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venerdì 1 gennaio 2021

57 - "Omicidio a Capodanno" ("Dancing Death", 1931) di Christopher Bush

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Se oggi, primo giorno del 2021, guardo indietro all'anno appena finito, posso dire di essere tutto sommato soddisfatto di ciò che mi è stato riservato. Il ché non è certo qualcosa di scontato, visto quante cose poco piacevoli sono successe a tutti noi! Infatti, una pandemia mondiale sottintende come la situazione sia stata prevalentemente frustrante e dolorosa, con tutte le sofferenze che abbiamo patito e le negazioni a cui ci siano dovuti sottoporre e attenere. In tanti abbiamo dovuto convivere con l'idea che alcune persone che ci stavano a cuore non ci sono più, che ci saremmo meritati di trascorrere le giornate a organizzare cose che poi non siamo riusciti a fare, e che in sintesi abbiamo buttato un anno intero della nostra vita. Io stesso, ho vissuto parte del 2020 con l'angoscia nel cuore e con una grossa tristezza. Però mi ritengo fortunato ad essere ancora qua e ad aver raggiunto alcuni obiettivi che mi prefiggevo da tempo. Ho fatto nuove amicizie attraverso il web, cosa che non avrei ritenuto possibile fino ai primi mesi dell'anno: infatti, la mia timidezza cronica e il mio costante senso di essere di troppo mi hanno sempre limitato molto in questo senso. Eppure, ci sono riuscito. Inoltre, cosa non da meno, sono riuscito a dare una certa impronta a Three-a-Penny, scrivendo con costanza e facendo del mio meglio per presentare recensioni e quant'altro abbia a che fare con la classica crime story. Insomma, come dicevo, sono soddisfatto di come sono andate le cose. Adesso, ovviamente, la sfida è riuscire a tenere il ritmo e a continuare su questa strada, per fare in modo di migliorare dove ce n'è bisogno ed essere costante nella pubblicazione di post settimanali. Inoltre, ci sarà una novità a partire proprio da questo inizio dell'anno: l'apertura di un profilo Twitter dedicato interamente al blog, dove posterò le recensioni pubblicate senza per forza usare quello mio personale, e nel quale lascerò qualche messaggio ogni tanto per celebrare ricorrenze e per alcuni avvisi. Se entro la fine del 2021 l'esperimento darà buoni frutti in quanto a visualizzazioni e a popolarità, potrei prendere in considerazione l'idea di sbarcare su altre piattaforme; ma adesso è presto per fare congetture. In ogni caso, questa riflessione esula dall'oggetto della recensione di oggi, 1 gennaio 2021.

Una data particolare, non è vero? Come la settimana scorsa la recensione di "La Mattina del 25 Dicembre" è caduta proprio nel giorno di Natale, quella di oggi viene pubblicata il primo giorno dell'anno. Così, mi sono chiesto se non fosse il caso di scegliere un titolo in particolare per celebrare questa ricorrenza. Sarebbe andato bene qualunque cosa che avesse a che fare con l'inverno, per restare in tema con la stagione in cui siamo entrati da qualche giorno. Meglio ancora, se avesse avuto qualche riferimento a qualche tipo di celebrazione festiva, sarebbe stato perfetto. D'altro canto, non volevo essere troppo prevedibile con qualche titolo semplicemente e puramente natalizio, peggio ancora se inflazionato. Niente Christie, né Sayers, né Berkeley. Volevo puntare a un autore che magari non fosse poi così famoso, al di fuori della cerchia degli appassionati del tradizionale romanzo giallo; ma allo stesso tempo andare sul sicuro e scegliere un libro che mi facesse partire col piede giusto il nuovo anno. Inoltre, doveva essere un titolo che voi tutti poteste procurarvi con una certa facilità; non un Classico del Giallo Mondadori pubblicato negli anni 80' e misconosciuto. Così, ancora una volta, ho puntato ai Bassotti Polillo e, scorrendo la lista dei titoli pubblicati, mi sono imbattuto in "Omicidio a Capodanno" di Christopher Bush (Polillo Editore, 2009). Qui devo fare una piccola premessa. Sia questo mystery, sia "Una Buona Tazza di Tè", li avevo già letti ormai diversi anni fa, quando proprio il secondo era stato inserito nella lista dei Gialli Anglosassoni dal Corriere della Sera. E avevo un vago ricordo che entrambi fossero stati delle letture piacevoli, nonostante ricordassi molto poco al loro riguardo. Questo poteva significare soltanto due cose: o mi ero dedicato alla lettura con una certa leggerezza, senza concentrarmi a cogliere le sfumature della trama, oppure si trattava di storie caratterizzate da elementi poco incisivi e quasi noiose. Inoltre, ricordavo che Bush è stato criticato molte volte proprio per il suo essere tecnico e conformista. Quindi, correvo un bel rischio nel caso avessi voluto leggerlo. Che fare? Alla fine, ha prevalso la mia convinzione che qualunque libro deve avere un lato buono e ho deciso di buttarmi, tra scenari innevati, furti efferati, personaggi con caratteri forti e decisi, delitti al buio e strani indizi incomprensibili, nella storia di "Omicidio a Capodanno". Poche volte mi sono imbattuto in un enigma così articolato e denso, dove i fatti si accumulano l'uno sull'altro fino a dare vita a un caso in cui ogni più piccolo dettaglio influisce sul risultato finale e sulla scoperta della Verità.

Arbirlot Mill, near Arbroath, James McIntosh Patrick, 1959,
raffigurante un gruppo di case simile a Little Levington Hall
e le sue appendici
La trama stessa del romanzo è complessa e impossibile da tratteggiare, senza rivelare troppe cose dell'indagine. Però farò uno sforzo per presentarvela al meglio, iniziando dalla particolare introduzione alla storia. In essa, infatti, il protagonista Ludovic Travers, un giovanotto che divide il proprio tempo tra la direzione di una società pubblicitaria e il fare il segugio dilettante in aiuto di Scotland Yard, viene sollecitato da un amico a narrare il caso Levington, dando al lettore alcune informazioni essenziali per la risoluzione dello stesso. Travers, di conseguenza, descrive in quattro punti alcuni brani all'apparenza slegati tra loro: le lamentele di un ispettore in pensione riguardo le inesattezze nei romanzi polizieschi, l'origliare una conversazione intima da parte di un investigatore privato, uno scambio di battute tra il romanziere Denis Fewne e il suo ospite, l'illustre scienziato Martin Braishe, e un brevissimo estratto della Bibbia sull'episodio di Uria l'ittita. Da questo punto in poi, seguiamo il caso Levington dall'inizio, quando un nutrito gruppo di persone si sta dirigendo verso la sontuosa magione di Braishe, per festeggiare il Capodanno in compagnia ed allegria. Il padrone di casa, con il supporto della cognata Brenda Fewne, ha inoltre organizzato un ballo in maschera al quale parteciperanno una quarantina di persone. Ascoltiamo i discorsi di parte di questa gente come se stessimo origliando dal buco della serratura, tra innocui battibecchi e curiosi scambi di opinioni, e già immaginiamo come la situazione a Little Levington Hall sarà movimentata. Tuttavia, accade un imprevisto: proprio nell'ultima sera dell'anno si scatena una bufera di neve, la quale costringe la maggior parte degli ospiti della festa a rincasare in tutta fretta per non rischiare di finire bloccati con le loro auto. In sintesi, restano alla festa i coniugi Paradine, medico con moglie combattiva la fianco; i giovani Fewne, il romanziere Denis con la moglie Brenda; lo scapolo Tommy Wildernesse, che fa la corte all'attrice teatrale e sorella di Brenda, Mirabel Quest; il disinibito Wyndham Challis, drammaturgo; lo stesso Braishe e, a concludere, Ludovic Travers assieme a un misterioso amico di nome Franklin.

Questi ultimi si ritrovano ospiti non a causa di conoscenze dirette con altri invitati, ma piuttosto per una questione di affari che riguarda un nuovo gas prodotto dalla fabbrica di Braishe e che, nonostante le sue qualità potenzialmente letali se spruzzato nell'aria senza alcuna diluizione, potrebbe fare la differenza nella cura di alcune malattie africane; per questo, il Ministero dell'Agricoltura ha inviato George Paradine e Travers a sondare il terreno, affiancati da un funzionario investigativo come Franklin. Alla fine della festa, tuttavia, iniziano i guai. Prima la neve cade copiosa e, come temuto, isola la casa di Braishe dal mondo esterno; poi la luce va via improvvisamente, proprio mentre tutti quanti stanno per coricarsi. All'apparenza sembra che non ci sia alcun danno, soltanto un bontempone che ha deciso di tagliare i fili del contatore per fare uno scherzo. Al mattino seguente, tuttavia, il risveglio è ben più amaro di quanto chiunque si aspettasse: innanzitutto, quasi tutti gli abitanti di Little Levington Hall hanno subìto un furto; ma nella camera di Mirabel Quest giace addirittura il suo stesso cadavere! L'arrivo di un ospite inatteso, tale Crashaw, il quale è stato sorpreso dalla neve e ha raggiunto la casa per trovare riparo, contribuisce a ingarbugliare una situazione già di per sé complicata; senza contare che il telefono è stato letteralmente divelto dal suo alloggio e un sifone del mortale gas di Braishe è stato trafugato dalla cassaforte. Lontani dal resto della civiltà, gli ospiti decidono di fare gruppo e di tentare di imbastire un'inchiesta, atta a risolvere i crimini perpetrati nella notte; pertanto, Franklin si avventura nella tempesta per avvertire Scotland Yard, mentre Travers inizia a sondare il terreno alla ricerca di indizi che possano risolvere la spiacevole faccenda. Non sa ancora che, nella pagoda poco distante dalla casa, giace un altro cadavere: quello di Denis Fewne, il quale nei giorni passati si era comportato in modo strano, compiendo viaggi in città con destinazioni ignote oppure eccentriche... Mentre attende l'arrivo della polizia, Travers si butta a capofitto nel complesso caso di pluriomicidio con furto, interrogando gli altri ospiti e analizzando tutti gli indizi che l'assassino (o gli assassini?) si è lasciato alle spalle: quello che intende scoprire, infatti, è se il responsabile sia qualcuno dei suoi compagni di prigionia. Sarà così? Lo scoprirà soltanto dopo numerose elucubrazioni e più di un dubbio.

Piantina del primo piano di Little Levington Hall
I fatti qui riassunti probabilmente non riescono a ritrarre appieno il potenziale che si nasconde in "Omicidio a Capodanno", ma fatemi dire subito che Christopher Bush, assieme a Clifford Witting e ad A.G. Macdonell, è stato la mia scoperta di questo sciagurato 2020. O meglio, riscoperta visto che avevo già letto questo romanzo e "Una Buona Tazza di Tè". Perché, nonostante questi titoli siano indubbiamente caratterizzati a un certo pragmatismo a discapito della tanto celebrata psicologia (molto spesso a ragione), non sono stati affatto male. E penso che, dei tre sopra citati, il mystery di Bush sia stato il migliore sotto diversi aspetti. Non capisco le aspre e innumerevoli critiche che sono state rivolte alla sua opera nel corso degli anni. O meglio, fino a un certo punto è comprensibile che qualcuno sia rimasto deluso dal suo modo di scrivere: ci sono alcuni punti della trama e della struttura narrativa che potrebbero essere migliorati, per raggiungere uno stato di capolavoro come alcuni romanzi gialli di autori più celebrati e conosciuti, questo non lo metto in dubbio. Ad esempio, prendendo proprio "Omicidio a Capodanno", avrei da ridire riguardo il modo in cui il finale è stato delineato. Badate bene, il modo in cui l'autore ce lo ha presentato, e non il finale stesso; questo, infatti, è stato sufficientemente sorprendente per essere contenuto in un libro del mistero degli anni '30. Inoltre, c'è qualcosa che non funziona del tutto nel modo in cui Bush ha deciso di impostare l'indagine, puntando moltissimo sul lato materialistico del caso e dando meno risalto alla psicologia. Forse è questa la cosa che ha più irritato i lettori: le riflessioni sui caratteri e sui contrasti scatenati dalle emozioni non sono cambiate nel corso dei decenni e sono rimaste immutate, mentre l'indagine pragmatica, per alcuni, ormai appare fin troppo antica per poter essere presa sul serio. Detto questo, tuttavia, non ho percepito chissà quali disastri. Ritengo si tratti, in fondo, di una questione di gusti che si adattano a un certo tipo di lettori, piuttosto che a un altro. Questa sorte, infatti, è toccata ad altri colleghi dell'autore, i cosiddetti scrittori humdrum del quale già in passato vi avevo parlato. Essi hanno avuto un approccio alla letteratura del mistero che non si è focalizzato sull'analisi della psicologia e della sfera immateriale degli indizi, come ad esempio hanno fatto Christie, Sayers e Berkeley; ma su un metodo d'indagine che dà il suo meglio quando viene messo alla prova attraverso analisi chimiche, rilevamenti sulla scena del delitto e raccolta di prove materiali che possano convincere una giuria della colpevolezza dell'accusato. Christopher Bush, alla pari di John Rhode, Freeman Wills Crofts e Henry Wade, non si è impegnato a tessere trame in cui vengono sondate le passioni ed esternate quelle famose correnti sotterranee che tanto animano di solito un libro del mistero; ma al contrario è come tornato alla scuola di Sherlock Holmes e l'ha interpretata in una chiave che si adattasse al tempo in cui scrisse. E per questo, a mio parere, è stato (ed è tuttora) molto meno considerato di coloro i quali hanno dedicato le proprie energie a dare vita a gialli psicologici.

Piantina del giardino di Little Levington Hall
Diciamo che, rispetto a questi ultimi, i mysteries degli humdrum hanno uno sviluppo meno allettante per un tipico lettore dei nostri giorni, abituato al thriller contemporaneo dove ogni cosa viene ormai spiegata attraverso complicati discorsi sulla mente del criminale e sugli impulsi selvaggi che la governano. Appare quanto meno barbosa l'idea di dover impiegare energie mentali per risolvere enigmi simili a cruciverba. Si è persa la voglia di seguire i ragionamenti "razionali" degli investigatori e della polizia, cioè basati su un percorso che possa essere seguito da chiunque lo desideri, già in libri celebri come quelli di Christie; figurarsi in titoli di autori meno conosciuti! Quindi, come dicevo sopra, comprendo il presupposto da cui parte chi critica questi autori. Però ciò non vuol dire che la loro opera sia da buttare perché scarsa e noiosa. Anzi, spesso a mio parere si può rivelare come la cosa più capace di intrattenere del mondo. Quando uno voleva distrarsi da qualche pensiero desolante, leggere uno di questi gialli era la cosa giusta da fare, dal momento che ti "costringeva" ad applicare le cellule grigie per battere sul tempo l'investigatore di turno e scacciava il focus dalle cose tristi. Inoltre, non è affatto semplice dare vita a questo tipo di mystery, poiché non si può fare affidamento su teorie campate su studi psicologici che, a seconda del bisogno, si possono adattare: qua contano nientemeno che i Fatti nudi e crudi, senza via di scampo. Per cui, io personalmente tendo sempre a trattare con un certo riguardo questo genere di libri. E lo stesso dovette decidere di fare Dorothy L. Sayers, la quale affermò proprio riguardo l'opera di Bush: "[essa è] sempre fatta a regola d'arte e piacevole da leggere". Cosa che può essere pure una critica, dal momento che implica una costruzione fin troppo rigida, ma tutto sommato più un complimento. Anche PuzzleDoctor, nel suo blog, ha considerato Bush come "uno scrittore che sta a metà strada tra John Dickson Carr e Freeman Wills Crofts", consigliando la lettura dei suoi libri e questo "Omicidio a Capodanno". Condivido questo giudizio, dal momento che il libro: presenta una suddivisione specifica in Introduzione, Problema e Soluzione; ha un impianto dove si intersecano numerosi fili rossi e false piste; presenta una serie lunghissima di indizi materiali e prove da rilevare; mette in scena più di un delitto impossibile, spaziando dal classico omicidio nella camera isolata (basti pensare a quanto la morte di Denis Fewne assomigli a quella di Fergus O'Brien in "Quando l'Amore Uccide" di Nicholas Blake e a quella di Marzia Tait in "Assassinio nell'Abbazia" di Carter Dickson) a quello commesso al buio, quando tutti i sospettati sembrano avere un alibi inattaccabile. Lo stesso soffermarsi sulla faccenda dell'alibi perfetto implica una certa pragmaticità nel metodo di creazione delle trame di Bush: non contano tanto i risvolti caratteriali e gli istinti puri, quanto la pianificazione dettagliata di un piano criminoso. Inoltre, ci sono un sacco di altri elementi legati all'ambientazione, allo stile, ai personaggi e all'atmosfera generale che si respira durante la lettura di "Omicidio a Capodanno" che hanno forti legami con questa sentita tradizione del "giallo ad enigma" più pragmatico e materialista. E nonostante questo, tuttavia, è presente una vena di terrore tanto sottile quanto persistente, la quale attraversa la storia nel suo complesso e avvicina i fatti accaduti a quelli che potrebbe narrare il Maestro del Delitto della Camera Chiusa: il senso di claustrofobia generato dall'impossibilità di mettersi in contatto col mondo esterno, l'essere in balìa di un assassino che potrebbe colpire in qualsiasi momento, il ritrovamento di cadaveri immortalati in pose orrende e spaventose o in situazioni tragicomiche che fanno venire la pelle d'oca: tutto ciò fa una certa impressione in chi legge, generando tensione e catturando l'attenzione. Insomma, per quanto mi riguarda "Omicidio a Capodanno" è una perfetta commistione di due modi di scrivere assolutamente agli antipodi, come quello tecnico di Crofts e quello evocativo di Carr, quello tradizionale e quello moderno.

Charlie Christmas Bush, alias
Christopher Bush, nato nel 1885
e morto nel 1973
E pensare che, come dicevo, Charlie Christmas Bush (questo è il vero nome dell'autore) non viene quasi mai menzionato tra gli autori più in vista della Golden Age. Nato in East Anglia nel giorno di Natale del 1885 (questo spiega il motivo del suo particolare secondo nome), egli crebbe in una famiglia di quaccheri che si era stabilita nel Norfolk 400 anni prima e che, tra l'altro, lo aveva adottato dal momento che lui era un illegittimo. Provetto bracconiere come il padre adottivo, il quale gli aveva insegnato a sfruttare tutte le possibilità a disposizione per poter sfamare la propria famiglia, ben presto riuscì a dimostrarsi tanto bravo a scuola da ottenere una borsa di studio, la quale gli permise di diventare insegnante. Prima di allora, tuttavia, non appena aveva preso il diploma, Bush si era sposato. Prima e dopo la guerra, dove ottenne il rango di maggiore, l'autore insegnò come maestro di scuola, ma intrattenne pure una relazione con una sua collega di nome Winifred Chart, la quale ben presto, nel 1920, gli confessò di aspettare un figlio suo. Tuttavia, Bush non volle mai avere nulla a che fare col bambino; e neppure dopo la morte della donna egli volle mai riconoscere come suo il giovane Geoffrey, il quale divenne un noto musicista e un appassionato di romanzo giallo (al punto da scrivere una parodia su Lord Peter Wimsey e partecipare a una storia di Edmund Crispin, altro faro del mystery britannico della Golden Age). Più che alla scuola, in ogni caso, Bush sentiva che il suo destino era legato alla scrittura; così si gettò in questa impresa e, nel 1926, diede alle stampe il suo primo romanzo giallo, "The Plumley Inheritance". Fu però con la sua seconda opera, secondo alcuni la più riuscita, che l'autore riuscì a occupare un posto di primo piano all'interno del genere: "The Perfect Murder Case" si rifà infatti al sottogenere del serial killing e alla vicenda di Jack lo Squartatore, dal momento che la sua trama ruota attorno all'invio di alcune lettere minatorie alla polizia, nelle quali un misterioso Marius minaccia di compiere numerosi delitti se le forze dell'ordine non riusciranno ad impedirglielo. Ad indagare, in questo giallo dedito al fair play, sono alcuni poliziotti affiancati da un investigatore assicurativo di nome Franklin (lo stesso comparso in "Omicidio a Capodanno") e da un giovanotto che si occupa di investimenti, chiamato Ludovic Travers.

Costui è un personaggio che collabora con Scotland Yard, timido, metodico, riservato e diffidente; forse poco caratterizzato, se non per un paio di occhiali cerchiati di corno e definiti "mostruosi". Però bisogna ammettere che riesce a catturare l'attenzione grazie al suo lucido raziocinio, che gli permette di scovare le falle negli alibi dei sospettati in cui si imbatte. Proprio su questo fulcro si snodano le trame dei numerosissimi (più di 60) romanzi del mistero di Bush, i quali sono stati spesso chiamati seguendo la formula del "The Case of the..." e risentono dei trascorsi del loro autore: tra gli altri temi, essi trattano del servizio militare durante la prima e la seconda guerra mondiale, e della sua esperienza come insegnante. I migliori, comunque, sono quelli scritti negli anni '30, come "Cut Throat" del 1932, "The Case of the 100% Alibi" del 1934, "Una Buona Tazza di Tè" del 1934, oltre a questo "Omicidio a Capodanno". L'ultimo, invece, uscì nel 1968, quarantadue anni dopo il suo esordio e cinque prima della sua morte, avvenuta nel 1973. Sul libro recensito in questa sede, oltre a quello di cui vi ho già parlato, si può aggiungere qualche altra informazione, per farvi capire come non sia da lasciarsi scappare. Ad esempio, il tratteggio dell'ambientazione risalta per chiarezza e accuratezza, dal momento che Bush si impegna a descrivere i luoghi e gli scenari così da permettere al lettore di farsi un'idea precisa; inoltre, come ulteriore aiuto, a chi legge vengono fornite addirittura un paio di planimetrie per orientarsi meglio nella lettura: una del primo piano di Little Levington Hall e una del giardino, con tanto di pagoda e sentieri (pp. 33, 36, 41, 48-49, 60, 63, 69, 71, 85, 89-90, 93-95, 98, 107, 165, 182, 217). Lo stile è indubbiamente lento e solido, simile a quello impiegato da Richard Austin Freeman, ma in questo caso non troviamo tantissime digressioni a distrarci dall'indagine, e la lettura non risulta tutto sommato pesante grazie a brevi accenni "romantici", come i riferimenti alla neve che continua a cadere senza sosta, ad alcune citazioni di Travers e poco altro. Questa liricità e poesia che ammorbidisce il piglio pragmatico dell'autore, comunque, mette in luce come Bush sia stato un insegnante esperto nell'uso delle parole e probabilmente amasse molto il teatro. I personaggi, in seguito, sono credibili e ben descritti, nonostante in qualche caso Bush non sia riuscito a dare loro molta vivacità (penso ad esempio a Brenda, la quale resta una figura marginale, fin troppo idealizzata ed estranea alla vicenda, per gran parte della storia). Mi è piaciuto come lui abbia caratterizzato Celia e George Paradine, l'una simile a quelle signore dell'alta società un po' bisbetiche e quasi troppo sicure di sé, quindi molto divertenti, e l'altro come un dottore "vero", padrone di sé nel momento in cui sono necessarie le sue doti mediche ma allo stesso tempo simpatico e leale. Tommy Wildernesse è un giovanotto gradevole, così come Challis si rivela un mascalzone goffo e impacciato. Crashaw si è rivelato una piacevole sorpresa, con il suo misterioso arrivo e la sua professione di insegnante (anche qui, un probabile cenno autobiografico dell'autore, pp. 51-53, 61, 66, 85-87, 124, cap. 23). La parte del leone, tuttavia, è occupata dal terzetto Mirabel-Braishe-Denis Fewne, i quali sono più al centro della storia per motivi abbastanza ovvi (dopotutto, essendo i delitti ambientati nella sua casa, Martin si trova spesso coinvolto nel fattacci che si verificano).

Lo scarabocchio di Denis Fewne, trovato da Travers nella
pagoda di Little Levington Hall dopo l'omicidio
Oltre a loro, però, è ovviamente Travers che gioca un ruolo di primo piano nelle vicende, dal momento che è colui il quale praticamente risolve il caso. Certo, ci sono pure Wharton e Franklin (che non vengono qui ritratti come i soliti poliziotti un po' tonti e duri di comprendonio che spesso popolano la classica letteratura del mistero), ma il giovane direttore della Durangos si trova sul posto ad indagare ben prima che gli altri due suoi compagni riescano a farsi un'idea di cosa sia accaduto a Little Levington Hall. E nonostante non sia poi così originale e avvincente il suo modo di fare, ho trovato che Travers sia un individuo intrigante, che ho voglia di conoscere di più. Trovo interessante inoltre che egli agisca come consulente della polizia, allo stesso modo di Maud Silver di Patricia Wenthorth e Reggie Fortune di H.C. Bailey. Mi ha convinto il suo metodo di approccio al delitto, così poco sicuro di sé e cauto: credo che nella vita reale sia così che chiunque si sentirebbe. Come le sue continue riflessioni. In ogni caso, come dicevo, i protagonisti sono sufficientemente tratteggiati, anche se forse Bush avrebbe fatto più colpo se si fosse sforzato un po' di più (che sia per questo motivo che lui, come gli altri suoi colleghi humdrum, non sia riuscito a resistere alla prova del tempo come Sayers, Christie e co.?). "Omicidio a Capodanno" è stato interessante anche per l'ampio spettro di temi di cui ha trattato, dalla critica letteraria allo spettacolo teatrale, dagli affari alla scienza (pp. 20-22, 49, 53, 82-83, 89-91, 143-147, 163, 203-204): essi hanno riflesso i tempi in cui il libro è stato scritto, gettando luce in funzione della soluzione finale, pur infondendo un pizzico di modernità in fatto di giustizia e ironia della sorte (gli ultimi cinque capitoli del racconto mi hanno ricordato ciò che avrebbe creato Nicholas Blake in "Quando l'Amore Uccide", declinandolo alla psicologia pura). L'atmosfera generale del romanzo, con un certo senso della teatralità e della tecnica, mi ha convinto, pur non venendo meno a suscitare un certo terrore e aura di mistero; nel racconto, la parte principale è occupata dall'enigma, incentrato in un misto di razionalità e irrazionalità, di terrore e metodo, dove tuttavia non mancano le riflessioni (pp. 33-34, 36-37, 40-42, 54, 60, 63, 89-95, 102, 106-107, 127, 137-138). Proprio il mistero è il fulcro di ogni cosa: complesso, insolito nelle modalità di uccisione e nell'intreccio di personalità e prove che si sostengono le une con le altre, costituisce il motivo per cui "Omicidio a Capodanno" dovrebbe essere conosciuto e celebrato. Spesso i giallisti danno vita a enigmi talmente astrusi che, alla fine, il lettore si ritrova a chiedersi come sia stato possibile che l'investigatore sia giunto alla conclusione esatta; ecco, in questo caso Bush spazza via ogni dubbio grazie alle innumerevoli prove ed indizi che riesce a spargere tra le righe. Abbiamo una riproduzione grafica di un messaggio scarabocchiato, palloncini bucati, un manoscritto incompiuto, un pugnale, un telefono divelto, una lampada, orme, un pennino, abiti, un biglietto, un sifone, alcune banconote... Chi ne ha, più ne metta. E tutto ciò è funzionale al raggiungimento della verità. L'unico inconveniente di questa trama complessa, in cui gli ingranaggi si muovono perfettamente per permettere all'investigatore di scoprire l'assassino, dove il fair play viene largamente rispettato, le domande non vengono fatte a caso, la soluzione è tanto semplice quanto sorprendente nonostante l'assassino sia intuibile, e sarebbe stato possibile sviluppare ogni delitto in una storia a sé, è forse costituito dal finale un po' affrettato e dal fatto che l'omicida non venga svelato proprio alla fine. Ma sono disposto a perdonare questa piccola manchevolezza, di fronte a tutto il resto. Bush fa un lavoro ammirevole nel riportare l'ordine nel caos e a separare ciò che serve da ciò che invece è superfluo, e con "Omicidio a Capodanno" riesce a creare un romanzo giallo molto piacevole e coinvolgente, oltre che intelligente e tutto sommato soddisfacente. Il critico Curtis Evans lo ha definito "una sorta di tour de force" della Golden Age, e io mi sento di concordare assolutamente col suo giudizio. Gloria a Christopher Bush, e a presto per una nuova lettura di un suo mystery.

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