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venerdì 25 settembre 2020

47 - "Ipotesi per un Delitto" ("Let X Be the Murderer", 1947) di Clifford Witting

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore

Come ho già avuto modo di osservare nell'introdurre la recensione di "Com'è Morto il Baronetto?" di H.H. Stanners, la classica crime story non è fatta di soli capolavori di autori ampiamente riconosciuti. Infatti, accanto a nomi come quello di Agatha Christie, la cui opera è conosciuta non solo all'interno del genere giallo, ma anche tra i lettori occasionali e chi è entrato in contatto col suo nome attraverso canali extra-letterari (con serie TV, film e quant'altro); di Dorothy L. Sayers e di Anthony Berkeley (forse i più celebri tra i giallisti classici, troviamo molto spesso perle letterarie di scrittori considerati illustri sconosciuti al di fuori della cerchia di appassionati di romanzo del mistero. Proprio "Com'è Morto il Baronetto?" si è rivelato essere un perfetto esempio di questo tipo di mystery, con una storia gradevole e (forse) talmente tanti elementi "tradizionali" da apparire fin troppo stereotipato, allo stesso modo esistono pure racconti che non hanno goduto della stessa fama di altri più celebrati, ma per questo non sono meno intriganti e affascinanti. Accanto ai capolavori, si possono meritatamente collocare sporadiche prove di giallisti che magari sono stati mediocri nel resto della loro produzione: mi viene in mente, ad esempio, Joel Townsley Rogers il quale, a parte "La Rossa Mano Destra", non ha prodotto chissà quali eclatanti parti creativi; oppure J. Jefferson Farjeon che, tra una spy story e un libro avventuroso, ci ha lasciato alcune piccole gemme di genere giallo come "Sotto la Neve" e "La Casa dei Sette Cadaveri". Nella maggior parte di questi casi, i loro autori magari hanno goduto di una certa celebrità finché erano in vita e così hanno potuto continuare a scrivere fino alla fine dei loro giorni; ma poi, di punto in bianco, non appena la loro produzione è cessata, le loro opere (sia quelle meno sia quelle più pregevoli) non hanno retto il colpo e sono via via scomparse dalla scena e dalla memoria dei lettori. In questo modo, molti meritevoli romanzi gialli della Golden Age, ma non solo, sono stati dimenticati e trascurati. Chissà qual è stato il motivo di questo spiacevole oblio. Forse essi sono stati dati alle stampe nel momento sbagliato o impiegando cliché inflazionati per il loro tempo, oppure il loro autore non è riuscito a raggiungere la fama che desiderava e nonostante il buon riscontro da parte di una parte del pubblico, complice la delusione, ha smesso di scrivere. Forse si è trattato di qualcosa di semplicemente naturale: infatti, i libri di questo genere sono talmente numerosi che, se qualcuno sfugge alla nostra attenzione, non c'è poi da stupirsene.

In ogni caso, non bisogna arrendersi al fatto compiuto; si deve continuare a fare attenzione e a restare aperti a nuove dritte su romanzo gialli che possono essere passati inosservati per ridare loro ciò che meritano (tra gli altri, mi incuriosisce moltissimo l'opera di Brian Flynn, riscoperta da PuzzleDoctor nel suo blog In Search of the Classic Crime e in corso di ripubblicazione da parte di Dean Street Press: se solo avessi più dimestichezza con la lingua inglese!). Soprattutto a quelli appartenenti a serie in cui il protagonista non è il tanto decantato e carismatico dilettante, con le sue particolari caratteristiche, ma un più prosaico poliziotto. In più di un caso (vedasi proprio l'insieme dei romanzi di Flynn), infatti, con molta probabilità questa caratteristica ha contribuito alla dimenticanza di alcuni mysteries più che riusciti, proprio perché non sono riusciti a imprimere nella memoria del pubblico un particolare personaggio o elemento originale della trama. Un vero peccato, a mio parere, dal momento che un romanzo giallo è molto di più del suo protagonista oppure di un semplice trucco di prestigio da applicare all'enigma. Pertanto, su Three-a-Penny appariranno in futuro, oltre ai già presenti "Com'è Morto il Baronetto?" di Stanners e altri racconti minori del mistero che vi lascio trovare da soli, alcune tra queste opere meritevoli di essere riscoperte; e oggi voglio iniziare tale processo con "Ipotesi per un Delitto"di Clifford Witting (Polillo Editore, 2009). Questo autore, infatti, è quasi sconosciuto (tra le altre cose, la sua biografia è davvero stringata) e ha dato vita a una serie di romanzi in cui il protagonista è l'ispettore Charlton, un poliziotto la cui caratteristica più evidente è una spiccata intelligenza. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che "Ipotesi per un Delitto" tratti di un tipico caso di "delitto-della-casa-di-campagna", con un certo numero di sospetti che varia dai parenti della vittima ai vicini di casa ad alcuni individui siti in villaggi poco distanti, la familiare figura dell'investigatore seriale e indizi nascosti tra le righe, potremmo avere l'impressione di trovarci di fronte a una storia abbastanza ordinaria e simile a tante altre. Eppure, non è così: in realtà l'indagine tocca temi molto interessanti (come quello della pazzia e quello del matrimonio) e il libro si distingue per uno stile scorrevole, un enigma articolato che intrattiene il lettore e suggestive descrizioni dei luoghi in cui si muovono i personaggi, producendo un risultato gradevole e affascinante.

Downs in Winter (Southdowns, Sussex), Eric Ravilious, 1935
raffigurante il paesaggio descritto in "Ipotesi per un Delitto"
La storia è ambientata nella piccola cittadina di Lulverton, sita a tre miglia di distanza da Southmouth-by-the-Sea, nei South Downs. Laggiù, in un freddo mattino di novembre, all'interno della stazione della polizia, il sergente Martin sta aspettando l'arrivo del suo superiore, l'ispettore Harry Charlton, per aggiornarlo sulle ultime novità riguardo la vigilanza del villaggio; quando all'improvviso suona il telefono. Come scoprirà Martin, all'altro capo del filo si trova qualcuno che sostiene di essere Sir Victor Warringham, in preda a un'agitazione a malapena soffocata. La voce appare confusa e spaesata, ma sostiene con forza di voler chiedere l'aiuto dei poliziotti dal momento che, quella stessa notte, un paio di mani fosforescenti hanno tentato di strangolare sua signoria nel sonno. Il sergente, scettico, tenta di cogliere qualche informazione in più e si affretta a riassicurare il mittente che presto Charlton sarà informato, in modo che egli possa decidere come meglio agire. E una volta aggiornato, l'ispettore decide di sondare il terreno e di recarsi con Martin a Elmsdale, l'enorme villa di proprietà dei Warringham. Giunti laggiù, tuttavia, i due poliziotti si scontrano con il primo problema: nonostante la palese felicità della cameriera nel veder giunti i soccorsi, la governante di casa miss Enid Winter li accoglie con una certa freddezza, tentando di minimizzare le ragioni che li hanno spinti a scomodarsi fino a giungere nella casa fuori dalla cittadina. A suo dire Sir Victor soffre di mal di cuore, ma non potrebbe mai aver deciso di punto in bianco di giocare uno scherzo del genere alla polizia; tanto più che, da qualche ora, egli si trova chiuso nella sua camera a riposare. Ovviamente sarà impossibile per Charlton e Martin incontrarlo, per cui meglio se ripassano un'altra volta. Mentre miss Winters sta rincarando la dose, tuttavia, appare il genero dell'infermo, un tale di nome Clement Harler che sostiene come Warringham sia matto da legare e pericoloso. A suo dire, la governante ha fatto finta che Sir Victor soffra di cuore per non rischiare di farlo entrare in contatto con sconosciuti e allarmarlo senza un motivo valido. Risultato: Charlton e Martin sono costretti ad andarsene. Nel farlo, però, scoprono che Warringham sta aspettando il suo avvocato, il signor Howard, per affidargli un non meglio specificato incarico. Che abbia a che fare col suo discusso testamento?

Come si informa ben presto l'ispettore, infatti, Sir Victon Warringham ha disposto delle sue ultime volontà in modo alquanto bizzarro, senza mai cambiare un documento testamentario che risale a molti anni prima. Secondo quest'ultimo, metà del patrimonio sarebbe dovuto passare alla moglie, Lady Warringham, mentre l'altra metà a Rosalie, la sua amata figlia. Tuttavia, le due donne sono decedute in un tragico incidente che aveva visto coinvolto un ordigno bellico, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale; pertanto, la quota della moglie di Sir Victor e quella di Rosalie dovrebbero passare entrambe a Clement Harler, genero e ultimo mebro della famiglia, il quale ha dato dimostrazione di non essere un individuo alla mano non solo per il suo atteggiamento con Charlton (spingendolo praticamente fuori dalla porta e dicendo di non dare adito ai vaneggiamenti di un pazzo secondo i quali un fantasma avrebbe tentato di ammazzarlo), ma anche per il fatto di aver portato a Elmsdale un'altra donna, una femmina fatale di nome Gladys. Tutto ciò, quindi, farebbe pensare che gli Harler stiano tramando un brutto scherzo a Warringham, così da fargli perdere del tutto la ragione e internarlo per impedirgli di fare alcuna modifica al testamento, per assicurarsi il denaro. Charlton è convinto di questa teoria e, nonostante non lo abbia mai incontrato di persona, non crede che Sir Victor sia matto: a sostenere questo fatto sono gli Harler e un dottore dalla cattiva reputazione, mentre dicono il contrario Howard e le altre due persone che hanno a che fare con il malato: un bambino di dieci anni, John Campbell, nipote di miss Winters, e Tom Blackmore, affittuario di un cottage all'interno della proprietà e conoscente di vecchia data del padrone di Elmsdale. Però non può fare nulla, finché gli eventi non si saranno spalancati davanti a lui e ai suoi sottoposti. Così assiste impotente al delitto che si verifica la notte seguente proprio in casa di Sir Victor, nuova fonte di guai. Infatti, la vittima non è Warringham, come le premesse farebbero pensare, ma miss Winters. Cosa può aver innescato una donna silenziosa e astuta come quella? Forse c'entra il testamento di Sir Victor? Oppure il movente di tale crimine deve ricercarsi nel passato della donna? Starà a Charlton mettere in pratica le indagini di routine, applicare il suo metodo basato sui fatti  e svelare la verità che si cela dietro l'assassinio.

Coastline Seascape, John Glynn, 1920
circa, raffigurante la costa inglese in cui si
trova Southmouth
Da come si presenta, "Ipotesi per un Delitto" ha tutta l'aria di assomigliare a un problema matematico, come uno dei cruciverba mentali che andavano tanto di moda nei primi anni del Novecento. Fin dalla sua struttura esteriore, infatti, esso mantiene una divisione in parti che ricorda molto da vicino quei teoremi che un po' tutti noi abbiamo studiato a scuola. "Sia ABC un triangolo isoscele" si è soliti recitare come un mantra, quando si affronta la geometria matematica; e anche in questo caso ci troviamo davanti a un postulato che ricalca questa formula, dal momento che il titolo originale del romanzo è proprio "Sia X l'omicida". Inoltre, al suo interno, troviamo uno schema quadripartito, dove ogni sezione porta il nome di una parte del problema: "Teorema", "Ipotesi", "Interpretazione" (che noi chiameremmo "Tesi") e "Dimostrazione". Nella prima parte si prova a capire chi e perché voglia la morte di Sir Victor; nella seconda si sviluppa la ricerca di indizi alternativa al filone finora seguito, dal momento che l’omicidio verificatosi non coinvolge il baronetto, ma la sua governante; nella terza si scava a fondo nelle diverse piste, per scovare chi sia cosa, quando e perché; nell'ultima i nodi vengono al pettine e si scopre chi ha commesso il crimine e il suo movente. In aggiunta a ciò, inoltre, abbiamo tutta una serie di elementi che a primo acchito rimanda a una trattazione del caso in modo alquanto asettico, tradizionale e quasi pedante. Ad esempio, le premesse dell'omicidio (ed esso stesso) ricalcano il classico schema secondo cui tutti gli eventi danno ad intendere che stia per accadere una disgrazia, ma l'investigatore non può far altro che aspettare che si verifichi il decesso della vittima designata, prima di poter raccogliere abbastanza prove materiali per inchiodare l'assassino; oppure la presenza di pochi personaggi, presentati come simili a incognite di un'equazione matematica e caratterizzati da una certa sgradevolezza e aridità, la maggior parte dei quali viene descritta attraverso un complicato schema genealogico. Lo stesso Charlton, a differenza del sornione Poirot, del faceto Lord Peter e del cinico Roger Sheringham, appare freddo per la maggior parte del tempo e intenzionato a catturare il colpevole senza lasciarsi troppo trasportare da distrazioni come le emozioni e le opinioni personali. Legato a ciò, in "Ipotesi per un Delitto" troviamo un metodo di indagine completamente differente da quello che potrebbero mettere in pratica gli investigatori dilettanti: qui ci troviamo di fronte alla solida e inossidabile routine della polizia, la quale deve compiere passi necessari per assicurare un corretto svolgimento del proprio compito verso i cittadini e rispettare una prassi ben precisa, dove non esistono sgarri e iniziative personali da parte degli agenti. Inoltre, uno dei temi principali affrontati nel corso del romanzo è quello della legge, legato alla complicata faccenda del testamento di Sir Victor Warringham; tutto è molto dogmatico e strutturato, i cavilli legali del passaggio delle quote ereditate vengono passati al microscopio più di una volta e i sospetti variano in continuazione proprio in base alla lettura che viene data di ogni nuovo indizio (spesso materiale e non psicologico), tenendo in considerazione le conseguenze che possono derivare dalle scoperte sulla morte di miss Winters (pp. 43-44, 81-84, 114-116, 125-126, 131-133, 136, 156-158, 179-187, 248-250, 256-259, 290-292, 295-305, 311-313).

In sintesi, dunque, tutti questi elementi tendono a dipingere "Ipotesi per un Delitto" come se esso fosse uno di quei fin troppo classici romanzi del mistero che trattano di un delitto in un'antica villa signorile, farcito con la consueta famiglia di parenti-serpenti corredata di conoscenti e amici della stessa natura, una lunga serie di indizi da trovare ed interpretare, un detective che si preoccupa di analizzare questi ultimi per trovare una soluzione, atta ad incriminare un individuo e a portarlo di fronte a una corte di giustizia senza indugio, e una generale aria ironica e un po' retrò a fare da sfondo alle vicende. Insomma, una storia ordinaria che non colpisce e che potremmo scambiare con tante altre. E in parte è così, non si può negare l'evidenza. Dopotutto, sfido chiunque a confutare le affermazioni che ho fatto qui sopra e ad ignorare alcuni commenti che si trovano in rete a riguardo, tra i quali spiccano "[il giallo] è di quelli che definisco "piatti" e poco movimentati, [con una] vicenda [che] non si fa mai molto interessante", "un romanzo abbastanza banale e prevedibile, nonostante le rivelazioni finali. [...] non aggiunge nulla di nuovo ai numerosi romanzi usciti negli anni precedenti. Forse può sorprendere il lettore occasionale di gialli, ma le tematiche e lo svolgimento della trama sono tutti ben noti a chi conosce i romanzi di genere" e "un libro minore". Tuttavia, quello che si fatica a cogliere, a mio parere, è che la storia narrata da Witting non si ferma a questa semplicistica analisi superficiale. In ognuno degli aspetti che ho preso in considerazione, possiamo trovare qualcosa che mette in mostra come l'autore abbia voluto fare un passo in avanti e dare un'interpretazione in qualche modo svecchiata. Lo schema familiare dei Warringham e dei loro conoscenti, ad esempio, è sì incentrato su un complesso sistema che tende a restituire una schematizzazione geometrica dei rapporti tra gli individui, ma in realtà è confuso e sottintende una mancanza di chiarezza che si allontana proprio dall'idea iniziale della struttura ben definita. La incognite che coinvolgono la storia familiare e la questione dell'eredità sono piene di intrighi, bugie e inganni, e rispecchiano una certa imprecisione che stride con l'apparente simmetria del romanzo. Lo stesso schema dell'indagine, che sembra tanto attinente alla tradizione, mostra un'evoluzione che ricalca il parte quella di "Il Pericolo Senza Nome" di Agatha Christie, una tra le più innovative gialliste di sempre. I personaggi, dal canto loro, appaiono sia come figure sgradevoli che ripugnano e che tendono ad essere identificate in incognite geometriche, sia quali attori a tutto tondo (almeno riferendosi ai protagonisti principali delle vicende), i quali danno prova di avere spessore e profondità: infidi come serpenti oppure emotivi, ma pur sempre lontani da macchiette stereotipate. E questo vale pure per Charlton, il quale in un paio di occasioni abbandona l'atteggiamento gelido per mettere in luce una certa compassione per John Campbell e Sir Victor, oltre a lasciar trasparire come non sia così malvagio quando entra in contatto con i suoi sottoposti.

In aggiunta, la legge e il testamento, così importanti all'interno del racconto di "Ipotesi per un Delitto", lasciano intravedere quanto dietro al dogmatismo si celi una grande confusione: non si è mai sicuri di nulla, perché i fatti potrebbero essere capovolti da un nuovo indizio, e i risvolti che scaturiscono da essi sono spesso inaspettati. Il metodo della polizia (pp. 109-110), tanto improntato a seguire una prassi ineluttabile e persino noiosa, mette in luce quanto sia importante l'elemento umano perché esso possa funzionare al meglio: l'interazione tra gli individui è importantissima, a dimostrazione di quanto non sia un'indagine individualista come quella dell'investigatore dilettante, tutt'al più coadiuvato da una "spalla", ed esprime un'aria di cameratismo che è il vero segreto del suo successo (pp. 10-14, 17-18, 25-26, 44-45, 77-79, 81, 86, 95-100, 144-145, 153-170, 207-210, 240-246, 268-270, 279-281); si manifesta grazie alle prove che riesce a portare alla luce, ma viene messa in pratica con un'astuzia e una certa faccia tosta che non possono essere imprigionate e catalogate. Gli stessi indizi, infine, si suddividono tra fisici (in realtà è la mancanza di alcune prove a mettere sull'avviso Charlton) e psicologici; anzi, direi che il fattore della psicologia gioca un ruolo di maggior rilievo, allo stesso modo che nei romanzi gialli di Christie. Insomma, nonostante sia inconfutabile il fatto che "Ipotesi per un Delitto" ricalchi un qualche modo quel tipo di mystery pragmatico che fece fortuna nei primi anni del Novecento, basato su aspetti molto tradizionali e incentrato su di un'indagine che vedeva protagonista la polizia al posto del segugio dilettante, secondo me è sbagliato catalogare senza indugio questo libro in tale definizione. Al suo interno c'è molto di più di quanto sembri: non solo abbastanza elementi per confutare in parte le critiche da esso rivolte, ma pure un'attenzione volta a trattare alcuni temi con particolare cognizione, come quello della pazzia e quello del matrimonio.

Rara immagine di Clifford Witting, nato nel
1907 e morto nel 1968, mentre è al lavoro

Proprio per questo motivo è un vero peccato che l'opera di Clifford Witting non sia conosciuta più di tanto e nemmeno tenuta in particolare considerazione. Della sua vita, come dicevo nell'introduzione, non si sa poi molto; forse anche per questo egli non è riuscito a conservare la fama che merita all'interno del genere e a veder perdurare la sua produzione nel tempo. Della sua biografia stringata, si sa che nacque nel 1907 nel distretto di Lewisham, a Londra, e che dopo gli studi all'Eltham College della città, tra il 1916 e il 1924, divenne impiegato alla Lloyd Bank, dove lavorò fino al 1942. Si sposò nel 1934 con Ellen Marjorie Steward, dalla quale ebbe una figlia di nome Clerk, e durante la Seconda Guerra Mondiale prestò servizio come sottufficiale d'artiglieria nei Royal Artillery and Ordinance Corps, da cui si congedò col grado di maresciallo. Prima di allora tuttavia, aveva già dato alle stampe alcuni romanzi gialli, a partire dal 1937 quando pubblicò "Murder in Blue", il quale vede un'indagine sulla morte di un poliziotto. Fin dal suo esordio, il personaggio principale delle sue storie fu l'ispettore Harry Charlton della polizia di Lulverton, un villaggio che si trova nei South Downs a poche miglia dalla costa inglese, assieme ai suoi assistenti: i sergenti Martin e Bardfield, quest'ultimo in seguito promosso a ispettore. Per il resto, sulla vita di Witting si sa che nel 1947 egli fu nominato direttore onorario dell'Old Elthamian, il giornale del suo vecchio college, e che entrò a far parte del Detection Club nel 1958, appena dieci anni prima della sua morte. Questa fu una delle tante stranezze che videro l'autore protagonista: come mai l'invito gli venne esteso soltanto così tanto tardi? E perché è così dimenticato, nonostante abbia dato vita a una produzione narrativa non indifferente? Per quel momento, infatti, aveva già pubblicato per l'editore Hodder & Stoughton ben dodici dei sedici mysteries che firmò a suo nome, i più importanti dei quali furono "Measure for Murder", "Subject: Murder", "Ipotesi per un Delitto", "A Bullet for Rhino" e "There Was a Crooked Man". Oltretutto, Witting ha ottenuto grandi elogi dai critici Barzun & Taylor nel loro "A Catalogue of Crime", al punto che la sua intera produzione è stata inserita in quella guida fondamentale alla letteratura del mistero e la sua abilità definita come debole in partenza, ma poi caratterizzata da una competenza sempre più alta; a dimostrazione di quanto egli avesse una spiccata capacità nel tratteggiare personaggi e situazioni, oltre a saper tenere alto l'interesse del lettore nei confronti del mistero. Anche il critico Nick Fuller ha espresso parole di stima per Witting: "La sua indagine è genuinamente avvincente, e il suo stile ironico anche se poche volte scherzoso. Lui poteva creare molte bene le ambientazioni, come quella dell'esercito in "Subject: Murder". I suoi libri hanno la genuina attrazione del giallo classico. Lui può mettere con abilità il lettore su una falsa pista ("Midsummer Murder") o inventare un genuinamente astuto e semplice metodo per uccidere ("Dead on Time"). Sperimentò con la forma: la vittima a sorpresa di "Measure for Murder" o, nonostante il resto sia debole, la maestria nell'orchestrare l'inverted story in "Michaelmas Goose". In breve, ha sempre offerto qualcosa al lettore e trovato originali idee all'interno delle convenzioni del giallo".

Eppure, come dicevo all'inizio, a parte questi pareri entusiasti e pochissime altre menzioni, l'autore è stato del tutto trascurato. Un vero peccato, se si pensa a quanto sia una buono "Ipotesi per un Delitto". Infatti, sebbene Witting non sia considerato come particolarmente brillante e la sua penna poco abile nell'avvolgere ogni cosa di mistero, da parte mia penso che i suoi siano romanzi gialli meritevoli tanto come polizieschi attinenti alla tradizione quanto come espressione di un genere in evoluzione. Nello specifico del libro di oggi, oltre agli aspetti di cui ho parlato sopra, trovo che le ambientazioni siano molto affascinanti, sappiano calare il lettore nelle vicende con pari calore e glaciale dramma in base alle necessità e costituiscano uno dei punti più alti dello stile dell'autore (pp. 12-15, 18, 28, 37, 67-71, 87, 89, 96-99, 110, 215, 230-233, 261-262, 273, 276, 279-280, 292-294). A questo proposito, mi è sembrato che la narrativa di Witting sia vicina a quella di Herbert Adams, giallista che spesso aggiunge una sorta di sottotrama suggestiva popolata di personaggi minori ma vividi, i quali tendono ad occupare la prima linea della scena mettendo sullo sfondo l'indagine; cosa che va bene solo se utilizzata a piccole dosi, e questo è il caso del romanzo che recensisco oggi, dove fascino e arguzia abbondano e contrastano la violenza (es. pp. 67-71 e 87-90). Molti temi vengono affrontati in modo interessante, dimostrando probabilmente quali fossero le idee dell'autore a riguardo. La pazzia, innanzitutto, vista come qualcosa che non è per niente facile da individuare: spesso la si fa facile, dicendo che chi è malato di mente ce l'ha scritto in faccia, ma in realtà questo tipo di disturbo si cela dietro a maschere all'apparenza quiete e tranquille. Dopotutto, i romanzi gialli e i fatti di cronaca ci insegnano ogni giorno quanto sia invece complicato scorgere i segni di un cervello disturbato; segni che si manifestano il più delle volte nelle piccole cose e nelle azioni che ognuno compie durante una giornata come tante (pp. 20-22, 42, 51-59, 63-65, 82-85, 111-117, 119-128, 159-160, 187-188, 199-200, 253, 259-260, 273-281, 286-289). La stessa scienza, altro punto importante all'interno di un mystery giocato sui fatti e sugli aspetti più pragmatici di un omicidio come "Ipotesi per un Delitto" (pp. 95, 98-100, 126-127, 129-131, 160-163, 168-169, 188-189, 194-195, 210-215, 305-307), può fallire nell'individuare qualcosa che non va in una persona con la mente instabile: a volte un ritardo può non sortire alcuna grave conseguenza, se il paziente manifesta piccole manie; ma se egli tende ad avere comportamenti ossessivi e ad assumere un comportamento violento, le cose possono cambiare in modo drastico. Insomma, c'è molto da fare prima di poter assicurare una diagnosi veritiera.

In secondo luogo, poi, abbiamo una curiosa tendenza da parte di Witting nel dipingere matrimoni che non funzionano per niente: non solo quello degli Harler, complici e nemici l'uno verso l'altra allo stesso tempo, ma anche quello dei genitori del piccolo John Campbell, quello della defunta Rosalie con l'infido Clement e quello tra Tom Blackmore e la sua (ex)compagna infedele (pp. 47-51, 62-63, 70, 81-83, 137-139, 216-217, 297-305). Forse questo aspetto, ripetuto più volte all'interno di uno stesso romanzo, può gettare la luce sulla relazione tra l'autore e sua moglie? Non avendo letto altro di suo, mi riservo di sospendere il giudizio; però è curioso come il rapporto tra uomo e donna sia dipinto in modo tanto negativo. Anche la presenza di un bambino come personaggio chiave della storia è una scelta compiuta da Witting che trova ben pochi altri riscontri all'interno del genere (pp. 28-33, 61-63, 71-76, 79, 116-117, 141-147, 200-203, 237-240, 253-259, 273-278). Ad esempio, a me viene in mente solo "È un Problema" di Agatha Christie, in cui una bambina viene sballottata di qua e di là da individui senza scrupoli, come lo stesso John, e gioca un ruolo di primo piano dentro un poliziesco. Per quanto riguarda gli altri protagonisti principali, invece, ci sono più o meno le solite figure, caratterizzate però a tutto tondo e soprattutto da un forte grado di repulsione. Soltanto John Campbell riesce a mantenere un atteggiamento di ingenuità e tenerezza pressoché per tutto il racconto (nonostante nutra fugaci pensieri letali contro Harler, quando quest'ultimo gli sequestra la pistola giocattolo); gli altri figurano come sgradevoli individui decisi ad accaparrarsi un vantaggio dalla situazione a Elmsdale (presentati soprattutto nella prima parte, oltre alle pp. 148-152, 171-179, 193-196, 216-224, 226-230, 247-250, 264). Al contrario, le figure secondarie come Bardfield, Martin, la signora Gulliver e la giovane Lily Higgins (rispettivamente cuoca e sguattera in casa Warringham) vengono dipinte come gradevoli persone, un po' ingenue ma proprio per questo lontane dai desideri e dalle passioni che divorano i signori aristocratici e snob, e ne decretano la rovina. Ecco, forse solo il dottor Stamford gioca un ruolo dalle apparenze negative tra le comparse; assieme a Gladys Harler, la quale purtroppo compie soltanto fugaci apparizioni e scompare nella seconda metà della storia (peccato, magari poteva interpretare un ruolo di maggior peso negli eventi).

Infine, vorrei spezzare una lancia a favore dell'enigma contenuto in "Ipotesi per un Delitto". Nonostante il fatto che, senza dubbio, al suo interno ci siano delle carenze (la cerchia di sospettati molto ristretta, il continuo spostamento delle luci della ribalta sui sospettati che porta a una graduale eliminazione degli stessi e una certa aridità nell'enunciazione, rispetto a quanto accade in altri romanzi gialli), non me la sento di bocciarlo in pieno. Una persona che conosco e che se ne intende di crime novels ha affermato che il mistero contenuto in questo libro non ha nulla di meno di uno di quelli che si trovano in un romanzo di Christie: forse l'affermazione è un po' eccessiva, ma a grandi linee sono d'accordo. In fondo, quello che richiede un buon mystery è una vicenda che sappia coinvolgere il lettore al punto da catturare la sua attenzione e riesca a mantenere alta la tensione e la curiosità fino alle ultime pagine. Ed io ho ritrovato proprio ciò in "Ipotesi per un Delitto". Qualche colpo di scena non è stato celato proprio benissimo, se si è accaniti divoratori di storie del mistero, ma tutto sommato la vicenda riserva più di una sorpresa per chiunque si appresti a leggerla. Il fair play, inoltre, viene rispettato fino a un certo punto, dal momento che è la mancanza di indizi che, in qualche modo, può suscitare nel lettore alcuni sospetti su chi sia il colpevole. Detto ciò, sento di potermi dire più che soddisfatto della lettura di "Ipotesi per un Delitto" e propenso a provare, nei prossimi mesi, l'altro romanzo di Witting che Polillo ha tradotto per il lettori italiani: "Il Canto di Natale". Ma adesso ho voglia di allontanarmi dall'indagine basata sulla routine della polizia e tornare a concentrarmi sulla figura dell'investigatore dilettante. Tornerò sulle imprese di Charlton quando avrò bisogno di un racconto ben costruito, gradevole e che mi riconcili che il giallo più classico.


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