eccomi pronto a recensire per voi i due titoli che Rusconi ha dato alle stampe il mese scorso; fin da oggi, comunque, vi posso anticipare che sono previsti altri volumi in procinto di pubblicazione, nonostante le date siano ancora incerte a causa della pandemia e siano in gioco altri fattori tecnici. Dunque, ecco quale strada seguirò per affrontare il mio compito: l'analisi di "Uno Dopo l'Altro" di A.G. Macdonell arriverà la settimana prossima, e quella di "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy (Polillo Editore/Rusconi, 2020) sarà l'oggetto della discussione di questo post. Prima di entrare nei dettagli di tale romanzo, tuttavia, voglio spendere qualche parola sul fatto che questi due siano molto diversi tra loro: sicuramente ve ne accorgerete voi stessi, se avrete la bontà di leggere le mie recensioni a riguardo oppure deciderete di leggerli per conto vostro, ma sappiate che trattano misteri del tutto differenti, con elementi agli opposti i quali vengono declinati seguendo sottogeneri che hanno pochissimi punti di contatto: infatti, se il libro di Macdonell è strutturato in modo da dare risalto alle forze di polizia, ai loro metodi e a un'indagine imperniata sulla routine e del tipo "pragmatico", quello di Kennedy affonda le proprie radici nello scandagliare la psiche umana e sulle conseguenze che la pazzia e la perversione umana suscitano nelle persone. Nonostante in "Uno Dopo l'Altro" l'antagonista sia un pazzo, infatti, gli approcci alla sua figura, alla decifrazione della sua mente contorta e ai metodi attraverso i quali si deve passare per sconfiggerlo sono davvero diversi. In "Il Capanno sulla Spiaggia" non contano tanto i contorni, le digressioni, gli scenari e il processo che condurrà alla cattura del colpevole, quanto ciò che scaturisce dai personaggi e dalla corruzione morale che essi incarnano, nonostante ci sia un tentativo di riscatto da parte loro.

Bathing Machines (Aldeburgh, Suffolk), Eric Ravilious,
1938, il quale raffigura una spiaggia simile a quella di Vinery
La storia si svolge nello scenario di una striscia di terra costiera dell'Inghilterra, tra le cittadine di Bury, Bury-on-Sea e Vinery. In un punto all'interno di questo triangolo, proprio davanti alla spiaggia che dà sul mare, si trova il capanno sulla spiaggia del titolo italiano, che in realtà è un grosso padiglione per le vacanze di proprietà di Hilary Stephens. Costui è un giovane inglese dall'aspetto distinto, il quale si occupa dell'amministrazione del patrimonio che alcuni amici tristemente deceduti hanno lasciato alla loro unica figlia, Mary Dallas, la quale in quel momento di trova in vacanza da quelle parti assieme al marito John, nell'unico albergo signorile di Vinery. Stephens non ha approvato il matrimonio tra Mary e John, per cui i rapporti tra i tre non sono dei più cordiali; eppure, il giovane tutore non manca di soddisfare tutti i desideri della sua protetta, e nonostante ella abbia preferito soggiornare in un hotel invece di approfittare della sua ospitalità, le cose vanno abbastanza bene. O almeno così sembra, dal momento che, proprio all'inizio del racconto, Stephens ci viene presentato come cadavere all'interno del suo padiglione. È l'alba e, quasi contemporaneamente, Mary si sta avvicinando dalla spiaggia all'edificio: indossa solo la parte inferiore di un succinto costume e sta attendendo l'arrivo del suo amante, il gigolò George Needham. Fin da subito, appare chiaro come la ragazza sia una donna con una personalità alquanto lasciva, pronta a gettarsi tra le braccia del primo arrivato per il solo desiderio di far ingelosire il marito, il quale a sua volta dà tutta l'impressione di aver smesso di amarla e pare intenzionato a correre dietro a qualche ragazza ancora più giovane di Mary. Eppure, quando lei si intrufola nel capanno per prepararsi a ricevere George e scopre il corpo raggomitolato sul pavimento, capisce subito di essersi cacciata in un grosso guaio a causa della sua condotta riprovevole e si pente del gesto avventato. Però George, che arriva di lì a poco, non ha alcuna intenzione di farsi scaricare da Mary, e le mette in testa l'idea che, se qualcuno dicesse a John come mai lei si trovava al padiglione, non solo rischierebbe di perdere qualunque posizione di potere sul marito, ma pure di essere incriminata per l'assassinio di Hilary.

Spaventata dal precipitare degli eventi, Mary si fa convincere da Needham a spostare il cadavere in modo che la causa della morte appaia come un incidente: Stephens deve essere scivolato, battendo la testa e uccidendosi per una tragica fatalità. Inoltre, nessuno di loro due deve lasciar trapelare il fatto di sapere che il giovane tutore è arrivato a Vinery; toccherà allo sfortunato che rinverrà il suo corpo dare tutte le spiegazioni. Così, George e Mary si separano (dopo che l'uomo ha strappato alla donna disgustata la promessa di un nuovo incontro amoroso): Needham torna alla sua vita fatta di cocktail party e flirt, mentre la signora Dallas torna da suo marito, col tremendo peso della scoperta di un crimine efferato come l'omicidio a gravarle sulle spalle. Sgusciata nel suo letto, nella stanza in cui dorme sola a causa dei contrasti con John, Mary si strugge al pensiero che una disgrazia del genere sia piombata sulla sua vita già frustrata da odi e insoddisfazione; e come farà a non lasciarsi sfuggire nulla sulla morte di Hilary, neppure con Dallas? Non appena l'uomo le dà il buongiorno, capisce subito che sarà durissima tenere la bocca chiusa e fingere di essere spensierata. Da parte sua, infatti, John nota immediatamente come la moglie sia sottoposta a un forte stress: trema come se un fastidioso vento gelido si stesse abbattendo sulle sue spalle, risponde a scatti e con toni molto bruschi pure per una donna arrabbiata e gelosa, e fa domande strane su Hilary. Poi, il fatto che una lettera del suo tutore sia arrivata in ritardo proprio a John sembra averla sconvolta oltre ogni dire... E il motivo, il lettore, lo capisce ben presto: Mary teme che John sappia già cosa è accaduto a Hilary, dal momento che è lui il suo assassino. Più di una volta, riflette la ragazza, la sua "dolce" metà ha manifestato il desiderio di chiedere a Stephens una grossa quantità di denaro, e adesso che lui è morto l'eredità cadrà nelle mani sue e in quelle della moglie. Possibile che John abbia compiuto un atto degenere come quello? E ora, sarà capace di fermarsi o anche lei diventerà una vittima da sacrificare all'altare del Dio Denaro? In un crescendo di nuove scoperte e di sospetti che si alimentano sempre più, Mary e John (ma pure George e la nuova fiamma di Dallas, Kitty Harvey) inizieranno a sospettare il peggio l'una dell'altro, in un crescendo di incomprensioni e gelosie che includeranno un tentativo di assassinio; e culmineranno sì nella scoperta del colpevole, ma dando al lettore uno scossone che non dimenticherà facilmente.

 Il famigerato dottor William Palmer, accusato di
aver avvelenato ben sei persone e uno degli
assassini più famosi d'Inghilterra
Una cosa che non capirò mai è perché Milward Kennedy sia tanto trascurato, come autore di romanzi gialli classici. Voglio dire, basta leggere questa trama per capire quanto "Il Capanno sulla Spiaggia" abbia tutte le carte in regola per essere un romanzo straordinario. E siccome mi sento di giudicare allo stesso modo pure "Il Caso della Zitella Acida" che ho letto e recensito pochi mesi fa, il mio disappunto si fa ancora più forte; soprattutto perché so che quest'ultimo è stato stroncato senza tanti complimenti. Eppure, come dicevo, per quanto mi riguarda sia l'uno che l'altro sono assolutamente da considerarsi grandi prove di audacia e di sperimentazione letteraria nel campo del romanzo del mistero; e se non si può dire che esse siano storie perfette, perlomeno si deve riconoscere quanto abbiano contribuito a dare uno scossone a un genere che rischiava di fossilizzarsi troppo su se stesso. Per tornare a concentrarci sul giallo recensito oggi, infatti, "Il Capanno sulla Spiaggia" è qualcosa che al giorno d'oggi riesce ancora a lasciare un segno sul lettore e a trasmettere un forte sconvolgimento interiore, nonostante non arrivi a raggiungere il livello di altri capolavori (questi sì, guarda caso!) riconosciuti. In questa storia, ci sono alcune ingenuità e non si può dire che il mistero della morte di Hilary Stephens sia tanto oscuro da risultare in un colpo di scena per il lettore navigato e appassionato di mystery classico: il "problema" più grande, infatti, è che la cerchia dei personaggi sospettati è molto ristretta, comprendendo appena Mary e John Dallas, assieme a George Needham e a Kitty Harvey. Cosa, questa, che non ci permette di fare chissà quali congetture su chi sia l'assassino/a. Inoltre, rispetto a un tradizionale giallo della Golden Age, in questo caso non troviamo affatto quelle digressioni che fecero la fortuna di Dorothy L. Sayers oppure Richard Austin Freeman, e nemmeno il tratteggio approfondito del contesto in cui questi stessi personaggi vengono immersi. Con questo non intendo dire che non esista affatto; solo, in questo aspetto Kennedy si avvicina più alla parca descrizione di Agatha Christie che alla possente logorrea dettagliata di Sayers. Credo siano queste le critiche più grandi e gravi che vengono rivolte a Kennedy, e che abbiamo ritrovato in "Il Caso della Zitella Acida" e pure in "Il Capanno sulla Spiaggia". In aggiunta, poi, se penso al tipo di crime novel più classica che un appassionato possa desiderare, mi verrebbe da imputare a questo romanzo il fatto che difetti di quel fair play al quale in tantissimi sono legati: quando arriviamo a scoprire chi è il colpevole, in qualche modo egli (o ella?) ci cade tra le braccia senza che ci siano grandi elementi da sfruttare per confermare la tesi di chi si è preso la briga di mettere in piedi una sorta di indagine. O meglio, c'è qualcosa che suggerisce senza dubbio come questa persona si sia tradita; però non si tratta del celebre mozzicone di sigaretta caro a Sherlock Holmes, oppure una prova materiale che si possa analizzare e presentare a una giuria, come quelle che sfrutta il dottor Thorndyke.

Questo elemento ha un carattere quasi psicologico; ed è proprio su questo aspetto che gioca "Il Capanno sulla Spiaggia": sulle suggestioni, sulle emozioni e sulle ipotesi che vengono alla luce nei personaggi e come conseguenze delle loro azioni. Per il lettore spassionato, che cerca un titolo capace di dargli un semplice svago e di liberargli la mente, questa può essere una nota di demerito, dal momento che si concentra sulla psicologia dell'individuo e mette in moto una serie di ragionamenti complessi e decisamente poco "riposanti". Però, come non mi stancherò mai di dire, la classica crime story anglosassone non è soltanto delitti all'ora del tè e corpi rinvenuti nelle biblioteche e negli studi delle case di campagna. Una delle cose più belle del "giallo" è proprio questa sua capacità di saper andare oltre, all'occorrenza, e non limitarsi a raccontare una storia per il nostro divertimento, ma affondare una lama di luce negli oscuri meandri che la nostra mente può generare e raccontare qualcosa che non è così immediato. "Il Capanno sulla Spiaggia" di Kennedy compie proprio un'operazione del genere, rinunciando ad appoggiarsi a un tipo di mistero più convenzionale per gettarci in faccia con una durezza, un'asprezza, una crudezza e una sconcertante verità, situazioni al limite dell'agghiacciante o comunque poco confortevoli (l'inizio è tutto fuorché tradizionale, con una donna mezza svestita e un assassino che ansima dietro una tenda mentre la osserva); proprio come avrebbe poi fatto il giallo psicologico a partire dagli anni '50 del secolo scorso (7-12, 14-15, 21-23, 25-28, 37, 43, 58-60, 79-80, 95-98, 135-136, 150-151). Il via lo aveva dato Anthony Berkeley con "L'Omicidio è un Affare Serio", a firma Francis Iles, e su quella scia aveva continuato con "Il Sospetto" (il quale viene chiaramente richiamato proprio da Kennedy in questo romanzo) e "As For the Woman"; poi la cosa era passata di grado in grado attraverso altri autori come Richard Hull e gli Ironici, fino a toccare la narrativa di Julian Symons e giungere a quel capolavoro della letteratura americana che è "Il Talento di Mr. Ripley" di Patricia Highsmith. Allo stesso modo, Kennedy si inserì in questo filone e, da stretto collega e amico di Berkeley, ne assimilò la lezione forse meglio di chiunque altro suo contemporaneo. Dopotutto, come dicevo sopra, "Il Capanno sulla Spiaggia" non è altro che un'intrigante variazione della trama di "Il Sospetto", nonostante qui Mary Dallas non sia una donna inerme come Lina Aysgarth, ma piuttosto una persona pronta a combattere fino alla fine per non soccombere. Kennedy riuscì così a descrivere la banalità superficiale di tutti noi, attraverso scene che hanno l'apparenza delle quotidianità più noiosa ma celano segrete menzogne e foschi desideri di passione e di odio; il sospetto si insinua nei discorsi dei suoi personaggi e mette in mostra come chiunque di essi abbia una coscienza sporca; l'ipocrisia regna sovrana, insieme a una fitta rete di menzogne che finisce per avvincere il bugiardo in una trappola che egli stesso ha creato e auto-convincerlo. Come non scorgere il mite e spietato dottor Bickleigh, nei personaggi di "Il Capanno sulla Spiaggia"? Ecco, a differenza di Berkeley, Kennedy lascia uno spiraglio all'amore e alla sua forza nel riuscire, con l'affetto, a guarire una persona dalla malvagità in cui essa è calata; ma non sempre le cose vanno per il verso giusto e bisogna mettere in conto che non esiste un automatico lieto fine per tutti. È per tutti questi motivi che mi domando come mai Milward Kennedy non riesca ancora ad essere ampiamente  considerato come uno dei Grandi. A mio parere, ha fatto un grosso lavoro nel far compiere un passo avanti al genere giallo, sperimentando con i mezzi che aveva a disposizione, e nonostante alcune ingenuità è riuscito in una vera e propria impresa. Chiunque ora sia appassionato di thriller, dovrebbe ringraziarlo per essere uscito dalla strada battuta in favore di una lunga serie di tentativi per cambiare lo stato delle cose.

Milward Rodon Kennedy Burge,
nato nel 1894 e morto nel 1968

Con un risvolto amaramente ironico, tuttavia, questa fortissima voglia di far in qualche modo evolvere la classica crime story in un genere più moderno e strabiliante causò non pochi guai a Milward Rodon Kennedy Burge, il quale si trovò a dover far fronte agli strani giochi del Destino che lo condannò ad assaggiare la stessa amara medicina che lui stesso somministrò coi suoi romanzi sarcastici: ovvero, il mettere ferocemente in discussione il prossimo. Nato nel 1894, egli studiò al Winchester College e al New College di Oxford, prima di servire nel Military Intelligence Directorate of the War Office e ottenere una Croce di Guerra. In seguito, lavorò al Cairo per il Ministero delle Finanze e a Ginevra per l'International Labour Office; organizzazione per la quale diresse per qualche tempo la sede londinese fino al 1945, con una sola pausa per recarsi ad Ottawa al Servizio Informazioni Militari. Nel frattempo, a partire dal 1928, su esempio di altri illustri colleghi come John Rhode, Christopher Bush e Henry Wade, aveva iniziato a perseguire la carriera di giallista e ad interessarsi alle pratiche giuridiche (cosa che gli tornò utile quando, nel secondo dopoguerra, curò il repertorio giuridico dell'"Empire Digest"), pubblicando un romanzo che fondeva avventura e mistero scritto assieme a Neil Gordon, pseudonimo dello scrittore scozzese A.G. MacDonell, anch'esso appassionato di letteratura crime. "Il Mistero del Diario", tuttavia, recò in definitiva solo il suo nome sulla copertina. Ad esso, fecero seguito altri diciannove romanzi di genere, alcuni scritti sotto pseudonimo (Evelyn Elder, E. Grubb, Gasko), tra i quali vanno ricordati "The Murderer of Sleep", "Murder in Black and White" (il quale figura sotto la produzione di Elder e ha una struttura quadripartita, con tanto di sfida al lettore e una serie di immagini sul genere di "The Norwich Victims" di Francis Beeding), "Bull's Eye" e "Corpse in Cold Storage", questi ultimi due incentrati sulla figura di Sir George Bull, un investigatore privato di origini aristocratiche. I più importanti in assoluto, tuttavia, furono quei tre che ebbero in qualche modo a che fare con la disavventura che mise fine alla sua carriera di giallista: "Il Caso della Zitella Acida", "Il Capanno sulla Spiaggia" e "Death to the Rescue", dedicato ad Anthony Berkeley.

A causa di quest'ultimo romanzo, infatti, nel 1937 Kennedy venne citato in giudizio e processato per diffamazione. Come saprete se avete letto la recensione di "Il Caso della Zitella Acida", l'autore era fin troppo puntiglioso nel riportare nella finzione casi reali; ebbene, in questa occasione Philip Yale Drew, processato per omicidio, assolto e rovinato per il resto della propria vita dall'accusa che continuava a pendere sulla sua testa, lamentò con tanta forza il fatto che l'assassino di "Death to the Rescue" gli assomigliasse fin troppo, al punto da recare un danno alla propria immagine, che l'audacia dell'autore risultò andare troppo oltre. A nulla valsero le scuse di Kennedy e l'editore Gollancz: lo scrittore perse la causa, e ciò risultò in un duro colpo alla propria vena creativa, la quale si estinse ben presto (non dopo una certa rivalsa grazie a "Il Capanno sulla Spiaggia") e lo costrinse a un graduale abbandono delle scene, fino alla morte avvenuta nel 1968. Per quell'anno, tuttavia, lui era riuscito a lasciare un'eredità importante nel campo della letteratura del mistero: sia per conto proprio, come recensore per il "Sunday Times", sia quale membro del Detection Club. Kennedy, infatti, fu il più giovane membro maschile a partecipare alla fondazione dell'associazione; fu giudice nelle iscrizioni che i lettori inviarono per gareggiare nella scoperta della soluzione di "Il Paravento"; contribuì alla creazione di "L'Ammiraglio alla Deriva" e "Chi è il Colpevole?", i romanzi collettivi scritti coi colleghi del Club; scrisse un testo per "Great Unsolved Crimes", una raccolta di saggi che riesaminavano casi reali assieme ai suoi compagni; fu una delle tredici persone che parteciparono al "Trent Dinner", l'occasione che festeggiò il ritorno sulle scene del protagonista dell'innovativo "La Vedova del Miliardario" di E.C. Bentley. Oltre tutto, Kennedy è riuscito ad affrontare la sfida di autore di romanzi del mistero in modo da innovare il genere; non ai livelli di illustri colleghi come Sayers, Christie e Berkeley, ma sviluppando nuove idee che lasciano tutt'oggi sorpresi. L'immagine che ci resta di lui, un tipo dall'aspetto serio e occhialuto, può trarre in inganno: in realtà fu determinato, audace e dedicò molte energie sulla riflessione dello sviluppo migliore del genere giallo.

Anchor and Boats (Rye Harbour, East Sussex), Eric Ravilious,
1938, che raffigura una spiaggia come quella di Vinery
Nelle dediche ai suoi romanzi più famosi, "Death to the Rescue" e "Il Caso della Zitella Acida", fece riferimento alle conversazioni che ebbe con Berkeley e Sayers, sfidandoli a trovare una via per portare il mystery su un nuovo piano, e non risparmiò critiche ai detrattori. Lui stesso si impegnò nell'introdurre elementi di rottura col passato nei propri libri, come testimonia il romanzo che ho recensito oggi: in esso, gli elementi più classici della fiction del giallo non vengono esaltati (penso all'ambientazione oppure al mistero inteso in modo tradizionale) per dare più importanza a una storia dove a dominare è la psicologia e gli aspetti derivati dal caso. Sono i moventi, la rispettabilità e un forte senso di doppiezza e segretezza, ad orchestrare le vicende dell'inchiesta sulla morte di Hilary Stephens. L'atmosfera generale della storia è spesso caratterizzata da un tono di sgradevolezza, da un'aura pesante come una cappa che viene acuita dal sospetto e dall'incomprensione che si manifesta tra i personaggi, i quali sono raffigurati come vittime e carnefici in un sistema malato. Nonostante in questo caso la trama non si ispiri a un caso di true crime (a meno di considerare quello che vide accusato a condannato il dottor Palmer, il quale fece da spunto per "Il Sospetto" di Francis Iles"), anche in "Il Capanno sulla Spiaggia", man mano che la storia si snoda davanti ai nostri occhi, ci rendiamo conto di come sul fondo si stagli sempre più un'ombra di malsana ambiguità. Penso che la batosta subìta per colpa di Drew avesse scottato Kennedy e per questo non si sia spinto troppo in là nel raccontare una vicenda reale (mise una clausola contro la diffamazione proprio in apertura di "Il Capanno sulla Spiaggia"); ma questo non significa affatto che questo suo ultimo grande romanzo giallo sia scadente. In esso è riuscito a dare una variazione straordinaria al caso di Palmer, come solo gli autori della Golden Age tanto appassionati di storia del crimine avrebbero potuto fare. In secondo luogo, inoltre, l'autore ha sfruttato quella vicenda vera per compiere un'azione molto simile a quella di Berkeley: ha messo in scena, infatti, una feroce critica alla giustizia e al senso della verità che si manifesta attraverso il sentimento (dis)umano degli individui. A discapito degli indizi materiali, ciò che interessò Berkeley e Kennedy furono la psicologia e ciò che si cela dietro la maschera della rispettabilità: quel groviglio di passioni ed emozioni che riesce a dare vita non solo al mistero sulla carta, ma ad evocare in tre dimensioni la figura dell'assassino. Gli effetti della colpa, come essa agisce nella coscienza, cosa spinge un essere umano a diventare un mostro hanno affascinato schiere di giallisti del Novecento, spingendoli ad escogitare nuove forme per esprimere la follia del colpevole, attingendo a volte, come si è visto, da omicidi reali ed interpretandoli a modo loro. Kennedy, su esempio di Berkeley, concentrò la propria attenzione sull'individuo come tassello del puzzle, e attraverso esso capì come fosse possibile mandare un messaggio forte e chiaro, per accusare con tono sarcastico e cinico alcuni comportamenti erronei e controversi della natura umana e della società che ne è espressione. E per farlo, decise di rappresentare al meglio come l'insieme degli uomini e delle donne sia composto, in una concezione estremamente misantropa, da individui maligni e fondamentalmente cattivi.

Secondo quanto emerge dalle vicende ambientate a Vinery, non solo l'uccisione di Stephens denota un forte disagio nella mente dell'assassino, ma anche nella trattazione dell'indagine e nei suoi sviluppi emerge quanto sia sbagliato l'approccio ad esso. La polizia, ad esempio, gioca un ruolo del tutto marginale nella scoperta dell'assassino; anzi, ciò che ho ricavato dalle mie conclusioni finali, essa ha archiviato il caso come irrisolto senza aver fatto nulla di concreto! Inoltre, la vittima non viene lasciata riposare in pace, poiché la malevolenza del popolino ha sollevato pettegolezzi che contribuiscono ad esasperare le parti coinvolte e a far precipitare gli eventi fino allo sconvolgente finale. Non c'è riguardo per chi sarà sospettato di aver compiuto crimini orrendi; la gente se ne infischia di quale questione spinosa potrebbe sollevare il proprio comportamento (pp. 47-48, 58-60, 126, 128-129, 162-164, 166-167). Questo rimestare nel torbido con morbosità è un carattere che si è trasmesso fino ai giorni nostri, e sembra proprio che agli inizi del Novecento ciò fosse già una pratica diffusa. Ciò fa riflettere sul potere intrinseco dell'opinione pubblica, la quale può diventare uno strumento pericoloso nelle mani di individui senza scrupoli (come in "La Morte Cammina per Eastrepps") o di gente incapace di controllarla; e penso che questo sia un valore aggiunto alla qualità di "Il Capanno sulla Spiaggia" e sulla narrativa di Kennedy, da molti sottovalutata. Ma gli stessi sospettati sono rovina per il loro destino, dal momento che inconsapevolmente alimentano queste voci e danno l'impressione, a chi li circonda, di avere la coscienza sporca. Penso a Mary Dallas, la quale si divide nell'incarnazione di una figura tragica, sommersa dagli eventi e incapace di far loro fronte, destinata a un passivo subìre i pericoli in cui incappa, e di una sorta di odiosa e terribile vendicatrice, la quale non ha pietà di nessuno ed escogita sotterfugi per salvaguardare se stessa (pp. 9-11, 13, 16-18, 21-22, 25-26, 31-43, 45-46...); oppure suo marito John (pp. 38-43, 45-52-58,60...), il quale in un primo momento dà l'impressione di essere un incallito dongiovanni, attento soltanto alla soddisfazione dei piaceri, vanesio e avido come non mai, mentre il seguito si dimostra attaccato alla moglie, innamorato e più che mai deciso ad aiutarla ad uscire dalla difficile situazione in cui ella si trova (ma è proprio così? Oppure vuole sfruttare la propria posizione di salvatore per avere qualcosa in mano con cui controllare Mary?). George Needham, al contrario, è un personaggio malvagio a tutto tondo, dedito ad intrattenimenti luridi e a relazioni mordi-e-fuggi, spietato con Mary e per nulla impietosito (pp. 13-16, 18-19, 21-28, 69-76, 134); mentre Kitty Harvey è la tipica ragazza svanita e abbronzata che il cliché vuole essere l'amante giovane, stupida e carina che scombussola il focolare familiare e, soprattutto, non si cura di provocare danni. Ogni personaggio insomma, indica in qualche modo come la società non sia esente da cattiveria e malignità pure negli individui vittime di soprusi, suscitando la questione se sia lecito che i miserabili si prendano una rivincita su chi li vessa; oppure se l'essere umano sia in grado di giudicare con imparzialità e rigore. Trovo sempre affascinante questo discorso, e Kennedy lo ha trattato in lungo e in largo: forse è per questo che a me personalmente piacciono i suoi libri.

Ma l'autore non si ferma qui, e rincara la dose aggiungendo altra carne al fuoco che alimenta la mia già buonissima impressione su di lui. Tratta il tema del sospetto e della coscienza sporca, come dicevo sopra, in modo da rendere chiaro come sia facile per tutti noi cadere in errori grossolani, quando giudichiamo qualcuno nel bene e nel male. Mette in mostra fin dove si possa spingere l'incomprensione tra esseri umani (pp. 119, 123-126, 129-131, 187-191, cap 19, 20 23), narrando l'evolvere del rapporto tra Mary e John Dallas, oppure descrivendo il rinsavimento della ragazza nei confronti dello sgradevole Needham: nell'arco di una sera è impossibile arrivare a conoscere a fondo l'anima e il carattere di qualcuno, per cui è bene stare attenti a non compiere azioni affrettate per le quali finiremmo tragicamente per pentirci. Legato a questo tema, ho notato come Kennedy (a differenza di Berkeley) abbia dato una concezione perlopiù positiva dell'amore (pp. 118-119, 124-126, 130, 183-184, 191), descrivendolo come l'unica cosa in grado di sconfiggere qualunque tipo di conflitto (o quasi) tra innamorati: forse era per il fatto che non si sentiva come il suo collega, il quale aveva una concezione del rapporto a due molto traviata, ma nei discorsi tra Mary e John emerge questa forza che sembra sempre sul punto di farli riavvicinare e viene delusa dalla loro ostinazione nel non scendere a compromessi. La vigliaccheria tocca chiunque in "Il Capanno sulla Spiaggia", in un modo o nell'altro, e incarna forse la maledizione che determina la disfatta di ognuno. Infine, il tema della giustizia e la sua fallibilità fanno capolino tra le righe (pp. 241-243, 246-247, 249-258). Nella classica crime story, questo problema è stato sollevato in moltissimi modi differenti: riguardo quella che l'investigatore può elargire a propria discrezione; quella che i giurati possono esprimere, nel bene e nel male, nel loro ruolo delicato durante un processo che porterà alla forca; sulla fallibilità degli avvocati nell'esercizio delle proprie mansioni. Tra gli altri, a partire dagli anni della Seconda Guerra Mondiale, è stato discusso se esista il cosiddetto "delitto altruistico"; ovvero, la soppressione di individui che danneggiano la società e senza i quali, in sintesi, si starebbe molto meglio. In fondo, chi non vorrebbe aver visto Mussolini appeso, prima che potesse fare danni? Tuttavia, restava sempre il dilemma su quale fosse l'organo adatto a prendere decisioni serie sul diritto di vita e di morte. Alcuni giallisti ebbero una cieca fiducia nel fatto che i tribunali potessero assolvere al compito designato; altri, come Kennedy e Berkeley, capirono che a volte le cose non stavano proprio così. L'autore di "Death to the Rescue" scoprì a proprie spese come i fatti potessero essere fraintesi; cosa che forse esacerbò definitivamente la poca fiducia che aveva nella legge, già messa a dura prova dalla sua esperienza in uffici governativi e corridoi del potere inermi contro la minaccia del fascismo (come illustra il giallo "Sic Transit Gloria"). Il risultato di tutto ciò portò Kennedy ad avvicinarsi all'ottica sarcastica di Berkeley, il quale sfruttò il cinismo per mettere in ridicolo l'incapacità della giustizia nell'assolvere al proprio ruolo e i paradossi al suo interno che possono condannare gli innocenti a pagare prezzi altissimi. Ed è proprio ciò che accade in "Il Capanno sulla Spiaggia", dove le persone di ergono a giudici, giurie ed esecutori materiali (per ricalcare il titolo originale del romanzo). Questa è una visione terribile della realtà, ma a volte essa si adatta perfettamente al contesto: forse stiamo superando il limite e dovremmo farci qualche domanda.

Insomma, attraverso l'enigma del romanzo Kennedy volle dimostrare come la giustizia, esercitata o meno con fini positivi, da un singolo individuo oppure da un tribunale intero, sia guidata da una forza fatale governata dal Destino. In una sorta di omaggio all'opera di Iles/Berkeley, egli diede vita a un mistero dai risvolti inaspettati, sebbene come dicevo questo sia un romanzo con i suoi difetti indiscutibili, per far riflettere il lettore se esista una sorta di benevola coscienza, oppure tutti noi siamo governati dal Destino. Questioni intriganti, con parziali risposte altrettanto affascinanti per i miei gusti, nonché mescolate a un tono da tragedia incombente che toglie il respiro: ecco di cosa è composto "Il Capanno sulla Spiaggia". Questo è stato un romanzo duro come un pugno nello stomaco, in cui non si trova proprio niente di quel carattere cosy a cui spesso è affiancato per pregiudizio il giallo classico. Dall'inizio alla fine, ogni cosa lascia intendere come la faccenda finirà male e il pessimismo non lascerà scampo, mentre osserviamo i disperati tentativi dei personaggi di mutare un Fato che per loro è già stato scritto e che giocherà con loro fino all'ultima riga. Non si possono tralasciare i fatti che indicano come Kennedy non sia Berkeley; però a mio parere sarebbe giusto riconoscere il coraggio dell'autore nel perseguire le sue idee originali e avanti nel tempo, imparando a non giudicare soltanto in base alla riuscita di un enigma o meno. Mi sarebbe piaciuto che avesse continuato a scrivere in questo modo, dopo "Il Capanno sulla Spiaggia", ma esagerò e pagò le conseguenze della sua audacia. Dopotutto, il Destino forse lo stava aspettando da tempo, e non gli avrebbe permesso di continuare su questa strada ancora per molto.


P.S. Grazie a Martin Edwards, col quale ho intrattenuto una breve discussione su questo romanzo e la possibilità che esso fosse stato ispirato da un caso di true crime. Per me è sempre un piacere ricevere consigli da parte sua.


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