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venerdì 12 febbraio 2021

61 - "Delitto al Concerto" ("When the Wind Blows", 1949) di Cyril Hare

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Penso che la musica, intesa in senso generale, sia una delle cose più straordinarie che ci siano al mondo. Essa ci permette di svagarci e divertirci, se un brano è particolarmente movimentato; di scatenarci, nel momento in cui abbiamo bisogno di qualcosa di forte che si faccia scaricare la tensione; di commuoverci, quando ci sentiamo di dover sfogare un'emozione che non trova via d'uscita dalla nostra testa; di consolarci, se abbiamo bisogno di sentirci dire che "va tutto bene" e che non siamo soli. Nel mio caso specifico, inoltre, la musica è stata uno dei mezzi attraverso cui ho fatto nuove amicizie. Penso soprattutto al Festival della Canzone Italiana di Sanremo, che ha unito e unisce gran parte del popolo social di Twitter: ecco, quest'ultimo è stato (ed è tutt'ora) uno degli argomenti-chiave nelle discussioni che intrattengo con i miei amici: ci dà di ché divertirci e sfogarci e lamentarci per mesi e mesi (soprattutto quest'anno che, con la pandemia ancora in corso, ancora non si sa bene come si svolgerà). E se Sanremo è sempre più un contenitore delle materie più disparate, dalla promozione di fiction alla presentazione di progetti culturali, dalle ospitate in occasione di imminenti spettacoli teatrali in uscita, al semplice momento di distensione nei confronti del ritmo serrato della gara, la vera protagonista dello show resta pur sempre la musica, che lo si voglia oppure no. Quella che piace a tutti, nel bene e nel male; che genera dibattito pacifico e litigate furiose, facendoci accapigliare e intrattenere. Penso ad esempio alla pagina Instagram "SanremoHistory" del mio amico Antonio (qui trovate il link), dove lui si diverte a giocare con le canzoni vincitrici del Festival, ma ogni tanto si ritrova a confrontarsi con persone decisamente poco pacate; ecco, come illustra questo esempio, la musica riesce a unire e a dividere. Ma essa non fa soltanto questo, dato che dà da mangiare a molte più persone di quante possiamo lontanamente immaginare. Come ci ricordano spesso i lavoratori del mondo dello spettacolo che organizzano concerti, allestiscono palchi, noleggino strumenti musicali, fanno parte di orchestre, si occupano di studiare e spiegare la materia (come fa Selene attraverso il suo canale YouTube a questo link, mentre studia per poter lavorare nel settore in futuro), ognuna di questa figura professionali riesce a sbancare il lunario proprio grazie alla musica. Essa è qualcosa di meraviglioso, che unisce l’arte pura al mercato economico, capace di esprimersi in toni ufficiali e altisonanti, ma anche attraverso forme meno pretenziose, come dimostrano i thread di Federico sul suo "Sanremo 70e1" appena conclusosi e il profilo Instagram di Levis, che mi auguro possa presto ospitare tante canzoni.

Sì, penso proprio che la musica sia qualcosa di straordinario; e non solo perché io stesso suono il pianoforte. Essa riempie le nostre vite ogni giorno, senza che magari ce ne accorgiamo; eppure è lì di fianco a noi, pronta ad essere d'aiuto quando ne abbiamo bisogno, e molto spesso diventa materia di discussione in innumerevoli declinazioni. Scrivendo su Three-a-Penny, in questa occasione vorrei sottolineare come essa occupi un ruolo di rilievo all'interno della classica crime story. Già in passato abbiamo visto come il suono abbia giocato in primo piano all'interno di un romanzo del mistero: penso, ad esempio, all'importanza delle nove campane della chiesa di Fenchurch St. Paul, in "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers, le quali sono state importantissime nel farsi mezzo attraverso cui una certa entità si è manifestata davanti agli uomini e alle donne inermi del villaggio. Anche in un libro che purtroppo non è stato tradotto in italiano (e spero si rimedierà presto), "The Organ Speaks" di E.C.R. Lorac, la musica è al centro dell'attenzione, dal momento che un cadavere viene rinvenuto mentre siede allo strumento del titolo, e nella trama si fanno tanti riferimenti sul tema, al punto che la stessa Sayers lo giudicò "molto originale, molto ingegnoso e notevole per la scrittura atmosferica e lo sviluppo dei personaggi". Dal lato americano del giallo, la musica fa da sfondo alle vicende narrate in "Undici Calze di Seta" di Craig Rice, il quale vede il rinvenimento di un cadavere prima strangolato e poi nascosto all'interno di una custodia per contrabbasso; mentre in "Un Cadavere Senza Importanza" di Charles Daly King la questione si fa ancora più complessa, dal momento che la storia stessa viene divisa come se fosse una rapsodia, e nell'enigma sono inclusi uno strano pianoforte che potrebbe uccidere attraverso il suo stesso suono. Insomma, come potete vedere, la musica è una materia molto gettonata nel giallo classico e ha fornito numerosi spunti ai suoi autori. Anche nel romanzo che recensisco oggi (come probabilmente vi sarete aspettati, dopo questa introduzione), essa gioca un ruolo importante nella trama e nel suo enigma: "Delitto al Concerto" di Cyril Hare (Polillo Editore, 2005), infatti, presenta uno di quei complessi misteri, tipici della prima metà del Novecento, in cui l'appassionato giallista e musicista potrà cimentarsi con successo. Chi non mastica molto la musica classica potrebbe incontrare delle difficoltà nello scioglimento in autonomia del delitto, ma questo non significa che non riuscirà comunque a divertirsi e a godere delle vicende narrate e orchestrate (bisogna proprio dirlo) in maniera eccelsa dall'autore: provate a dargli una possibilità per rendervene conto.

Travel to the Theatre, Herbert Ashwin Budd,
1930, raffigurante una scena fuori da un teatro
La storia è ambientata prevalentemente nel mese di novembre, quando la Markshire Orchestral Society si ritrova ad organizzare i consueti quattro concerti che l'orchestra cittadina dovrà eseguire nel salone del municipio. Il comitato, composto dalle signore Charlotte Basset (violoncellista), Susan Porteous (violinista) e Jane Roberts, e dai signori Robert Dixon (segretario), Clayton Evans (direttore d'orchestra), Billy Ventry (organista) e Francis Pettigrew (tesoriere), ha preparato un piano ben preciso sotto la guida ferrea di Evans e si appresta a dare inizio alle prove della prima esibizione della stagione. In questa occasione, saranno suonati l'Alleluia Op. 7 n 3 di Händel, un brano che prevede alcuni momenti da solista per Ventry; il concerto per violino di Mendelssohn, con un importante assolo, e la sinfonia di Praga di Mozart; tutti brani che rientrano nelle capacità dell'orchestra mista di dilettanti e professionisti di cui essa è composta. L'unico inconveniente, che rischia di mandare all'aria ogni cosa, è l'inclusione della celebre Lucy Carless, la violinista che dovrà esibirsi in solitaria proprio nel pezzo di Mendelsshon, nel numero dei partecipanti: infatti, non solo la donna è conosciuta per il suo temperamento nervoso e capriccioso, ma è pure l'ex moglie di Dixon. Tuttavia, in un primo momento tutto pare andare liscio: Robert acconsente a tornare in contatto con Carless quanto basta per portare a termine il concerto, e il primo avvicinamento tra i due non suscita alcun problema. Addirittura, alla festa che il mondano Ventry organizza a casa sua la sera delle vigilia dell'esibizione, Dixon e Carless presentano senza rancore all'altro i rispettivi nuovi compagni di vita. Insomma, tutto va a gonfie vele, nonostante la famosa violinista conservi un certo snobismo verso i suoi temporanei compagni di lavoro. Poi all'improvviso, il pomeriggio prima della grande esibizione, Carless litiga furiosamente con uno dei clarinettisti ingaggiati da Dixon ed Evans per il concerto, e minaccia di abbandonare lo spettacolo se l'uomo non verrà allontanato. Un bel guaio, vista la carenza di elementi adatti a rimpiazzarlo e il poco tempo che separa l'orchestra dal debutto. Eppure, ancora una volta, i membri del comitato riescono a sventare il problema: Zbartorovski, il clarinettista polacco con cui Carless ha avuto l'alterco, viene rimpiazzato da tale Jenkinson e tutti sono soddisfatti.

Ogni cosa è andata a posto, quindi? Purtroppo no. In tutto questo, infatti, il tesoriere della Markshire Orchestral Society, Francis Pettigrew, non riesce a scuotersi di dosso la strana sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere. Probabilmente è un'impressione influenzata dai numerosi intoppi a cui ha dovuto far fronte in prima persona, per conto del comitato: risolvere le beghe economiche, dare disponibilità per assistere a noiose prove, telefonare e contattare artisti presuntuosi e lunatici non lo ha certo messo in uno stato d'animo positivo. Forse anche il fatto di essere stato coinvolto in alcuni delitti, tempo addietro, lo ha segnato: magari vedere due esseri umani urlarsi addosso epiteti e volgarità in una lingua straniera potrebbe aver ridestato i suoi timori nell'imbattersi un un nuovo cadavere. Pettigrew si costringe ad accantonare i timori e, la sera della prima, si accomoda in galleria per assistere allo spettacolo, incrociando le dita. Tuttavia, sorgono ancora intoppi. Lucy Carless ha preteso di essere lasciata da sola nella sala degli artisti finché non arriverà il suo momento; si tratta di una questione di nervi, sembra. Inoltre, proprio mentre l'orchestra intona l'inno nazionale, lo sguardo di alcuni spettatori indugia sul posto inspiegabilmente vuoto dell'organista. Dov'è Ventry? Cosa gli è accaduto? Come mai non si sta preparando per il pezzo d'apertura col suo assolo? Evans, spazientito, si vede costretto a cambiare l'ordine dei brani e attacca con la sinfonia di Praga di Mozart, per poi fare una breve pausa e  andare incontro a Carless nei camerini. Peccato che la donna non arriverà mai in scena, dal momento che è stato strangolata nella poltrona in cui sedeva. Immediatamente il concerto viene interrotto e la polizia convocata sulla scena del delitto. L'ispettore Trimble, aiutato dal sergente Tate, si getta in caccia dell'assassino e pian piano si rende conto che quest'ultimo deve trovarsi per forza nel numero di partecipanti attivi al concerto, tra i membri del comitato oppure tra gli orchestrali. Però nessuno ha avuto movente e occasione per compiere il crimine, a parte un misterioso clarinettista che pare essersi volatilizzato nel nulla. Forse è costui il criminale responsabile? Toccherà a Francis Pettigrew dare un importante contributo alle indagini di Trimble e Tate, affinché l'assassino non resti impunito e vanga arrestato.

Orchestra Pit, Jim Rodgers, raffigurante un direttore intento a
guidare la sua orchestra in un pezzo sinfonico
Dopo la delusione provata nel leggere "Congelato" di Anthony Weymouth, desideravo tornare a concentrarmi su qualcosa di intrigante che potesse ridarmi la gioia di gustare un giallo ben sviluppato, e l'idea di cimentarmi con un libro dove il nucleo principale del racconto fosse costituito dalla musica da concerto mi allettava molto; soprattutto come musicista di brani classici, ho pensato che avrei potuto apprezzare ancora di più l'intreccio. Così, ho deciso di prendere in mano "Delitto al Concerto" e vi posso assicurare che la scelta è stata azzeccata, visto che si è trattato di un romanzo stupendo. Infatti, come era accaduto per "Il Segreto delle Campane", anche in questo libro tutto quanto ruota attorno alla Quarta Arte, intesa per essere di facile accesso a qualunque lettore e pur senza tralasciare la trattazione di altri temi comunque importanti nella narrativa di Hare. Un mondo intero viene descritto in tanti piccoli dettagli che si possono leggere tra le righe: abbiamo il comportamento nevrotico e maniacale dei musicisti e di chi viene in contatto con loro ogni giorno, con liti frequenti e scontri che si verificano nelle occasioni grandi e piccole; la descrizione approfondita di numerose occasioni in cui un'orchestra oppure un comitato ad essa legato si riuniscono e, inevitabilmente, scatenano una serie di botta e risposta che spesso si rivelano essere fonte di frustrazioni ed ansie (cap. 6, pp. 89, 118-121, 213-216, 231-232). Nonostante non siano sempre direttamente funzionali alla trama e allo svolgimento del percorso che porterà alla cattura del colpevole, in più di un'occasione vengono tirati in ballo strumenti musicali di vario genere, brani con le loro peculiari caratteristiche, nomi di celebri compositori e concertisti come Håndel, Mendelssohn, Mozart, Beethoven. Molte volte, inoltre, viene messo in luce il lato artistico della musica, inteso come approccio ad essa da parte dei musicisti: abbiamo Evans che la intende come qualcosa che sta al di sopra di tutto il resto, persino delle indagini della polizia che "rischiano" di contaminare un mondo perfetto ed etereo impossibile da piegare ai dettami della pragmaticità; oppure la visione della signora Basset, la quale vede nella Quarta Arte un mezzo che sta tra l'aulico (dal momento che le permette di esprimere le proprie emozioni) e il pragmatico (sfrutta il suo talento per fare semplicemente colpo sul direttore d'orchestra).

Al di là di ciò, tuttavia, l'aspetto "musicale" del romanzo non si limita alla mera descrizione di un mondo "elevato" rispetto a tutto il resto; voglio dire, non descrive il tema soltanto prendendolo da un punto di vista artistico. Una parte di esso viene trattato secondo un piglio materialista, mostrando come e quanto sia complicato "far quadrare i conti", per dirla in soldoni: i problemi che sorgono quando bisogna pagare un suonatore esoso oppure scontroso; i passi che si devono intraprendere per avere a che fare con qualche musicista che si rifiuta di essere contattato da chiunque, al di fuori di un agente ancor meno disposto a scendere a compromessi; l'organizzazione pratica di un concerto, la quale prevede non soltanto una lunga serie di scontri e botta e risposta di accordi più o meno soddisfacenti, ma pure l'affitto di un luogo materiale dove l'orchestra si possa esibire, il pagamento di tasse inevitabili ed obbligatorie, le riunioni alle quali i membri devono partecipare che devono essere organizzate tenendo conto di tantissime variabili... Anche questo è un merito di "Delitto al Concerto": mostrare come non tutto si riconduca a un aspetto ideale, ma sia necessario scendere a compromessi e occuparsi pure del lato più prosaico dell'organizzazione musicale. E su questi due aspetti antitetici, Hare ha costruito il suo romanzo giallo, sfruttandoli per dare vita a una storia come dicevo straordinaria, in cui si intrecciano uno stile solido e stabile e numerosi temi, per dare vita a un enigma dove la musica non è soltanto un pretesto per infondere atmosfera alla trama, ma gioca un ruolo di primo piano nella soluzione dell'indagine. Al mondo della Quarta Arte, fatuo in molte delle sue caratteristiche, illusorio, poco tangibile, effimero, viene infatti affiancata una narrazione dove i fatti sono ciò che più contano, al di là delle mere idee che uno può farsi; dove le testimonianze hanno più valore delle ipotesi, le correnti sotterranee sono declinate a perseguire mete poco idealizzate e volte a un profitto di carattere tangibile (possedere qualcuno in senso carnale, piuttosto che sentimentale, oppure un guadagno in termini di denaro) e le prove utili per svelare la verità sono di carattere pragmatico, rifacendosi alla conoscenza di cavilli legali come è solito in Hare. La stessa musica, addirittura, viene utilizzata per suffragare la soluzione finale in termini materiali. Credo sia stata questa capacità di mettere assieme mondi distanti tra loro, pur senza dare vita a uno scontro irrisolvibile, la chiave del successo di "Delitto al Concerto". Oltre al fatto di accompagnare il lettore nel complesso mondo della musica da concerto.

Alfred Gordon Clarke, alias Cyril Hare,
nato nel 1900 e morto nel 58
Cyril Hare (pseudonimo di Alfred Gordon Clarke) riuscì in questa impresa grazie al fatto di essere lui stesso un grande appassionato di musica concertistica. Nato nel 1900 a Mickleham, studiò Storia al New College di Oxford prima di intraprendere la professione forense a Londra. In concomitanza con il matrimonio, tuttavia, decise di intraprendere l'ulteriore pratica letteraria per incrementare le magre entrate che gli procurava il suo lavoro ed assunse uno pseudonimo che univa il nome della sua abitazione (Cyril Mansions) con il proprio luogo di lavoro (sito a Hare Court). Come Cyril Hare iniziò a scrivere racconti per il "Punch", finché nel 1937 riuscì a pubblicare con discreto successo il suo primo giallo, "Tenant for Death", in cui le indagini vengono affidate a un ispettore di Scotland Yard piuttosto convenzionale, Mallet. Quest'ultimo ricompare nel titolo seguente, "Death is no Sportsman", ma fu dal 1939 che l'attività letteraria di Hare si fece più originale: con "Suicide Excepted", infatti, egli cominciò a sfruttare la propria esperienza nel mondo giudiziario e della legge inglese per rinforzare intreccio e ambientazione dei suoi libri, dando sempre meno risalto alla figura di Mallet. Nel frattempo, ricoprì per qualche tempo il ruolo di judge's marshal e accompagnò un giudice itinerante con mansioni segretariali nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale; esperienza che gli sarebbe servita per dare vita al suo capolavoro, "Tragedy at Law", in cui fece la sua comparsa il suo investigatore per eccellenza: l'avvocato Francis Pettigrew, il quale avrebbe anticipato i "personaggi di carne e sangue" (come l'ha definito il critico Martin Edwards) degli scrittori futuri. Pettigrew, infatti, risulta un individuo molto meno impostato e formale del tipico detective della Golden Age, interessato il giusto al denaro e disilluso, moderno e giusto, per il quale il delitto non è un gioco.

Grande appassionato di storia, di musica classica, di legge (come Michael Gilbert, ad esempio) e provetto oratore, nonché affetto da una "congenita e incurabile indolenza" che limitò la sua attività letteraria, Hare scrisse cinque romanzi con Pettigrew protagonista, che sommati a una trentina di racconti e agli altri rimanenti contano dieci esemplari della miglior crime story di stampo giudiziario, prima di morire nel 1958. Tra questi ultimi, l'unico a non presentare un investigatore di serie fu "Un Delitto Inglese", il quale vide invece come deus ex machina l'insolita figura di uno storico ungherese, il professor Bottwink, e si può considerare il più "classico" dei gialli di Hare. Esso venne basato su "The Murder at Warbeck Hall", un radiodramma composto per la serie "Mystery Playhouse presents The Detection Club", scritto in un tentativo di raccogliere fondi per il Club e trasmesso dalla BBC assieme a:
  • The Murder in the Mews by Agatha Christie;
  • A Nice Cup of Tea by Anthony Gilbert;
  • Sweet Death by Christianna Brand;
  • Bubble, Bubble, Toil and Trouble by E. C. R. Lorac,
  • Where Do We Go From Here? by Dorothy L. Sayers.
Sempre Martin Edwards ha rivelato che, al momento della sua morte, Hare aveva iniziato a scrivere un nuovo romanzo con protagonista il dottor Bottwink; purtroppo però non riuscì a finirlo e non se ne farà mai nulla, poiché l'esiguo manoscritto rimasto incompiuto è talmente breve da rendere impossibile capire come si sarebbe sviluppata la trama. Ciò è un vero peccato, visto il calibro del primo libro di quella che si prospettava come una serie di qualità. In ogni caso, per fortuna, ci resta il resto della sua opera letteraria che non è seconda a nessuno, in campo giudiziario. Infatti, se Gilbert applicò le proprie competenze in campo notarile e di avvocatura, la Legge e la Giurisprudenza trovano in Hare il miglior espressionista. Lo stesso "Delitto al Concerto" mette in mostra questa cosa dal momento che, come era già accaduto in "Un Delitto Inglese", il movente del delitto si debba andare a ritrovare in un cavillo legale che risale nientemeno che al Parlamento di Enrico VIII! Questa attenzione per il mondo giuridico è stata la benedizione/maledizione di Hare: da un lato, gli ha permesso di attingere da una fonte pressoché esclusiva per ricercare elementi da sfruttare per far muovere i suoi assassini, ma dall'altro ha precluso il cosiddetto fair play nello scioglimento del mistero da parte del lettore, il quale ovviamente non conosce tutti i codicilli legali. In questo si può riscontrare l'unico difetto di "Delitto al Concerto"; per il resto, come dicevo, si è trattato di un libro pieno di aspetti narrativi e tematiche interessanti.

Copertina dell'edizione in lingua
originale, pubblicata da Faber
In questo libro, Hare ha unito la propria passione per la musica con la sua ampia conoscenza della legge (pp. 35-38, 255-257), inserendo alcune digressioni che esulano dallo svelamento finale (come quella alla corte d'Assise) ed altre che, invece, sono strettamente legate al caso. Oltre a ciò, tuttavia, l'autore non ha rinunciato a sfruttare e mettere in atto gli accorgimenti che hanno reso grande e duratura la propria narrativa: uno stile a dir poco solido, pianificato e compilato, quasi antico come quello di Richard Austin Freeman, ma senza le lunghe parentesi tratteggiate in tono lirico (non per niente viene citato "David Copperfield" alle pp. 43, 45, 201, 205-206); un'attenzione ai particolari e a brevi descrizioni stringenti per quanto riguarda le ambientazioni; e una caratterizzazione profonda dei personaggi, alternando la loro fisicità con gli aspetti emozionali. Come era accaduto in "Un Delitto Inglese", sono questi ultimi a dare gran parte della forza alla trama. Nell'altro romanzo avevamo uno scenario affascinante come quello della casa isolata dalla neve a Natale; qui, le descrizioni sono meno suggestive e numerose ma non per questo scadenti. Allo stesso modo, inoltre, in "Delitto al Concerto" la storia raccontata non si dilunga più di tanto nel raccontare quale sia lo sfondo delle vicende; certo, nella parte comprendente i primi cinque capitoli ritroviamo una sorta di carrellata sui personaggi, la quale ci fa capire meglio quale sia il rapporto che li lega tra loro e ci permette di entrare nel loro modo di essere, ma da lì in poi è l'indagine ad occupare il centro dell'attenzione. Sono l'ispettore Trimble e il sergente Tate (ai quali si aggiunge saltuariamente Pettigrew) ad essere protagonisti di quanto accade sulla scena, a dispetto del ruolo di investigatore dilettante del tesoriere della Markshire Orchestral Society. Il lavoro della polizia prende il sopravvento su quello di Pettigrew, mostrando quanto esso sia complesso non solo dal punto di vista pratico, con tanti testimoni da interrogare e indurre a svelare la verità, rilevamenti da fare sulla scena del delitto e orari sballati, ma pure da quello umano. Ciò che prova Trimble nei confronti dei sottoposti e delle persone con cui viene in contatto, una sorta di senso di inferiorità che si accentua quando egli si ritrova al cospetto del capo della polizia MacWilliam (pp. 137-138); la frustrazione di Tate nel dover sottostare a un poliziotto più giovane ed inesperto, oltre che addestrato per non essere affabile coi sottoposti; l'affetto sincero che lega MacWilliam a questo giovane investigatore e la spinta a metterlo di fronte alle difficoltà per farlo crescere: tutto ciò è stato espresso in "Delitto al Concerto", e l'ho trovato davvero illuminante e bello, perché ha dimostrato come la polizia non sia fatta di automi senza cuore (pp. 123-125, 182-187, 211-212, 240-244, cap. 11).

Cosa ancora migliore, Hare ha impresso una forte carica ironica alla sua storia e ai suoi personaggi: gli stessi Trimble, MacWilliam e Tate agiscono con atteggiamenti a volte divertenti (come nell'interrogatorio a casa Roberts), ma è soprattutto Pettigrew a mostrarsi goffo e umano (oltre che diversissimo dal segugio ansioso di mettersi alla caccia di un omicida), quando ad esempio deve contattare Jenkinson come sostituto clarinettista (pp. 65-70, 101-104, 187-192, cap. 13). Con questo, però, non bisogna dimenticare che "Delitto al Concerto" è pur sempre un giallo del dopoguerra; pertanto, sono presenti alcuni riferimenti al razionamento di cibo e oggetti come le calze per signore, oltre allo spettro del conflitto e del nazismo stagliato dalla triste vicenda dei Zbartorovski (pp. 195-196). Insomma, c'è un equilibrio su cui si gioca tutto quanto, influenzato dalle correnti sotterranee che legano i personaggi l'uno all'altro, in un misto di amore e odio, gelosia e vendetta, bramosia e disgusto, snobismo e altruismo (pp. 58-59 130-133, 224-228); nessuno viene risparmiato dal conflitto interiore, come poi accade nella vita reale. La signora Basset, ad esempio, è una snob sociale, che misura il valore del prossimo in base al lignaggio e di comporta di conseguenza, ma non si rende conto di rendersi lei stessa ridicola; il signor Dixon, così posato, organizzato e sicuro di sé, appare incapace di accorgersi del tradimento della moglie; Clayton Evans, da parte sua, divide la propria persona tra il disprezzo per chi non possiede una grande cultura musicale e il raggiungimento della gloria. Nondimeno, Lucy Carless possiede un temperamento nervoso e desideroso di riuscire, nel bel mezzo di un eterno conflitto; Ventry è un collezionista di strumenti musicali, ma questo non gli impedisce di essere pure edonista e donnaiolo. Tutti costoro incarnano lo stereotipo del musicista capriccioso e dal temperamento artistico, cosa che si rivelerà funzionale allo svelamento dell'enigma. Non solo trovando sfogo attraverso le azioni dei protagonisti, infatti, il mistero è stato costruito, ma attingendo direttamente alla musica nella sua essenza: non bisogna limitarsi ad applicare il solito metodo del sondare i sentimenti e i segreti nascosti nell'animo, ma possedere una minuziosa conoscenza della Quarta Arte (e della legislatura inglese) per scoprire in anticipo "chi-l'ha-fatto" e in quale modo. Questo è l'unico difetto di "Delitto al Concerto"; per il resto, esso presenta un tipico mistero della Golden Age del giallo britannico che non mancherà di intrattenere il lettore: composto come da scatole cinesi l'una dentro l'altra, pieno di riferimenti alla realtà (come dimostra la citazione al caso delle "Spose nel Bagno" attribuito al serial killer John Gordon Smith) e alla letteratura di Dickens, schematico nella sua suddivisione per punti, con quel misto di Fato e pianificazione che ha reso celebre nel tempo il mystery anglosassone. Super consigliato.

P.S. Una curiosità, per finire. "Delitto al Concerto" è stato dedicato a un certo Arnold Goldsbrough: ci fu mai costui? Ebbene, alcune ricerche sulla rete mi hanno portato a scoprire che si trattava nientemeno che dell'organista al matrimonio tra Hare e Mary Lawrence nel 1933, alla chiesa di St. Martin in the Fields. Sapendo che nella storia è presente la figura di Ventry e che tipo sia egli, non ho potuto pensare che l'autore abbia voluto giocargli uno scherzo. O almeno spero lo sia stato, vista la cattiva reputazione dell'organista fittizio.

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venerdì 13 dicembre 2019

17 - "Quando l’Amore Uccide" ("Thou Shell of Death", 1936) di Nicholas Blake

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 449
Nella recensione di "Un Delitto Inglese" di Cyril Hare della settimana scorsa, abbiamo visto come il "Christmas Murder Mystery" sia legato a doppio filo tanto con il passato quanto con il futuro; ancor più di quanto accada con la "normale" crime novel della Golden Age. Nel "Giallo di Natale", infatti, benché si respiri una forte atmosfera rarefatta, in cui elementi suggestivi della tradizione riescono a rivivere insieme ai propri pregi e difetti, si nota pure una spiccata consapevolezza del fatto che non ci si possa adagiare sul tempo ormai trascorso e sia necessario affrontare e accogliere senza riserve ciò che inevitabilmente verrà. Da ottimo strumento per indagare la complessità dell'animo umano, a partire dagli anni '30 il mystery classico si è fatto portavoce di importanti cambiamenti sociali e politici, adottando di volta in volta forme nuove per rappresentare al meglio questi ultimi e accontentare il suo pubblico; eppure, contemporaneamente non ha dimenticato ciò che ha costituito il tempo andato e ha saputo mettere in luce l'atteggiamento di orgoglio e sfida dello scontro ideologico tra generazioni e come, a volte, il passato possa tramutarsi in uno spettro che infesta il presente, mettendo in dubbio il futuro; soprattutto all'interno del sottogenere a tema natalizio. Da parte mia, sono sempre stato affascinato da questo tipo di contrasto presente nel "Christmas Murder Mystery"; nutro un debole per qualunque romanzo del mistero ambientato in scenari datati ma suggestivi, con una bella nevicata che confini i protagonisti fuori dalla rassicurante civiltà e li costringa, tra un festeggiamento e l'altro, a far fronte ai propri demoni interiori e a mettere a confronto idee e concetti personali; e sono convinto che la grande fortuna del "Giallo di Natale" vada ricercata proprio nella sua capacità di mescolare al meglio antico e moderno e di declinare i caratteri fondamentali della crime novel, secondo uno schema tanto preciso quanto affascinante che si è sviluppato di pari passo con l'ascesa del sottogenere "psicologico".

Sono quattro gli elementi a cui mi riferisco: per dare vita a una trama vivida e capace di cristallizzare scene di grande effetto, agli autori occorrono un'ambientazione intrigante (relegata all'immancabile casa di campagna, meglio se claustrofobica e isolata da una bufera), il tratteggio di personaggi variegati (magari legati da rapporti famigliari o di amicizia e costretti a convivere insieme in un luogo limitato, ognuno con un punto di vista e una personalità spiccata), uno stile perversamente gradevole che mescola ironia nera e un tocco di gioiosa allegria e, ovviamente, un enigma in cui esiste una complessa corrente sotterranea di sentimenti contrastanti (in cui l'esplosivo contrasto tra amore e odio sfocia nell'omicidio attentamente pianificato). Mettere insieme tutti questi caratteri, aggiungendo innovative strategie di indagine psicologica e rancori sopiti, significa dare vita a complessi ritratti sulla natura e sul comportamento umani, in cui a una certa nostalgia per il passato viene accostato un moderno approccio all'indagine, e per quanto mi riguarda assicura una lettura perlomeno piacevole. Il più delle volte, però, ho notato che uno di essi viene valorizzato di più rispetto agli altri; per cui, nel corso di questo mese, ho deciso di prendere in considerazione una classica crime novel specifica per ognuno di questi elementi del "Giallo di Natale", partendo proprio da quello più significativo. L'enigma, infatti, costituisce il fulcro di ogni romanzo giallo che si rispetti, sia esso ben costruito o meno, e in "Quando l'Amore Uccide" di Nicholas Blake (Classici del Giallo Mondadori n.449, 1984) esso è stato caricato di un significato particolare. Al fascino di una trama giocata su caratteri tradizionali come una tetra casa di campagna e personaggi dalla personalità esplosiva, tratteggiati con uno stile che tende a rafforzare le emozioni che essi esprimono, si aggiunge un mistero contraddistinto da tumultuose correnti sotterranee e da una moderna desolazione nel tratteggio dell'indagine, che anticipa già in qualche modo il giallo psicologico che avrebbe riscosso grande successo anni dopo e si scontra con il periodo natalizio in cui essa si svolge, dando vita a un delitto impossibile di altissimo livello e al "più strano, più complicato, più melodrammatico caso" nel quale Nigel Strangeways, il protagonista del libro, si sia mai imbattuto nel corso della sua carriera di investigatore dilettante.

Villa georgiana nel Somerset, simile alla Dower House di
Fergus O'Brien
La vicenda si apre pochi giorni prima di Natale, quando Nigel, il quale si trova a Londra come ospite di alcuni parenti, lord e lady Marlinworth, riceve la visita dello zio John, nientemeno che l'Assistente all'Alto Commissario di Scotland Yard. Quest'ultimo, memore dell'acume dimostrato dal nipote nel corso della sua prima indagine ufficiale (raccontata in "Questione di Prove") e deciso ad aiutarlo a farsi una reputazione di tutto rispetto, intende sottoporre alla sua attenzione un caso molto particolare. Il leggendario eroe dell'aria Fergus O'Brien, ormai ritiratosi da qualche tempo dalla vita pubblica in favore di un isolamento volontario presso una villa lontana dal caos cittadino, si trova infatti in una situazione a dir poco spiacevole, per la quale si è rivolto alla polizia: da qualche mese sta ricevendo una serie di lettere minatorie molto particolari, venate di un umorismo melodrammatico, che gli preannunciano la sua prossima dipartita il giorno di Santo Stefano e il cui mittente non è stato possibile rintracciare. Sebbene O'Brien non appaia molto intimorito da questa faccenda, sir John teme che ci possa essere qualcosa di fondato nelle minacce rivolte al famoso aviatore; oltretutto, egli stesso ha lasciato velatamente intendere che gradirebbe una protezione ufficiosa fino alla fine delle feste, per scongiurare del tutto il pericolo, forse perché convinto di essersi fatto troppi nemici, disposti a vendicarsi di lui ad ogni costo, nel corso della sua vita movimentata. Tuttavia, la sua guardia del corpo non dovrebbe essere un vistoso poliziotto: dopotutto, la storia delle lettere potrebbe rivelarsi uno scherzo di pessimo gusto e la presenza di un agente nella sua casa gli impedirebbe di muoversi liberamente e mal si accorderebbe al suo capriccioso umore e instabile temperamento. Pertanto, sir John ha deciso di chiedere a Nigel di assumersi l'incarico di proteggere l'aviatore senza dare nell'occhio, qualora fosse interessato. Il giovane è incuriosito dal caso e dall'illustre celebrità coinvolta; così decide di accettare, fosse solo per conoscere il mitico pilota. In questo modo, approfittando di un passaggio da parte degli anziani parenti diretti in una casa vicina a quella dell'aviatore, si presenta a Dower House pochi giorni prima di Natale.

Fergus O'Brien si rivela un personaggio estremamente difficile da decifrare: da una parte sfoggia un atteggiamento fin troppo sicuro di sé, e dall'altro sembra essere turbato dalla minaccia dello sconosciuto assassino presunto. Passeggia irrequieto per la casa e il giardino, indeciso se mostrarsi coraggioso oppure nascondersi finché il pericolo non è passato; fa strani commenti alle parole di Nigel e trascorre le sue giornate in una solitudine quasi completa, studiando misteriosi progetti per un nuovo aeroplano. Inoltre, come se non fosse già abbastanza difficile tenere d'occhio quanto accade ad O'Brien, quest'ultimo complica il compito di Nigel decidendo improvvisamente di dare una festa per Natale, durante la quale saranno invitati alcuni suoi conoscenti (tra cui alcuni individui vendicativi che, a detta dello stesso aviatore, avrebbero motivi più che legittimi per eliminarlo). Nigel Strangeways inizia a dubitare di poter assolvere al suo compito e lo fa notare al suo protetto; eppure O'Brien ha predisposto un piano per sfuggire alla sua prematura fine, e la sera di Natale si rinchiude in una baracca vicino a Dower House, mentre la neve inizia a cadere dal cielo. Peccato che il mattino seguente, di buon'ora, proprio laggiù venga rinvenuto il suo cadavere; e cosa più strana, le uniche orme sul prato innevato che collegano la casa alla sua piccola appendice vanno verso quest'ultima, come se nessuno ne fosse uscito fino alla scoperta del corpo.

Si tratta di suicidio? Nigel è sicuro che non sia così e, indispettito dall'essere stato messo nel sacco dall'assassino, decide di prende parte alle indagini della polizia (impersonata dal sovrintendente Bleakley) iniziando a raccogliere indizi e a sondare quella che lui definisce "la dimensione emotiva" del caso. Infatti, sebbene le prove materiali puntino verso gli ospiti della casa (Knott-Sloman, il proprietario di un club di dubbia fama; Lucilla Thrale, l'amante di O'Brien; i fratelli Georgia ed Edward Cavendish, esploratrice e finanziere, e Philip Starling, professore di greco a Oxford), i caratteri dei sospettati non si accordano con il quadro del delitto che pian piano la polizia riesce a costruire con l'aiuto dell'investigatore dilettante. Ognuno di loro avrebbe potuto decidere di sopprimere l'aviatore; eppure il profilo dell'assassino racchiude troppe caratteristiche incongruenti e Nigel si convince che la chiave del mistero debba risalire molto indietro nel tempo; forse addirittura alla giovinezza dell'Eroe dell'Aria, tanto più che essa è avvolta nel più stretto riserbo e sembra che nessuno vi possa far luce. Dovrà fare un lungo viaggio e assistere ad altri atti criminosi, prima di poter sbrogliare la matassa in un finale sbalorditivo, in cui risulteranno fondamentali l'intervento di un insigne grecista e la conoscenza dell'oscuro teatro elisabettiano.

Disegno raffigurante una veduta dei teatri elisabettiani a
Londra, con The Globe e The Bear Gardne
Pubblicato per la prima volta nel 1936, "Quando l'Amore Uccide" mette in mostra al meglio quel profondo interesse per la psicologia che ha caratterizzato gran parte della crime story degli anni '30. Se tra l'inizio del Novecento e la fine della Prima Guerra Mondiale, infatti, l'attenzione degli scrittori di gialli si era concentrata sull'ideazione di delitti in cui era la componente "meccanica" a farla da padrone, con l'utilizzo di stratagemmi legati a trappole nascoste, numerosi indizi materiali disseminati tra le pagine e un investigatore che interroga il proprio cervello secondo criteri e deduzioni prettamente scientifici (come, ad esempio, in "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman"), poco tempo dopo la fine della Grande Guerra le teorie innovative sulla psicanalisi di Sigmund Freud spinsero alcuni autori di crime novels ad introdurre nei loro libri enigmi dalla forte componente psicologica, i quali ruotavano più sulle emozioni e gli impulsi dei personaggi che sul metodo di uccisione in sé. Con questo non voglio dire che l'interesse per la pura detection scemò: il sottogenere della camera chiusa, basato su trucchi illusionistici e astute trovate e caratterizzato dalla canonica "sfida al lettore", riscosse un grande successo ancora a lungo, come testimoniano i libri di John Dickson Carr; eppure, non tutti decisero di seguire la stessa strada "tradizionalista" intrapresa dal Maestro del Brivido. Pur senza rinunciare a un'indagine in cui le prove servono ad inchiodare il colpevole e a portarlo sulla forca, scrittori come Nicholas Blake (tra i britannici con Edmund Crispin e Michael Innes, ma non solo) oppure Helen McCloy, per citare anche una tra le autrici americane più meritevoli in questo senso, svilupparono un tipo di romanzo in cui l'approccio all'indagine assumeva una connotazione più moderna, basata sul profilo dei sospettati e sui moventi che li spingono ad agire nel corso della storia, e che mescola la formula classica del giallo con una trattazione innovativa dell'enigma.

Nel libro della recensione di oggi, il fulcro della vicenda ruota proprio attorno all'indagine e all'applicazione di una profonda analisi della psiche dei personaggi per la risoluzione di un mistero diviso tra passato e presente. Certo, il quesito è equilibrato tra meccanica e risvolti psicologici (non per niente, venne ispirato proprio da Carr nella sua declinazione di delitto impossibile; vedasi cap. 14, ma anche cap. 5); però il trucco pratico viene svelato ben presto ed è nella sua "dimensione emotiva" (p. 62), generata dal sentimento e dalle percezioni, che l'indagine esalta la propria identità: il comportamento e la reazione di ogni singolo individuo davanti a questioni morali, infatti, diventa più di tutto il resto un tassello da mettere al proprio posto per comprendere la totalità del problema, all'interno di un quadro più grande in cui dominano temi etici come quello della giustizia e della vendetta. Tra le prime volte all'interno della letteratura del mistero, in "Quando l'Amore Uccide" i personaggi, tratteggiati a tutto tondo, diventano prove da catalogare e da decifrare allo stesso modo delle orme sulla neve e degli oggetti incriminati, con tantissime sfaccettature e segreti (pp. 35, 37, 57, 62, 76, 85...), e l'insieme delle loro reazioni al momento di contatto gli uni con gli altri genera interessanti esiti in favore dell'indagine (pp. 85-87, cap. 11); soprattutto l'investigatore e l'assassino che, pur rappresentando le due facce della natura umana e l'ineluttabile successo del primo a riflettere la speranza dell'uomo nel trionfo del bene, vengono messi sullo stesso piano e condividono pietà e compassione da parte dell'autore, come se l'omicida non debba per forza essere considerato un mostro e il delitto appaia in qualche modo giustificabile. Inoltre, ancora una volta, la contrapposizione tra ciò che è stato e il presente è molto forte e, come era avvenuto in “Un Delitto Inglese” e in “La Figlia del Tempo”, gioca un ruolo importante nel plasmare i caratteri degli attori sulla scena e nella scoperta della verità (probabilmente si tratta di un eco della fede marxista che Blake aveva abbracciato nel corso degli anni '30, assieme a W. H. Auden e ai suoi compagni poeti, la quale prevede che il passato si conservi nel presente, benché "risolto" in una forma superiore). Tuttavia, se dalle storie di Hare e Tey emerge un certo ottimismo, in "Quando l'Amore Uccide" invece si percepisce una forte desolazione mista a cinismo, fatalismo e senso di rivalsa, che si riflette sulla gente di Dower House e permette di andare molto più a fondo che nei romanzi che ho citato sopra. La crisi del primo trentennio del Novecento, seguita alle guerre mondiali, ha gettato più di un'ombra sull'umore della gente e ciò emerge dal tono usato per tratteggiare la storia dell'omicidio di Fergus O'Brien: se ci fate caso, benché ambientata a Natale, essa risulta priva di ghirlande e abeti decorati, festoni e calze appese alle pareti e ai caminetti e regali da scartare, e il suo autore sembra giocare "per sottrazione", senza esaltare in modo particolare le festività ma sottolineando il disagio provato dalle persone coinvolte nell'indagine (es. pp. 99, 118-119).

Ognuna di loro sembra lottare contro gli altri e contro se stesso, mente il passato ritorna in continuazione, nelle vesti della guerra (da notare i continui riferimenti dello stesso O'Brien alle pp. 11-16, 21, 26, 80; del vagabondo Alfred Blenkinsop alle pp. 97-100; e del veterano Hope, dal nome significativo, alle pp. 145-147, 195; ognuno in qualche modo sconfitto dal conflitto) e della nostalgia (oltre ai Marlinworth, aggrappati alle fotografie delle pp. 151-153 e agli aneddoti sul tempo andato del cap. 1, anche Georgia Cavendish rivela un forte abbattimento interiore nel cap. 11 e il ritratto di un'Irlanda anteguerra commuove grazie alle sue descrizioni di gioia perduta alle pp. 155-165); esso incarna la vera figura dell'antagonista, che influenza l'assassino nella sua opera di morte come uno spettro invisibile ma pur sempre presente (p. 20); è qualcosa che emerge nel tono cupo delle parole dei personaggi (pp. 99, 101, 118-119, 17-180) e ne ostacola l'evoluzione, poiché imbrigliati in stretti lacci che impediscono i movimenti (anche i Marlinworth, che ormai vivono nel ricordo, appaiono ingessati nel loro essere antiquati), ed è impossibile da sconfiggere del tutto. Ma soprattutto, è motore che alimenta la sotterranea forza dei sentimenti e ingigantisce, ancor più dei semplici fatti, le loro conseguenze che muovono i fili all'interno di questo meraviglioso libro; basta leggere il finale per comprenderlo. Perciò, come all'interno di un dramma elisabettiano, gli impulsi, i desideri e la smania degli attori sulla scena vengono centuplicati e così li percepisce anche il lettore, mentre il senso dell'onore e della vendetta sovrasta qualunque cosa, simile a un mare in piena. La similitudine sul teatro non arriva a caso, poiché una parte importante della soluzione la gioca proprio l'ostica materia riguardante i drammaturghi del 1600 e l'immagine della vendetta che in essa viene dipinta. È proprio quest'ultima che, grazie alla forte componente psicologica dell'enigma, in cui importano soprattutto le azioni e le parole di ogni individuo, si staglia su tutto il resto e conferisce originalità a "Quando l'Amore Uccide". Probabilmente Blake aveva già studiato il soggetto del teatro elisabettiano mentre si trovava ad Oxford, e deve essersi accorto che esso si adattava molto bene ai toni desolati delle indagini di omicidio da parte della polizia. Basta pensare all'opera di Shakespeare, senza andare a scomodare altri suoi colleghi contemporanei: Macbeth ed Amleto sono due esempi di come la componente delittuosa fosse una costante in tragedie di quel periodo. Esse mettevano in scena i conflitti della vita reale, attraverso rappresentazioni fittizie (proprio come le crime novels degli autori della Golden Age), e andavano ad indagare pulsioni come il senso dell'onore e della rivalsa e la sete di potere, oltre al modo in cui esse influissero sull'animo umano; e proprio a questi due aspetti Blake si è ispirato per la scrittura dei propri libri.

In "Quando l'Amore Uccide", egli mette l'accento sulla personalità degli individui e, soprattutto, della vittima: chi era Fergus O'Brien? Come mai ha fatto di tutto per nascondere la sua vita prima del servizio militare? Forse si è reso colpevole di un atto orribile e qualcuno vuole fargliela pagare? E se è così, è opportuno per quella persona lasciarsi andare agli impulsi negativi oppure bisogna fare di tutto per contrastarli? Nei suoi libri, Blake indaga sul dilemma che sta alla base della scelta di agire dell'individuo colpevole e che ne segna il destino: esso è indice di un sentimento molto forte, che prima o poi può prendere ognuno di noi, e l'autore (per bocca di Nigel Strangeways) si domanda se sia legittimo provare quel risentimento quando qualcuno ci priva di ciò che per noi ha molta importanza. Forse la linea tra il bene e il male è più labile di quanto ognuno possa pensare, esiste un prezzo oltre il quale non siamo disposti a passare sopra e i nostri istinti ci spingono inesorabilmente a cercare un risarcimento, quasi come se la vendetta fosse auspicabile rispetto a qualunque altra cosa? In ogni caso, tutto dipende dall'importanza che noi scegliamo di dare a ciò che abbiamo perduto, ed è essa a stabilire quanto valga il nostro sacrificio. Le lettere anonime di "Quando l'Amore Uccide" suggeriscono proprio una situazione del genere, quali veicolo di un senso vendicativo radicato in profondità e al quale non si riesce più a dare sollievo; e se da una parte agli occhi dei lettori esse sono giustificate, dall'altra, man mano che la storia prosegue, ci rendiamo conto sempre più che cosa debba provare una persona vittima di questo sentimento per lungo tempo, che logora il destinatario e scava dentro al mittente, finché non resta altro che un guscio vuoto e si è condannati a un'esistenza vacua, vivi ma allo stesso tempo morti. Anche questa concezione "amorale" del colpevole è indice di una visione decisamente più moderna di quella degli scrittori di gialli di inizio Novecento: l'assassino e la sua preda non sono più considerati in modo automatico come mostro e vittima, ma a volte possono scambiarsi di ruolo. In questa voglia di innovazione e capacità di restare attuale, l'opera di Nicholas Blake si avvicina molto a quella delle Crime Queens (Dorothy L. Sayers, Agatha Christie, Margery Allingham e Ngaio Marsh) e costituisce uno dei migliori esempi di commistione tra giallo deduttivo e psicologico insieme.

Cecil Day-Lewis (alias Nicholas Blake), nato
nel 1904 e morto nel 1972
Infatti, anche se per definizione la classica crime story viene spesso associata a scrittrici di sesso femminile, non bisogna far l'errore di considerare gli scrittori maschili come scadenti o meno importanti. In tanti hanno preso le distanze da banali thriller, sul genere di quelli buttati già da John Buchan o di Sydney Horler, e si sono applicati alla costruzione di libri raffinati; come John Dickson Carr, ad esempio, che con le sue trovate straordinarie resta uno dei più grandi narratori di tutti i tempi, oppure autori meno conosciuti ma che hanno comunque dato un contributo importante al genere. Tra questi, vi sono alcuni esponenti del giallo deduttivo che godettero dell'elevata formazione accademica che Oxford assicurava ai suoi studenti: Edmund Crispin, Michael Innes e lo stesso Nicholas Blake, i quali ammirarono la prima generazione di giallisti e si adoperarono per ideare romanzi che riuscissero a fondere elementi di alta cultura con gli aspetti generali della detective novel. Una precisazione, però: quello di Blake fu uno pseudonimo. Dietro di esso si nascondeva Cecil Day-Lewis, Poeta Laureato, amico di W.H. Auden, esperto critico, elogiato da Churchill e da Lawrence d'Arabia, nonché padre dell'attore Daniel Day-Lewis. Nato nel 1904 a Ballintubbert, in Irlanda, egli si trasferì ben presto in Inghilterra, dove venne educato in alcune delle più prestigiose scuole del Regno Unito. Dopo la pubblicazione di una prima raccolta di poesie e la laurea a Oxford nel 1925, Day-Lewis si sposò con Constance Mary King e iniziò ad insegnare in alcune scuole, trovando tuttavia una certa ostilità a causa della sua adesione al comunismo. Nel 1935, volendo integrare i magri guadagni che gli procacciava la sua produzione poetica, decise di intraprendere la carriera di scrittore e pubblicò il suo primo mystery, "Questione di Prove", adottano lo pseudonimo di Nicholas Blake.

Il romanzo, che ottenne l'elogio della critica ma gli costò anche il posto di lavoro come insegnante (il caso è incentrato su una relazione adulterina tra la moglie del preside e un insegnante), introdusse il personaggio di Nigel Strangeways, l'immagine fittizia di Auden a cui vennero affiancati i tratti peculiari dell'investigatore dilettante: la passione per la citazione (innumerevoli all'interno dei suoi romanzi) e per la declamazione di poesie ad alta voce, l'intelligenza, la cultura, un certo fascino e buone maniere. Prima della morte, avvenuta nel 1972 mentre si trovava ospite dell'amico Kingsley Amis, Day-Lewis usò il suo nom de plume per produrre altri diciannove gialli (tra cui vanno ricordati "La Belva Deve Morire", da cui è stato tratto un film diretto da Claude Chabrol, "Le Pentole del Diavolo", "La Testa di Creta" e "Una Lama nel Cuore"), quasi tutti con protagonista Strangeways (il quale compie nel corso della sua esistenza un'evoluzione complicata quanto quella del suo stesso creatore), sostenendo spesso che essi servissero per sovvenzionare le spese della sua famiglia che, nel frattempo, era cambiata molte volte: a partire dagli anni '40, infatti, Day-Lewis divorziò dalla moglie e intraprese una lunga serie di relazioni con altre donne più giovani. Anche Dorothy L. Sayers ed Anthony Berkeley insistettero ad affermare come le loro crime novels fossero un semplice riempitivo per guadagnare soldi facili; il mio modesto parere è che, se davvero fosse stato così, non ci avrebbero mai messo tanto cuore ed anima nel crearli. Tutti e tre, infatti, non studiarono trame insipide e semplicistiche, ma si impegnarono ad innovare il genere, e Blake lo fece soprattutto con lo sviluppo della psicologia emotiva e l'introduzione di quesiti complessi ed intriganti.

Non solo "La Belva Deve Morire", il quale viene considerato il suo capolavoro, ma anche gli altri suoi romanzi sono caratterizzati da una grande attenzione in fatto di sentimento e psicologia, che sta alla base della ricerca della verità e si nasconde dietro al movente delle azioni umane. Il senso di perdita e di ineluttabilità di "Quando l'Amore Uccide", ad esempio, dà un tocco in più a tutta quanta la faccenda, e riesce ad infondere nel lettore uno struggimento che va ad aggiungersi all'amarezza del finale e alla delusione dei suoi personaggi. A fare da contorno, poi, ci sono un'ambientazione suggestiva adatta al tono malinconico della storia e caratterizzata da un grande senso della scena, con descrizioni degli ambienti che rendono il tutto un po' rarefatto, come se fossimo sospesi nel tempo (pp. 5, 19-20, 40, 64, 87-88, 96, 129, 150, 155-157, ma un plauso particolare va al toccante resoconto del salvataggio di Georgia Cavendish da parte di O'Brien nel deserto africano al cap. 11). I personaggi, dotati di forti personalità, si imprimono nella mente del lettore e sembrano muoversi davanti ai suoi occhi, tra le righe del libro. L'avventuriera che si smarrisce tra le dune sabbiose e rischia di morire (pp. 35, 71, 81-83), l'aviatore che la salva con un atterraggio di fortuna (pp. 11-16, 21-28), l'amante con l'animo melodrammatico da attrice che fa cadere gli uomini ai suoi piedi (pp. 69, 77, 85-86), il docente bisbetico dall'atteggiamento cinico e svogliato (pp. 32-33, 68-73, 130), l'egoista proprietario di night-club con il pallino per le noci da sgranocchiare (pp. 70, 79), il finanziere dotato di sangue freddo e mente razionale per far fronte agli imprevisti (pp. 84-85); tutti costoro agiscono come in un palcoscenico, dando al lettore indizi e false piste su cui arrovellarsi. Persino la cuoca, che solitamente è un personaggio un po' invisibile al'interno della trama, riesce a spiccare insieme agli altri per il suo fanatismo religioso e una certa dose di sadismo insito nella propria personalità (pp. 49-50).

La grande capacità di dipingere gli eventi con stile evocativo, immergendo il lettore in affascinanti e suggestive descrizioni molto diverse tra loro (la spedizione nel deserto al cap. 11, il ritrovamento del cadavere nella baracca al cap. 4, il volo fatale per uno dei personaggi sospetti sul finale) in modo sempre egregio, le continue citazioni al dramma del XVII secolo, che con le sue tinte fosche è perfetto a descrivere una vicenda desolata come quella raccontata (pp. 19, 21, 39, 98-99, 196-198), e la continua aggiunta di eventi criminosi ed indizi che fa cambiare prospettiva al lettore e lo guida in un territorio ancora inesplorato, in un'eterna girandola caleidoscopica che muta i sospetti in vicoli ciechi fino alla spiegazione perfettamente logica e in sintonia con i piccoli dettagli sparsi per tutto il romanzo (indispensabili per arrivare a capire che "quando l'amore uccide", non contano i semplici ragionamenti logici, ma bisogna prendere in considerazione anche come l'odio e il senso di vendetta si possano trasformare in sentimenti capaci di spingerci a compiere le imprese più straordinarie e, a volte, a sacrificare ciò che abbiamo di più caro in nome di qualcosa che abbiamo provato un tempo ma che, alla fine, ci è stato portato via, lasciandoci orfani e come "gusci di morte", decisi a darci quella giustizia che non sempre ci viene accordata) fanno di "Quando l'Amore Uccide" un romanzo complesso, in cui l'autore sembra metterci in guardia dal fatto che la vendetta abbia un costo non indifferente e mai conseguenze positive, soprattutto se associata con quel pericoloso sentimento che è l'amore; poiché essa è capace di pazientare per anni e anni nel cuore degli uomini e di infondere una forza incredibile in chiunque la nutra, come un fuoco inestinguibile che divora ciò che lo circonda, fonte di grandiose soddisfazioni le quali altro non sono che effimeri miraggi di un passato che mai ritornerà, ma anche di rovinare l'esistenza delle sue sfortunate vittime. Sta all'individuo decidere se vale la pena giocare la partita fino in fondo, oppure rinunciare ad essa in favore della consapevolezza di convivere col ricordo di quanto è accaduto.

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venerdì 6 dicembre 2019

16 - “Un Delitto Inglese” (“An English Murder", 1951) di Cyril Hare

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Sellerio Editore
Se c'è qualcosa di cui la Gran Bretagna va fiera, questa è la sua Tradizione più o meno antica nel tempo. Non solo dal punto di vista sociale e politico, considerando il fatto di possedere la democrazia più longeva del mondo (anche se negli ultimi anni sta affrontando non poche difficoltà a causa della Brexit), affiancata alla monarchia più famosa della Storia; ma pure in ambiti artistici come quello cinematografico: non per niente, uno dei suoi celebri esponenti fu nientemeno che Alfred Hitchcock, conosciuto soprattutto per le sue opere americane ma pure regista di film realizzati nella Vecchia Europa, imitato e assurto al riverente titolo di Maestro del Brivido. A ragione, si potrebbe dire che l'Inghilterra abbia costruito la propria fortuna sulla capacità di esaltare e sfruttare il suo eterno passato come se fosse ancora parte del presente (cosa che, purtroppo, non si riesce a fare adeguatamente in Italia, dove la materia prima è tanto più copiosa che in qualunque altro Paese quanto bistrattata): ha conferito ai modi di fare e intendere un dato argomento e agli usi e costumi del suo popolo un'immutabilità perenne e un'importanza caratteristica, tale da renderli inconfondibili da quelli del resto dell'Europa e da tramutarli in una "merce" da esportare all'estero, così da instaurare un prototipo (forse anacronistico?) che contribuisce ad accrescere e celebrare la grandezza del Paese, inducendo noi "stranieri" a guardare sempre più spesso al modello inglese come a un punto di riferimento, a farcì influenzare da esso e a tentare di imitarlo, addirittura facendo nostre alcune usanze meramente "folkloristiche" della sua storia, pur di sentirci più vicini alla Gran Bretagna. In tal senso, un esempio che sorge immediato alla mente è quello riguardante il Natale. Le abitudini anglosassoni, risalenti a secoli fa, prevedono una preparazione e una conseguente celebrazione di tale festa così da fondere gli antichi riti druidici con quelli cristiani, in una maniera che nel tempo è stata più o meno adottata anche altrove: ci sono le carole beneauguranti da cantare insieme agli amici di porta in porta, scambiandosi ramoscelli sempreverdi; la scrittura delle letterine per Babbo Natale e delle cartoline di auguri per i parenti; la decorazione dei negozi con addobbi natalizi a partire dal mese di novembre; per non parlare, poi, del complesso procedimento che porterà all'apertura del Calendario dell'Avvento, alla decorazione dell'albero in casa (suddiviso in fasi temporali) e all'apertura dei regali, in seguito alla Messa della Vigilia e di quella del giorno di Natale.

In realtà, ci sarebbero molti altri gesti legati alle feste natalizie (alcuni prettamente british, altri che pian piano abbiamo adottato anche noi), ma elencandoli tutti rischierei di dilungarmi troppo e di annoiare; quello che mi interessa sottolineare, è come il popolo inglese tenga in grandissima importanza tutto ciò che è legato al suo passato, sia tanto fiero di esso da desiderare e riuscire ad esportarlo, come se fosse qualcosa di scontato, e sia difficilmente disposto a cambiarlo in favore di usanze moderne (anche nel momento in cui sarebbe meglio farlo). Questo concetto, tra altre cose, è illustrato al meglio in uno dei più classici romanzi gialli della tradizione natalizia britannica: "Un Delitto Inglese" di Cyril Hare (Sellerio Editore, 2017), pubblicato anche nei Classici del Giallo Mondadori col titolo "Delitto di Natale". La Tradizione, insieme alla sua celebrazione, è infatti il tema principale attorno a cui ruota questo delizioso esempio di crime story legata al "Christmas Murder Mystery", in cui coesistono tutti i più tipici elementi caratterizzanti il sottogenere: una bufera di neve, il maggiordomo austero che non si scompone per nessuna ragione, la casa isolata in cui avviene un omicidio tra familiari e amici, sospetti in abbondanza e un assassino che si aggira tra i saloni silenziosi. Eppure, non è tutto qui: la sola presenza di questi caratteri rischierebbe di dare vita a una storia uguale a tante altre, senza identità definita, come accade sempre più spesso negli ultimi anni. Serve qualcosa in più per conferire originalità alle vicende raccontate, che le distingua dalla massa; e Hare, da buon avvocato, ha sfruttato la propria conoscenza della legge inglese per trattare anche temi politici e sociali, in modo da dare più enfasi alla Tradizione e, allo stesso tempo, gettare uno sguardo su come essa possa influenzare il futuro, aggiungendo originalità alle situazioni che ha tratteggiato.

Immagine del tipico Natale inglese
La storia inizia presentandoci il dottor Wenceslaus Bottwink, mentre quest'ultimo si trova nell'archivio di Warbeck Hall, una grande casa signorile immersa nella campagna inglese di proprietà della famiglia omonima, intento a svolgere alcune ricerche riguardo la storia politica dell'Inghilterra del XVIII secolo. Come apprendiamo ben presto, il professore è un appassionato studioso delle leggi britanniche, oltre che un rifugiato politico, abituato dalla Storia a mettersi in disparte e a farsi notare il meno possibile, il quale sta approfittando con estremo tatto della gentilezza di Lord Warbeck per completare le trascrizioni di alcuni documenti di proprietà della famiglia che gli potranno essere utili in futuro, incurante del freddo che lo attanaglia e dell'avvicinarsi del Natale. Solo il maggiordomo Briggs, altera figura silenziosa, lo avvicina quotidianamente per offrirgli una tazza di tè: gli altri domestici sono stati assunti per lavorare in giornata e passano tutto il tempo a mantenere in vita il poco che resta ancora in piedi dell'antica casa, mentre Lord Warbeck disputa una battaglia con la morte che gli impedisce di muoversi in libertà e si appresta a tramutarsi in una triste sconfitta. Pur essendo uno straniero poco abituato alle tradizioni dell'Inghilterra, Bottwink è consapevole del fatto che un ospite non è desiderabile per le imminenti feste, visti i numerosi problemi che affliggono il vecchio Lord; eppure, nonostante ciò, il padrone di casa sembra intenzionato a far finta che tutto stia andando bene e ad organizzare un ultimo Natale a Warbeck Hall: ha invitato i parenti e gli amici che gli restano per concludere il bellezza l'anno, e non ha alcuna intenzione di allontanare nemmeno l'esule professore.

Al party saranno presenti nientemeno che il Cancelliere dello Scacchiere dell'attuale Governo, Sir Julius Warbeck; il figlio di Lord Warbeck, un esaltato fascistoide senza il becco di un quattrino di nome Robert; lady Camilla Prendergast, nipote del vecchio; infine, la signora Carstairs, legata alla famiglia da una lunga amicizia e moglie del braccio destro del Cancelliere. Si prospetta un soggiorno perlomeno allegro per gli abitanti di Warbeck Hall; se non fosse che tutti, chi più e chi meno, nascondono un segreto nel proprio cuore e sono in rapporti tesi con almeno un altro componente della comitiva. Lady Camilla, ad esempio, vuole interrogare Robert sul loro burrascoso rapporto, decisa più che mai ad estorcergli la verità; la signora Carstairs nutre un profondo disappunto verso sir Julius, poiché è convinta che suo marito potrebbe fare un lavoro migliore se ricoprisse la sua carica; il Cancelliere, dal canto suo, sopporta malvolentieri la presenza di una guardia del corpo e teme che la sua figura istituzionale possa essere messa in ombra dalle ambiziose mire della Carstairs. Quello più scontento di tutti, però, è Robert: costretto a convivere con due avversari politici, un vecchio amore, un padre malato e un ebreo, non vede l'ora di andarsene. Senza contare quell'altro problema... E Briggs, che sotto l'apparente pacatezza deve fronteggiare una sfida importantissima, non solo per il suo avvenire ma soprattutto per quello di sua figlia? Fin da subito, perciò, i rapporti tra gli ospiti si guastano e si accendono liti per un nonnulla, facendo presagire sviluppi funesti in vista del 25 dicembre; sarà però la notte della Vigilia a veder entrare in scena il primo cadavere, mentre la neve cade fuori dalla finestra e le comunicazioni con l'esterno si interrompono. Bloccati dalla tempesta e prede di un misterioso assassino, gli abitanti superstiti di Warbeck Hall dovranno fare affidamento sull'acume della guardia del corpo di sir Julius, l'agente Rogers, e sul più insospettabile degli investigatori dilettanti per scoprire la soluzione di un omicidio prettamente "inglese", più che originale e legato a doppio filo con il glorioso passato della Gran Bretagna.

William Pitt il Giovane, figura centrale nella politica inglese
della fine del Settecento e delle vicende raccontate in "Un
Delitto Inglese"
Oltre a quanto abbiamo visto poco sopra, anche la classica crime story rappresenta un tipo di "prodotto locale" che costituisce un vanto per l’Inghilterra ed è stato possibile esportare al di fuori del Paese. Alcune sue caratteristiche (la zitella-detective, l'omicidio nel villaggio di campagna, il cadavere in biblioteca...), assieme alla figura dell'investigatore dilettante, acuto e originale, divenuto una figura familiare da associare allo svelamento del colpevole nel proverbiale salotto, e all'assassinio privo di violenza gratuita, sono entrate a far parte dell'immaginario collettivo e sono ormai conosciute in tutto il mondo proprio per il loro essere "tipicamente anglosassoni". In passato, il popolo inglese si è impegnato a consacrare questo modello letterario, nato per necessità in periodo di guerra ed evolutosi in strumento per sondare l'animo umano, al grado di tradizione perpetua a tutti gli effetti. Da semplice pretesto di svago, i suoi autori hanno compreso il desiderio dei lettori e, al fine di scolpirlo nel tempo, hanno reso il mystery portavoce di un passato glorioso, il quale è stato man mano modificato da importanti cambiamenti sociali e politici ma mai dimenticato, adottando di volta in volta forme nuove per rappresentare al meglio questi ultimi; nonché per stabilire una certa superiorità della Gran Bretagna rispetto al resto d'Europa, quando il romanzo giallo classico ha iniziato a diffondersi all'estero. Tra gli altri, il periodo natalizio, occasione di confronto tra generazioni differenti e miscuglio di usanze allegre e più cupe emozioni sotterranee, spesso legate ad innovative strategie di indagine psicologica, si è prestato magnificamente allo scopo e, di conseguenza, ha fornito agli scrittori di gialli il pretesto per creare l'usanza del "Christmas Murder Mystery" tutt'oggi in voga; intrecciato sì alla Tradizione dal punto di vista della forma, ma anche espressione del cambiamento dei tempi da quello dei contenuti. Infatti, sono stati soprattutto questi ultimi, i temi toccati nel corso delle indagini in queste straordinarie opere letterarie, a mettere in luce il contrasto esistente tra usanze passate e moderne, in cui le une dominano sulle altre in modo alternato, e a decretare il grandissimo successo di questo sottogenere.

Prendiamo "Un Delitto Inglese": il suo autore non si dilunga sulle specifiche abitudini del Natale, questo è vero; però, pur essendo stato scritto nel 1951, questo romanzo riesce a immergere il lettore nel mondo incantato della campagna inglese immersa nella neve, mettendo in mostra un tipo di società che sembra scaturito da un libro di storia sociale, nella quale contano i fasti e il rispetto del passato. Come un prototipo del "Giallo di Natale", il romanzo esalta ed eterna la Tradizione, presentando uno sfondo costituito dall'immancabile casa di campagna, claustrofobica e isolata da una bufera (pp. 11, 21-23, 34-35, 37, 39, 42-43 ecc.); un gruppo di personaggi variegati, parenti-serpenti legati da qualche tipo di rapporto e costretti a convivere tutti assieme in un luogo chiuso (ognuno con un proprio punto di vista e una personalità spiccata, come si evince dai quadretti del cap. 2); una narrazione caratterizzata da uno stile perversamente gradevole che mescola ironia nera e un tocco di gioia innocente (per esempio alle pp. 64-66); un enigma caratterizzato da una complessa corrente sotterranea di sentimenti contrastanti, in cui l'esplosivo contrasto tra amore e odio sfocia nell'omicidio pianificato con attenzione e senza inutili spargimenti di sangue (pp. 48-54, 53-55); un auto-nominato investigatore il più delle volte dilettante, il quale fa domande discrete e allenta la tensione con una buona dose di humor. Tutto ciò viene costruito con attenzione nel corso della narrazione, proprio secondo l'usanza della Golden Age secondo cui non esiste violenza gratuita e il movente è molto complesso da individuare, e ci catapulta nell'Inghilterra del passato. I personaggi, nel loro tratteggio, assomigliano alle figure che potremmo trovare nelle storie più classiche della tradizione, quelle conosciute dappertutto: il maggiordomo flemmatico (pp. 10-17, 32-35), il Lord attaccato al passato in cui egli contava ancora qualcosa (pp. 31-35), il ministro egocentrico che mette se stesso davanti al resto (pp. 18-23), la giovane ragazza innamorata dello scapestrato giovanotto in cerca di guai (pp. 23-26, 28-30, 63-66, 92, 127, 145-147), l'esimio professore straniero dall'aria sospetta (pp. 9-17), la tipica matrona "suffragetta" che si dà da fare per sostenere il marito (ma sotto sotto anche i propri interessi, pp. 26-28); tutti costoro appaiono familiari al lettore proprio perché prelevati dalla tradizionale società inglese, assieme ai loro nomi (avete notato che gli aristocratici hanno nomi insoliti, la servitù nomi comuni e il professore uno difficilmente pronunciabile?).

L'ambientazione non potrebbe essere più classica, con tanto di solido contesto storico-sociale a sostenere i momenti descrittivi della trama (in alcuni momenti assomiglia a quello dei romanzi tardo-vittoriani, come "L'Occhio di Osiride"). Lo stile stesso, in cui si alternano descrizioni che all'apparenza esulano dalla trama e dialoghi ironici tra gli attori in scena, sembra risalire ad anni precedenti a quello che vide la scrittura di "Un Delitto Inglese" (come nella digressione sulla pesca e l'amore alle pp. 82-83). Insomma; pur essendo della metà degli Anni '50 del Novecento, questo libro intelligente mette in mostra un mondo che possiamo definire suggestivo benché antico, superato, in cui la politica è ferma agli albori della politica fascista e nazista, in cui lo straniero viene visto come il Male e la società è basata su un sistema feudale alla fine della propria esistenza, minacciato dalle tasse sempre più gravi e da un sistema di classe al termine dei propri giorni e dominato dalle tradizioni familiari. L'atmosfera che si respira è quella di una belle epoque agonizzante: gli individui sono concentrati a soddisfare i propri desideri egoistici (vedasi Sir Julius), ad illudersi che tutto stia ancora andando bene e che non si stia profilando all'orizzonte l'alba di una nuova era, in cui per forza di cose verranno catapultati (Lord Warbeck e, in un certo senso, anche Robert); in questo Hare si è dimostrato ineccepibile ed abilissimo nell'inserire numerosi dettagli che conferiscono a tutto ciò un'immagine complessiva vivida, in cui sospetto e ambizione si mescolano al clima da brivido di Warbeck Hall. Tuttavia, se questa "forma" ci restituisce una sorta di esaltazione della Tradizione e un romanzo in cui il passato occupa ancora un posto di primo piano all'interno della storia, d'altra parte non si può fare a meno di notare che anche un preoccupato sguardo al futuro e all'implacabile cambiamento si affaccia ogni tanto tra le righe, grazie alla trattazione di alcuni temi fondamentali; come se esistesse la consapevolezza del fatto che il passato sia superato e bisogni guardare al futuro. Ad esempio, dietro il tono ironico dei dialoghi, si cela il decadimento dell'aristocrazia contrapposto dell'ascesa dei borghesi, indicato sia dal confronto tra il vecchio Lord Warbeck e suo figlio Robert (il dialogo tra i due alle pp. 37-43 ne costituisce un ridicolo esempio), sia dalla situazione di isolamento della casa durante la bufera di neve. I personaggi appaiono più spaventati di ogni altra cosa dal dover tornare tra il resto del mondo e affrontare il Nuovo Ordine che li aspetta là fuori (pp. 156-159); si sentono inadeguati, fuori posto, come Lord Warbeck mentre osserva i propri terreni, all'inizio del cap. 3. "Svegliandosi dal suo sonno leggero di ammalato, [...] vide dalla finestra il prato, il giardino, il parco [...]. Ogni traccia di abbandono e di trascuratezza dei tempi recenti era scomparsa. Il viale correva liscio [...], la siepe presentava una superficie piatta e uniforme [...]. Un'illusione, naturalmente. Due giorni di disgelo avrebbero mostrato nuovamente i dossi, i vuoti e e erbacce - avrebbero mostrato [...] le grondaie rotte in almeno mezza dozzina di punti di quella vecchia casa" pensa costui, riflettendo sulla propria precaria situazione economica e sui tempi che corrono veloci verso un futuro in cui lui non ha posto; senza dimenticare i continui riferimenti alla nostalgia di un po' tutti i personaggi, i quali desidererebbero tornare indietro a un momento in cui tutto era sinonimo di felicità e serenità (ad esempio, alle pp. 21-23, 78, 93-95).

Da questa profonda riflessione ne scaturisce un'altra sul cambiamento storico e politico, la quale si snoda per tutto il romanzo e delinea il complesso rapporto tra le classi, ognuna ritratta da un diverso punto di vista. L'indebolimento del vecchio ordine, legato a un arrugginito sistema costituzionale, e una certa ridicola ansia nel voler mantenere tutto come un tempo (compreso il complesso e arrugginito sistema giuridico inglese), all'alba di una nuova era, mettono in mostra come ormai gli abitanti di Warbeck Hall vivano in un disperato anacronismo, inadeguati nei confronti dei rapporti tra gli individui (spesso ci sono riferimenti al rango sociale), incapaci di guardare avanti e costretti a una non-vita volta all'indietro, in cui le lamentele si fanno sempre più numerose ma suonano ormai vuote ("un traditore della sua classe, un traditore del suo paese" viene definito Julius da Robert a p. 40). Più di una volta il professor Bottwink, dalla sua posizione privilegiata di straniero, percepisce questo conflitto interiore (ai suoi occhi, tutti sembrano "ancora sotto il potere della mano morta del passato"), ma allo stesso tempo egli appare incapace di uscire dal ruolo di "sinistro figuro" che gli è stato affibbiato; il quale mette in mostra quanto il conservatorismo inglese di quel tempo potesse essere nocivo, se non addirittura razzista (vedasi il pensiero di Sir Julius, quando Bottwink paragona la pesca e l'amore: "lo guardò con evidente sorpresa. Quel buffo e piccolo straniero poteva essere quasi umano, allora"). In ogni caso, per fortuna, c'è una nota lieta in tutto ciò: alla fine Bottwink riesce ad affrancarsi quasi del tutto dal suo status e a diventare l'investigatore dilettante del romanzo, una delle figure più inglesi di sempre. Non solo: se si presta attenzione, ci si rende conto che, una volta superata la morte del secondo personaggio, viene come tracciata una linea divisoria tra antico e moderno, oltre la quale le tradizioni iniziano a non venire più rispettate del tutto, le apparenze futili cadono assieme alle maschere dei personaggi, e ognuno affronta i propri demoni (pp. 162, 163, 166, 185-190, 192-198, 209, 217, 219, 232) come a voler dire: "Lasciamoci alle spalle ciò che è stato e che non tornerà; ricordiamoci di quanto è accaduto, ma affrontiamo il presente guardando avanti". A mio parere, il cardine della narrazione resta proprio questo insolito miscuglio di elogio e, allo stesso tempo, critica del passato: dall'antiquato e ritratto con un certo trasporto sistema giuridico che Hare mette in mostra gradualmente nel corso della trama, alla condizione precaria dell'antica aristocrazia illustre, alla Storia classista però gloriosa del popolo inglese; tutto quanto viene da un lato dimesso per poi essere in qualche modo elogiato dall'altro, senza celebrazione gratuita, in quanto parte di un'eredità che appartiene ad ogni individuo in Inghilterra e non può essere rinnegata. Anche questo fa parte della Tradizione cui accennavo sopra, della quale gli inglesi vanno tanto fieri: non è pensabile smettere di perpetuarla, anche se ormai arretrata.

Alfred Gordon Clarke (alias Cyril
Hare), nato nel 1900 e morto nel 1958
Lo stesso Cyril Hare (pseudonimo di Alfred Gordon Clarke) fu una figura tanto controversa quanto i temi trattati in "Un Delitto Inglese". Nato nel 1900 a Mickleham, studiò Storia al New College di Oxford prima di intraprendere la professione forense a Londra. In concomitanza con il matrimonio, tuttavia, decise di intraprendere l'ulteriore pratica letteraria per incrementare le magre entrate che gli procurava il suo lavoro ed assunse uno pseudonimo che univa il nome della sua abitazione (Cyril Mansions) con il proprio luogo di lavoro (sito a Hare Court). Come Cyril Hare iniziò a scrivere racconti per il "Punch", finché nel 1937 riuscì a pubblicare con discreto successo il suo primo giallo, "Tenant for Death", in cui le indagini vengono affidate a un ispettore di Scotland Yard piuttosto convenzionale, Mallet. Quest'ultimo ricompare nel titolo seguente, "Death is no Sportsman", ma fu dal 1939 che l'attività letteraria di Hare si fece più originale: con "Suicide Excepted", infatti, egli cominciò a sfruttare la propria esperienza nel mondo giudiziario e della legge inglese per rinforzare intreccio e ambientazione dei suoi libri, dando sempre meno risalto alla figura di Mallet. Nel frattempo, ricoprì per qualche tempo il ruolo di judge's marshal e accompagnò un giudice itinerante con mansioni segretariali nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale; esperienza che gli sarebbe servita per dare vita al suo capolavoro, "Tragedy at Law", in cui fece la sua comparsa il suo investigatore per eccellenza: l'avvocato Francis Pettigrew, il quale avrebbe anticipato i "personaggi di carne e sangue" (come l'ha definito Martin Edwards) degli scrittori futuri. Pettigrew, infatti, risulta un individuo molto meno impostato e formale del tipico detective della Golden Age, interessato il giusto al denaro e disilluso, moderno e giusto, per il quale il delitto non è un gioco.

Grande appassionato di storia, di musica classica, di legge (come Michael Gilbert, ad esempio) e provetto oratore, nonché affetto da una "congenita e incurabile indolenza" che limitò la sua attività letteraria, Hare scrisse cinque romanzi con Pettigrew protagonista, che sommati a una trentina di racconti e agli altri rimanenti contano dieci esemplari della miglior crime story di stampo giudiziario, prima di morire nel 1958. Tra questi ultimi, l'unico a non presentare un investigatore di serie fu proprio "Un Delitto Inglese", il quale vide invece come deus ex machina l'insolita figura di uno storico ungherese, il professor Bottwink, e si può considerare il più "classico" dei gialli di Hare. Esso venne basato su "The Murder at Warbeck Hall", un radiodramma composto per la serie "Mystery Playhouse presents The Detection Club", scritto in un tentativo di raccogliere fondi per il Club e trasmesso dalla BBC assieme a:
  • The Murder in the Mews by Agatha Christie;
  • A Nice Cup of Tea by Anthony Gilbert;
  • Sweet Death by Christianna Brand;
  • Bubble, Bubble, Toil and Trouble by E. C. R. Lorac,
  • Where Do We Go From Here? by Dorothy L. Sayers.
Sempre Martin Edwards ha rivelato che, al momento della sua morte, Hare aveva iniziato a scrivere un nuovo romanzo con protagonista il dottor Bottwink; purtroppo però non riuscì a finirlo e non se ne farà mai nulla, poiché l'esiguo manoscritto rimasto incompiuto è talmente breve da rendere impossibile capire come si sarebbe sviluppata la trama. Ciò è un vero peccato, visto il calibro del primo libro di quella che si prospettava come una serie di qualità.

Certamente, la trama di "Un Delitto Inglese" ruota attorno a un complesso cavillo legale, oscuro ai più in Inghilterra e del tutto sconosciuto a chi come me vive in in altro Paese, che rende impossibile sciogliere l'enigma del movente prima dello svelamento finale; per non parlare dell'uso ingegnoso di insolite figure politiche come quella del Cancelliere dello Scacchiere e di passaggi storici difficili da comprendere. Eppure, la resa dell'ambientazione e dell'atmosfera nel suo insieme, grazie allo stile e a personaggi vividi, conferiscono a questo libro una marcia in più, che compensa in parte l'impossibilità di scoprire il motivo del gesto dell'assassino (il colpevole, in realtà, non è così imprevisto). Ben più di una semplice storia si cela tra le righe di "Un Delitto Inglese": c'è interesse nel tratteggiare i processi di indagine; c'è una certa pietà nei confronti di tutti gli attori sulla scena (compreso il colpevole); c'è voglia di dare originalità alla trama (l'uso stesso del professor Bottwink come investigatore è indice di ciò), di spiegare qualcosa che va oltre il racconto, in modo simile a quello adottato da Dorothy L. Sayers in "Il Segreto delle Campane", e di dimostrare che spesso serve qualcuno che viene da fuori per rendersi conto di come sta la situazione; c'è una forte denuncia verso il classismo becero e il nazismo. Ma soprattutto, in questo romanzo viene sottolineata l'importanza della Tradizione; anche se superata, quest'ultima resta uno strumento irrinunciabile che conserva un ruolo di primo piano per comprendere il futuro. È indispensabile guardare avanti, sembra suggerire l'autore, ma tralasciare del tutto ciò che abbiamo abbandonato dietro di noi può portare a risultati spiacevoli (anche a lasciare insoluti diversi omicidi, a quanto pare).

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