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venerdì 29 gennaio 2021

60 - "Congelato" ("Frozen Death", 1934) di Anthony Weymouth

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Gli assidui lettori di Three-a-Penny (che mi auguro aumentino sempre di più perché la classica crime story merita di essere conosciuta e riconosciuta per il suo valore storico e sociale intrinseco) sanno bene che la missione che mi sono riproposto di intraprendere con questo mio spazio di condivisione comune, è quella di affrontare tale materia con grande puntiglio e tentando di mettere in risalto, soprattutto, ciò che di buono si può ricavare dalla lettura dei cosiddetti romanzi "gialli". In più di un caso, infatti, ho sottolineato il fatto che, nonostante un certo libro con una certa storia e contenente certi temi magari non sia quel capolavoro in anticipo sui tempi o quell'espressione straordinaria di innovazione che uno si aspetterebbe, d'altra parte resta comunque una lettura gradevole. Non si riconduce tutto a un elemento solo: esistono mysteries in cui l'enigma a volte non è all'altezza delle aspettative che uno si era fatto, ma sono significativi per l'atmosfera che evocano (vedasi "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon); altri dove proprio l'enigma gioca un ruolo talmente centrale da spostare tutta l'attenzione su di sé, lasciano scoperti e più superficiali il tratteggio dei personaggi oppure quello dell'ambientazione (penso a "Uno Dopo l'Altro" di A.G. Macdonell); altri ancora che fanno dello spessore psicologico degli attori sulla scena il fulcro della narrazione, sottolineando le correnti sotterranee che li legano l'uno all'altro e le loro reazioni di fronte ai fatti più disparati (come in "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy). Questo è uno dei motivi per cui, a mio parere, la narrativa del mistero è affascinante; perché può declinarsi in molteplici forme pur restando se stessa. E lo fa intrattenendo, divertendo, scacciano dalla nostra mente le tristezze e le ansie che di volta in volta possono piombarci addosso, quasi senza che noi ce ne rendiamo conto. Personalmente ho un grosso debito nei confronti del giallo, e non solo perché mi è stato di conforto quando ne avevo bisogno, ma pure perché proprio negli ultimi tempi mi ha permesso di avvicinarmi a persone stupende che mi vogliono bene. Detto ciò, tuttavia, sarebbe ipocrita e davvero sbagliato se cercassi di giustificare i palesi difetti di qualunque romanzo giallo. Come in tutto quanto, ogni tanto deve per forza esserci qualcosa capace di deluderci, in modo che noi possiamo mettere dei punti fermi quando facciamo un giudizio in positivo.

Sarebbe impossibile e poco veritiero asserire che non esistano titoli scadenti, ed è una cosa normalissima dire: "Questo non mi è piaciuto per questo motivo ecc...". Io stesso, pertanto, non mi sottraggo a una tale situazione. Tra i volumi che finora ho recensito, almeno in due casi sono stato molto deluso dai risultati a fine lettura (nonostante la mia innata natura mi abbia spinto a spendere qualche parola per rimediare alle stroncature che stavo scrivendo): in "Notti di Halloween" di Leo Bruce e in "Un Cadavere al Campo Due" di Glyn Carr. Il primo si è rivelato essere più concentrato sull'evocazione di una certa atmosfera di terrore e mistero, rispetto all'enigma, allo stile e al tratteggio dei personaggi: a parte il trucco con cui è stato commesso l'omicidio e alcune descrizioni che, avendolo letto ad Halloween, sono risultate azzeccate per calare il lettore all'interno della storia, non ho ricavato alcun altro piacere dalla sua lettura. Il secondo, al contrario, ha puntato ogni cosa nelle descrizioni del paesaggio del Nepal e del percorso intrapreso dai personaggi per raggiungere una delle vette dell'Everest. Su questo punto non c'è stato nulla da eccepire; tuttavia, l'enigma ha visto il proprio effettivo svolgimento in un arco temporale ridottissimo: ci sono state moltissime premesse, le quali hanno permesso a chi leggeva di farsi un'idea del carattere dei protagonisti, ma il delitto vero e proprio si è compiuto a tre capitoli dalla fine del libro! Troppo tardi per permettere un coinvolgimento totale in esso. Anche in questo caso, tuttavia, essendo stata una lettura avvenuta durante il primo duro lockdown, quando non ci era permesso di uscire di casa se non per emergenze gravi, il soffermarsi sul paesaggio si era rivelato in un certo senso una cosa buona. Col titolo che recensisco oggi, invece, cadiamo del tutto in una storia che mi ha profondamente deluso, senza alcun appello a cui aggrapparsi. Prima o poi doveva succedere, e questo triste evento è stato provocato da "Congelato" di Anthony Weymouth (Polillo Editore, 2016). Infatti, devo proprio ammettere che la trama, la sua trattazione, i personaggi e il mistero stesso non mi hanno soddisfatto per nulla: ogni cosa mi è sembrata dipinta con superficialità, come se stessi leggendo delle sciocchezze incapaci di estraniarmi dalla realtà. Forse questo fatto è stato esacerbato dal mio umore un po' tetro di questa settimana; eppure non sarei poi così sicuro che non sia stato Weymouth ad aver compiuto più di un passo falso nella costruzione della storia.

Burdens Farm with Melbury Beacon, Gilbert Spencer, 1943,
raffigurante uno scenario simile a Prentice Park
Mi è dispiaciuto ancora di più, nel dare questo giudizio negativo, per il fatto che le premesse non lasciavano assolutamente intendere come poi sarebbe stato il risultato. Tutto si apre con una scena d'effetto: in un gelido mattino invernale Jim Broad, guardiacaccia nella tenuta di Lord Prentice, si precipita alla porta di casa del suo padrone con una notizia sconvolgente. Lo stesso baronetto, infatti, è stato ritrovato lungo il vialetto che collega la strada principale con la villa, senza vita e mezzo sommerso dalla neve che sta cadendo con foga dal cielo. Henry, il cameriere rimasto di guardia nell'edificio (poiché il maggiordomo, la figlia di Prentice e alcuni nipoti si sono recati in soggiorno in Francia oppure a Londra per predisporre i preparativi di un futuro viaggio), non crede alle proprie orecchie: il suo padrone è un uomo molto anziano: perché mai sarebbe dovuto uscire durante la notte, sotto i fiocchi gelidi? Eppure, poco dopo il cadavere viene portato dentro casa da Broad e da Hobbs, il custode, e i fatti non lasciano dubbi: Lord Prentice è proprio morto. Congelato, a quanto pare, dal momento che non si notano ferite superficiali sul suo corpo, a parte un ematoma sopra l'occhio destro. Questo può significare che l'uomo è inciampato ed è caduto, tramortendosi una volta toccato il suolo e quindi morendo assiderato? Il responso dell'inchiesta sulla sua morte è proprio questo: un incidente. Peccato solo che i due medici, convocati per accertare il decesso di Prentice e poi ascoltati quali testimoni durante il processo, non siano del tutto convinti di questa teoria. In ballo ci sono troppi soldi, e troppi eredi che avrebbero potuto architettare un piano per ottenere quello che a loro parere gli sarebbe spettato. Abbiamo lo stesso Jim Broad, il quale appare genuinamente sconvolto dalla morte del padrone, ma da qualche tempo sta pensando di trasferirsi in un altro posto assieme alla moglie... e per farlo servirebbero libertà e denaro. Poi c'è il maggiore Charles Gavon, nipote di Lord Prentice che gode di una rendita ristretta e, nel caso volesse iniziare a costruirsi un avvenire, avrebbe potuto eliminare l'augusto parente. Lady Letitia Brocklebank, figlia del defunto, è una di quelle donne vittoriane che sarebbero capaci di tutto, sotto alla loro apparente aria di distinta signorilità: nessuno si stupirebbe più di tanto se estraesse un frustino per farlo schioccare sulla schiena di un servitore.

Al contrario, Mary Brocklebank appare così innocente da non suscitare alcun sospetto... se non fosse che il suo promesso sposo, suo cugino Martin, il quale è una testa calda, potrebbe averla indotta a diventare complice di un crimine terribile, sempre per ottenere un vantaggio economico dalla dipartita dello zio. Questi sono i principali sospettati del delitto (perché di questo si tratta), nonostante nella mente dei poliziotti che hanno seguito l'indagine sull'"incidente" del baronetto si sia affacciato il sospetto di un'intromissione di un gruppo di gitani, i quali per qualche tempo avevano sostato sulle terre di Prentice. Ma il sovrintendente McTurn non riesce ad accettare una spiegazione tanto semplice: qualcosa di molto più diabolico e losco deve essersi messo in moto, la sera in cui la vittima è stata uccisa. Così, di buona lena, la polizia inizia a muoversi con cautela all'interno della famiglia del defunto, sondando il terreno e iniziano a scoprire come piccoli segreti siano stati celati agli occhi della gente comune... Inoltre, cosa di grandissima importanza, McTurn viene a sapere che Lord Prentice assumeva una medicina che, se stimolata con dell'alcol, avrebbe potuto disperdere il proprio principio attivo nei tessuti del vecchio corpo e renderlo quasi inerme. Questo fatto può avere una qualche importanza nell'assassinio? Probabile. Però McTurn resta pur sempre un poliziotto di campagna, inadeguato a trattare un caso complesso come quello senza la guida di un individuo carismatico. Pertanto, viene convocata Scotland Yard nella persona dell'ispettore Treadgold, un individuo a dir poco eccentrico che ha l'abitudine di non stare mai fermo e di usare un linguaggio fin troppo diretto con i testimoni e i sospettati. Treadgold si mette subito a caccia di indizi, col suo fare brusco e originale, e ben presto si rende conto che tutto porta in una direzione ben precisa, verso un individuo in particolare... Sarà lui il colpevole? Oppure basterà che McTurn accenni a un fatto insignificante per fargli accendere la classica lampadina e puntare su di una pista che porta in una delle stanze della casa di Lord Prentice?

Piantina di Prentice Park
"Congelato", come ho avuto modo di dirvi, purtroppo si è rivelato essere una grossa delusione. Ci sono tante piccole cose che non vanno per il verso giusto, nel ricondurre a un risultato perlomeno soddisfacente, e la cosa mi rattrista molto. Davvero, ben poco si può salvare a mio parere. L'unica cosa che mi consola è che non sono l'unico a pensarla così. Certo, per correttezza bisogna dire che persone di mia conoscenza hanno letto il romanzo e si sono dette più che soddisfatte del risultato: sono stati sottolineati l'ambientazione suggestiva, la complessità del crimine, la figura senza dubbio eccentrica dell'investigatore protagonista, questo Treadgold che trova la propria cifra in un atteggiamento frenetico, instancabile e strambo. Per non parlare di chi ha elogiato lo stile e il fatto che nel finale vengano elencati gli indizi che hanno portato all'individuazione del colpevole, oppure una certa originalità nella trattazione della storia, nonostante essa resti calata in una cornice tradizionale. Ci sono elementi classici come una piantina, e lo scenario nevoso non è soltanto un abbellimento ma ha una funzione ben precisa nel piano dell'assassino (anche se, già qui, mi sento di bacchettare l'autore per il dare l'impressione di dimenticarsene ogni tanto...). Tutto molto bello, e può essere benissimo così: magari mi sono sbagliato oppure non ho colto del tutto l'essenza di "Congelato". Ma sapere qual è secondo me il più grosso problema di questo libro, quello che ha pregiudicato qualsiasi mio giudizio in appello? Il fatto che, semplicemente, questa storia ideata da Weymouth non ha anima. Niente, zero. Questa è una trama che fila, ma non mi ha detto nulla dall'inizio alla fine. Come se le parole fossero passate dentro la mia mente simili all'acqua limpida di un ruscello, priva di contenuti e di sostanza. Di conseguenza, ciò che ho ricavato dalla lettura di "Congelato" è stato qualcosa di estremamente sciocco e noioso. La stessa Dorothy L. Sayers, quando recensì questo titolo per il "Sunday Times", osservò che nonostante la storia sia stata descritta con grande cura e ci sia stato un tentativo di "introdurre un investigatore con trucchi stilistici nel parlato e nei modi", tutto sommato il contenuto non è stato all'altezza delle aspettative. Io stesso, siccome sto attraversando un periodo un po' nero, avevo avuto il dubbio che il problema potesse essere mio, e non del romanzo in sé; invece, con grande sorpresa, ho scoperto come la stessa Sayers abbia descritto la mia stessa sensazione. "Forse sono stata in un momento di indisposizione quando lo ho letto"... Sono quindi giunto alla conclusione che sia proprio "Congelato" ad avere un problema; come se il suo stesso titolo fosse diventato una sorta di emanazione fisica e avesse ghiacciato i fatti raccontati, rendendoli morti.

Di conseguenza a questo mio giudizio categorico, non poteva esserci speranza per il romanzo di Weymouth. Non ho apprezzato questa lettura e, francamente, ho fatto di tutto per riuscire a finirlo il più brevemente possibile. Il tutto è risultato come annacquato: l'ambientazione è stata tratteggiata in modo semplicistico, non c'è stata quella solida rappresentazione della realtà che di solito caratterizza la tradizionale crime story britannica, i personaggi sono apparsi poso approfonditi e odiosi con tutte le loro piccole manie oppure nella rappresentazione vetusta che di essi è stata data. Su una cosa posso dirmi d'accordo con quanto detto da chi ha apprezzato il romanzo: la costruzione dell'enigma è stata interessante. Fino a un certo punto mi è piaciuto come l'indagine sia stata portata avanti in una sorta di tandem ideale e mentale, con McTurn e Treadgold che si gettavano ognuno dietro una pista differente, per poi venire a convergere in un unico finale dove le prove raccolte da ognuno sono servite a completare le ipotesi e le teorie dell'altro per incastrare il colpevole. La pecca, in questo caso, è però stata da rilevare nell'atteggiamento di Treadgold, il quale è risultato fin troppo sopra le righe per poter essere accettato come un personaggio reale e non una macchietta da avanspettacolo. Pertanto, mi vedo già pronto a concludere questa mia analisi, dal momento che non trovo molti altri elementi da portare a sostegno di una qualsiasi redenzione di "Congelato": lo scenario non è stato affatto affascinante, a parte alcune descrizioni dei giardini e di Prentice Park; non è esistito il fair play per quanto riguarda la scoperta di come è stato compiuto l'omicidio, dal momento che il metodo è stato soltanto indicato da un fatto che per tutto il resto del caso è stato messo in luce una volta, e per questo la complessità dell'enigma è passata in secondo piano; lo stile è risultato più antico di quello di Richard Austin Freeman, il quale non sarà stato un campione in fatto di azione e scattante velocità nella narrazione, ma almeno è riuscito a imprimere una nota lirica e per questo immortale alle sue descrizioni. Lo stesso finale, per legarmi per un momento ancora all'enigma, non riesco ad elogiare: al posto della tradizionale riunione con i sospettati, i quali vengono messi in difficoltà dalle rivelazioni improvvise e scenografiche dell'investigatore di turno, troviamo una sorta di consiglio riservato della polizia in cui Treadgold snocciola uno dopo l'altro gli indizi che (a suo dire) avrebbero portato all'individuazione del colpevole; si perde tutta la tensione che si sarebbe accumulata in caso di svelamento classico. Per non parlare dei personaggi, talmente stereotipati nelle loro azioni da apparire come dei burattini imbalsamati o impagliati. Sono molto dispiaciuto di dover scrivere queste critiche, ma le ritengo tutte giuste fino all'ultima parola. Forse "Congelato" si è rivelato essere fin troppo classico, al punto da diventare qualcosa di piatto e, appunto, morto. Oppure ideato da un autore che, pur con tutte le buone intenzioni di dare vita a qualcosa di audace, non è stato all'altezza del compito prefisso.

Copertina dell'edizione originale di "Congelato"
Ivo Geikie Cobb, vero nome di Anthony Weymouth, non dovette aver goduto di una grandissima fama neppure tra i suoi contemporanei; e questo potrebbe essere indice del fatto che, forse, non ho avuto tutti i torti nello stroncare il suo romanzo. In ogni caso, egli nacque a Londra nel 1887. Sulla sua esistenza si conosce molto poco: si sa che fu un medico, che amava i mysteries (cosa abbastanza scontata, altrimenti non ne avrebbe scritti lui stesso) e che fu pure autore di numerosi testi di medicina. In tutto, nella sua carriera di giallista, produsse sette titoli: "Congelato", "The Doctors are Doubtful", "No, Sir Jeremy", "Hard Liver", "Delitto in Cornovaglia", "Tempt me Not" e "Inspector Treadgold Investigates". In ognuno di essi, protagonista è l'eccentrico e sopra le righe ispettore Treadgold di Scotland Yard, questo strano individuo che mi ha tanto irritato nel corso della lettura. Dopo il settimo romanzo giallo, Weymouth decise di dedicarsi completamente alla medicina, forse subodorando il poco gradimento dei suoi libri di narrativa e del suo personaggio, e morì nel 1953. Questo è quanto, riguardo la sua esistenza. È davvero poco, ma forse qualcosa di più si può ricavare dal contenuto dei suoi romanzi del mistero. Penso che Weymouth sia stato un personaggio di spicco all'interno dell'esercito, o che comunque avesse sviluppato una conoscenza approfondita della materia, dal momento che in "Congelato" vengono messi in luce spesso i comportamenti dei militari (maggiori, colonnelli e quant'altro) e tutto ciò che li riguarda da vicino. Inoltre, ho l'impressione che l'autore fosse un grande appassionato di storia: soltanto in questo titolo in particolare, vengono citati Napoleone, i Borgia e altre figure del passato, nonché la qualità delle biografie rispetto alla mera letteratura di intrattenimento e sullo sport. In terzo luogo, il carattere tecnico-meccanico dell'enigma lascia trasparire una certa mentalità analitica e logica in Weymouth, tipica di un dottore: non solo però dal punto di vista medico, con una grandissima attenzione data agli aspetti scientifici dell'assassino (basti pensare all'importanza conferita al medicinale di Lord Prentice e a tutte le possibili ipotesi che vengono fatte a riguardo, pp. 71-76, 110-112 211-212), ma pure da quello delle rilevazioni della polizia, con un'attenzione particolare a rilevamenti, interrogatori e inchieste.

Questi sono tutti temi che ci starebbero più che bene all'interno di un romanzi giallo classico, non lo nego. Tuttavia è il resto che, come abbiamo visto, non è all'altezza. Come se non bastasse quanto ho detto finora, ho notato un fastidioso razzismo emergere dai commenti dei personaggi contro i cosiddetti "zingari", sospettati di aver ammazzato Lord Prentice: i toni con cui vengono appellati, i sottintesi volti a gettare sospetti gratuiti nei loro confronti, e una certa sgradevole mediocrità antiquata nell'uso di parole che posso solo definire grezze mi hanno lasciato con l'amaro in bocca (pp. 36-39, 102, 152, 161). Ho letto tantissimi romanzi gialli classici, dove magari certi personaggi posso essere tacciati di razzismo, ma mai in modo palese come in questo caso. Ogni cosa è debole e superficiale, ma i personaggi e le loro personalità battono ogni cosa: il colonnello Arundell assomiglia a uno di quei militari bigotti e arretrati che di solito si prende in giro all'interno di questo tipo di libri; Mary Brocklebank e suo cugino Martin non hanno alcuno spessore psicologico e agiscono in qualche scena appena per poi scomparire; Lady Letitia viene raffigurata come una signora vittoriana sgradevole e antipatica; Jim Broad è un tizio grezzo che pare uscito da una stampa di caccia, col suo cappello con la coda alla Davy Crockett; sua moglie un'anima insulsa e priva di personalità; Charles Gavon uno snob della peggior specie. Gli unici a spiccare nel racconto sono, per ovvi motivi, McTurn e Treadgold, i poliziotti che indagano sul delitto di Lord Prentice. Eppure, entrambi appaiono poco simpatici al lettore. Weymouth ha compiuto l'esatto contrario di quanto di solito accade nella costruzione di un giallo: dovrebbero essere i sospetti a dare pepe alla storia, grazie ai reconditi segreti che nascondono nel proprio cuore, ai drammi, agli intrighi e alle recite che mettono in piedi per vivacizzare il racconto, mentre gli investigatori hanno il compito di dimostrarsi al di sopra di ogni cosa e di analizzare ciò che si verifica sotto i loro occhi con mente fredda. Invece, stavolta abbiamo personaggi fin troppo anonimi e detective che si agitano inutilmente sulla scena. Lo stesso Treadgold, in particolare, fa una figura ridicola nel guidare senza alcun ritegno la sua auto, come i pagliacci del circo, oppure nel fare osservazioni che spiazzano l'interlocutore e piantandolo in asso di punto in bianco (ad esempio pp. 62-68). E come se non bastasse, come ha sottolineato la stessa Sayers nella sua recensione, Treadgold si comporta in un modo che non sarebbe stato accettato nella realtà dei fatti: se soltanto il poliziotto avesse provato a sparire di punto in bianco davanti a un superiore mentre questi stava parlandogli, avrebbe come minimo subìto un richiamo ufficiale, se non di peggio. Pertanto, in aggiunta agli altri difetti, Weymouth ha avuto la sfortuna di dipingere un investigatore che non avrebbe mai potuto trovare riscontro nella realtà, dando in questo modo un'aura ancor meno solida alla sua storia. Nell'atteggiamento frenetico, instancabile e strambo di Treadgold troviamo l'essenza di "Congelato": un romanzo giallo che non ha anima, una personalità ben definita, alcuna misura nel restituire al lettore un degno esempio di mystery classico. Forse, con un po' più di esperienza e di attenzione per la vera essenza della gente comune, sarebbe riuscito a dare vita a un libro più solido e valido. Peccato, così non è stato.

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