Translate

Visualizzazione post con etichetta Uno Dopo l'Altro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Uno Dopo l'Altro. Mostra tutti i post

venerdì 1 gennaio 2021

57 - "Omicidio a Capodanno" ("Dancing Death", 1931) di Christopher Bush

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Se oggi, primo giorno del 2021, guardo indietro all'anno appena finito, posso dire di essere tutto sommato soddisfatto di ciò che mi è stato riservato. Il ché non è certo qualcosa di scontato, visto quante cose poco piacevoli sono successe a tutti noi! Infatti, una pandemia mondiale sottintende come la situazione sia stata prevalentemente frustrante e dolorosa, con tutte le sofferenze che abbiamo patito e le negazioni a cui ci siano dovuti sottoporre e attenere. In tanti abbiamo dovuto convivere con l'idea che alcune persone che ci stavano a cuore non ci sono più, che ci saremmo meritati di trascorrere le giornate a organizzare cose che poi non siamo riusciti a fare, e che in sintesi abbiamo buttato un anno intero della nostra vita. Io stesso, ho vissuto parte del 2020 con l'angoscia nel cuore e con una grossa tristezza. Però mi ritengo fortunato ad essere ancora qua e ad aver raggiunto alcuni obiettivi che mi prefiggevo da tempo. Ho fatto nuove amicizie attraverso il web, cosa che non avrei ritenuto possibile fino ai primi mesi dell'anno: infatti, la mia timidezza cronica e il mio costante senso di essere di troppo mi hanno sempre limitato molto in questo senso. Eppure, ci sono riuscito. Inoltre, cosa non da meno, sono riuscito a dare una certa impronta a Three-a-Penny, scrivendo con costanza e facendo del mio meglio per presentare recensioni e quant'altro abbia a che fare con la classica crime story. Insomma, come dicevo, sono soddisfatto di come sono andate le cose. Adesso, ovviamente, la sfida è riuscire a tenere il ritmo e a continuare su questa strada, per fare in modo di migliorare dove ce n'è bisogno ed essere costante nella pubblicazione di post settimanali. Inoltre, ci sarà una novità a partire proprio da questo inizio dell'anno: l'apertura di un profilo Twitter dedicato interamente al blog, dove posterò le recensioni pubblicate senza per forza usare quello mio personale, e nel quale lascerò qualche messaggio ogni tanto per celebrare ricorrenze e per alcuni avvisi. Se entro la fine del 2021 l'esperimento darà buoni frutti in quanto a visualizzazioni e a popolarità, potrei prendere in considerazione l'idea di sbarcare su altre piattaforme; ma adesso è presto per fare congetture. In ogni caso, questa riflessione esula dall'oggetto della recensione di oggi, 1 gennaio 2021.

Una data particolare, non è vero? Come la settimana scorsa la recensione di "La Mattina del 25 Dicembre" è caduta proprio nel giorno di Natale, quella di oggi viene pubblicata il primo giorno dell'anno. Così, mi sono chiesto se non fosse il caso di scegliere un titolo in particolare per celebrare questa ricorrenza. Sarebbe andato bene qualunque cosa che avesse a che fare con l'inverno, per restare in tema con la stagione in cui siamo entrati da qualche giorno. Meglio ancora, se avesse avuto qualche riferimento a qualche tipo di celebrazione festiva, sarebbe stato perfetto. D'altro canto, non volevo essere troppo prevedibile con qualche titolo semplicemente e puramente natalizio, peggio ancora se inflazionato. Niente Christie, né Sayers, né Berkeley. Volevo puntare a un autore che magari non fosse poi così famoso, al di fuori della cerchia degli appassionati del tradizionale romanzo giallo; ma allo stesso tempo andare sul sicuro e scegliere un libro che mi facesse partire col piede giusto il nuovo anno. Inoltre, doveva essere un titolo che voi tutti poteste procurarvi con una certa facilità; non un Classico del Giallo Mondadori pubblicato negli anni 80' e misconosciuto. Così, ancora una volta, ho puntato ai Bassotti Polillo e, scorrendo la lista dei titoli pubblicati, mi sono imbattuto in "Omicidio a Capodanno" di Christopher Bush (Polillo Editore, 2009). Qui devo fare una piccola premessa. Sia questo mystery, sia "Una Buona Tazza di Tè", li avevo già letti ormai diversi anni fa, quando proprio il secondo era stato inserito nella lista dei Gialli Anglosassoni dal Corriere della Sera. E avevo un vago ricordo che entrambi fossero stati delle letture piacevoli, nonostante ricordassi molto poco al loro riguardo. Questo poteva significare soltanto due cose: o mi ero dedicato alla lettura con una certa leggerezza, senza concentrarmi a cogliere le sfumature della trama, oppure si trattava di storie caratterizzate da elementi poco incisivi e quasi noiose. Inoltre, ricordavo che Bush è stato criticato molte volte proprio per il suo essere tecnico e conformista. Quindi, correvo un bel rischio nel caso avessi voluto leggerlo. Che fare? Alla fine, ha prevalso la mia convinzione che qualunque libro deve avere un lato buono e ho deciso di buttarmi, tra scenari innevati, furti efferati, personaggi con caratteri forti e decisi, delitti al buio e strani indizi incomprensibili, nella storia di "Omicidio a Capodanno". Poche volte mi sono imbattuto in un enigma così articolato e denso, dove i fatti si accumulano l'uno sull'altro fino a dare vita a un caso in cui ogni più piccolo dettaglio influisce sul risultato finale e sulla scoperta della Verità.

Arbirlot Mill, near Arbroath, James McIntosh Patrick, 1959,
raffigurante un gruppo di case simile a Little Levington Hall
e le sue appendici
La trama stessa del romanzo è complessa e impossibile da tratteggiare, senza rivelare troppe cose dell'indagine. Però farò uno sforzo per presentarvela al meglio, iniziando dalla particolare introduzione alla storia. In essa, infatti, il protagonista Ludovic Travers, un giovanotto che divide il proprio tempo tra la direzione di una società pubblicitaria e il fare il segugio dilettante in aiuto di Scotland Yard, viene sollecitato da un amico a narrare il caso Levington, dando al lettore alcune informazioni essenziali per la risoluzione dello stesso. Travers, di conseguenza, descrive in quattro punti alcuni brani all'apparenza slegati tra loro: le lamentele di un ispettore in pensione riguardo le inesattezze nei romanzi polizieschi, l'origliare una conversazione intima da parte di un investigatore privato, uno scambio di battute tra il romanziere Denis Fewne e il suo ospite, l'illustre scienziato Martin Braishe, e un brevissimo estratto della Bibbia sull'episodio di Uria l'ittita. Da questo punto in poi, seguiamo il caso Levington dall'inizio, quando un nutrito gruppo di persone si sta dirigendo verso la sontuosa magione di Braishe, per festeggiare il Capodanno in compagnia ed allegria. Il padrone di casa, con il supporto della cognata Brenda Fewne, ha inoltre organizzato un ballo in maschera al quale parteciperanno una quarantina di persone. Ascoltiamo i discorsi di parte di questa gente come se stessimo origliando dal buco della serratura, tra innocui battibecchi e curiosi scambi di opinioni, e già immaginiamo come la situazione a Little Levington Hall sarà movimentata. Tuttavia, accade un imprevisto: proprio nell'ultima sera dell'anno si scatena una bufera di neve, la quale costringe la maggior parte degli ospiti della festa a rincasare in tutta fretta per non rischiare di finire bloccati con le loro auto. In sintesi, restano alla festa i coniugi Paradine, medico con moglie combattiva la fianco; i giovani Fewne, il romanziere Denis con la moglie Brenda; lo scapolo Tommy Wildernesse, che fa la corte all'attrice teatrale e sorella di Brenda, Mirabel Quest; il disinibito Wyndham Challis, drammaturgo; lo stesso Braishe e, a concludere, Ludovic Travers assieme a un misterioso amico di nome Franklin.

Questi ultimi si ritrovano ospiti non a causa di conoscenze dirette con altri invitati, ma piuttosto per una questione di affari che riguarda un nuovo gas prodotto dalla fabbrica di Braishe e che, nonostante le sue qualità potenzialmente letali se spruzzato nell'aria senza alcuna diluizione, potrebbe fare la differenza nella cura di alcune malattie africane; per questo, il Ministero dell'Agricoltura ha inviato George Paradine e Travers a sondare il terreno, affiancati da un funzionario investigativo come Franklin. Alla fine della festa, tuttavia, iniziano i guai. Prima la neve cade copiosa e, come temuto, isola la casa di Braishe dal mondo esterno; poi la luce va via improvvisamente, proprio mentre tutti quanti stanno per coricarsi. All'apparenza sembra che non ci sia alcun danno, soltanto un bontempone che ha deciso di tagliare i fili del contatore per fare uno scherzo. Al mattino seguente, tuttavia, il risveglio è ben più amaro di quanto chiunque si aspettasse: innanzitutto, quasi tutti gli abitanti di Little Levington Hall hanno subìto un furto; ma nella camera di Mirabel Quest giace addirittura il suo stesso cadavere! L'arrivo di un ospite inatteso, tale Crashaw, il quale è stato sorpreso dalla neve e ha raggiunto la casa per trovare riparo, contribuisce a ingarbugliare una situazione già di per sé complicata; senza contare che il telefono è stato letteralmente divelto dal suo alloggio e un sifone del mortale gas di Braishe è stato trafugato dalla cassaforte. Lontani dal resto della civiltà, gli ospiti decidono di fare gruppo e di tentare di imbastire un'inchiesta, atta a risolvere i crimini perpetrati nella notte; pertanto, Franklin si avventura nella tempesta per avvertire Scotland Yard, mentre Travers inizia a sondare il terreno alla ricerca di indizi che possano risolvere la spiacevole faccenda. Non sa ancora che, nella pagoda poco distante dalla casa, giace un altro cadavere: quello di Denis Fewne, il quale nei giorni passati si era comportato in modo strano, compiendo viaggi in città con destinazioni ignote oppure eccentriche... Mentre attende l'arrivo della polizia, Travers si butta a capofitto nel complesso caso di pluriomicidio con furto, interrogando gli altri ospiti e analizzando tutti gli indizi che l'assassino (o gli assassini?) si è lasciato alle spalle: quello che intende scoprire, infatti, è se il responsabile sia qualcuno dei suoi compagni di prigionia. Sarà così? Lo scoprirà soltanto dopo numerose elucubrazioni e più di un dubbio.

Piantina del primo piano di Little Levington Hall
I fatti qui riassunti probabilmente non riescono a ritrarre appieno il potenziale che si nasconde in "Omicidio a Capodanno", ma fatemi dire subito che Christopher Bush, assieme a Clifford Witting e ad A.G. Macdonell, è stato la mia scoperta di questo sciagurato 2020. O meglio, riscoperta visto che avevo già letto questo romanzo e "Una Buona Tazza di Tè". Perché, nonostante questi titoli siano indubbiamente caratterizzati a un certo pragmatismo a discapito della tanto celebrata psicologia (molto spesso a ragione), non sono stati affatto male. E penso che, dei tre sopra citati, il mystery di Bush sia stato il migliore sotto diversi aspetti. Non capisco le aspre e innumerevoli critiche che sono state rivolte alla sua opera nel corso degli anni. O meglio, fino a un certo punto è comprensibile che qualcuno sia rimasto deluso dal suo modo di scrivere: ci sono alcuni punti della trama e della struttura narrativa che potrebbero essere migliorati, per raggiungere uno stato di capolavoro come alcuni romanzi gialli di autori più celebrati e conosciuti, questo non lo metto in dubbio. Ad esempio, prendendo proprio "Omicidio a Capodanno", avrei da ridire riguardo il modo in cui il finale è stato delineato. Badate bene, il modo in cui l'autore ce lo ha presentato, e non il finale stesso; questo, infatti, è stato sufficientemente sorprendente per essere contenuto in un libro del mistero degli anni '30. Inoltre, c'è qualcosa che non funziona del tutto nel modo in cui Bush ha deciso di impostare l'indagine, puntando moltissimo sul lato materialistico del caso e dando meno risalto alla psicologia. Forse è questa la cosa che ha più irritato i lettori: le riflessioni sui caratteri e sui contrasti scatenati dalle emozioni non sono cambiate nel corso dei decenni e sono rimaste immutate, mentre l'indagine pragmatica, per alcuni, ormai appare fin troppo antica per poter essere presa sul serio. Detto questo, tuttavia, non ho percepito chissà quali disastri. Ritengo si tratti, in fondo, di una questione di gusti che si adattano a un certo tipo di lettori, piuttosto che a un altro. Questa sorte, infatti, è toccata ad altri colleghi dell'autore, i cosiddetti scrittori humdrum del quale già in passato vi avevo parlato. Essi hanno avuto un approccio alla letteratura del mistero che non si è focalizzato sull'analisi della psicologia e della sfera immateriale degli indizi, come ad esempio hanno fatto Christie, Sayers e Berkeley; ma su un metodo d'indagine che dà il suo meglio quando viene messo alla prova attraverso analisi chimiche, rilevamenti sulla scena del delitto e raccolta di prove materiali che possano convincere una giuria della colpevolezza dell'accusato. Christopher Bush, alla pari di John Rhode, Freeman Wills Crofts e Henry Wade, non si è impegnato a tessere trame in cui vengono sondate le passioni ed esternate quelle famose correnti sotterranee che tanto animano di solito un libro del mistero; ma al contrario è come tornato alla scuola di Sherlock Holmes e l'ha interpretata in una chiave che si adattasse al tempo in cui scrisse. E per questo, a mio parere, è stato (ed è tuttora) molto meno considerato di coloro i quali hanno dedicato le proprie energie a dare vita a gialli psicologici.

Piantina del giardino di Little Levington Hall
Diciamo che, rispetto a questi ultimi, i mysteries degli humdrum hanno uno sviluppo meno allettante per un tipico lettore dei nostri giorni, abituato al thriller contemporaneo dove ogni cosa viene ormai spiegata attraverso complicati discorsi sulla mente del criminale e sugli impulsi selvaggi che la governano. Appare quanto meno barbosa l'idea di dover impiegare energie mentali per risolvere enigmi simili a cruciverba. Si è persa la voglia di seguire i ragionamenti "razionali" degli investigatori e della polizia, cioè basati su un percorso che possa essere seguito da chiunque lo desideri, già in libri celebri come quelli di Christie; figurarsi in titoli di autori meno conosciuti! Quindi, come dicevo sopra, comprendo il presupposto da cui parte chi critica questi autori. Però ciò non vuol dire che la loro opera sia da buttare perché scarsa e noiosa. Anzi, spesso a mio parere si può rivelare come la cosa più capace di intrattenere del mondo. Quando uno voleva distrarsi da qualche pensiero desolante, leggere uno di questi gialli era la cosa giusta da fare, dal momento che ti "costringeva" ad applicare le cellule grigie per battere sul tempo l'investigatore di turno e scacciava il focus dalle cose tristi. Inoltre, non è affatto semplice dare vita a questo tipo di mystery, poiché non si può fare affidamento su teorie campate su studi psicologici che, a seconda del bisogno, si possono adattare: qua contano nientemeno che i Fatti nudi e crudi, senza via di scampo. Per cui, io personalmente tendo sempre a trattare con un certo riguardo questo genere di libri. E lo stesso dovette decidere di fare Dorothy L. Sayers, la quale affermò proprio riguardo l'opera di Bush: "[essa è] sempre fatta a regola d'arte e piacevole da leggere". Cosa che può essere pure una critica, dal momento che implica una costruzione fin troppo rigida, ma tutto sommato più un complimento. Anche PuzzleDoctor, nel suo blog, ha considerato Bush come "uno scrittore che sta a metà strada tra John Dickson Carr e Freeman Wills Crofts", consigliando la lettura dei suoi libri e questo "Omicidio a Capodanno". Condivido questo giudizio, dal momento che il libro: presenta una suddivisione specifica in Introduzione, Problema e Soluzione; ha un impianto dove si intersecano numerosi fili rossi e false piste; presenta una serie lunghissima di indizi materiali e prove da rilevare; mette in scena più di un delitto impossibile, spaziando dal classico omicidio nella camera isolata (basti pensare a quanto la morte di Denis Fewne assomigli a quella di Fergus O'Brien in "Quando l'Amore Uccide" di Nicholas Blake e a quella di Marzia Tait in "Assassinio nell'Abbazia" di Carter Dickson) a quello commesso al buio, quando tutti i sospettati sembrano avere un alibi inattaccabile. Lo stesso soffermarsi sulla faccenda dell'alibi perfetto implica una certa pragmaticità nel metodo di creazione delle trame di Bush: non contano tanto i risvolti caratteriali e gli istinti puri, quanto la pianificazione dettagliata di un piano criminoso. Inoltre, ci sono un sacco di altri elementi legati all'ambientazione, allo stile, ai personaggi e all'atmosfera generale che si respira durante la lettura di "Omicidio a Capodanno" che hanno forti legami con questa sentita tradizione del "giallo ad enigma" più pragmatico e materialista. E nonostante questo, tuttavia, è presente una vena di terrore tanto sottile quanto persistente, la quale attraversa la storia nel suo complesso e avvicina i fatti accaduti a quelli che potrebbe narrare il Maestro del Delitto della Camera Chiusa: il senso di claustrofobia generato dall'impossibilità di mettersi in contatto col mondo esterno, l'essere in balìa di un assassino che potrebbe colpire in qualsiasi momento, il ritrovamento di cadaveri immortalati in pose orrende e spaventose o in situazioni tragicomiche che fanno venire la pelle d'oca: tutto ciò fa una certa impressione in chi legge, generando tensione e catturando l'attenzione. Insomma, per quanto mi riguarda "Omicidio a Capodanno" è una perfetta commistione di due modi di scrivere assolutamente agli antipodi, come quello tecnico di Crofts e quello evocativo di Carr, quello tradizionale e quello moderno.

Charlie Christmas Bush, alias
Christopher Bush, nato nel 1885
e morto nel 1973
E pensare che, come dicevo, Charlie Christmas Bush (questo è il vero nome dell'autore) non viene quasi mai menzionato tra gli autori più in vista della Golden Age. Nato in East Anglia nel giorno di Natale del 1885 (questo spiega il motivo del suo particolare secondo nome), egli crebbe in una famiglia di quaccheri che si era stabilita nel Norfolk 400 anni prima e che, tra l'altro, lo aveva adottato dal momento che lui era un illegittimo. Provetto bracconiere come il padre adottivo, il quale gli aveva insegnato a sfruttare tutte le possibilità a disposizione per poter sfamare la propria famiglia, ben presto riuscì a dimostrarsi tanto bravo a scuola da ottenere una borsa di studio, la quale gli permise di diventare insegnante. Prima di allora, tuttavia, non appena aveva preso il diploma, Bush si era sposato. Prima e dopo la guerra, dove ottenne il rango di maggiore, l'autore insegnò come maestro di scuola, ma intrattenne pure una relazione con una sua collega di nome Winifred Chart, la quale ben presto, nel 1920, gli confessò di aspettare un figlio suo. Tuttavia, Bush non volle mai avere nulla a che fare col bambino; e neppure dopo la morte della donna egli volle mai riconoscere come suo il giovane Geoffrey, il quale divenne un noto musicista e un appassionato di romanzo giallo (al punto da scrivere una parodia su Lord Peter Wimsey e partecipare a una storia di Edmund Crispin, altro faro del mystery britannico della Golden Age). Più che alla scuola, in ogni caso, Bush sentiva che il suo destino era legato alla scrittura; così si gettò in questa impresa e, nel 1926, diede alle stampe il suo primo romanzo giallo, "The Plumley Inheritance". Fu però con la sua seconda opera, secondo alcuni la più riuscita, che l'autore riuscì a occupare un posto di primo piano all'interno del genere: "The Perfect Murder Case" si rifà infatti al sottogenere del serial killing e alla vicenda di Jack lo Squartatore, dal momento che la sua trama ruota attorno all'invio di alcune lettere minatorie alla polizia, nelle quali un misterioso Marius minaccia di compiere numerosi delitti se le forze dell'ordine non riusciranno ad impedirglielo. Ad indagare, in questo giallo dedito al fair play, sono alcuni poliziotti affiancati da un investigatore assicurativo di nome Franklin (lo stesso comparso in "Omicidio a Capodanno") e da un giovanotto che si occupa di investimenti, chiamato Ludovic Travers.

Costui è un personaggio che collabora con Scotland Yard, timido, metodico, riservato e diffidente; forse poco caratterizzato, se non per un paio di occhiali cerchiati di corno e definiti "mostruosi". Però bisogna ammettere che riesce a catturare l'attenzione grazie al suo lucido raziocinio, che gli permette di scovare le falle negli alibi dei sospettati in cui si imbatte. Proprio su questo fulcro si snodano le trame dei numerosissimi (più di 60) romanzi del mistero di Bush, i quali sono stati spesso chiamati seguendo la formula del "The Case of the..." e risentono dei trascorsi del loro autore: tra gli altri temi, essi trattano del servizio militare durante la prima e la seconda guerra mondiale, e della sua esperienza come insegnante. I migliori, comunque, sono quelli scritti negli anni '30, come "Cut Throat" del 1932, "The Case of the 100% Alibi" del 1934, "Una Buona Tazza di Tè" del 1934, oltre a questo "Omicidio a Capodanno". L'ultimo, invece, uscì nel 1968, quarantadue anni dopo il suo esordio e cinque prima della sua morte, avvenuta nel 1973. Sul libro recensito in questa sede, oltre a quello di cui vi ho già parlato, si può aggiungere qualche altra informazione, per farvi capire come non sia da lasciarsi scappare. Ad esempio, il tratteggio dell'ambientazione risalta per chiarezza e accuratezza, dal momento che Bush si impegna a descrivere i luoghi e gli scenari così da permettere al lettore di farsi un'idea precisa; inoltre, come ulteriore aiuto, a chi legge vengono fornite addirittura un paio di planimetrie per orientarsi meglio nella lettura: una del primo piano di Little Levington Hall e una del giardino, con tanto di pagoda e sentieri (pp. 33, 36, 41, 48-49, 60, 63, 69, 71, 85, 89-90, 93-95, 98, 107, 165, 182, 217). Lo stile è indubbiamente lento e solido, simile a quello impiegato da Richard Austin Freeman, ma in questo caso non troviamo tantissime digressioni a distrarci dall'indagine, e la lettura non risulta tutto sommato pesante grazie a brevi accenni "romantici", come i riferimenti alla neve che continua a cadere senza sosta, ad alcune citazioni di Travers e poco altro. Questa liricità e poesia che ammorbidisce il piglio pragmatico dell'autore, comunque, mette in luce come Bush sia stato un insegnante esperto nell'uso delle parole e probabilmente amasse molto il teatro. I personaggi, in seguito, sono credibili e ben descritti, nonostante in qualche caso Bush non sia riuscito a dare loro molta vivacità (penso ad esempio a Brenda, la quale resta una figura marginale, fin troppo idealizzata ed estranea alla vicenda, per gran parte della storia). Mi è piaciuto come lui abbia caratterizzato Celia e George Paradine, l'una simile a quelle signore dell'alta società un po' bisbetiche e quasi troppo sicure di sé, quindi molto divertenti, e l'altro come un dottore "vero", padrone di sé nel momento in cui sono necessarie le sue doti mediche ma allo stesso tempo simpatico e leale. Tommy Wildernesse è un giovanotto gradevole, così come Challis si rivela un mascalzone goffo e impacciato. Crashaw si è rivelato una piacevole sorpresa, con il suo misterioso arrivo e la sua professione di insegnante (anche qui, un probabile cenno autobiografico dell'autore, pp. 51-53, 61, 66, 85-87, 124, cap. 23). La parte del leone, tuttavia, è occupata dal terzetto Mirabel-Braishe-Denis Fewne, i quali sono più al centro della storia per motivi abbastanza ovvi (dopotutto, essendo i delitti ambientati nella sua casa, Martin si trova spesso coinvolto nel fattacci che si verificano).

Lo scarabocchio di Denis Fewne, trovato da Travers nella
pagoda di Little Levington Hall dopo l'omicidio
Oltre a loro, però, è ovviamente Travers che gioca un ruolo di primo piano nelle vicende, dal momento che è colui il quale praticamente risolve il caso. Certo, ci sono pure Wharton e Franklin (che non vengono qui ritratti come i soliti poliziotti un po' tonti e duri di comprendonio che spesso popolano la classica letteratura del mistero), ma il giovane direttore della Durangos si trova sul posto ad indagare ben prima che gli altri due suoi compagni riescano a farsi un'idea di cosa sia accaduto a Little Levington Hall. E nonostante non sia poi così originale e avvincente il suo modo di fare, ho trovato che Travers sia un individuo intrigante, che ho voglia di conoscere di più. Trovo interessante inoltre che egli agisca come consulente della polizia, allo stesso modo di Maud Silver di Patricia Wenthorth e Reggie Fortune di H.C. Bailey. Mi ha convinto il suo metodo di approccio al delitto, così poco sicuro di sé e cauto: credo che nella vita reale sia così che chiunque si sentirebbe. Come le sue continue riflessioni. In ogni caso, come dicevo, i protagonisti sono sufficientemente tratteggiati, anche se forse Bush avrebbe fatto più colpo se si fosse sforzato un po' di più (che sia per questo motivo che lui, come gli altri suoi colleghi humdrum, non sia riuscito a resistere alla prova del tempo come Sayers, Christie e co.?). "Omicidio a Capodanno" è stato interessante anche per l'ampio spettro di temi di cui ha trattato, dalla critica letteraria allo spettacolo teatrale, dagli affari alla scienza (pp. 20-22, 49, 53, 82-83, 89-91, 143-147, 163, 203-204): essi hanno riflesso i tempi in cui il libro è stato scritto, gettando luce in funzione della soluzione finale, pur infondendo un pizzico di modernità in fatto di giustizia e ironia della sorte (gli ultimi cinque capitoli del racconto mi hanno ricordato ciò che avrebbe creato Nicholas Blake in "Quando l'Amore Uccide", declinandolo alla psicologia pura). L'atmosfera generale del romanzo, con un certo senso della teatralità e della tecnica, mi ha convinto, pur non venendo meno a suscitare un certo terrore e aura di mistero; nel racconto, la parte principale è occupata dall'enigma, incentrato in un misto di razionalità e irrazionalità, di terrore e metodo, dove tuttavia non mancano le riflessioni (pp. 33-34, 36-37, 40-42, 54, 60, 63, 89-95, 102, 106-107, 127, 137-138). Proprio il mistero è il fulcro di ogni cosa: complesso, insolito nelle modalità di uccisione e nell'intreccio di personalità e prove che si sostengono le une con le altre, costituisce il motivo per cui "Omicidio a Capodanno" dovrebbe essere conosciuto e celebrato. Spesso i giallisti danno vita a enigmi talmente astrusi che, alla fine, il lettore si ritrova a chiedersi come sia stato possibile che l'investigatore sia giunto alla conclusione esatta; ecco, in questo caso Bush spazza via ogni dubbio grazie alle innumerevoli prove ed indizi che riesce a spargere tra le righe. Abbiamo una riproduzione grafica di un messaggio scarabocchiato, palloncini bucati, un manoscritto incompiuto, un pugnale, un telefono divelto, una lampada, orme, un pennino, abiti, un biglietto, un sifone, alcune banconote... Chi ne ha, più ne metta. E tutto ciò è funzionale al raggiungimento della verità. L'unico inconveniente di questa trama complessa, in cui gli ingranaggi si muovono perfettamente per permettere all'investigatore di scoprire l'assassino, dove il fair play viene largamente rispettato, le domande non vengono fatte a caso, la soluzione è tanto semplice quanto sorprendente nonostante l'assassino sia intuibile, e sarebbe stato possibile sviluppare ogni delitto in una storia a sé, è forse costituito dal finale un po' affrettato e dal fatto che l'omicida non venga svelato proprio alla fine. Ma sono disposto a perdonare questa piccola manchevolezza, di fronte a tutto il resto. Bush fa un lavoro ammirevole nel riportare l'ordine nel caos e a separare ciò che serve da ciò che invece è superfluo, e con "Omicidio a Capodanno" riesce a creare un romanzo giallo molto piacevole e coinvolgente, oltre che intelligente e tutto sommato soddisfacente. Il critico Curtis Evans lo ha definito "una sorta di tour de force" della Golden Age, e io mi sento di concordare assolutamente col suo giudizio. Gloria a Christopher Bush, e a presto per una nuova lettura di un suo mystery.

Link a Omicidio a Capodanno su IBS

Link a Omicidio a Capodanno su Libraccio

Link all'edizione italiana su Amazon
 

Link all'edizione in lingua originale su Amazon

venerdì 20 novembre 2020

52 - "Uno dopo l'Altro" ("The Silent Murders", 1929) di A.G. Macdonell/Neil Gordon

Copertina dell'edizione pubblicata da
Polillo Editore/Rusconi

Come annunciato nella recensione di "Il Capanno sulla Spiaggia" della scorsa settimana, oggi tocca a quella sull'altro bel romanzo giallo che Polillo, per mezzo di Rusconi, ha dato alle stampe di recente, in seguito alla lunga pausa che l'ha caratterizzata dopo la morte del suo fondatore, Marco Polillo. Infatti, chi si fosse perso qualche passaggio sappia che era dalla pubblicazione di "Il Mistero della Candela Ritorta", risalente al luglio del 2019, che questa casa editrice amatissima dagli appassionati di classica crime story aveva interrotto qualunque tipo di uscita, dopo aver già ridotto al minimo i titoli in procinto di essere editi. La causa principale è stata, come dicevo, la morte dello stesso Polillo, il quale se ne è andato alcuni mesi dopo la pubblicazione del mystery di Wallace, lasciandoci smarriti e sconcertati di fronte alla perdita di un grande esperto e generoso complice nel perpetuare la bellezza del tradizionale giallo anglosassone, oltre che seriamente preoccupati per il destino dei suoi lodevoli Bassotti. Tuttavia, per fortuna, le cose sono andate molto bene, per noi fan del genere letterario e della collana di questi libri dalla caratteristica copertina arancione, così strana dopo il monopolio del colore giallo imposto da Mondadori un secolo fa: infatti l'editore Rusconi, già addentro nel campo del romanzo del mistero, è subentrato nella gestione della Polillo assimilandola al suo gruppo e ridandole nuova linfa vitale. Erano programmati ben quattro nuovi titoli, in previsione di maggio di quest'anno, quando i Bassotti sarebbero dovuti tornare in pompa magna; per cui, non vi dico la sensazione che noi appassionati abbiamo provato all'idea di ricominciare a vedere in libreria volumi nuovi di zecca della collana polilliana. Ma poi, come tutti sappiamo, ci è piombata tra capo e collo nientemeno che un pandemia globale, la quale ha fatto subìre una battuta d'arresto a qualunque tipo di attività editoriale (e non solo). Così, tutto quanto è ritardato a una data da destinarsi; fino al mese di ottobre appena finito, quando le cose si sono aggiustate e finalmente sono apparsi "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy e "Uno Dopo l'Altro" di A.G. Macdonell. La settimana scorsa, pertanto, ho recensito il romanzo giallo di Kennedy. Se avete letto la mia analisi, vi sarete fatti un'idea su quale genere esso interpreti, andando a sondare temi e situazioni che si rifanno in modo molto sorprendente a quelle di alcuni thriller che vengono pubblicati oggigiorno.

Oggi, invece, passo a qualcosa di totalmente differente, con "Uno Dopo l'Altro" di Macdonell, pubblicato a suo tempo sotto lo pseudonimo di Neil Gordon (Polillo Editore/Rusconi, 2020). Infatti, vi avevo già anticipato come questi due titoli siano molto diversi tra loro; non solo nella forma stilistica e nel modo in cui certe tematiche vengono affrontate, ma pure nei temi e nell'interpretazione della psicologia dell'individuo (non necessariamente il colpevole). Se proverete a confrontarli tra loro, scoprirete che essi si approcciano al delitto come se fossero mondi agli antipodi, con pochissimi punti di contatto: il libro di Kennedy va a soffermarsi su una sorta di indagine in cui contano le cose non dette e ciò che emerge dallo scontro dialogico-ideologico tra i sospettati e i protagonisti, mettendo il luce l'incomprensione che regna sovrana tra gli esseri umani e l'impetuosa corrente sotterranea di passione, odio, violenza ed emozione che intercorre tra loro; "Uno Dopo l'Altro", invece, vuole mettere in scena come l'investigatore, sia professionista sia dilettante, affronti il proprio compito come una battaglia tra il Bene (che egli incarna) e il Male (impersonato dall'assassino), dove il caso viene analizzato in base a fatti ben definiti, a un'implacabile ricerca attiva che non conosce momenti di pausa, e a un approccio logico e del tutto schematico, senza lasciare spazio a riflessioni fantasiose che possano influenzare la Verità delle Prove Materiali. Poi certamente c'è l'elemento di casualità, di pazzia incontrollabile che influenza fin dall'inizio l'indagine di Dewar e Bone; ma è proprio il contrasto tra l'agire senza alcun tipo di regola dell'omicida, e le azioni strutturate delle forze di polizia, improntate su metodi legati alla routine e a una forte pragmaticità, a dare importanza a queste ultime. Detto così, qualcuno potrà credere che quest'ultimo tipo di giallo sia quanto mai noioso e pedante; ma non sottovalutate le capacità dei giallisti della Golden Age britannica. Se alcuni (oggi dimenticati, tra l'altro) esagerarono nel portare la tediosa quotidianità all'interno di una storia fittizia che dovrebbe intrattenere, altri riuscirono a mescolare queste cose in modo da non far rimpiangere lo scandagliare della psiche umana e le riflessioni sulle conseguenze che la perversione umana suscitano nelle persone dei grandi capolavori del tempo. La routine e la tensione suscitata dal caso in "Uno Dopo l'Altro" riescono a tenere alta e a catturare l'attenzione come altri più rinomati esempi di giallo all'inglese; provare per credere.

Case di Contadini, Eragny, Camille Pissarro, 1887
Il romanzo inizia narrando il rinvenimento del cadavere di un vagabondo e di un ricco banchiere, uccisi in modo diverso ma, allo stesso tempo, accomunati da una serie di circostanze alquanto singolari. Il barbone, conosciuto come Sam lo Spocchioso o l'Ex Signorone, ha trovato la morte a causa di una pugnalata alle spalle ed è stato gettato in un fossato lungo una delle strade più trafficate che collegano Londra con la periferia; l'altro gentiluomo, invece, porta l'illustre nome di Aloysius Skinner, presidente della Società Imperiale Cocciniglia e direttore di molte delle aziende sussidiarie di tale vasta impresa, ed è stato ammazzato mentre si trovava a bordo di un taxi, fermo nel traffico caotico e assordante davanti alla Banca d'Inghilterra. Cosa mai avranno da spartire questi due individui così differenti non solo per estrazione sociale, ma pure per conoscenze personali e percorsi esistenziali? Nulla; se non fosse che su entrambi i loro corpi è stato trovato un cartoncino con scritto un numero progressivo: "Tre" e "Quattro". Si tratta di una bella stranezza, per Scotland Yard, la quale all'inizio non dà questa grande importanza alla faccenda. Certo, l'omicidio di un personaggio conosciuto nell'alta società come Skinner non lascia indifferenti i sovrintendenti e gli Alti Commissari; però tutto farebbe pensare al fatto che essa sia in realtà legata con quella dell'Ex Signorone. Nessuno che conoscesse Sam poteva avere conoscenze sociali ai livelli di Skinner. Pertanto, i casi vengono affrontati da investigatori diversi e sfortunatamente non portano a nessun arresto. Poco tempo dopo le due morti, però, si verifica un nuovo decesso per mano violenta: Oliver Maddock, in visita al fratello Henry nella casa di campagna di quest'ultimo, Greenlawns a Enfield, viene assassinato sotto gli occhi stupefatti del gruppo di giovani radunati laggiù per un torneo di tennis dilettantistico. E il misterioso omicida, che si è nascosto tra le frasche del giardino dell'enorme casa, prima di fuggire ha urlato ad alta voce contro Maddock come lui sia il suo Numero Cinque. A questo punto, Scotland Yard capisce di trovarsi di fronte a uno squilibrato che ha tutte le intenzioni di mettere in atto un piano diabolico e sanguinario, il quale potrebbe contare ancora chissà quante vittime.

Il giovane ispettore Dewar, coadiuvato dal sovrintendente Bone, viene quindi incaricato di svolgere le doverose indagini sul caso di questo atipico serial killer; e ciò che emerge dai suoi ragionamenti e da quelli del suo superiore è qualcosa di sconcertante: probabilmente, ad essere stato ucciso è stato il Maddock sbagliato. Infatti, tanto Oliver è stato un tizio tranquillo, dedito all'insegnamento e in seguito ritiratosi a vita privata per studiare antichi tomi in una sorta di roccaforte scozzese, quanto suo fratello Henry ha avuto una vita segnata dalla disonestà e dalla violenza. Quest'ultimo, col suo carattere arrogante e modi bruschi al limite del manesco, si è attirato l'antipatia di chiunque gli stia attorno, a parte forse i figli; per cui, agli agenti appare chiaro come sia molto probabile che l'assalitore abbia sbagliato mira e colpito la vittima errata. A convincerli di questa cosa, inoltre, gioca un ruolo importante il fatto che, a collegare Skinner e Henry, ci sia il Sudafrica. Sia l'uno che l'altro, infatti, hanno intrattenuto dei rapporti d'affari in tale continente, prima di fare ritorno in Inghilterra. Sembra proprio che la chiave dell'enigma si trovi laggiù, e così Dewar inizia una serrata caccia all'uomo che coinvolge non solo le forze dell'ordine di tutta Europa, ma pure polverosi archivi, sornioni presidenti di banche e di società londinesi, ricordi di vecchi soldati e qualunque pista gli si venga presentata, spostandosi in tutta l'isola britannica e seguendo la buona ed infallibile routine. In tutto ciò, però, i passi avanti si fanno attendere: la quantità di indizi non manca, quello è sicuro; ma il fatto che nessuno di loro riesca ad incastrarsi con gli altri esaspera e frustra gli sforzi di Scotland Yard. Forse stanno sbagliando qualcosa? E se fosse così, cosa? E dove sono le vittime "Uno" e "Due"? Un ulteriore tentativo di uccidere il Maddock sopravvissuto rafforza le convinzioni degli agenti, e il reo confesso ha tutta l'aria di essere la persona giusta a cui addossare gli omicidi del famigerato killer. Tuttavia Dewar, che non segue mai le proprie fantasiose teorie per disciplina impartita, sente che Henry nasconde qualcosa e, facendo pressione su Bone, riesce ad ottenere un mandato per scavare nel giardino di Greenlawns, trovando... Se pensate che ci siano fin troppe sorprese a questo punto, sappiate che ancora dovete scoprire il bello; in questa storia che non lascia un attimo di respiro ma, al contempo, ha il potere di rilassare il lettore grazie al lento lavorio della polizia e il suo incedere implacabile verso un assassino che non si lascerà vincere facilmente.

Copertina dell'edizione originale di "Uno Dopo l'Altro"
Tengo subito a dire come a me "Uno Dopo l'Altro" sia proprio piaciuto. E pensare che, nelle premesse, temevo di trovarlo tutto sommato lontano dal tipo di mystery che prediligo, e fin troppo convenzionale a causa di qualche elemento al suo interno ancora legato alla letteratura di fine Ottocento, che mi aveva un po' messo in allarme. Fin dalle prime righe, infatti, ci troviamo di fronte a uno stile molto schematico, il quale si traduce in un modo di esporre i fatti come una sorta di resoconto, rimandante ai rapporti che i poliziotti devono scrivere in merito ai casi su cui indagano: ogni cosa è riportata fin nei minimi dettagli, all'interno di una narrazione asciutta e senza fronzoli, dove i punti salienti vengono affrontati punto dopo punto in modo da ricordare una tabella mentale oppure una scaletta. Quando veniamo introdotti ai personaggi, essi ci vengono descritti fin da subito come individui che non si perdono in chiacchiere inutili, che affrontano i problemi di petto e sono abituati ad avere risposte pronte o comunque veloci da tradurre in azioni concrete. Non esistono piacevoli intrattenimenti come cerimonie del tè o divertenti facezie: il Cittadino richiede a gran voce una soluzione e non c'è tempo da perdere per trovarla. Inoltre, in un romanzo dove al centro di tutto stanno le forze dell'ordine, non ci si può aspettare che il lavorio mentale sia molto accentuato. Con questo non voglio affatto dire che gli agenti siano degli stupidi; anzi, al contrario, essi dimostrano di possedere l'importante caratteristica di saper prendere una decisione in fretta e di tramutarla in un'azione pragmatica. Di conseguenza, però, quest'opera di attività materiale viene a sostituirsi a quella psicologica del giallo "alla Agatha Christie" a cui gli appassionati sono di solito più legati, più affascinante di quella dei primi anni del secolo scorso, introducendo una narrazione dove non conta molto l'introspezione e la scena del crimine torna ad essere quella delle origini, con i rilevamenti scientifici e tutto quello che ne consegue. In terzo luogo, poi, mi intimoriva il fatto che "Uno Dopo l'Altro" potesse scadere troppo nel genere avventuroso, tipico del romanzo vittoriano. Macdonell, infatti, è conosciuto dai fan del romanzo del mistero per essere la "metà nascosta" del duo di scrittori che diede alle stampe "Il Mistero del Diario", l'opera prima di Milward Kennedy (il quale firmò il volume solo col suo nome) che non brilla certo per straordinari colpi di genio. A pensarci bene, c'è dell'ironia nel fatto che proprio con questo titolo di Macdonell sia stato ristampato pure "Il Capanno sulla Spiaggia". Ma bando alle ciance; l'importante è che temevo che l'autore fosse di quelli nostalgici e fin troppo legati a una letteratura il cui focus era ancora improntato all'intrattenimento puro e semplice dell'enigma "da cruciverba". Insomma, che questo fosse un tipo di libro diverso da quello inteso come giallo della Golden Age, dove il contorno è un'importante aspetto nella riuscita finale. Abbiamo la presenza del Sudafrica, zona che apparteneva all'Impero Britannico da molti anni e veniva tratteggiata come se fosse un paese all'altro capo del mondo, esotico e irraggiungibile; una serie di scenari che cambiano in continuazione, dalla periferia di Londra all'aperta campagna, dai sobborghi della metropoli a polverosi archivi di villaggi sperduti, dalle case di campagna a cittadine sul mare, i quali però non sono mai del tutto identificati dal lettore poiché l'azione si sposta velocemente da una parte all'altra; la presenza di personaggi legati a stereotipi, quali l'ex-galeotto oppure l'uomo-che-si-è-fatto-da-solo cinico e pieno di nemici pronti a tagliargli la gola, oltre al poliziotto testardo e incapace di formulare una teoria fantasiosa. Oltre ad essere dei cliché pericolosi da maneggiare, questi elementi lasciano trasparire una sorta di povertà di idee e mancanza di originalità che fanno seriamente temere per il risultato finale del romanzo.

Copertina dell'edizione più recente di
"Uno Dopo l'Altro" in lingua originale

Soprattutto, però, mi lasciava molto freddo l'idea che il caso fosse seguito da Scotland Yard nella sua interezza; quindi non solo dal punto di vista del protagonista (che è un ispettore di professione), ma pure con l'intervento nel caso da parte di fotografi, analisti di laboratorio, sovrintendenti e quante altre figure si trovano in un'istituzione complessa e articolata come la polizia metropolitana londinese, le quali di solito finiscono per togliere a mio avviso qualunque brio alla trama. Capirete, quindi, che non avessi chissà quali grandi aspettative da "Uno Dopo l'Altro". E invece, come dicevo, mi sono divertito a leggere questo romanzo giallo, trovandomi di fronte all'ennesima conferma del fatto che selezionare le nostre letture secondo pregiudizi legati alla preferenza spesso sia una stupidaggine. Può essere benissimo che, nonostante le apparenze, qualcosa che temiamo ci deluderà si possa rivelare una grande sorpresa. E nel caso di questo romanzo, è stato proprio il suo essere popolato da un mondo tanto strutturato quanto dinamico, e in qualche modo normale e privo di quelle trovate particolarmente originali che si trovano a ogni piè sospinto in un mystery classico, ad affascinarmi e a stupirmi, pur giocando in fatto di enigma su una variante interessante del delitto da serial killing. Ho trovato riposante seguire le vicende narrate da Macdonell; vicende che, tutto sommato, non sono caratterizzate da scoperte sensazionali (a parte un paio di colpi di scena abbastanza sorprendenti legati all'enigma) oppure da un ritmo serrato come se ad indagare fosse un segugio libero da vincoli burocratici. Però il ritmo solido e scorrevole ha conferito alla narrazione un perfetto equilibrio tra azione e riflessione, tra eccitamento per le scoperte che pian piano venivano alla luce e il placido incedere in questo percorso verso la verità. Credo sia questa la causa principale che mi ha spinto ad amare "Uno Dopo l'Altro" e che, già in precedenza, aveva influenzato il mio giudizio positivo di "Ipotesi per un Delitto" di Clifford Witting (ricordate che anche allora avevamo Charlton che interagiva con il suo sergente?). Pure qui ho semplicemente sorriso nell'immaginare i battibecchi tra Dewar e Bone, giocati sulla regione di provenienza del primo e sul fatto che il secondo, nonostante ricopra una carica importantissima all'interno di Scotland Yard, sia prima messo in difficoltà dalle pressioni che i suoi superiori gli fanno, e poi corretto in più occasioni dal suo sottoposto. Allo stesso tempo, però, l'incedere inesorabile della macchina della giustizia che mi ha guidato nel percorso fino alla verità, attraverso ricerche sfibranti e frustranti in tantissimi luoghi diversi, mettendo in luce quanto sia difficile per il tanto criticato poliziotto svolgere il proprio compito, mi ha dimostrato come il police procedural non abbia nulla da invidiare al più tradizionale mystery incentrato sul segugio dilettante (pp. 19-23, 30-35, 46-50, 52-53, 55-56, 59-63, 67-69, 72-75...).

La routine si è trasformata in una serie di passaggi i quali, al posto della prosaica descrizione che ci viene propinata di solito, hanno assunto la forma di esaltanti cacce all'uomo o al documento, di ricognizioni su scene del crimine, di interrogatori dove i sospettati si trasformano in sfingi a cui l'agente deve cavare le informazioni con le tenaglie. La visione di Scotland Yard che emerge da "Uno Dopo l'Altro" è quella di un'organizzazione in cui ognuno gioca un ruolo minore per il bene della comunità: non esistono capi, nonostante al suo interno ci sia una gerarchia effettiva, perché ognuno potrebbe essere quel "qualcuno" che serve nel momento del bisogno. Ad indagare sono esseri umani, con tutte le loro afflizioni ed emozioni e pressioni sociali, decisi più che mai ad aiutarsi l'un l'altro, a condividere esperienze comuni. Il rapporto che nella tradizione viene incarnato da un paio di individui come il protagonista investigatore e la sua spalla (pensate ad esempio a Poirot e Hastings), qui viene tratteggiato su scala più larga a includere personaggi che magari fanno un'apparizione fugace in un paio di scene e poi svaniscono, ma non significa che esso sia meno importante di quello tra due persone; anzi, se possibile viene sottolineato quanta importanza esso incarni per riuscire ad arrivare a una degna conclusione. Tutto ciò, almeno all'apparenza, sembra sia lontano anni luce da quanto troviamo di solito dentro un romanzo giallo; e invece dimostra quanti elementi comuni siano alla base di questo genere letterario capace di ramificarsi e dare vita a molteplici sottogeneri. E tutte quelle critiche che in un primo momento uno vorrebbe fare a libri come "Uno Dopo l'Altro" si dissolvono quasi del tutto. Lo schematismo che potrebbe intimidire e scoraggiare la lettura si trasforma in un elemento che va a sostegno di uno stile narrativo in cui è essenziale la logica; anzi, conferisce maggiore chiarezza al tutto. Predomina l'azione sul lavorio mentale, questo è vero; ma allo stesso tempo essa ci impedisce di annoiarci e, almeno in questo caso specifico, fa da contraltare in modo eccellente a quel poco di psicologia che viene sondato. L'uso della polizia come organizzazione che indaga, l'ho detto sopra, trova un'applicazione che restituisce le stesse sensazioni che avremmo se il caso fosse stato conferito a un dilettante e al suo Watson personale, dal momento che essa affronta di base la stessa missione contro il Male impersonato dall'assassino. Insomma, nonostante personalmente continui a preferire il giallo che si basa sullo studio della psicologia, come quelli di Berkeley e Christie, o quello che tratta un racconto di costume e approfondisce temi sociali quale quello di Sayers, inizio a nutrire un sincero rispetto per il mystery puro e incentrato sull'indagine logica vera e propria, introdotto da Arthur Conan Doyle e il suo Sherlock Holmes. Dopotutto, Macdonell non ha fatto altro che applicare l'approccio del segugio di Baker Street al punto di vista della polizia metropolitana di Londra, senza farci rimpiangere il romanzo più classico improntato sull'interpretazione dei comportamenti dei sospettati e delle loro passioni, rispetto a questa valida variazione del genere in cui sono i fatti pragmatici ad avere l'ultima parola.

Archibald Gordon Macdonell, nato
nel 1985 e morto nel 1941
A mio parere, "Uno Dopo l'Altro" rispecchia al meglio quale sia stata la formazione letteraria di Archibald Gordon Macdonell. Nato a Poona in India, nel 1985, lui fu figlio di un facoltoso mercante di Bombay il quale, tuttavia, quando il bambino aveva soltanto un anno, si trasferì col resto della famiglia in Scozia. Fu quindi in questo Paese che Archie compì gli studi, forte di un solido background che non gli fece mancare nulla. Nonostante ciò, la sua esistenza non fu tutta rose e fiori; a partire dall'ombra oscura costituita dalla Prima Guerra Mondiale che andava profilandosi dietro l'angolo. Macdonell, infatti, dal 1916 entrò a far parte assieme ai suoi coetanei della 51° divisione delle Highland nella Royal Field Artillery, ovvero quella sezione dell'esercito che i tedeschi soprannominarono "le signore dell'inferno" poiché i suoi soldati combattevano indossando il kilt. Si trattava di una formazione militare molto temuta e conosciuta, la quale diede all'autore motivo di orgoglio; ma sfortunatamente proprio a causa di ciò essa veniva spesso impiegata in operazioni rischiose che la decimarono e misero a dura prova. Di conseguenza, i suoi componenti soffrirono gravi traumi e lo stesso Archie fu costretto a tornare a casa con una diagnosi di PPT (sindrome da Stress Post-Traumatico), cosa che lo perseguitò per il resto della sua vita. In ogni caso, questo non gli impedì di farsi una famiglia: nel 1926 sposò Mona Sabine Mann e con lei ebbe una figlia, Jennifer. Inoltre, nel 1928 riuscì a dare alle stampe la sua prima fatica letteraria in fatto di crime story, quel "Il Mistero del Diario" che spiritualmente firmò in coppia con l'amico Milward Kennedy ma costui soltanto mise il proprio nome sulla copertina. Ancora mi domando come mai sia successo ciò; se Kennedy giocò un brutto tiro a Macdonell, oppure quest'ultimo rinunciò all'onore per il semplice fatto di aver messo poco di sé all'interno di quella specifica storia. Forse, però, la spiegazione è che Archie non era ancora interessato a seguire questa strada, dal momento che il suo interesse prevalente fu per la critica teatrale, campo in cui si distinse grazie ai suoi scritti per il "London Mercury", giornale che contribuì a fondare e del quale era direttore una altro suo grande amico, John Collings. Oltre a ciò, Macdonell è inoltre celebrato per essere stato uno scrittore satirico e per il suo "England, Their England", una sferzante critica sugli usi e costumi della società inglese che gli valse il premio James Tait Black Award. Gli appassionati di giallo, tuttavia, lo ricordano per ciò che produsse sotto gli pseudonimi di Neil Gordon e John Cameron: sei più due titoli nel solco della tradizione più classica, dove non manca l'ironia e un a forte dose di avventura sapientemente mescolata ad enigmi sorprendenti. Tra questi, vanno ricordati "The Professor's Poison", "Seven Stabs", "Body Found Stabbed" e "The Shakespeare Murders"; quest'ultimo a conclusione di una carriera che poteva dare molto di più, ma trovò un brutto arresto quando Macdonell, dopo essersi separato dalla prima moglie che lo accusava di adulterio ed essere convolato a seconde nozze con la viennese Rose Paul-Schiff, nel 1941 morì improvvisamente a Oxford, in seguito a un arresto cardiaco suscitato dalla sua debilitante esperienza di soldato.

La sua fu comunque un'esistenza piena di soddisfazioni, la quale influì sul suo modo di scrivere; e "Uno Dopo l'Altro" riflette proprio questo aspetto. Si tratta infatti di un libro ironico, come solo un grande della satira come lui poteva produrre, con i numerosi momenti in cui i personaggi vengono messi in ridicolo e una sottile vena critica verso i loro comportamenti più comici; dove non manca una buona dose di azione ma senza che questo aspetto prenda troppo il sopravvento, e nel quale l'enigma trova uno sviluppo che al tempo dovette sorprendere più di una persona, nonostante un piccolo intoppo causato dal Fato avverso. Dovete sapere, infatti, che agli inizi del Novecento il giallo sul serial killing, di cui questo "Uno Dopo l'Altro" è uno straordinario esempio, non era così diffuso come lo è ai giorni nostri. Nella nostra epoca, ormai, questo sottogenere è stato del tutto sdoganato, forse fin troppo; ma allora romanzi del mistero di questo tipo si contavano sulle dita di una mano. Come riporta Martin Edwards nel suo "The Story of Classic Crime in 100 Books", i delitti di Whitechapel attribuiti a Jack lo Squartatore (peraltro citati alle pp. 86 e 146) e gli omicidi di Ratcliffe Highway (per non parlare della vicenda del dottor Palmer) avevano già posto l'attenzione sul cosiddetto assassino seriale, pur non chiamando costui in tale modo, e spinto la letteratura fittizia ad occuparsi di uccisioni di massa indiscriminate ben prima dell'avvento della Golden Age; però era pur vero che in pochi avevano compreso la potenzialità di questo sottogenere del giallo. Giocare sul dilemma se la psicologia dell'assassino fosse del tutto preda di istinti selvaggi, oppure governata da un movente razionale, non si poteva ancora fare al meglio. Pertanto, come dicevo, i pochi che provarono ad esplorare questo tipo di giallo seguirono necessariamente strade simili; e alla fine si verificò proprio quello che gli scrittori temevano: due di loro si ritrovarono ad aver sfruttato lo stesso aspetto peculiare per spiegare il movente del loro omicida. Cosa che, come penso avrete capito, coinvolse Macdonell, il quale scoprì con disappunto come John Rhode, appena una anno prima, gli avesse soffiato l'idea senza volerlo. Se confrontiamo "Uno Dopo l'Altro" con XXXXX (non farò il nome per non rovinare la lettura a chi avesse già affrontato Rhode), infatti ci rendiamo conto di quanto entrambi giochino su una svolta caratteristica della trama, pur distanziandosi l'uno dall'altro nella resa complessiva. Detto ciò, non intendo affatto sminuire quanto sia comunque affascinante il romanzo di Macdonell: esso gareggia in modo eccellente proprio col libro di Rhode e i due ne escono alla pari, un po' al di sotto di "La Morte Cammina per Eastrepps" all'interno del sottogenere del serial killing ma con dignità.

Waterloo Place, London, 1899 (foto di Leonard Misonne)
Tutti e due, ad esempio, sono magnetici nel tenere incollato il lettore alle vicende che narrano; avvincono e permettono di esplorare, pur con alcuni limiti legati al ristretto spazio dedicato alla psicologia, la mente dell'assassino per scoprire quale sia stata la causa del suo malsano intento vendicativo, e tratteggiano la partita personale di quest'ultimo contro la polizia e l'ordine costituito continuamente messi alla prova e sfidati. Uno degli elementi dominanti nelle loro trame, inoltre, riguarda i metodi attraverso i quali le vittime trovano la morte, ed entrambe le storie spiegano in modo mirabile fin dove possa spingersi la follia sconclusionata e tutt'altro che ordinaria di un pazzo, nascondendo questa sua condizione sotto un'apparenza di civiltà che turba le coscienze. Tornando a concentrarci solo su "Uno Dopo l'Altro", però, troviamo invece alcune peculiarità nella trama. Innanzitutto essa è stratificata più di quanto uno si aspetterebbe, con un colpo di scena a metà della storia che rimescola tutte le carte e, nonostante una conclusione affrettata e un po' troppo precipitosa, apre a nuovi scenari come pochi altri sono riusciti a fare. Anche se la scienza non occupa uno spazio più di tanto preponderante nel racconto, il necessario tecnico per poter comprendere la logica delle uccisioni e ciò che ne consegue viene fornito a chi legge (penso alla balistica per stabilire se alcuni colpi di pistola sono stati sparati da una stessa arma. L'ironia, come ho detto, è molto più presente nel giallo di Macdonell rispetto a quello di Rhode, dove tutto è serio come ci si aspetterebbe da una storia raccontata da un signore tutto d'un pezzo come lui. Ci sono più digressioni in "Uno Dopo l'Altro", le quali tuttavia restano confinate in brevi paragrafi per essere adeguate al ritmo del romanzo: sui brevi incontri che Dewar fa con le persone che possono aiutarlo ad avanzare verso la scoperta della verità, sui luoghi che egli visita, su moltissimi aspetti dello stesso caso investigativo di cui egli si occupa. Personalmente, mi è rimasto impresso tra gli altri il buffo scambio di battute tra l'ispettore e l'agente esperto degli scavi geologici, come pure la gita a Petworth del poliziotto (pp. 69-70, 87, 91, capp 13-14...). I cliché abbondano, sfortunatamente, dal momento che sono peculiari nello stile di Macdonell assieme al carattere avventuroso del racconto; questi sono il punto dolente dell'intera indagine, basata forse troppo su di essi per potersi dire davvero "da Golden Age". Infine, a differenza di quanto accade negli altri libri di questo genere che ho preso in considerazione, il carattere da police procedural è molto accentuato. Ma questa non è una novità per voi che leggete questa recensione.

Una cosa, tuttavia, mi preme sottolineare per concludere: si tratta del tratteggio dei personaggi, legato proprio a questo elemento poliziesco. Nonostante siano un po' tutti quanti ritratti come macchiette sarcastiche o individui a volte poco, a volte troppo originali per essere del tutto credibili, nelle loro azioni i membri di Scotland Yard, in particolare, assumono un ruolo totalmente diverso. Le caratterizzazioni dimostrano lo sforzo che Macdonell fece per infondere loro una minima parvenza di vitalità: fece esprimere loro gioie e dolori, frustrazione e delusione per essersi fatti gabbare dall'assassino, dinamismo nello svolgere il proprio gravoso compito, ligi al dovere, sicuri di sé davanti ai superiori ma segretamente dubbiosi. Sono esseri umani in carne ed ossa, i quali si sforzano per aiutarsi tra colleghi e battibeccano coi i capi, sentono la pressione della stampa sulle loro spalle e si impegnano a rispettare i protocolli senza abusare del proprio potere, e soprattutto agiscono come un sol uomo. Mi è piaciuto che l'autore abbia compiuto un'azione del genere, poiché avvicina il lettore alle difficoltà del poliziotto e gli fa comprendere come la sua non sia una figura da schernire, quanto da compatire. Nonostante abbiano prodotto romanzi più riusciti dal punto di vista dell'enigma, J.J. Connington e Clifford Witting (coi loro Sir Clinton Driffield e ispettore Charlton) non sono riusciti a rendere tanto bene quanto Macdonell come la macchina della giustizia di Scotland Yard sia composta da tanti ingranaggi che si muovono tutti assieme. Infatti, sulla carta il protagonista è Dewar (pp. 45-46, 68, 83-84, 91-92, 111-112, 121-123...), ma in realtà non c'è mai un battitore libero che orchestra gli sforzi degli altri agenti per catturare il colpevole (nemmeno Bone ci riesce): finora la polizia era stata incarnata da un deus ex machina capace di catalizzare su di sé l'attenzione e mettendo in ombra i sottoposti (vedasi i poliziotti sopra citati), invece in "Uno Dopo l'Altro" è la comunità a garantire il successo dell'impresa. Se proprio volessimo trovare qualcuno da far spiccare sul gruppo, potremmo prendere in considerazione proprio l'ispettore e i sovrintendente, antitesi l'uno dell'altro ma indispensabili tra loro per riuscire a concludere l'inchiesta. Il primo è giovane, vigoroso, rigoroso, inesperto, scozzese; il secondo saggio, sedentario, acuto, londinese e più anziano. Si prendono in giro l'uno con l'altro, si sostengono di fronte ai superiori, avanzano ipotesi diversissime e si sfidano per trovare la soluzione, in una sorta di gara dove il vincitore deve essere Dewar, dal momento che Bone è "già arrivato". Formano una coppia stupenda e una grande squadra, la quale muove tutto ciò che sta intorno e impedisce di annoiare: sono a caccia e fanno sul serio.

Insomma, per tirare le fila del discorso e mettere un punto a questo lungo flusso di coscienza. "Uno Dopo l'Altro" soffre di sicuro di alcuni difetti che impediscono di collocarlo tra i capolavori del genere giallo. Come dicevo, i cliché e la vena avventurosa forse un po' troppo calcata allontanano il romanzo da quella perfezione a cui ci hanno abituato i Grandi Autori della Golden Age. Inoltre, il cardine della storia non è originale per la "questione Rhode" e la storia non si sofferma molto sull'indagine interiore del lato psicologico del delitto, come all'assassino non viene data quella profondità caratteristica dei colpevoli più diabolici e astuti. Però non mi sento di condannare l'approccio con cui il caso è stato intrapreso. Su Internet mi è capitato di leggere che quest'ultimo è stato paragonato a quelli delineati da Freeman Wills Crofts, il quale è rimasto famoso nel tempo per la cura nei dettagli e per l'ossessiva strutturazione delle indagini che inventava; ecco, in un certo senso anche Macdonell ha compiuto un'operazione del genere. C'è del metodo nella ricerca di un modo per collegare la morte di tante persone così diverse tra loro, nello sfruttamento delle complete forze di polizia e nel far quadrare una certa svolta del caso fino a metà del racconto. "Uno Dopo l'Altro", alla fin fine, è un romanzo solido e leggibile, che intrattiene e fa passare il tempo molto velocemente, tanto che io stesso mi sono stupito della rapidità con con l'ho portato a termine. Bisogna considerarlo più come la narrazione di un processo fluido, in cui accadono atti casuali e commessi da un pazzo il cui movente non è da ricondursi a cause strabilianti e particolarmente profonde, rispetto a un giallo dove gli indizi vengono forniti di fair play. Questo è il segreto per poterlo apprezzare al meglio. Da parte mia, ribadisco come abbia apprezzato comunque il risultato finale: emozionante, ironico e arguto. E condivido il giudizio che i critici Barzun & Taylor diedero a "Uno Dopo l'Altro": "Un primo e impressionante esempio di routine poliziesca, pieno di legittima azione e completo di contrasto tra superiore e subordinato. La varietà e la sorpresa negli incidenti mantengono un alti grado di tensione e l'individuazione è solida quanto la spiegazione, che viene in mente al lettore pochi secondo prima dell'ispettore scozzese Dewar. Quando arriva, essa costituisce quello che è probabilmente un primo esempio del suo utilizzo [NB. non è così]: nel complesso un libro da amare per il suo valore e il suo ingegno".

Link a Uno Dopo l'Altro su IBS

Link a Uno Dopo l'Altro su Libraccio

Link all'edizione italiana su Amazon:
 

Link all'edizione in lingua originale su Amazon: