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venerdì 12 giugno 2020

35 - "La Dama in Rosso" ("The Holbein Mystery"/"The Red Lady", 1935) di Anthony Wynne

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
All'interno della crime story, soprattutto quella di stampo classico e appartenente all'epoca della Golden Age, il colore assume da sempre un ruolo di considerevole importanza. Non che questa sia una caratteristica esclusiva del genere, visto che anche ad altre tipologie narrative vengono spesso associate le tonalità più disparate (ad esempio, al romanzo gotico vengono spesso affiancati il nero e il grigio, come a sottolineare le atmosfere oscure, cupe e inquietanti che esso evoca). Eppure, per quanto riguarda il romanzo giallo non possiamo ignorare il fatto che il colore, riferito ad esso, sia diventato un vero e proprio simbolo, tanto da entrare nel gergo comune. Infatti, tra le altre cose, quando in Italia parliamo di mystery usiamo l'espressione che io stesso ho impiegato poco fa, "romanzo giallo". Questo curioso modo di esprimersi è dovuto a due motivazioni: la prima è dovuta al fatto che in America, agli inizi dell'Ottocento, le notizie di cronaca venivano pubblicate su fogli di carta poco raffinata e quindi di tonalità più scura rispetto al solito bianco, in una sorta di giallognolo sporco; con la conseguenza che la gente imparò ad associare a queste "pagine gialle" occasioni come uccisioni e delitti. La seconda e più importante dal nostro punto di vista, invece, va fatta risalire alle prime pubblicazioni di romanzi del mistero nel nostro Paese: a quegli innovativi e magnetici "Gialli Mondadori" dell'estate del 1929, con le loro copertine luminose come il sole, i quali diedero il via all'epopea della crime novel in Italia e ad oggi, tra alti e bassi, continuano ad appassionare i lettori ogni mese dell'anno. Ma non solo il colore in senso estetico gioca un ruolo di primo piano nel romanzo giallo. Infatti, se andiamo a controllare i titoli che vengono fatti rientrare in questo genere letterario, a ben guardare ci accorgiamo che questi stessi giocano spesso su contrasti cromatici e su immagini dominate da tinte che risaltano sullo sfondo. Ad esempio, per rimanere sulla tonalità da cui in Italia tutto ha avuto inizio, abbiamo "Il Mistero della Camera Gialla" di Gaston Leroux, uno dei padri fondatori del romanzo del mistero: in questo libro, il delitto avviene all'interno di una stanza colorata della tonalità del titolo, dalla quale nessuno può essere uscito ma in cui si trova soltanto la vittima. Oppure, per cambiare colore, ci sono "Il Dramma di Corte Rossa" di A.A. Milne, "La Rossa Mano Destra" di Joel Townsley Rogers, "Il Cerchio Rosso" di Edgar Wallace e "I Delitti delle Vedova Rossa" di Carter Dickson alias John Dickson Carr; tutti accomunati dalla tinta che richiama il colore del sangue e, quindi, è strettamente legata al tema delle uccisioni trattato in questi libri.

Altre volte, il nero costituisce una sorta di rappresentazione del muro contro cui si scontra l'indagine dell'investigatore e della fitta oscurità in cui egli si trova immerso ("Occhiali Neri" di John Dickson Carr); oppure il bianco rappresenta il timore che fa sbiancare i volti dei sospettati e delle facce che emergono dalla notte come fantasmi ("Maschera Bianca" di Edgar Wallace). Senza dimenticare il blu, inteso come sinonimo di malinconia e abbattimento in seguito a qualche disgrazia, come in "L'Inquilino del Piano di Sopra" di Harriet Rutland (il cui titoli inglese è "Blue Murder"). Anche nel cinema, declinato al genere del thriller, il colore rappresenta un elemento di grande importanza: basti pensare a film come "Marnie" di Alfred Hitchcock, in cui la protagonista ha subìto un trauma legato al colore rosso e reagisce in malo modo quando esso viene accostato al bianco, oppure al capolavoro italiano "Profondo Rosso" del maestro Dario Argento, dove questa tinta ritorna ciclicamente ad ossessionare lo spettatore e il protagonista. Ma Three-a-Penny è pur sempre un blog sulla narrativa del mistero; quindi, concentrerò la mia attenzione sulle opere scritte. E questo mese, come vi avevo anticipato, ho deciso di dedicarmi ad alcune letture legate proprio al tema del colore (soprattutto rosso) nel romanzo giallo, esplorando opere poco conosciute dal lettore medio. Per iniziare, dunque, questa settimana mi soffermerò su un libro che non è stato quasi recensito su Internet, ma che merita maggiore attenzione: "La Dama in Rosso" di Anthony Wynne, conosciuto con i titoli inglesi "The Holbein Mystery" e "The Red Lady" (Polillo Editore, 2016). Si tratta di una storia molto complessa e articolata, in cui trovano spazio nientemeno che cinque delitti (degno del caso Crippen!), due dei quali perpetrati in un modo talmente ingegnoso da far sospettare che siano stati opera di fantasmi o di assassini invisibili. Alta finanza, politica, filosofia, medicina sono alcuni tra gli argomenti trattati all'interno del romanzo, tra momenti di attività mentale e altri di attività fisica per il dottor Hailey, il medico e investigatore dilettante protagonista della vicenda; preparatevi a mettere in moto il cervello e a seguire quest'uomo ingegnoso alla scoperta della verità, in mezzo a personaggi sospetti e a pericoli di ogni tipo.

Farm House and Field (Ironbridge Farm, Shalford, Essex),
1941, di Eric Ravilious, raffigurante una tenuta simile ai
Kennels di Bob Budley
Tutto ha inizio nella casa di Eustace Hailey, dove il medico ha fatto accomodare un suo vecchio amico, il colonnello Wickham di Scotland Yard. Quest'ultimo si è presentato dal dottore per proporgli una collaborazione ufficiosa, nei confronti di un caso spinoso al quale egli è stato sollecitato di prendere parte: ai Kennels, la sontuosa tenuta di campagna dell'azionista ed esponente politico Bob Budley, si è verificato un decesso violento che potrebbe sconvolgere l'opinione pubblica fin dalle sue fondamenta. Infatti Sir Mark Fleet, un noto parlamentare inglese e grande speculatore in azioni di alta finanza, è stato apparentemente assassinato da un fantasma, mentre si trovava nella casa del suo socio in affari per tenere un discorso davanti al comitato elettorale. Un momento prima stava mangiando a tavola con gli altri commensali ed ospiti di Budley, ridendo e scherzando prima di salire sul palco che era stato approntato per la sua conferenza; e quello seguente era stramazzato sul tavolo approntato nel salotto per sua comodità, sotto i riflettori puntati sulla sua figura e davanti al pubblico incredulo e sconcertato, con il manico di un coltello che gli spuntava dalla schiena, mentre sulla parete dietro di lui il quadro "La Dama in Rosso" di Holbein osservava stoico la scena. La particolarità del caso, dunque, non sta tanto nel fatto che egli sia stato ammazzato, quanto sulla modalità utilizzata per assassinarlo: dalle testimonianze di una cinquantina di persone, infatti, tutto lascia intendere che nessuno si sia avvicinato alla vittima dal momento in cui egli aveva iniziato a parlare. Certo, il pianoforte sulla destra e alcuni ostacoli a sinistra potevano nascondere la scena agli occhi di qualcuno tra il pubblico; ma non certo un omicida, un uomo o una donna in piedi alle spalle del deputato. Solo "La Dama in Rosso" era presente sul palco, oltre a Fleet. Incuriosito dalle caratteristiche insolite del caso, Hailey si lascia convincere a prendere parte alle indagini e, il giorno seguente, si dirige a Rutton assieme a Wickham per un sopralluogo scrupoloso della scena del crimine.

Arrivati laggiù, tuttavia, i due scoprono che il poliziotto a capo del caso non ha ancora fatto eseguire un attento esame della stanza del delitto e, poco dopo, vengono a sapere che "La Dama in Rosso" è stata trafugata. Che si tratti di una semplice coincidenza, oppure il furto del quadro ha a che fare con la morte di Mark Fleet? Il caso si ingarbuglia ancor di più quando, giunti sul palco del salotto, Hailey e Wickham si accorgono che i dipinti di Budley hanno tutti una speciale cornice, dietro la quale un uomo può comodamente nascondersi. Alle spalle di quella della Dama, tra l'altro, sono presenti inequivocabili tracce di una recente pulizia del pavimento dalla polvere, come se qualcuno avesse tentato di cancellare ipotetiche impronte lasciate al momento dell'aggressione a Fleet. Forse l'omicida ha provato a pararsi le spalle; ma si tratterebbe comunque di un tentativo piuttosto goffo. Ben presto, però, al dottor Hailey appare chiaro che l'avversario suo e di Wickham non è affatto uno sprovveduto: un misterioso individuo, infatti, sottrae nottetempo alla custodia della polizia il cadavere di Fleet, in attesa dell'autopsia ufficiale; lo fa a pezzi e, come se questo non bastasse, lo dà alle fiamme in un pagliaio poco distante dalla casa di Budley. Hailey inizia a temere di trovarsi davanti a un pericoloso omicida, disposto a tutto pur di cancellare le proprie tracce e ormai in preda al panico; e la scomparsa di un celebre banchiere della City e gli assassinii spregiudicati di una medium dell'alta borghesia e di uno stimato colonnello confermano le sue paure. Chi è il colpevole che si trovava ai Kennels la sera del primo omicidio e, più avanti, aveva seguito le sue prede a Londra? Si tratta forse del padrone di casa, Bob Budley? Oppure delle eredi di Fleet, la moglie Lady Patience o la giovane Miss Gay, la quale conosceva a malapena la vittima ma si ritrova con tre quarti di milione in più nelle tasche? Anche il padre di lei, il colonnello Gay, è sospetto, allo stesso modo del poeta Rade-Rade e dei coniugi Faction, i quali paiono più che decisi ad indirizzare i sospetti contro Miss Gay. Hailey capisce di dover fare in fretta, prima che la lista delle vittime diventi troppo lunga e la scia di sangue che parte dalla drammatica scena della "Dama in Rosso" si allunghi fino a toccare lui stesso; perché di una cosa è certo: chi si avvicina troppo a Mark Fleet e ai segreti che costui si è portato nella tomba, rischia di fare una brutta fine.

Jane Seymour, Hans Holbein,
raffigurante una signora in rosso
simile alla donna del titolo

Se c'è qualcosa che riesce a sorprendermi ancora oggi, quando ormai è diventato quasi di moda essere annoiati di fronte a ciò che ci succede, quello è il romanzo giallo. Anche questo è uno dei motivi per cui sono immensamente affezionato alle storie che appartengono a questo genere letterario. Con la lettura di "La Dama in Rosso", ho avuto una conferma di questa straordinaria capacità della classica rime story di spiazzare i lettore. Dovete sapere, infatti, che nonostante le premesse e la trama in seconda di copertina (molto più stringata di quella che ho riportato io qui sopra, ma comunque intrigante) mi avessero fatto immaginare che la storia raccontata nel libro fosse molto interessante e affascinante, avevo più di una riserva nei confronti del suo autore, Anthony Wynne. Costui era un medico, oltre che scrittore, per il quale lo stile narrativo era caratterizzato da una scrittura alquanto asettica e fredda; un po' sul genere di quella di C.P. Snow e il suo "Morte a Vele Spiegate", dove erano chiaramente emerse le esperienze scientifiche di quest'ultimo e le influenze in tal senso. Nel caso specifico di Wynne, inoltre, avevo ancora più timore nell'affrontare un suo libro poiché, diversi anni fa, avevo deciso di provare un'altra sua opera, "Il Coltello nella Schiena" edito sempre da Polillo, il quale mi aveva lasciato con l'amaro in bocca a causa di diversi fattori, come una certa sgradevolezza dei personaggi e un contorno che aveva l'aria di essere stato composto in fretta e furia, senza un'adeguata revisione finale e con un mistero in cui il fair play era assente. Fino a una settimana fa, quindi, ero fortemente indeciso se rischiare di affrontare una nuova impresa di Wynne oppure rimandare la lettura di "La Dama in Rosso" a una data da destinarsi. Tuttavia, siccome avevo deciso da tempo di occuparmi di romanzi aventi a che fare con i colori, alla fine mi sono risolto a dare un'altra possibilità all'autore; e per fortuna l'ho fatto! Da questa esperienza, infatti, posso dire di aver rivalutato questo scrittore in positivo, con l'ulteriore conseguenza che quest'estate forse mi dedicherò a una rilettura di "Il Coltello nella Schiena" per capire davvero se in quel caso la mia fosse stata un'impressione dettata dall'inesperienza e dall'incapacità di vedere oltre, oppure un giudizio fondato, imparziale e purtroppo negativo.

Pertanto, in modo inaspettato, "La Dama in Rosso" si è rivelato un romanzo giallo più che sufficiente per i miei gusti; anzi, mi ha proprio entusiasmato grazie alle sue numerose caratteristiche che, se applicate singolarmente ad altri mysteries, potrebbero essere giudicate come perfettibili, ma in questo specifico caso a mio parere, messe tutte assieme, hanno dato un risultato soddisfacente. Alcuni amici, tuttavia, hanno giudicato questo libro come troppo approssimativo e fuori dai canoni del genere: i personaggi sono sembrati alquanto abbozzati e privi di personalità e spessore psicologici; i temi dell'alta finanza, della politica, della filosofia e della sua applicazione nella scienza pare siano stati trattati in modo "estremo" per un giallo d'evasione; l'ambientazione non resta sempre quella famosissima della classica casa di campagna inglese; la narrazione è stata troppo concentrata su un'indagine contorta e superficiale (nel senso che l'investigatore ha moltissimi ripensamenti nel corso della storia e non esiste fair play), a discapito del contesto in cui viene calata; sono presenti moltissime scene d'azione e, infine, il detective risulta antipatico. Insomma, sembrerebbe proprio che Wynne abbia compiuto un delitto anche scrivendo questo romanzo giallo, non solo inventando gli omicidi fittizi al suo interno. Eppure, io sono convinto che si debbano tenere a mente alcune condizioni, prima di dilungarsi in un giudizio affrettato. Innanzitutto, non bisogna dimenticare che l'autore del romanzo è considerato uno dei maestri riconosciuti di quella specialità del genere giallo che corrisponde al "delitto impossibile" (alcuni tra gli omicidi a cui assistiamo leggendo "La Dama in Rosso", tra l'altro, sono proprio di questo tipo). Wynne, infatti, viene spesso citato assieme a John Dickson Carr, Edmund Crispin, la coppia Winslow-Quirk, Ellery Queen e Norman Berrow nel numero dei giallisti che fecero la propria fortuna grazie alla sparizione di oggetti, persone e addirittura edifici e alla perpetrazione di crimini all'apparenza ad opera di spiriti maligni; la maggior parte dei quali, tranne poche eccezioni, non sono certo ricordati per i salti mortali stilistici, ma proprio per l'eccezionale complessità dei misteri che hanno tratteggiato. In parole povere, a Wynne e a questi altri autori interessava soprattutto l'enigma, e non quanto stava intorno ad esso; quindi, non bisogna stupirsi troppo se ci si trova di fronte a un modo di raccontare che si discosta da quello di scrittori più interessati al racconto puro (come abbiamo visto, ad esempio, con Milne e il suo "Il Dramma di Corte Rossa").

In secondo luogo, trovo che le critiche riportate sopra non siano del tutto veritiere. Voglio dire, sono d'accordo che alcuni personaggi non vengano più tenuti in considerazione, dopo essere stati presentati al lettore in un primo momento e interrogati (due tra tutti, Lady Patience e il giornalista Donne); però è pur vero che, al contrario, altri sono approfonditi attraverso ulteriori incontri con il protagonista oppure grazie a descrizioni fatte da terzi che riescono a gettare un po' di luce in più sulle loro personalità. Un caso, per esempio, è quello del colonnello Gay, il quale non viene mai presentato a noi ma, attraverso le parole di Rade-Rade e della figlia, impariamo a conoscere. Anche sull'antipatia dei protagonisti sono d'accordo fino a un certo punto. Wickham, soprattutto nei primi capitoli, assume toni alquanto sgradevoli nei confronti del suo sottoposto Bellamy e agisce in modo molto burbero, tanto che sono stato felice di vederlo messo da parte quando Hailey si è allontanato dai Kennels; quindi, capisco benissimo chi si dice scocciato dal suo comportamento. Tuttavia, non ho avuto nulla da ridire su quello assunto dagli altri: Rade-Rade mi è parso un po' fatuo, certo; ma non antipatico. Madame Sévigné è stata un personaggio affascinante; i vari direttori di banca, appassionati di spiritismo, tipografi, portieri sono stati piuttosto divertenti nella loro pomposità. Per non parlare di Hailey, il quale ha assunto un comportamento più "umano" di quanto ricordassi in "Il Coltello nella Schiena". Sull'ambientazione che cambia, stesso discorso: capisco chi potesse desiderare un'indagine in pianta stabile si Kennels, con i suoi campi sterminati, le colline verdi e la casa enorme e misteriosa; ma questo non esclude che anche Londra, con i suoi appartamenti un po' vissuti, gli edifici decadenti e le strade notturne sappia esercitare un certo fascino. Da parte mia, mi sono molto piaciute le scene della seduta spiritica in casa di Madame Sévigné (suggestiva e misteriosa), quella della corsa nella notte di Hailey e Miss Gay verso la casa della zia di quest'ultima (pregna di minacce), e quella tra il dottore e il professor Nicholas, l'anziano appassionato di esoterismo (divertente e giocata sul limite tra l'ironia e la serietà degli argomenti affrontati). Infine, non ho percepito l'indagine condotta da Hailey come troppo approssimativa e incentrata sull'azione: dopotutto, Anthony Berkeley aveva già inventato il suo Roger Sheringham, dedito a continui cambi d'idea e di sospetti nel corso del caso di cui si occupa, e il dosaggio tra attività mentale e attività fisica dell'investigatore mi è parsa ben equilibrata, quindi non c'è niente di nuovo che possa far storcere il naso.

Insomma, per concludere, penso che le critiche che sono state rivolte a "La Dama in Rosso" siano da avvalorare solo in parte e siano dettate soprattutto dal gusto personale, nonostante le piccole imperfezioni che ho messo in luce qui sopra. Io stesso, nel caso di "Un Coltello nella Schiena" (citato tra l'altro in questo romanzo, a p. 148), avevo rivolto più o meno quelle stesse a Wynne; tuttavia, in questo caso, l'insieme degli elementi inseriti nel romanzo non mi è affatto dispiaciuto, nonostante esso contasse su uno stile alquanto scarno e su una quantità di temi difficili da digerire. Anche a questo proposito, infatti, non mi sento di condividere del tutto il discorso sull'inserimento di argomenti troppo difficili all'interno della storia: se da un lato è innegabile che termini come "holding", diritto di prelazione, negoziati, emissione di obbligazioni e buoni azionari non siano alla portata di tutti, dall'altro essi hanno permesso la costruzione di un enigma originale e assolutamente stupefacente, molto complesso e straordinario nella sua eccezionalità (e nel quale il colore, per tornare all'introduzione della recensione, gioca un ruolo importante ai fini della soluzione finale). L'idea di romanzo giallo di Wynne può benissimo discostarsi dalla nostra, ma questo non significa che ciò che egli ha scritto non sia da considerare valido per qualcun altro: tutto sta in ciò che il lettore cerca in un romanzo giallo. Se uno ama leggere tantissime descrizioni sulla montagna, considererà "Un Cadavere al Campo Due" di Glyn Carr un libro stupendo, nonostante il suo enigma scadente; se un altro adora le atmosfere macabre, apprezzerà "Notti di Halloween" di Leo Bruce nonostante gli altri suoi difetti; infine, se un altro ancora non pretende altro che lasciarsi catturare da un mistero complesso e capace di stuzzicare la sua curiosità, nonostante i temi fuori dal comune che affronta, allora sarà soddisfatto come il sottoscritto da "La Dama in Rosso"

Robert McNair Wilson, alias
Anthony Wynne, nato nel 1882
e morto nel 1963

In ogni caso, in "La Dama in Rosso " non deve stupire l'inserimento di un tema insolito come quello dell'alta finanza, visto che quest'ultimo era uno degli argomenti preferiti di Anthony Wynne, pseudonimo di Robert McNair Wilson. Nato nel 1882, probabilmente in Scozia, della sua vita si sa molto poco. Una certezza è che aveva un fratello più giovane, William, e una sorella di nome Doris. Un'altra, il fatto che lui e William si laurearono entrambi in medicina alla Glasgow University; anche se il fratello iniziò a lavorare nel paese natio, mentre Robert si trasferì a Londra, dove sposò Winnifred Paynter (dal cui nomignolo, Winnie, forse prese ispirazione per la costruzione dello pseudonimo che avrebbe utilizzato per la scrittura dei suoi romanzi gialli). Infine, è assodato che, oltre ad essere stato amico di Ezra Pound, col suo vero nome egli collaborò a lungo col "Times" scrivendo articoli di medicina, diede alle stampe una biografia del celebre cardiologo scozzese Sir James MacKenzie ("The Beloved Physician" del 1926) e pubblicò alcuni saggi storici sull'epoca napoleonica, altra sua grande passione; mentre con lo pseudonimo di Anthony Wynne, ovviamente, diede alle stampe ben ventinove mysteries. Questi ultimi, tranne il primo intitolato "The Sign of Evil" del 1925, vennero tutti pubblicati a coppie fino agli anni Trenta, quando la sua produzione si ridusse a un volume l'anno per arrestarsi nel 1942, con "Murder in a Church". L'ultimo suo romanzo del mistero, tuttavia, fu "Death of a Shadow" del 1950 (pubblicato tredici anni prima della morte), dove fece la comparsa finale il protagonista di tutti i suoi libri di narrativa fittizia: il dottor Eustace Hailey, uno psichiatra che vive al n. 22 di Harley Street ed è soprannominato "Il Gigante" di quella stessa strada a causa della sua stazza. Oltre a "La Dama in Rosso", Hailey è presente in altri capolavori dell'autore come "The Dagger", "Morte al Castello", "Il Coltello nella Schiena" e "Murder in Thin Air", e indaga sugli omicidi seguendo un metodo analitico soprattutto per il piacere di analizzare la psicologia del criminale. Ad interessarlo, non è il maniaco omicida, l'assassino che uccide perché malato mentale, ma l'omicida occasionale, cioè quella persona che in circostanze normali avrebbe vissuto al sua vita senza colpa. La tragedia di questa persona e di quelle che gli stanno intorno, pertanto, "è che esse si sono imbattute in circostanze straordinarie. Forse a causa dei loro stessi errori, o forse per un caso fatale, la pressione esercitata dalla società è diventata improvvisamente superiore alla loro capacità di adattamento". È la società che, a suo parere, crea l'assassino; e questo è messo in luce proprio in "La Dama in Rosso".

La psicologia criminale (pp. 211, 214-215, 223, 278, 281-285) e dei personaggi principali, infatti, viene sondata a fondo e passata al setaccio, alla ricerca di ogni indizio utile per decifrare la mente che si nasconde dietro alle facciate e alle maschere che celano gli istinti e le emozioni. Hailey si pone domande sui comportamenti di Mark Fleet e, pur senza conoscerlo di persona, arriva a comprendere la sua continua sfida contro il tempo, l'egoismo e la premura che gli pesano sulle spalle e la sua grande voglia di vivere, oltre che di sopravvivere (pp. 57, 103, 149-152, 167-168, 170, 182-183, 191, 220, 237, 241, 254-255). Tra le parole pregne di melodramma di Rade-Rade, riesce a cogliere il suo affetto per Una Gay e il suo sentirsi inadeguato; negli incontri con Miss Gay, intuisce come la ragazza serbi un segreto nel suo cuore e sia tenuta sotto pressione dal giudizio che la gente può emettere da un momento all'altro contro di lei e suo padre; un uomo buono ma povero e, quindi, considerato inferiore agli occhi dei ricchi ospiti di Bob Budley. Lo stesso Budley, poi, lascia intendere di essere un personaggio complesso, intimorito dagli eventi che si sono scatenati nella sua casa ma, allo stesso tempo, deciso a non lasciarsi sopraffare da questi ultimi. Negli incontri con Wickham, poliziotto della vecchia guardia incapace di perdonare gli errori, e con gli altri personaggi minori (che appaiono e scompaiono nell'arco di brevi parentesi, senza essere approfonditi, ma capaci di svilupparsi nella nostra testa assieme alle loro particolari manie, vedasi il cap. 12), Hailey ricostruisce inoltre la figura dell'assassino, in modo che il lettore possa farsi un'idea della sua personalità deviata e provare ad applicare la sagoma evocata ad ogni sospettato. Attraverso l'uso di numerosi indizi materiali, ogni riga del romanzo, in accordo con la tipologia di racconto che ci si aspetterebbe da un giallista votato al delitto impossibile, contribuisce a rafforzare il far chiarezza sull'elusiva figura dell'assassino e sul mistero ideato dall'autore, così da facilitare il procedimento di analisi e scoperta del colpevole; che a volte può portare su un sentiero errato, ma non per questo si deve smettere di porre rimedio agli sbagli commessi e correggerli in corsa. Eppure, una volta tanto, Wynne riesce a dare spessore anche a ciò che sta intorno all'enigma. In "La Dama in Rosso" è presente una grande senso dell'ambientazione, tratteggiata spesso per immagini che non si dilungano in pesanti descrizioni ma comunque capaci di restituire uno scenario visibile con gli occhi della mente, ad effetto, in grado di trasmettere a chi legge le sensazioni di terrore e inquietudine suscitate nel dottore (pp. 19-20, 53, 71-73, 75-78, 90-92, 111-112, 135-136, 140-141, 145, 205, 225-226, 249-252, 257-258).

A dare man forte a questi rapidi ritratti emozionali e un po' suggestivi, inoltre, Wynne aggiunge un linguaggio complesso e denso (pp. 60-62, 97-101, 117-122, 185-195, 239-244, 262-279) il quale, accostato a un ritmo in cui si alternano e scandiscono alla perfezione attività mentale e attività fisica, riesce ad equilibrare il romanticismo intrinseco degli ampi prati della tenuta dei Kennels e delle strade affollate della metropoli con la serietà dei toni con cui viene messa in scena l'indagine (non per niente, il gergo finanziario non viene mai utilizzato a sproposito, a dimostrazione della dimestichezza dell'autore nell'argomento trattato). L'alta finanza, la politica, la scienza (pp. 97-101, 199-200, 227-229, 232) e la sua applicazione in un modo che osserva i cambiamenti moderni come poco affidabili, lo spiritismo (cap. 15, pp. 163, 207) e la filosofia sono temi che entrano in conflitto tra loro a causa della loro natura contrastante: da una parte, abbiamo le leggi matematiche che, grazie a discorsi elaborati, regolano la vita di tutti i giorni; dall'altro, il mondo degli spiriti che tenta di influenzare quella parte della società in cui gli individui sono superstiziosi. Particolari macabri e arcani sembrano assediare la costruzione di un enigma schematico e agile, sorretto da dialoghi serrati e veloci ma nel quale l’atmosfera gelida della stanza, la medium in trance, la risata di un bambino, clangori, strilli odiosi, tonfi e gemiti nel buio provocano un forte effetto e suscitano il timore che gli spettri abbiano attraversato il confine tra la finzione e la realtà. Può la ragione spiegare qualunque cosa? A questa domanda, gli autori di delitti impossibili provano a rispondere quando costruiscono le loro storie cariche di funesti presagi e fantasmi, ma fortunatamente sempre spiegate grazie alla logica. Il contorno del mistero di "La Dama in Rosso", quindi, aiuta a sostenere l'enigma senza mai prendere il sopravvento su quest'ultimo e gli conferisce plausibilità, nonostante la indagini specifiche su ogni delitti vengano lasciate un po' andare: soprattutto il riferimento al teatro (pp. 112-113, 237, 247-248, 256) giocherà un ruolo fondamentale nella soluzione finale, ma pure i brevi cenni che vengono fatti a corollario delle ipotesi sulla psicologia dei personaggi e dei riferimenti medici non sono da trascurare (pp. 56-57, 65-66, 97-99, 102-104, 113, 125-126, 136-137, 140, 149-152, 154-155, 165-166, 171, 173-174, 249-252, 289-290). Il risultato di tutti questi elementi messi insieme, in conclusione, dà vita a un romanzo che presenta un ritmo più veloce rispetto al resto dell'opera di Wynne, in cui il linguaggio non sempre chiaro a una rapida lettura viene accostato a un mistero sorprendente e plausibile nella sua soluzione, contornato da temi insoliti e da un'atmosfera da brivido. Come dicevo sopra, entro la fine dell'estate rileggerò "Il Coltello nella Schiena" per capire se "La Dama in Rosso" sia un'eccezione all'interno della produzione di Anthony Wynne, oppure se abbia dato un giudizio troppo affrettato. In ogni caso, consiglio caldamente la lettura di questo romanzo giallo, suggerendovi di metterla in pratica in un momento in cui abbiate la possibilità di concentrarvi al meglio per cogliere tutte le sue sfumature.

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