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venerdì 11 dicembre 2020

54 - "Morte a Linwood Court" ("Keeps Death his Court", 1946) di Mary Durham

Copertina dell'edizione pubblicata da
Lindau Edizioni
Da alcuni anni ho intrapreso una sorta di tradizione: trascorrere tutto il periodo delle feste di Natale leggendo romanzi gialli a tema, proprio come si potrebbe fare in estate con i mysteries ambientati sulle spiagge e in vacanza. Innanzitutto, perché in questo modo riesco ad entrare meglio nello spirito giusto; ma anche perché in fondo mi piacciono molto i romanzi del mistero dove i delitti e i crimini avvengono in scenari nevosi e in occasioni che dovrebbero essere di pura gioia (ma spesso non lo sono). Il contrasto tra il calore all'interno di salotti illuminati da vivaci fiamme nei caminetti, camere avvolte dalla penombra e ritrovi tra amici e conoscenti, con il gelo che si respira dietro ai vetri appannati delle finestre, le bufere impetuose che scuotono le tegole sui tetti dei cottage e le impetuose correnti sotterranee di passioni, odi e gelosie, è forse quanto di meglio possa chiedere all'interno di un giallo scritto e ideato come si deve. E tutto ciò lo ritrovo più spesso nel "Christmas Murder Mystery". Pertanto, è sottinteso che io faccia di tutto per accaparrarmi qualsiasi titolo abbia a che fare con il Natale e ciò che ne consegue. All'inizio, a sostenermi ed aiutarmi in questa sorta di ricerca selettiva, è stato Polillo coi suoi Bassotti. Proprio in occasione delle feste, infatti, questo editore era solito pubblicare raccolte di racconti a tema (prima) oppure romanzi ambientati verso la fine dell'anno e l'inizio di quello seguente (poi). Penso, ad esempio, a "Delitti di Natale" e "Altri Delitti di Natale", i quali contengono stupende storie brevi degli autori più disparati e meritevoli; oppure a "Il Canto di Natale" di Clifford Witting, "Non si Uccide Prima di Natale" di Jack Iams, "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon, "Omicidio a Capodanno" di Christopher Bush, "La Mattina del 25 Dicembre" di C.H.B. Kitchin, "Sangue sulla Neve" di Hilda Lawrence, "Congelato" di Anthony Weymouth e "Asso di Quadri - Asso di Cuori" di Edgar Wallace. Tutti questi titoli (e probabilmente me ne è scappato qualcuno) sono stati portati in Italia e tradotti, affinché il lettore potesse divertirsi e lasciarsi suggestionare. Poi, purtroppo, questa bella iniziativa ha subìto uno stop brusco e per qualche tempo non abbiamo più trovato in libreria romanzi in veste arancione di questo genere. Ma non disperiamo, visto che sembra proprio che le cose si stiano aggiustando...

Nel frattempo, tuttavia, mentre Polillo si è fermata, il suo posto è stato preso da un altro editore, che negli ultimi anni è riuscito a instaurare un bel rapporto col pubblico e gli appassionati di giallo natalizio (e quindi a sopperire alla mancanza dell'altro editore). Lindau, infatti, ha intrapreso l'iniziativa di pubblicare un mystery a tema invernale ogni fine autunno, a partire dal 2017: ha iniziato con "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay, proseguito nel 2018 con "Morte nella Neve" di J. Jefferson Farjeon (nuova traduzione di quel "Sotto la Neve" che era già stato pubblicato da Polillo, fatto significativo che mette ancora più in luce come Lindau abbia guardato all'esempio di quest'altro editore), nel 2019 "Un Piccolo Omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan. Fino a quest'anno, quando poche settimane fa è apparso il libreria "Morte a Linwood Court" di Mary Durham (Lindau Edizioni, 2020). Quest'ultimo titolo è arrivato abbastanza di sorpresa, per quanto mi riguarda: infatti, ero mezzo convinto che sarebbe stato il turno di uno tra quelli di Gladys Mitchell, che di recente sono stati ripubblicati in Inghilterra; mentre in realtà non sapevo neppure che esistesse tale Mary Durham. Però, dopo averlo letto, vi assicuro che non sono stato affatto deluso dal risultato finale. Anzi, adesso sono incuriosito di leggere gli altri romanzi del mistero di questa autrice, nonostante sul suo conto non si sappia assolutamente, categoricamente e insindacabilmente nulla. O meglio, sappiamo che ella scrisse alcuni gialli tra il 1945 e il 1952, ma per il resto la sua esistenza è avvolta nell'oscurità più totale. Un po' come è avvenuto per la stessa Lorna Nicholl Morgan, oppure per H.H. Stanners, autore di "Com'è Morto il Baronetto?", e Annie Haynes, creatrice di "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?". Immaginate la situazione: un romanzo del mistero di Natale, ideato da una scrittrice il cui ricordo si è ormai perso nelle pieghe del tempo, e che promette un'atmosfera perfetta per trascorrere qualche ora di svago; ovviamente, mi sono subito affrettato a procurarmene una copia (inviatami da Lindau, che ringrazio). E come dicevo sopra, non posso fare altro che lodare l'iniziativa di aver riportato in auge Durham. Con il suo libro, infatti, lei è stata capace di dare vita a una storia dove non c'è nulla di particolarmente innovativo, se non l'inserimento di alcuni temi di cui vi parlerò tra poco, ma non per questo è risultato scadente. Tutt'altro: un giallo di questo tipo ha come punto forte quello di far divertire il lettore e di calarlo in un racconto dove ciò che accade è in qualche modo prevedibile, pur non essendo banale. E "Morte a Linwood Court" è riuscito perfettamente a raggiungere questo scopo, giocando su elementi tradizionali declinati in modo adeguato alle aspettative e mettendo in scena un enigma col giusto grado di fair play.

Bosco in Autunno, Luigi Bonazza, 1940, raffigurante una
foresta simile a quella intorno a Linwood Court
La vicenda si apre con un breve resoconto del rapporto che lega la giovane e bella Jean Kennet e suo marito, sir Philip Linwood. Tra i due, dopo un iniziale affetto che la ragazza ha scambiato per amore, non corre buon sangue: lui è rimasto ferito a una gamba, ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, e soffre di una nevralgia che lo ha fatto diventare mezzo matto e ha peggiorato il suo già pessimo carattere. Linwood, infatti, non sopporta che chi gli sta intorno sia allegro e conduca una vita piena di soddisfazioni; per cui, si ingegna per esercitare il proprio potere in modo da minare la felicità della servitù e della moglie, fino al punto da gettare tutti in uno stato di assoluta disperazione. Jean fatica a dormire ed è sempre sul chi va là, timorosa delle brutte figure che le possa fare Philip e di ciò che egli possa dire in pubblico; mentre il cameriere personale dell'uomo, un ex-detenuto costretto dalla disperazione ad accettare il posto, non trova un momento di pace dai pungoli che Linwood non manca di infliggergli. Ad esempio, lui vorrebbe sposarsi con la governante della casa del suo padrone; ma quest'ultimo si diverte a giocare al gatto col topo e li tiene entrambi sulla corda, minacciando di licenziarli e di benedirli a secondo dell'umore. Questa, dunque, è la situazione a Linwood Court, la villa di campagna dove si svolgerà la storia. E di essa è ben consapevole Archie, il fratello di Jean, il quale al momento è disoccupato e con la testa calda che si ritrova rischia di restare in tale situazione ancora a lungo. Per il momento è ospite di un vecchio amico di famiglia, Freddie Barrington, e non può fare altro per aiutare la sorella, se non confidando a quest'ultimo i suoi timori e chiedendogli di accompagnarlo fino a Linwood Court per le feste di Natale. Lui, infatti, si recherà laggiù per rispondere alla disperata richiesta di aiuto di Jean: forse vorrebbe dargli man forte? Inoltre, sarebbe un giovanotto capace di rallegrare quel mausoleo che è la casa di sir Philip. Il piano prevede di fare un po' di baldoria con gli altri ospiti della cena di Natale: i coniugi Arnold, che abitano in affitto nel cottage sito all'inizio del vialetto di Linwood Court; Steven Barclay e Fanny Mayne, alcuni loro parenti alla lontana che non hanno altro posto dove andare; il cugino di Philip, Everard Cape, che si è ormai stabilito come un parassita nelle stanze della villa; e un neurochirurgo di fama che sta prendendosi cura del baronetto, Robert Moore.

Stuzzicato dall'idea di rivedere Jean, della quale è ancora innamorato, Freddie accetta prontamente l'invito e decide di correre il rischio di venire offeso da Linwood. Nell'arco di qualche settimana, quindi, Archie e il suo amico raggiungono Linwood Court, dove si rendono conto che la situazione ha raggiunto il limite di sopportazione: Jean si è addirittura recata di nascosto dal medico del paese per tentare di ottenere qualche rassicurazione sulla salute mentale di Philip. Nel frattempo, quest'ultimo ha dato il peggio di sé, lamentandosi e reagendo con violenza ai discorsi degli altri occupanti della casa, oltre a minacciare di dare in escandescenze. La sera della vigilia si avvicina sempre di più, e l'arrivo di Steven Barclay (un giovanotto avvenente della Marina, con una testa calda tanto quanto quella di Archie) mette ancora più in pericolo il futuro di Jean, la quale si scopre innamorata di un uomo diverso da suo marito. Il giorno fatidico, purtroppo, Philip si comporta proprio come gli altri ospiti avevano temuto: sbugiarda la moglie e l'amante mentre il gruppo è riunito a tavola, e fa alcuni apprezzamenti sconvenienti alla moglie di Arnold, il quale si trattiene a stento dal mettergli le mani addosso. Ma non tutto è perduto, anche se l'atmosfera si è guastata. Philip è assonnato e si ritira nello studio col dottor Moore, così i giovani (a parte Arnold che si ritira presto) possono dedicarsi a fare qualche ballo e qualche gioco divertente. L'idea di giocare a nascondino al buio, suggerita da Archie, piace a tutti, e i ragazzi si avventurano a fare qualche manche. In breve in tutta la casa cala il silenzio, rotto soltanto da qualche urlo ogni tanto per avvertire che tocca a qualcun altro nascondersi. Anche nel giardino provato di Philip non vola una mosca... solo che, sul vialetto, giace il cadavere del baronetto. Chi lo ha colpito a morte? I sospettati con un movente valido sono molti, nonostante gli alibi all'apparenza giustificati, e gli agenti recatisi sulla scena del delitto non riescono a fare alcun passo avanti. Toccherà all'ispettore York di Scotland Yard, convocato a Linwood Court, intraprendere un'indagine atta a stabilire quale sia la verità, pescandola in mezzo a moventi, false piste, indizi che sembrano irrilevanti e sospettati recalcitranti a svelare i propri segreti.

Chaponval Landscape, Camille Pissarro, 1880, raffigurante
un villaggio simile a Netherby
Non vorrei essere troppo esagerato, ma dopo la lettura di "Morte a Linwood Court" mi sento di dire con quasi assoluta certezza che questo sia IL romanzo giallo di Natale di questo mio 2020. E il bello è che al suo interno, come scoprirete se lo leggerete, di neve non se ne vede nemmeno il miraggio! Però l'insieme di ciò che presenta e restituisce al lettore (oltre a una quota di tempo comunque plumbeo e suggestivamente tormentato) non viene intaccato da questa mancanza. Il romanzo di Durham ha tutte le carte in regola per essere il mystery ideale che qualunque appassionato di classica crime story sente il bisogno di divorare; quello che riesce a mettere insieme un giusto grado di tradizione con qualche tema più innovativo e in sintonia con l'anno in cui venne scritto, quando ormai la Golden Age si stava avviando alla sua conclusione in favore di un approccio più moderno dell'enigma. Infatti, a ben guardare, troviamo alcuni elementi (in realtà, quelli più numerosi) che si rifanno a una passata visione degli usi e costumi della società medio-alta inglese. Fino a un certo punto, ad esempio, possiamo seguire lo stesso percorso che Agatha Christie aveva tracciato in "Il Caso del Dolce di Natale", dove ci viene descritto a grandi linee quale fosse il modo di celebrare il Natale dei britannici: osserviamo i personaggi mentre si preparano a fare un viaggio che li porterà a contatto con amici e parenti in qualche luogo comune, come essi siano elettrizzati dall'incombente festeggiamento e si impegnino ad invitare pure persone costrette a restare da sole, la tradizione di andare alla messa del giorno di Natale, l'ideazione di balli e giochi per passare il tempo in compagnia a divertirsi, la preparazione della celebre "cena" che non può mancare in una casa di veri signori. In seguito, troviamo quell'atmosfera confortevole che spesso viene associata al giallo natalizio, fatta di nostalgia e malinconia suscitate dai caminetti accesi in camere in penombra, da stanze riscaldate contro il gelo esterno, da signore che lavorano a maglia alla luce delle lampade da tavolo e uomini intenti a leggere il giornale o un buon libro. La stessa ambientazione di "Morte a Linwood Court", quindi, ricalca il modello classico, dando vita a scenari in cui dominano i sentimenti e le passioni (pp. 56, 78, 81, 107-109). Pure le scene all'esterno, come le passeggiate di Jean e Steven, oppure le camminate che gli agenti intraprendono tra il Lodge, la casa degli Arnold, e Linwood Court lasciano sottintendere un certo coinvolgimento emozionale: dopotutto, il "Christmas Murder Mystery" è celebre proprio per le sue fortissime correnti sotterranee di gelosie e rancori. Infine, l'uso dei personaggi come punto focale della narrazione, come motore di ogni cosa ed elementi capaci di dare svolte improvvise all'indagine, e la presenza di numerose citazioni ad attestare come questo sia un libro destinato a un pubblico con un livello di cultura medio (tra gli altri, vengono nominati "Alice nel Paese delle Meraviglie", "Ignoto Contro Ignoto" di Philip MacDonald e una raccolta poetica di Wordsworth), sanciscono come il romanzo del mistero di Durham possa essere incluso nel genere crime più tradizionale.

D'altra parte, però, non è tutto qui. Se finora "Morte a Linwood Court" ha fatto propri alcuni cliché del giallo classico, bisogna pur evidenziare come esso stesse già compiendo alcuni passi in avanti, verso un modello meno impostato e meno necessariamente attinente a un tipo ben definito di racconto. Lo stile, ad esempio, mi è subito balzato agli occhi, fin dalle prime pagine. Se è vero che esso è elegante e coinvolgente, d'altra parte l'ho percepito più schietto di quanto fosse in altri romanzi del mistero che mi è capitato di leggere. Tra le altre cose, si fa un chiaro riferimento al sesso e a fare figli (pp. 9-11, 212-216), nonostante non si scada mai nel volgare e nel vouyerismo: una tresca amorosa tra amanti viene tranquillamente ammessa, quando solo qualche decennio prima si sarebbe fatto un largo giro di parole e sottintesi per suggerirla al lettore, e la situazione iniziale di Jean lascia ben poco spazio all'immaginazione. Inoltre, il sentimento che lega la protagonista a Steven Barclay viene espresso in termini sia poetici sia passionali, con momenti in cui i due si lasciano andare all'affetto l'uno per l'altra senza avere rimorsi di coscienza: mi è molto piaciuta questa chiara espressione di amore. A fare da contraltare a tutto ciò, però, è presente pure il lato negativo della psicologia umana: l'anormalità occupa un ampio spazio, incarnata dalla figura di sir Philip, e manifesta le proprie conseguenze nell'impressionante serie di sotterfugi, imbrogli e incomprensioni che costellano il caso sulla sua morte. Al carattere di Linwood è legato pure il tema della malattia nervosa e della pazzia, il quale non è poi così innovativo, tutto sommato, ma viene affrontato da un punto di vista medico attraverso il personaggio del dottor Moore e mette il luce come l'autrice dovesse avere qualche tipo di esperienza alle spalle, riguardo il trattare con persone affette da manie psicofisiche ossessive. La psicologia, tuttavia, è declinata all'interno di "Morte a Linwood Court" in molteplici forme (pp. 259-261, 263, 326-330): non solo dal punto di vista attinente alla medicina, ma pure da quello umano, descrivendo come una mente deviata possa influenzare quella degli altri e avere ripercussioni sull'esistenza delle sue vittime. È interessante notare quanto sia presente il sentimento, all'interno del libro: viene manifestato sotto forma della passione tra Jean e Steven, ma anche nella gelosia di Arnold nei confronti della bella moglie, in quella di sir Philip per le sue "amate", nel dolce corteggiamento tra Freddie e Fanny, nel disincanto di Moore per la felicità perduta dei giovanotti tornati dal fronte, i quali non possono trovare una soddisfazione dopo tanti sacrifici. Proprio il tema della guerra viene toccato e approfondito da Durham (pp. 192-193, 240-241, 243, 248, 253, 261, 299): il lettore percepisce perfettamente quale dovesse essere la frustrazione dei soldati, la loro voglia di trovare ad ogni costo un risvolto positivo in una situazione in cui erano stati gettati, senza preparazione e costretti ad arrangiarsi alla bell'e meglio. All'idealismo di un amore da sogno, si scontra la dura realtà in cui nulla viene garantito ed elargito con parsimonia; sconforto ed irrequietezza si mescolano a questa passione tenuta a malapena a freno, e l'idea di dover attendere per poter raggiungere ciò che si vuole diventa insopportabile, dopo la già lunga aspettativa. Tale disillusione, in forma meno forte, penso la sentiamo in qualche modo pure noi tutti al giorno d'oggi: sempre più spesso sentiamo il bisogno di trovare nuove forme di felicità, senza badare alle conseguenze, e ci aggrappiamo a ciò che ci dà conforto; forse è uno dei motivi per cui ho tanto apprezzato "Morte a Linwood Court", la descrizione di un'amare avventatezza per la quale siamo disposti a fare anche una pazzia. Ecco, per tirare le somme, soprattutto questo ho ricavato dall'esperienza di lettura del romanzo di Durham: un misto di classico e moderno, di tradizione e innovazione, equilibrato e divertente, all'interno del quale non mancano a manifestarsi brevi momenti di suspense e di tesa azione; cosa non scontata in un giallo che ha "solo" l'ambizione di far trascorrere qualche ora di svago, e niente più.

Durham Cathedral, di Autore Ignoto
Pertanto, adesso sono enormemente incuriosito dalla figura della sua autrice, Mary Durham. Figura che, come dicevo nell'introduzione alla recensione, è tangibile tanto quanto uno spettro: di lei, infatti, non sappiamo neppure la data di nascita e di morte, né dove visse né se si sposò mai, né se ebbe una vita felice oppure un'esistenza costellata da una lunga serie di infelicità. Tutto quanto conosciamo, si riduce al fatto che scrisse undici romanzi gialli, spesso ambientati in Cornovaglia e con protagonista (almeno in quattro casi) l'ispettore York di Scotland Yard, tra i quali ricordo "Hate is my Livery" (il primo), "Cornish Mystery" (il terzo), questo "Morte a Linwood Court", "Crime Insoluble" (il quinto), "Murder has Charms" (il settimo), "Corpse Errant" (l'ottavo) e "Castle Mandragora" (il nono). Questo è quanto. Anzi, una cosa posso aggiungerla: l'amministratore del blog "Furrowed Middlebrow" ha raccontato di aver saputo che l'editore di Durham aveva ultimamente rivelato come, nei registri della società, potesse esserci qualche resoconto su di lei. Purtroppo, alla fine la cosa non ha avuto seguito e non si è saputo nulla; però forse esiste qualche speranza di conoscere nuove informazioni in futuro. In ogni caso, è ben poca cosa. Per cui, come fare a fornire qualche informazione su Mary Durham? Da parte mia, mi diverto sempre a tentare di scovare qualche piccolo dettaglio all'interno dei suoi romanzi, che possa mettere in luce un lato del carattere dell'autore oppure qualche sua esperienza. E lo stesso farò in questa occasione, partendo dalla curiosa dedica che si trova all'inizio di "Morte a Linwood Court". Essa è composta da quattro lettere: A. C. C. H. Si tratta di una dicitura ben strana, non trovate? Quello che posso presumere è che si tratti di un conoscente, un amico o forse un parente, dell'autrice; comunque qualcuno con un nome altisonante (altrimenti sarebbe ben strano che esso sia composto da ben quattro parole). E questo mi porta a fare una piccola riflessione sul fatto che, a mio parere, Mary Durham sia uno pseudonimo. Nel nord dell'Inghilterra, infatti, si trova una contea chiamata proprio come il presunto cognome della scrittrice del nostro romanzo, con una cattedrale (sita nella città omonima) divenuta celebre per essere la "classe" di Minerva McGranitt nella saga di Harry Potter. Può essere che la scrittrice si sia magari ispirata al proprio luogo di nascita, quando decise di intraprendere la carriera letteraria? La giovane Mary, il cui cognome inizia per H, magari lo ha fatto per mancanza di alternative. Ma allora, cosa c'entra la Cornovaglia tanto inserita nei suoi romanzi gialli, se essa si trova quasi agli antipodi dell'isola britannica? E se la ragazza, in tempo di guerra, avesse fatto la stessa scelta di Christie di diventare infermiera, e si fosse trasferita in un centro sulla costa sud dell'Inghilterra per fornire il proprio aiuto? Mi piace questa idea e il fatto che, alla fine del conflitto, abbia deciso di mettersi a scrivere.

Ma non è finita qui. Avendo letto soltanto un suo romanzo è molto difficile farsi un'idea, ma può darsi che anche la trama romantica di "Morte a Linwood Court" abbia qualche eco autobiografico di quella di Durham. Il fatto che la protagonista abbia una certa propensione allo studio della psicologia e un passato da infermiera, potrebbe essere un ulteriore sostegno alla tesi che ho esposto qui sopra. Oppure magari lei è stata sposata con qualcuno che aveva bisogno di aiuto, un mezzo invalido che la trattò male come fa sir Philip con Jean. Forse Mary (se si chiamava così) ha incontrato un bel giovanotto, simile a Steven, e insieme hanno condiviso la stessa passione che infiamma i due personaggi del suo libro. Oppure in verità non è esistito nulla di tutto ciò: magari l'autrice si è identificata con la giovane Fanny, insicura ma dolce, che pian piano esce dal suo guscio di timidezza e costruisce la sua storia con l'eccentrico Freddie. O ancora, Mary ha messo se stessa in Maud, sposata ma non abbastanza adulta da rinunciare a giocare a nascondino al buio con ragazzi e ragazze più giovani, e dedita a una vita coniugale con un compagno che la ama e farebbe l'impossibile per proteggerla. Forse, forse, forse... Niente di tutto questo è sicuro. Però mi piace pensare a Mary Durham come ve l'ho descritta. E ritengo che almeno un po' lei fosse così, dal momento che ci vuole una grande sensibilità per poter ritrarre personaggi tanto umani, come quelli in "Morte a Linwood Court" (pp. 186-187). Allo stesso modo di come avvenuto in "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay, ognuno di loro esprime una forte personalità, nel bene e nel male, e ci capita di confonderli tra loro poche volte. Sir Philip è meschino, gretto, vendicativo, cattivo e, tutto sommato, un pover'uomo; Jean è bella, giovane, sensibile, insicura ma decisa a trovare la felicità; Steven ha un carattere passionale, forte, è innamorato ma pure disilluso e in qualche modo ferito; Archie e Freddie, tanto diversi nell'aspetto e nel carattere, si presentano come giovani in procinto di affrontare il futuro, un po' spaesati e immaturi ma di buona volontà; Fanny è legata al mondo della provincia e ha timore, ma una volta uscita dal guscio appare inarrestabile (pp. 108-112); gli Arnold sono la tipica coppia innamorata che niente e nessuno potrà mai separare, nemmeno un bieco individuo come il baronetto. Più o meno allo stesso modo si presentano Hare e la signora Wood, innamorati e decisi a spuntarla sul resto del mondo a qualunque costo; mentre Moore incarna il brillante medico ormai divenuto anziano, e quindi cinico nei confronti della vita. Ecco, forse soltanto Everard Cape resta una figura abbastanza indistinta sullo sfondo; ma in fin dei conti non è una persona che potrebbe assumere grande rilevanza in alcun contesto.

Infine, sono di importanza capitale l'ispettore York e i suoi sottoposti, dal fedele Hammond appena tornato dalla guerra e influenzato da ciò che ha provato sulla propria pelle, fino a Cullen, l'agente di provincia che vuole diventare qualcuno che conta. Nel ritratto di ognuno di loro, e in quello dei rapporti che instaurano gli uni con gli altri, emerge un'umanità che fa quasi commuovere (pp. 228-237, 390, capp. 12-18): York si preoccupa del benessere dei suoi sottoposti, diventa come un padre per loro, un mentore dal quale trarre insegnamento e col quale si può creare un rapporto di vera amicizia. Per carità, è sempre presente l'elemento del police procedural, ma esso non domina quasi mai del tutto sul rapporto emozionale. È questo un approccio che non si trova spesso, all'interno di un romanzo del mistero: è più probabile che venga messa in luce l'efficienza data dalle forze di polizia. Per concludere, insomma, a me "Morte a Linwood Court" è piaciuto moltissimo, dal momento che è riuscito a mettere insieme tantissime cose e a farlo risultando in una lettura gradevole. Soprattutto, cosa da non sottovalutare, la sua autrice ha ideato un enigma con non ha nulla da invidiare a quello di opere più celebrate. Senza svelare troppe cose, vi posso dire che ha una costruzione solida, complessa e sostanzialmente originale, e che in esso c'è un buon grado di fair play e i colpi di scena non mancano: abbiamo sospetti che cambiano in modo rapido, moventi che di volta in volta emergono e poi svaniscono, occasioni che sembrano quelle giuste ma poi si rivelano infondate, e un buon grado di tensione e di azione che non sovrasta il lavorio mentale. Spero che, se il livello è questo, Lindau riesca a portare in Italia qualche altra prova narrativa di Mary Durham. E poi voglio mettere alla prova le mie teorie sulla sua evanescente persona. Speriamo sarà così.

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