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venerdì 21 maggio 2021

72 - "La Belva Deve Morire" ("The Beast Must Die", 1938) di Nicholas Blake

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Esistono libri che segnano la storia della letteratura, se non addirittura la Storia con la S maiuscola (tipo la Bibbia di Gutenberg, "L'Interpretazione dei Sogni" di Freud e "Il Capitale" di Marx). Si tratta di opere che, grazie alla forza dirompente delle loro parole (che non sono meno potenti delle intenzioni, come qualche cretino vorrebbe farci credere) e degli argomenti che magari hanno il coraggio di affrontare sotto un nuovo punto di vista, danno come una scossa alle menti dei lettori, gettano benzina su convinzioni nebulose per conferire loro consistenza, irrompono nella vita di tutti i giorni con i loro insegnamenti oppure illuminano e indicano nuove strade per esplorare quella Terra di Nessuno che è il cervello umano, tanto prezioso quanto semisconosciuto. Ora, siccome Three-a-Penny è un blog dedicato alla classica crime story, per introdurre la recensione di oggi non mi dilungherò troppo sul generale, ma mi concentrerò sul particolare e su alcuni titoli che si possono considerare a ragione come veri e proprio outsider. Ad esempio, "Il Mistero della Camera Gialla" di Gaston Leroux è stato uno tra i primi romanzi del mistero a presentare un delitto avvenuto in una stanza chiusa dall'interno. Prima di allora (era il 1907) c'era stato Poe con "I Delitti della Rue Morgue" a fare un tentativo in tal senso, ma finì per scrivere un racconto e non una storia articolata. Pertanto, Leroux ha avuto la brillante idea di estendere questo lampo di genio dello scrittore americano e ha consegnato ai lettori qualcosa di mai visto prima: un crimine il cui colpevole non esiste (almeno in apparenza), dal momento che non si può essere trovato sul luogo della tragedia. Allo stesso modo, E.C. Bentley ha introdotto una grossa innovazione scrivendo "La Vedova del Miliardario" nel 1913, tracciando una sorta di modello a cui si sarebbero ispirati moltissimi tra i suoi colleghi del Detection Club: la casa di campagna, l'investigatore che deve sentire i testimoni racchiusi in una cerchia ristretta di persone, l'uso dell'atmosfera per caricare il racconto di tensione... Richard Austin Freeman, poi, con il personaggio del dottor Evelyn Thorndyke ha inaugurato il giallo scientifico, dove contano le prove di laboratorio, gli indizi sul campo e la logica per trovare un assassino, senza scomodare la psicologia; mentre Francis Iles ha compiuto esattamente il percorso inverso con "L'Omicidio è un Affare Serio" e il calare il lettore dentro la testa del criminale.

Tutti questi romanzi, pertanto, hanno dato uno scossone non da poco alle convenzioni che volevano il giallo come una sorta di mero cruciverba, in grado di distrarre senza spendere troppe energie. Ed è stata una cosa molto buona; ma da un certo punto la faccenda è cambiata ancora e un'altra rivoluzione è giunta a scardinare le certezze del genere mystery. Infatti, alcuni autori hanno iniziato a veicolare messaggi importanti attraverso un tipo di letteratura "commerciale" come quella del giallo, innalzando questi libri alla pari con opere più pretenziose: così non solo ci si ritrovava a scorgere usi e costumi dell'epoca, ma pure convinzioni e cambiamenti che stavano avvenendo dentro alla società. E in molti hanno fatto tutto ciò attingendo dal passato e dando vita a una crime novel che mette insieme logica e psicologia, praticità e riflessione, creando opere senza tempo che resistono ancora oggi. Ad esempio, "Assassinio sull'Orient-Express" di Agatha Christie è ancora in vetta alle classifiche di tutto il mondo perché racconta una storia dove esiste un caso "tangibile", con tanto di indizi, ma pure mette in discussione il senso di giustizia. Cosa è Bene e cosa è Male? Questo è il punto cruciale del successo del romanzo. Stessa cosa per l'opera di Dorothy L. Sayers, la quale riesce ad andare molto più in profondità di qualsiasi altra nel declinare innumerevoli temi, trattandoli con serietà e rispetto. Oppure ancora certi gialli di John Dickson Carr, come "Le Tre Bare" e "Il Terrore che Mormora" che suscitano dibattiti accesi, oltre a presentare enigmi di prim'ordine. In questo numero di giallisti e di titoli immortali io personalmente aggiungo pure Nicholas Blake assieme alla sua opera. Blake è stato una delle stelle più fulgide del giallo di seconda generazione all'interno del Detection Club, assieme a Edmund Crispin, Michael Innes e Christianna Brand: nelle sue trame non sono mancate indagini improntate sulla raccolta di indizi tangibili, ma allo stesso tempo la ricerca della verità attraverso lo studio del comportamento umano ha avuto un enorme sviluppo, portando all'evoluzione di alcuni concetti considerati immutabili. Dilemmi morali e questioni esistenziali non sono mancate all'interno dei suoi gialli (basti pensare a "Quando l'Amore Uccide" che ho già recensito), e oggi voglio ribadire questo concetto presentandovi quello che viene considerato come il suo mystery più celebre e acclamato: "La Belva Deve Morire" (Polillo Editore, 2002), una storia di dramma, tormento, disperazione, vendetta, rancore e giustizia che trova pari esempio in pochissime altre occasioni e mostra fin dove ci si può spingere nell'innovare un genere letterario.

A Lane near Arles, Vincent van Gogh, 1888
Il racconto si apre con un breve quanto lapidario paragrafo: "Ho deciso di uccidere un uomo. Non so chi sia né dove viva, non ho idea di che aspetto abbia. Ma lo troverò e lo ucciderò". Molto melodrammatico, vero? D'altronde, a parlare in prima persona è uno scrittore di romanzi gialli, Frank Cairnes, il quale sta scrivendo un diario sotto lo pseudonimo di Felix Lane che funzioni come "complice muto" del proposito criminale che si è prefisso di assolvere: trovare l'autista dell'automobile che ha investito e ucciso il suo piccolo Martie e ripagarlo della stessa moneta, poiché la polizia è arrivata a un punto morto. Eppure Felix sembra preda di una sorta di disarmante avvilimento: nonostante voglia riuscire nel proprio compito, non ha la più pallida idea di come fare per portarlo a termine e la sua coscienza ogni tanto fa capolino per metterlo in guardia. Oltretutto, i pochi rapporti che ha deciso di mantenere lo inducono a trovare conforto nel prossimo; ma Lane è deciso: non riuscirà a vivere se prima non avrà giustiziato l'assassino di suo figlio e riversa il suo odio sulla carta, per poter ragionare con lucidità maggiore. E se all'inizio le cose non promettono molto bene, al punto di indurlo quasi a rinunciare per la sfiducia, ben presto alcuni dettagli sulla figura del misterioso omicida iniziano ad emergere. Durante un viaggio in macchina, infatti, Felix si imbatte in una fattoria molto isolata dove viene a sapere che un certo autista è finito in una gora d'acqua proprio nel periodo cruciale della tragedia occorsa a Martie. Perché lavare di proposito un parafango, se non ci fosse stata dietro una coscienza sporca? Nell'auto si trovavano due persone: un omone volgare che continuava a blaterare e una ragazza che aveva tutta l'aria di essere sull'orlo di una crisi di nervi. Per una coincidenza fortuita, costei è un'attrice conosciuta in Inghilterra, Lena Lawson, e Felix riesce ad ottenere un incontro con lei con la scusa di raccogliere materiale per un suo prossimo libro. La ragazza è molto bella, anche se un po' vanesia e superficiale, e pare abbia avuto un forte esaurimento nervoso qualche tempo prima: forse a causa del trauma di un investimento? Da questo punto in poi, Lane inizia a ricostruire il passato della giovane e si rende conto di come i tasselli vadano pian piano al loro posto: c'è addirittura un certo George Rattery che compare di sfuggita nei suoi discorsi e che viene subito scacciato, come se fosse un orrendo ricordo...

Felix Lane ormai è certo che il suo uomo (e vittima designata) sia Rattery; per cui, con una scusa, si fa presentare alla sua famiglia da Lena e inizia a sondare il terreno per capire se i suoi sospetti siano fondati o meno. Al di là di questo discorso, comunque, George si rivela essere un uomo terribile: alza la voce e le mani con la moglie Violer e con il figlioletto Phil, asseconda le idee antiquate e rivoltanti della madre Ethel che governa la casa a proprio piacimento, flirta con la signora Rhoda Carfax, la moglie del socio in affari con cui gestisce un'officina per automobili. E poi assume comportamenti egocentrici e pretende di essere l'unico in grado di sapere come stare al mondo. Felix ha deciso che, anche se non fosse l'uomo che sta cercando, l'assassino del suo piccolo Martie, Rattery deve scomparire dalla faccia della terra per non rischiare di influenzare negativamente Phil e portarlo alla pazzia. Però le cose sono più facili a dirsi che a farsi: come ha insegnato il mite dottor Bickleigh di "L'Omicidio è un Affare Serio", non è semplice ideare un delitto e poi farla franca. Servono doti particolari quali sangue freddo, un cervello capace di prevedere le mosse degli investigatori, essere in grado di dimostrare di non poter essere sospettabili. Felix possiede tutto ciò? A quanto pare è così poiché, nonostante un tentativo andato a vuoto, adesso ha trovato il modo giusto per sbarazzarsi di George Rattery: un finto incidente in barca, dal momento che l'altro non sa nuotare. Così arriva il gran giorno, tutto è pronto fin nei minimi dettagli... Quando all'improvviso il Fato decide di metterci lo zampino ancora una volta: dopo aver favorito Lane, ora pare ostacolarlo. Ma le cose non sono così semplici e ci saranno ancora tanti colpi di scena, prima della scoperta della verità sul caso raccontato in "La Belva Deve Morire". Perché ci sarà davvero un delitto, ma non certo come il lettore si aspetterebbe; e nemmeno Nigel Strangeways, convocato d'urgenza da Felix per un aiuto disperato, assieme alla moglie Georgia. Il racconto, da psicologico puro, si trasforma in un misto affascinante che saprà catturare il lettore e non gli permetterà di chiudere il libro. "La belva deve morire" recita il titolo: chissà se le cose andranno davvero in questo senso.

Two Figures in a Boat, Eric Ravilious, c.1930s
Mi fermo a questo punto nel delineare la trama per non rischiare di rovinarvi la lettura, dal momento che le scoperte che verranno in seguito saranno a dir poco sorprendenti. Tengo comunque a dirvi fin da subito che "La Belva Deve Morire" è proprio il tipo di giallo che oserei definire perfetto. Ogni cosa al suo interno è stata calcolata nei minimi dettagli, gli equilibri dosati da una parte e dall'altra per non sbilanciare un aspetto rispetto a un altro, i temi sono stati approfonditi, sviscerati, analizzati e restituiti al lettore con una forza strabiliante. Insomma, ha letteralmente tutto ciò che uno può chiedere a un autore perché soddisfi i propri desideri. Quello che più si nota leggendo questo romanzo, però, è che Blake vi ha infuso un'attenzione particolare nel trattare la psicologia dei personaggi, compiendo un grosso passo in avanti nella trattazione del senso di ciò che è giusto o sbagliato e quello di colpevolezza, proprio di un criminale. Con Felix, ci troviamo di fronte non solo a uno scrittore di mysteries fin troppo deciso a farsi giustizia da sé, caratterizzato in profondità e le cui caratteristiche mentali vengono continuamente sottoposte al giudizio del lettore, ma pure a una serie di sospettati di un delitto la cui personalità ci viene svelata pian piano, in un crescendo di tensione ed atmosfera a dir poco suggestiva. Dapprima facciamo il nostro incontro con quest'uomo distrutto dall'assassinio del figlioletto, con la vita spezzata e mai più sanabile: grazie al suo diario, riusciamo ad entrare nella sua mente, ad aggirarci tra le macerie che la popolano e agli spettri che la infestano tipo una casa stregata, e scopriamo come non sia quello che viene definito di solito "un assassino nato", quanto piuttosto un individuo portato all'esasperazione (non alla pazzia, sia chiaro, poiché ragiona con una lucidità distorta solo in parte) e che non ha più nulla da perdere. Quello che ci viene descritto è ormai un essere umano finito, straziato nell'animo, incapace di far fronte alla prova alla quale è stato sottoposto. Attraverso le sue stesse parole, veniamo a sapere come il dolore sia diventato talmente forte, per lui, da trasformarsi in cibo di cui nutrirsi, carbone che alimenti la sua sete di vendetta, l'unica cosa che gli resta. E in tutto questo, sembra che Felix Lane stia compiendo una sorta di analisi di Frank Cairnes, come se volesse tentare di comprendere il "se stesso" che fa capolino tra le righe. Credo sia uno dei ritratti più terrificanti e straordinari di assassino (presunto o meno, si scoprirà più avanti) che abbia mai ritrovato in un giallo, poiché non solo riusciamo a percepire i lati più oscuri del suo cuore e della sua mente, ma pure le debolezze a cui va incontro. La sua coscienza, così debole quanto la fiammella di una candela agitata dal vento, sembra sempre lì lì per estinguersi e far diventare Felix un criminale; eppure, resiste tenace contro i soffi malvagi che vogliono soffocarla (pp. 11-13, 18, 20-22, 25, 29, 33, 36-39, 41-42, 44-47, 53, 55-62, 64-69, 73, 75-76, 79-81, 84-86, 88-89, 91, 93-100, 102, 104, 108-109, 112-113, 119-123, 133-134, 136-137, 165-167, 208, 212-213, 253).

Il diario di Felix, tuttavia, non si limita a mostrarci come sia fatto il suo proprietario, cosa pensi, come intenda agire per vendicarsi, quali terribili piani stia facendo contro l'assassino del figlio; attraverso i ritratti che delinea Lane, ci facciamo un'idea ben precisa delle altre persone in cui egli si imbatte e che saranno poi parte integrale dell'indagine successiva. Da fine psicologo e conoscitore della natura umana, egli ci permette di fare il nostro incontro con Lena Lawson, questa attrice un po' sciocca ma decisa, descritta come volgare e appassionata amante in un primo momento, poi come leale amica e confidente. Assistiamo alla sua graduale evoluzione, all'attaccamento sincero che sviluppa verso Felix, ai suoi timori che lui possa considerarla simile a una donna di facili costumi, all'insicurezza nascosta sotto gli atteggiamenti impostati dell'attrice di professione. Anche lei, allo stesso modo del suo amato "Micetto", è sensibile e capisce che c'è qualcosa che non va in Lane, però non riesce ad essergli d'aiuto. Felix lascia emergere il suo lato più frivolo dal racconto, nonostante mostri la preoccupazione di Lena quando si rende conto di come lui la stia allontanando pian piano, mentre si avvicina il momento in cui dovrà mettere in atto il proprio progetto criminoso. Sarà poi in seguito, quando Lane lascerà il posto di narratore, che avremmo un quadro completo della ragazza, molto più benevolo di quello che era stato fin lì tratteggiato. Invece quello di George Rattery si dimostrerà ampiamente negativo: non solo da ciò che emerge dalle parole di Felix, le quali lo descrivono come un rozzo ignorante capace di tormentare il prossimo e abusare di quanti gli stanno intorno, ma pure dal racconto in terza persona che viene fatto in seguito. Rattery incarna allo stesso tempo l'assassino e la vittima ideali, mostrandoci ancora una volta come tutti quanti noi siamo duplici: tanto è spietato, crudele, spregevole, insolente, prepotente quando assume il ruolo del capofamiglia e del vessatore, quanto per queste stesse caratteristiche la preda ideale di un Fato giudizioso e benevolo che dovrebbe toglierlo di mezzo per fare un favore al resto del mondo. Un ritratto altrettanto dettagliato viene fatto per gli altri componenti della famiglia Rattery: la vecchia Ethel, la "matrona romana" che spadroneggia in casa e ritiene giustificato il delitto d'onore, pronta a servirsi di mezzucci e ricatti per ottenere ciò che vuole e spietata addirittura con Phil, ma indifesa e isolata; Violet con il figlio Phil, prede di individui più determinati di loro, costretti a sopportare le angherie e a una sottomissione totale, mentre covano nel proprio cuore il risentimento e l'odio senza sfoghi. Per non parlare dei Carfax, gli amici e vicini di casa che risultano la coppia meno ben assortita ma tutto sommato soddisfatta. Possono nascondere segreti l'uno all'altra, possono essere bugiardi oppure mistificatori, ma assassini? Questa è una domanda a cui Nigel Strangeways dovrà rispondere. Questo studio della psicologia dei personaggi, pertanto, costituisce il perno attorno a cui si sviluppa "La Belva Deve Morire" ed è una sorta di sorgente dalla quale la trama stessa trae vigore, poiché è dal disvelamento di nuovi aspetti caratteriali dei protagonisti che nascono piste da seguire, capovolgimenti e sorprendenti svolte nel racconto. Poche volte prima di questo caso si era verificato qualcosa di simile.

Cecil Day-Lewis, alias Nicholas Blake, nato
nel 1904 e morto nel 1972
Una tra le cose più sconcertanti di tutto quello che riguarda Felix, tuttavia, è il fatto che egli sia una sorta di autoritratto (pp. 14-15, 22, 23) di Cecil Day-Lewis, l'uomo che si nascondeva dietro lo pseudonimo di Nicholas Blake. Poeta Laureato, amico di W.H. Auden, esperto critico, elogiato da Churchill e da Lawrence d'Arabia, nonché padre dell'attore Daniel Day-Lewis, Day-Lewis nacque nel 1904 a Ballintubbert, in Irlanda, ma si trasferì ben presto in Inghilterra, dove venne educato in alcune delle più prestigiose scuole del Regno Unito. Dopo la pubblicazione di una prima raccolta di poesie e la laurea a Oxford nel 1925, egli si sposò con Constance Mary King e iniziò ad insegnare in alcune scuole, trovando tuttavia una certa ostilità a causa della sua adesione al comunismo. Nel 1935, volendo integrare i magri guadagni che gli procacciava la sua produzione poetica, Day-Lewis decise di intraprendere la carriera di scrittore e pubblicò il suo primo mystery, "Questione di Prove", adottano lo pseudonimo di Nicholas Blake. Il romanzo, che ottenne l'elogio della critica ma gli costò anche il posto di lavoro come insegnante (il caso è incentrato su una relazione adulterina tra la moglie del preside e un insegnante), introdusse il personaggio di Nigel Strangeways, l'immagine fittizia di Auden a cui vennero affiancati i tratti peculiari dell'investigatore dilettante: la passione per la citazione (innumerevoli all'interno dei suoi romanzi) e per la declamazione di poesie ad alta voce, l'intelligenza, la cultura, un certo fascino e buone maniere. Prima della morte, avvenuta nel 1972 mentre si trovava ospite dell'amico Kingsley Amis, Day-Lewis usò il suo nom de plume per produrre altri diciannove gialli (tra cui vanno ricordati "La Belva Deve Morire", ispirato da un incidente quasi mortale occorso al figlio e da cui è stato tratto un film diretto da Claude Chabrol, "Le Pentole del Diavolo", "La Testa di Creta" e "Una Lama nel Cuore"), quasi tutti con protagonista Strangeways (il quale compie nel corso della sua esistenza un'evoluzione complicata quanto quella del suo stesso creatore), sostenendo spesso che essi servissero per sovvenzionare le spese della sua famiglia che, nel frattempo, era cambiata molte volte: a partire dagli anni '40, infatti, Day-Lewis divorziò dalla moglie e intraprese una lunga serie di relazioni con altre donne più giovani. Anche Dorothy L. Sayers ed Anthony Berkeley insistettero ad affermare come le loro crime novels fossero un semplice riempitivo per guadagnare soldi facili; il mio modesto parere è che, se davvero fosse stato così, non ci avrebbero mai messo tanto cuore ed anima nel crearli. Tutti e tre, infatti, non studiarono trame insipide e semplicistiche, ma si impegnarono ad innovare il genere, e Blake lo fece soprattutto con lo sviluppo della psicologia emotiva e l'introduzione di quesiti complessi ed intriganti.

Un esempio a sostegno di questa argomentazione è costituito proprio da "La Belva Deve Morire", il quale (come abbiamo visto) riesce a fondere molti aspetti contrastanti della classica crime story. Non solo dal punto di vista della psicologia del personaggi, i quali vengono esaminati come attraverso una lente d'ingrandimento sotto l'aspetto emotivo, ma pure in numerose altre declinazioni possiamo riscontrare l'originalità di Blake nell'approccio al giallo e la sua intenzione nel voler creare opere originali nelle trattazione dei temi e nella composizione stilistica. La trama stessa e l'enigma, che si sviluppano proprio a partire dai risvolti che gli stessi protagonisti mettono in moto, mescolano riflessione e azione e sono centrali nella costruzione del risultato finale: la loro complessità alimenta la curiosità del lettore in modo straordinario, generano equivoci e danno vita a colpi di scena inaspettati poiché improvvisi e governati da un Fato che spesso, nell'opera dell'autore, è beffardo, ironico nella sua malvagità. Spesso mi è capitato di leggere qualche thriller contemporaneo e ho riscontrato come l'ossessione per la costruzione dei personaggi spesso porti a trascurare lo sviluppo della storia; ecco, bisognerebbe prendere esempio da Blake il quale riesce a portare avanti di pari passo entrambi questi aspetti, con equilibrio e soprattutto in modo egregio e diverso. Infatti, basta dare un'occhiata alla struttura del racconto: all'inizio abbiamo un diario che ci permette di avanzare lungo la linea temporale e, allo stesso tempo, di iniziare a comprendere le personalità degli attori sulla scena; poi, cambiando registro, Felix e gli altri personaggi ci vengono mostrati da un punto di vista impersonale; ancora, passiamo a osservare le vicende attraverso gli occhi di Nigel Strangeways, il quale getta una nuova luce su quanto credevamo di conoscere; infine, attraverso note e articoli di giornale, Blake corona il tutto tornando all'impersonalità (o quasi). Tutto ciò è assolutamente sorprendente, poiché permette a chi legge di farsi un'idea a 360 gradi delle personalità e del mondo all'interno di "La Belva Deve Morire": a un certo punto tutto diventa familiare, entriamo in sintonia con gli attori e comprendiamo i loro stati d'animo.

A questa divisione tra una prima parte forte dal punto di vista emotivo e le altre, dove invece lo stile è più impersonale e l'indagine assume una forza tradizionale pur giocando sull'uso della psicologia come punto di partenza per la raccolta di prove tangibili, si aggiunge poi la cupezza dei toni del racconto. "La Belva Deve Morire", allo stesso modo di "Quando l'Amore Uccide", non racconta una vicenda dai contorni frivoli oppure "leggeri" come accade in altri frangenti dentro la classica crime story britannica: qui ci troviamo di fronte a una tragedia umana, che parte fin dalle prime righe con un ritmo serrato e che pone enfasi sulla tristezza dei destini di Martie e di Felix. Se nel caso che coinvolse l'aviatore Fergus O'Brien, quest'ultimo assumeva atteggiamenti cinici verso le minacce di morte che gli venivano rivolte e nella conclusione rivelava quanto la sua esistenza fosse stata caratterizzata da rancori e odii radicati, allo stesso modo Felix Lane ci annuncia subito di essere un potenziale assassino senza scrupoli o riserve, deciso a farsi giustizia da sé e incurante delle conseguenze del proprio gesto. Come due facce di una stessa medaglia, due specchi che riflettono l'uno con l'altro, questi personaggi non aspirano a una forma di redenzione o di riscatto, non agiscono per un fine che appaia nobile ai loro occhi: fanno semplicemente quello che devono per una sorta di senso dell'onore distorto. Anzi, meglio ancora: compiono determinate azioni per ottenere ciò che spetta loro e il Fato ha negato. "Vendetta, il boccone più dolce che sia mai stato cucinato all'inferno" scrisse una volta Walter Scott; ebbene, Felix si ciba in gran quantità di questo piatto in "La Belva Deve Morire". Nutre questo sentimento terribile con gli abusi domestici di cui sono vittime Violet e Phil Rattery, con i flirt di George con Lena e Rhoda, con il ricordo ossessivo della sorte di Martie e i cocci della propria vita. Questo romanzo (come gran parte dell'opera di Blake) non è di facile comprensione dal punto di vista dei contenuti: il rancore, l'odio radicato nel profondo, la vendetta emergono in continuazione, mescolati con la natura meschina (ma sarà davvero così?) del protagonista che non esita a servirsi di qualsiasi mezzo per raggiungere il proprio fine; addirittura ingannando i sentimenti di Lena e la fiducia degli amici come il generale Shrivenham. Nonostante la presenza di toni quasi troppo enfatici soprattutto nella parte del racconto dedicato al diario, c'è un incredibile senso di realtà al fondo di "La Belva Deve Morire": ciò che conduce Lane non è uno scherzo oppure una facezia tipica di un giallo dell'inizio del Novecento, ma un gioco molto pericoloso che può vedere il suo trionfo come la propria caduta inesorabile.

Pertanto, questo giallo dipinge una situazione che potrebbe benissimo rispecchiare la realtà dei fatti, seguendo l'esempio che già in precedenza Dorothy L. Sayers aveva indicato come modello. E lo fa sfruttando non solo uno stile ricercato, complesso, melodrammatico nei toni e carico di una forte corrente di sensibile coinvolgimento interiore, il quale rivisita la poesia classica di Terenzio, Catullo, Ovidio e altri grandi autori più o meno classici (vengono citati Coventry Patmore, poeta ottocentesco, la "Ballata di Lord Randall" e "Vier ernste Gesänge" op. 121 di Brahms, pp. 17, 47, 49, 51, 53, 86, 119, 130, 134-135, 156, 160, 165, 170, 172, 185-186, 230, 232, 247, 253, 266); Blake decide di trattare temi seri e importanti come il senso di giustizia (pp. 11-13, 18, 30-31, 64, 87-89, 257), di coscienza criminale e di riflessione sul delitto (pp. 9-10, 19, 25-28, 31-38, 44, 54, 63, 70-71, 77-78, 81, 92-93, 103, 141-143, 149-150, 152-154, 160-164, 167-168, 195-199, 248-255). Quando una persona è giustificata nel commettere un omicidio? Cosa sono il Bene e il Male, di fronte alla cattiveria innata dell'uomo? Esiste il delitto "buono", quello che permette di liberare alcune vittime dalle angherie di un aguzzino altrimenti intoccabile? Può un assassino essere capace di convivere con la propria colpa, se questa è in qualche modo legittimata? E chi decide tutto ciò? L'autore si interroga su tutti questi quesiti e ci presenta la sua visione delle cose, senza banalizzare. Dimostra come la giustizia sia qualcosa che sta al di sopra dell'essere umano: nessuno di noi può esercitarla oppure governarla fino in fondo, poiché nonostante i nostri piani dettagliati può sempre accadere una coincidenza a scombinare la faccenda. Questo concetto è insondabile; come pure la coscienza di un assassino. Uno può sforzarsi di penetrare nei fili sconnessi di una mente malata, seguirli come dentro un labirinto in cui la perdita dell'orientamento sarà fatale, ma sarà sempre un'indagine condotta solo "fino a un certo punto". Nemmeno il criminale stesso riesce a capire fin dove si può spingere. Si tratta di concetti attuali ancora oggi, che giustificano il perdurato successo di "La Belva Deve Morire"; assieme alla costruzione di personaggi eccellenti, un'atmosfera cupa e terribile, una genuina tensione, un enigma che da solo potrebbe costituire il fulcro di un giallo molto più semplice ma comunque valido, l'esplorazione delle conseguenze della vendetta dà vita a un romanzo del mistero di prima classe. Un vero capolavoro, in cui la coscienza sporca la fa da padrone. Consigliatissimo.

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venerdì 13 dicembre 2019

17 - "Quando l’Amore Uccide" ("Thou Shell of Death", 1936) di Nicholas Blake

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 449
Nella recensione di "Un Delitto Inglese" di Cyril Hare della settimana scorsa, abbiamo visto come il "Christmas Murder Mystery" sia legato a doppio filo tanto con il passato quanto con il futuro; ancor più di quanto accada con la "normale" crime novel della Golden Age. Nel "Giallo di Natale", infatti, benché si respiri una forte atmosfera rarefatta, in cui elementi suggestivi della tradizione riescono a rivivere insieme ai propri pregi e difetti, si nota pure una spiccata consapevolezza del fatto che non ci si possa adagiare sul tempo ormai trascorso e sia necessario affrontare e accogliere senza riserve ciò che inevitabilmente verrà. Da ottimo strumento per indagare la complessità dell'animo umano, a partire dagli anni '30 il mystery classico si è fatto portavoce di importanti cambiamenti sociali e politici, adottando di volta in volta forme nuove per rappresentare al meglio questi ultimi e accontentare il suo pubblico; eppure, contemporaneamente non ha dimenticato ciò che ha costituito il tempo andato e ha saputo mettere in luce l'atteggiamento di orgoglio e sfida dello scontro ideologico tra generazioni e come, a volte, il passato possa tramutarsi in uno spettro che infesta il presente, mettendo in dubbio il futuro; soprattutto all'interno del sottogenere a tema natalizio. Da parte mia, sono sempre stato affascinato da questo tipo di contrasto presente nel "Christmas Murder Mystery"; nutro un debole per qualunque romanzo del mistero ambientato in scenari datati ma suggestivi, con una bella nevicata che confini i protagonisti fuori dalla rassicurante civiltà e li costringa, tra un festeggiamento e l'altro, a far fronte ai propri demoni interiori e a mettere a confronto idee e concetti personali; e sono convinto che la grande fortuna del "Giallo di Natale" vada ricercata proprio nella sua capacità di mescolare al meglio antico e moderno e di declinare i caratteri fondamentali della crime novel, secondo uno schema tanto preciso quanto affascinante che si è sviluppato di pari passo con l'ascesa del sottogenere "psicologico".

Sono quattro gli elementi a cui mi riferisco: per dare vita a una trama vivida e capace di cristallizzare scene di grande effetto, agli autori occorrono un'ambientazione intrigante (relegata all'immancabile casa di campagna, meglio se claustrofobica e isolata da una bufera), il tratteggio di personaggi variegati (magari legati da rapporti famigliari o di amicizia e costretti a convivere insieme in un luogo limitato, ognuno con un punto di vista e una personalità spiccata), uno stile perversamente gradevole che mescola ironia nera e un tocco di gioiosa allegria e, ovviamente, un enigma in cui esiste una complessa corrente sotterranea di sentimenti contrastanti (in cui l'esplosivo contrasto tra amore e odio sfocia nell'omicidio attentamente pianificato). Mettere insieme tutti questi caratteri, aggiungendo innovative strategie di indagine psicologica e rancori sopiti, significa dare vita a complessi ritratti sulla natura e sul comportamento umani, in cui a una certa nostalgia per il passato viene accostato un moderno approccio all'indagine, e per quanto mi riguarda assicura una lettura perlomeno piacevole. Il più delle volte, però, ho notato che uno di essi viene valorizzato di più rispetto agli altri; per cui, nel corso di questo mese, ho deciso di prendere in considerazione una classica crime novel specifica per ognuno di questi elementi del "Giallo di Natale", partendo proprio da quello più significativo. L'enigma, infatti, costituisce il fulcro di ogni romanzo giallo che si rispetti, sia esso ben costruito o meno, e in "Quando l'Amore Uccide" di Nicholas Blake (Classici del Giallo Mondadori n.449, 1984) esso è stato caricato di un significato particolare. Al fascino di una trama giocata su caratteri tradizionali come una tetra casa di campagna e personaggi dalla personalità esplosiva, tratteggiati con uno stile che tende a rafforzare le emozioni che essi esprimono, si aggiunge un mistero contraddistinto da tumultuose correnti sotterranee e da una moderna desolazione nel tratteggio dell'indagine, che anticipa già in qualche modo il giallo psicologico che avrebbe riscosso grande successo anni dopo e si scontra con il periodo natalizio in cui essa si svolge, dando vita a un delitto impossibile di altissimo livello e al "più strano, più complicato, più melodrammatico caso" nel quale Nigel Strangeways, il protagonista del libro, si sia mai imbattuto nel corso della sua carriera di investigatore dilettante.

Villa georgiana nel Somerset, simile alla Dower House di
Fergus O'Brien
La vicenda si apre pochi giorni prima di Natale, quando Nigel, il quale si trova a Londra come ospite di alcuni parenti, lord e lady Marlinworth, riceve la visita dello zio John, nientemeno che l'Assistente all'Alto Commissario di Scotland Yard. Quest'ultimo, memore dell'acume dimostrato dal nipote nel corso della sua prima indagine ufficiale (raccontata in "Questione di Prove") e deciso ad aiutarlo a farsi una reputazione di tutto rispetto, intende sottoporre alla sua attenzione un caso molto particolare. Il leggendario eroe dell'aria Fergus O'Brien, ormai ritiratosi da qualche tempo dalla vita pubblica in favore di un isolamento volontario presso una villa lontana dal caos cittadino, si trova infatti in una situazione a dir poco spiacevole, per la quale si è rivolto alla polizia: da qualche mese sta ricevendo una serie di lettere minatorie molto particolari, venate di un umorismo melodrammatico, che gli preannunciano la sua prossima dipartita il giorno di Santo Stefano e il cui mittente non è stato possibile rintracciare. Sebbene O'Brien non appaia molto intimorito da questa faccenda, sir John teme che ci possa essere qualcosa di fondato nelle minacce rivolte al famoso aviatore; oltretutto, egli stesso ha lasciato velatamente intendere che gradirebbe una protezione ufficiosa fino alla fine delle feste, per scongiurare del tutto il pericolo, forse perché convinto di essersi fatto troppi nemici, disposti a vendicarsi di lui ad ogni costo, nel corso della sua vita movimentata. Tuttavia, la sua guardia del corpo non dovrebbe essere un vistoso poliziotto: dopotutto, la storia delle lettere potrebbe rivelarsi uno scherzo di pessimo gusto e la presenza di un agente nella sua casa gli impedirebbe di muoversi liberamente e mal si accorderebbe al suo capriccioso umore e instabile temperamento. Pertanto, sir John ha deciso di chiedere a Nigel di assumersi l'incarico di proteggere l'aviatore senza dare nell'occhio, qualora fosse interessato. Il giovane è incuriosito dal caso e dall'illustre celebrità coinvolta; così decide di accettare, fosse solo per conoscere il mitico pilota. In questo modo, approfittando di un passaggio da parte degli anziani parenti diretti in una casa vicina a quella dell'aviatore, si presenta a Dower House pochi giorni prima di Natale.

Fergus O'Brien si rivela un personaggio estremamente difficile da decifrare: da una parte sfoggia un atteggiamento fin troppo sicuro di sé, e dall'altro sembra essere turbato dalla minaccia dello sconosciuto assassino presunto. Passeggia irrequieto per la casa e il giardino, indeciso se mostrarsi coraggioso oppure nascondersi finché il pericolo non è passato; fa strani commenti alle parole di Nigel e trascorre le sue giornate in una solitudine quasi completa, studiando misteriosi progetti per un nuovo aeroplano. Inoltre, come se non fosse già abbastanza difficile tenere d'occhio quanto accade ad O'Brien, quest'ultimo complica il compito di Nigel decidendo improvvisamente di dare una festa per Natale, durante la quale saranno invitati alcuni suoi conoscenti (tra cui alcuni individui vendicativi che, a detta dello stesso aviatore, avrebbero motivi più che legittimi per eliminarlo). Nigel Strangeways inizia a dubitare di poter assolvere al suo compito e lo fa notare al suo protetto; eppure O'Brien ha predisposto un piano per sfuggire alla sua prematura fine, e la sera di Natale si rinchiude in una baracca vicino a Dower House, mentre la neve inizia a cadere dal cielo. Peccato che il mattino seguente, di buon'ora, proprio laggiù venga rinvenuto il suo cadavere; e cosa più strana, le uniche orme sul prato innevato che collegano la casa alla sua piccola appendice vanno verso quest'ultima, come se nessuno ne fosse uscito fino alla scoperta del corpo.

Si tratta di suicidio? Nigel è sicuro che non sia così e, indispettito dall'essere stato messo nel sacco dall'assassino, decide di prende parte alle indagini della polizia (impersonata dal sovrintendente Bleakley) iniziando a raccogliere indizi e a sondare quella che lui definisce "la dimensione emotiva" del caso. Infatti, sebbene le prove materiali puntino verso gli ospiti della casa (Knott-Sloman, il proprietario di un club di dubbia fama; Lucilla Thrale, l'amante di O'Brien; i fratelli Georgia ed Edward Cavendish, esploratrice e finanziere, e Philip Starling, professore di greco a Oxford), i caratteri dei sospettati non si accordano con il quadro del delitto che pian piano la polizia riesce a costruire con l'aiuto dell'investigatore dilettante. Ognuno di loro avrebbe potuto decidere di sopprimere l'aviatore; eppure il profilo dell'assassino racchiude troppe caratteristiche incongruenti e Nigel si convince che la chiave del mistero debba risalire molto indietro nel tempo; forse addirittura alla giovinezza dell'Eroe dell'Aria, tanto più che essa è avvolta nel più stretto riserbo e sembra che nessuno vi possa far luce. Dovrà fare un lungo viaggio e assistere ad altri atti criminosi, prima di poter sbrogliare la matassa in un finale sbalorditivo, in cui risulteranno fondamentali l'intervento di un insigne grecista e la conoscenza dell'oscuro teatro elisabettiano.

Disegno raffigurante una veduta dei teatri elisabettiani a
Londra, con The Globe e The Bear Gardne
Pubblicato per la prima volta nel 1936, "Quando l'Amore Uccide" mette in mostra al meglio quel profondo interesse per la psicologia che ha caratterizzato gran parte della crime story degli anni '30. Se tra l'inizio del Novecento e la fine della Prima Guerra Mondiale, infatti, l'attenzione degli scrittori di gialli si era concentrata sull'ideazione di delitti in cui era la componente "meccanica" a farla da padrone, con l'utilizzo di stratagemmi legati a trappole nascoste, numerosi indizi materiali disseminati tra le pagine e un investigatore che interroga il proprio cervello secondo criteri e deduzioni prettamente scientifici (come, ad esempio, in "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman"), poco tempo dopo la fine della Grande Guerra le teorie innovative sulla psicanalisi di Sigmund Freud spinsero alcuni autori di crime novels ad introdurre nei loro libri enigmi dalla forte componente psicologica, i quali ruotavano più sulle emozioni e gli impulsi dei personaggi che sul metodo di uccisione in sé. Con questo non voglio dire che l'interesse per la pura detection scemò: il sottogenere della camera chiusa, basato su trucchi illusionistici e astute trovate e caratterizzato dalla canonica "sfida al lettore", riscosse un grande successo ancora a lungo, come testimoniano i libri di John Dickson Carr; eppure, non tutti decisero di seguire la stessa strada "tradizionalista" intrapresa dal Maestro del Brivido. Pur senza rinunciare a un'indagine in cui le prove servono ad inchiodare il colpevole e a portarlo sulla forca, scrittori come Nicholas Blake (tra i britannici con Edmund Crispin e Michael Innes, ma non solo) oppure Helen McCloy, per citare anche una tra le autrici americane più meritevoli in questo senso, svilupparono un tipo di romanzo in cui l'approccio all'indagine assumeva una connotazione più moderna, basata sul profilo dei sospettati e sui moventi che li spingono ad agire nel corso della storia, e che mescola la formula classica del giallo con una trattazione innovativa dell'enigma.

Nel libro della recensione di oggi, il fulcro della vicenda ruota proprio attorno all'indagine e all'applicazione di una profonda analisi della psiche dei personaggi per la risoluzione di un mistero diviso tra passato e presente. Certo, il quesito è equilibrato tra meccanica e risvolti psicologici (non per niente, venne ispirato proprio da Carr nella sua declinazione di delitto impossibile; vedasi cap. 14, ma anche cap. 5); però il trucco pratico viene svelato ben presto ed è nella sua "dimensione emotiva" (p. 62), generata dal sentimento e dalle percezioni, che l'indagine esalta la propria identità: il comportamento e la reazione di ogni singolo individuo davanti a questioni morali, infatti, diventa più di tutto il resto un tassello da mettere al proprio posto per comprendere la totalità del problema, all'interno di un quadro più grande in cui dominano temi etici come quello della giustizia e della vendetta. Tra le prime volte all'interno della letteratura del mistero, in "Quando l'Amore Uccide" i personaggi, tratteggiati a tutto tondo, diventano prove da catalogare e da decifrare allo stesso modo delle orme sulla neve e degli oggetti incriminati, con tantissime sfaccettature e segreti (pp. 35, 37, 57, 62, 76, 85...), e l'insieme delle loro reazioni al momento di contatto gli uni con gli altri genera interessanti esiti in favore dell'indagine (pp. 85-87, cap. 11); soprattutto l'investigatore e l'assassino che, pur rappresentando le due facce della natura umana e l'ineluttabile successo del primo a riflettere la speranza dell'uomo nel trionfo del bene, vengono messi sullo stesso piano e condividono pietà e compassione da parte dell'autore, come se l'omicida non debba per forza essere considerato un mostro e il delitto appaia in qualche modo giustificabile. Inoltre, ancora una volta, la contrapposizione tra ciò che è stato e il presente è molto forte e, come era avvenuto in “Un Delitto Inglese” e in “La Figlia del Tempo”, gioca un ruolo importante nel plasmare i caratteri degli attori sulla scena e nella scoperta della verità (probabilmente si tratta di un eco della fede marxista che Blake aveva abbracciato nel corso degli anni '30, assieme a W. H. Auden e ai suoi compagni poeti, la quale prevede che il passato si conservi nel presente, benché "risolto" in una forma superiore). Tuttavia, se dalle storie di Hare e Tey emerge un certo ottimismo, in "Quando l'Amore Uccide" invece si percepisce una forte desolazione mista a cinismo, fatalismo e senso di rivalsa, che si riflette sulla gente di Dower House e permette di andare molto più a fondo che nei romanzi che ho citato sopra. La crisi del primo trentennio del Novecento, seguita alle guerre mondiali, ha gettato più di un'ombra sull'umore della gente e ciò emerge dal tono usato per tratteggiare la storia dell'omicidio di Fergus O'Brien: se ci fate caso, benché ambientata a Natale, essa risulta priva di ghirlande e abeti decorati, festoni e calze appese alle pareti e ai caminetti e regali da scartare, e il suo autore sembra giocare "per sottrazione", senza esaltare in modo particolare le festività ma sottolineando il disagio provato dalle persone coinvolte nell'indagine (es. pp. 99, 118-119).

Ognuna di loro sembra lottare contro gli altri e contro se stesso, mente il passato ritorna in continuazione, nelle vesti della guerra (da notare i continui riferimenti dello stesso O'Brien alle pp. 11-16, 21, 26, 80; del vagabondo Alfred Blenkinsop alle pp. 97-100; e del veterano Hope, dal nome significativo, alle pp. 145-147, 195; ognuno in qualche modo sconfitto dal conflitto) e della nostalgia (oltre ai Marlinworth, aggrappati alle fotografie delle pp. 151-153 e agli aneddoti sul tempo andato del cap. 1, anche Georgia Cavendish rivela un forte abbattimento interiore nel cap. 11 e il ritratto di un'Irlanda anteguerra commuove grazie alle sue descrizioni di gioia perduta alle pp. 155-165); esso incarna la vera figura dell'antagonista, che influenza l'assassino nella sua opera di morte come uno spettro invisibile ma pur sempre presente (p. 20); è qualcosa che emerge nel tono cupo delle parole dei personaggi (pp. 99, 101, 118-119, 17-180) e ne ostacola l'evoluzione, poiché imbrigliati in stretti lacci che impediscono i movimenti (anche i Marlinworth, che ormai vivono nel ricordo, appaiono ingessati nel loro essere antiquati), ed è impossibile da sconfiggere del tutto. Ma soprattutto, è motore che alimenta la sotterranea forza dei sentimenti e ingigantisce, ancor più dei semplici fatti, le loro conseguenze che muovono i fili all'interno di questo meraviglioso libro; basta leggere il finale per comprenderlo. Perciò, come all'interno di un dramma elisabettiano, gli impulsi, i desideri e la smania degli attori sulla scena vengono centuplicati e così li percepisce anche il lettore, mentre il senso dell'onore e della vendetta sovrasta qualunque cosa, simile a un mare in piena. La similitudine sul teatro non arriva a caso, poiché una parte importante della soluzione la gioca proprio l'ostica materia riguardante i drammaturghi del 1600 e l'immagine della vendetta che in essa viene dipinta. È proprio quest'ultima che, grazie alla forte componente psicologica dell'enigma, in cui importano soprattutto le azioni e le parole di ogni individuo, si staglia su tutto il resto e conferisce originalità a "Quando l'Amore Uccide". Probabilmente Blake aveva già studiato il soggetto del teatro elisabettiano mentre si trovava ad Oxford, e deve essersi accorto che esso si adattava molto bene ai toni desolati delle indagini di omicidio da parte della polizia. Basta pensare all'opera di Shakespeare, senza andare a scomodare altri suoi colleghi contemporanei: Macbeth ed Amleto sono due esempi di come la componente delittuosa fosse una costante in tragedie di quel periodo. Esse mettevano in scena i conflitti della vita reale, attraverso rappresentazioni fittizie (proprio come le crime novels degli autori della Golden Age), e andavano ad indagare pulsioni come il senso dell'onore e della rivalsa e la sete di potere, oltre al modo in cui esse influissero sull'animo umano; e proprio a questi due aspetti Blake si è ispirato per la scrittura dei propri libri.

In "Quando l'Amore Uccide", egli mette l'accento sulla personalità degli individui e, soprattutto, della vittima: chi era Fergus O'Brien? Come mai ha fatto di tutto per nascondere la sua vita prima del servizio militare? Forse si è reso colpevole di un atto orribile e qualcuno vuole fargliela pagare? E se è così, è opportuno per quella persona lasciarsi andare agli impulsi negativi oppure bisogna fare di tutto per contrastarli? Nei suoi libri, Blake indaga sul dilemma che sta alla base della scelta di agire dell'individuo colpevole e che ne segna il destino: esso è indice di un sentimento molto forte, che prima o poi può prendere ognuno di noi, e l'autore (per bocca di Nigel Strangeways) si domanda se sia legittimo provare quel risentimento quando qualcuno ci priva di ciò che per noi ha molta importanza. Forse la linea tra il bene e il male è più labile di quanto ognuno possa pensare, esiste un prezzo oltre il quale non siamo disposti a passare sopra e i nostri istinti ci spingono inesorabilmente a cercare un risarcimento, quasi come se la vendetta fosse auspicabile rispetto a qualunque altra cosa? In ogni caso, tutto dipende dall'importanza che noi scegliamo di dare a ciò che abbiamo perduto, ed è essa a stabilire quanto valga il nostro sacrificio. Le lettere anonime di "Quando l'Amore Uccide" suggeriscono proprio una situazione del genere, quali veicolo di un senso vendicativo radicato in profondità e al quale non si riesce più a dare sollievo; e se da una parte agli occhi dei lettori esse sono giustificate, dall'altra, man mano che la storia prosegue, ci rendiamo conto sempre più che cosa debba provare una persona vittima di questo sentimento per lungo tempo, che logora il destinatario e scava dentro al mittente, finché non resta altro che un guscio vuoto e si è condannati a un'esistenza vacua, vivi ma allo stesso tempo morti. Anche questa concezione "amorale" del colpevole è indice di una visione decisamente più moderna di quella degli scrittori di gialli di inizio Novecento: l'assassino e la sua preda non sono più considerati in modo automatico come mostro e vittima, ma a volte possono scambiarsi di ruolo. In questa voglia di innovazione e capacità di restare attuale, l'opera di Nicholas Blake si avvicina molto a quella delle Crime Queens (Dorothy L. Sayers, Agatha Christie, Margery Allingham e Ngaio Marsh) e costituisce uno dei migliori esempi di commistione tra giallo deduttivo e psicologico insieme.

Cecil Day-Lewis (alias Nicholas Blake), nato
nel 1904 e morto nel 1972
Infatti, anche se per definizione la classica crime story viene spesso associata a scrittrici di sesso femminile, non bisogna far l'errore di considerare gli scrittori maschili come scadenti o meno importanti. In tanti hanno preso le distanze da banali thriller, sul genere di quelli buttati già da John Buchan o di Sydney Horler, e si sono applicati alla costruzione di libri raffinati; come John Dickson Carr, ad esempio, che con le sue trovate straordinarie resta uno dei più grandi narratori di tutti i tempi, oppure autori meno conosciuti ma che hanno comunque dato un contributo importante al genere. Tra questi, vi sono alcuni esponenti del giallo deduttivo che godettero dell'elevata formazione accademica che Oxford assicurava ai suoi studenti: Edmund Crispin, Michael Innes e lo stesso Nicholas Blake, i quali ammirarono la prima generazione di giallisti e si adoperarono per ideare romanzi che riuscissero a fondere elementi di alta cultura con gli aspetti generali della detective novel. Una precisazione, però: quello di Blake fu uno pseudonimo. Dietro di esso si nascondeva Cecil Day-Lewis, Poeta Laureato, amico di W.H. Auden, esperto critico, elogiato da Churchill e da Lawrence d'Arabia, nonché padre dell'attore Daniel Day-Lewis. Nato nel 1904 a Ballintubbert, in Irlanda, egli si trasferì ben presto in Inghilterra, dove venne educato in alcune delle più prestigiose scuole del Regno Unito. Dopo la pubblicazione di una prima raccolta di poesie e la laurea a Oxford nel 1925, Day-Lewis si sposò con Constance Mary King e iniziò ad insegnare in alcune scuole, trovando tuttavia una certa ostilità a causa della sua adesione al comunismo. Nel 1935, volendo integrare i magri guadagni che gli procacciava la sua produzione poetica, decise di intraprendere la carriera di scrittore e pubblicò il suo primo mystery, "Questione di Prove", adottano lo pseudonimo di Nicholas Blake.

Il romanzo, che ottenne l'elogio della critica ma gli costò anche il posto di lavoro come insegnante (il caso è incentrato su una relazione adulterina tra la moglie del preside e un insegnante), introdusse il personaggio di Nigel Strangeways, l'immagine fittizia di Auden a cui vennero affiancati i tratti peculiari dell'investigatore dilettante: la passione per la citazione (innumerevoli all'interno dei suoi romanzi) e per la declamazione di poesie ad alta voce, l'intelligenza, la cultura, un certo fascino e buone maniere. Prima della morte, avvenuta nel 1972 mentre si trovava ospite dell'amico Kingsley Amis, Day-Lewis usò il suo nom de plume per produrre altri diciannove gialli (tra cui vanno ricordati "La Belva Deve Morire", da cui è stato tratto un film diretto da Claude Chabrol, "Le Pentole del Diavolo", "La Testa di Creta" e "Una Lama nel Cuore"), quasi tutti con protagonista Strangeways (il quale compie nel corso della sua esistenza un'evoluzione complicata quanto quella del suo stesso creatore), sostenendo spesso che essi servissero per sovvenzionare le spese della sua famiglia che, nel frattempo, era cambiata molte volte: a partire dagli anni '40, infatti, Day-Lewis divorziò dalla moglie e intraprese una lunga serie di relazioni con altre donne più giovani. Anche Dorothy L. Sayers ed Anthony Berkeley insistettero ad affermare come le loro crime novels fossero un semplice riempitivo per guadagnare soldi facili; il mio modesto parere è che, se davvero fosse stato così, non ci avrebbero mai messo tanto cuore ed anima nel crearli. Tutti e tre, infatti, non studiarono trame insipide e semplicistiche, ma si impegnarono ad innovare il genere, e Blake lo fece soprattutto con lo sviluppo della psicologia emotiva e l'introduzione di quesiti complessi ed intriganti.

Non solo "La Belva Deve Morire", il quale viene considerato il suo capolavoro, ma anche gli altri suoi romanzi sono caratterizzati da una grande attenzione in fatto di sentimento e psicologia, che sta alla base della ricerca della verità e si nasconde dietro al movente delle azioni umane. Il senso di perdita e di ineluttabilità di "Quando l'Amore Uccide", ad esempio, dà un tocco in più a tutta quanta la faccenda, e riesce ad infondere nel lettore uno struggimento che va ad aggiungersi all'amarezza del finale e alla delusione dei suoi personaggi. A fare da contorno, poi, ci sono un'ambientazione suggestiva adatta al tono malinconico della storia e caratterizzata da un grande senso della scena, con descrizioni degli ambienti che rendono il tutto un po' rarefatto, come se fossimo sospesi nel tempo (pp. 5, 19-20, 40, 64, 87-88, 96, 129, 150, 155-157, ma un plauso particolare va al toccante resoconto del salvataggio di Georgia Cavendish da parte di O'Brien nel deserto africano al cap. 11). I personaggi, dotati di forti personalità, si imprimono nella mente del lettore e sembrano muoversi davanti ai suoi occhi, tra le righe del libro. L'avventuriera che si smarrisce tra le dune sabbiose e rischia di morire (pp. 35, 71, 81-83), l'aviatore che la salva con un atterraggio di fortuna (pp. 11-16, 21-28), l'amante con l'animo melodrammatico da attrice che fa cadere gli uomini ai suoi piedi (pp. 69, 77, 85-86), il docente bisbetico dall'atteggiamento cinico e svogliato (pp. 32-33, 68-73, 130), l'egoista proprietario di night-club con il pallino per le noci da sgranocchiare (pp. 70, 79), il finanziere dotato di sangue freddo e mente razionale per far fronte agli imprevisti (pp. 84-85); tutti costoro agiscono come in un palcoscenico, dando al lettore indizi e false piste su cui arrovellarsi. Persino la cuoca, che solitamente è un personaggio un po' invisibile al'interno della trama, riesce a spiccare insieme agli altri per il suo fanatismo religioso e una certa dose di sadismo insito nella propria personalità (pp. 49-50).

La grande capacità di dipingere gli eventi con stile evocativo, immergendo il lettore in affascinanti e suggestive descrizioni molto diverse tra loro (la spedizione nel deserto al cap. 11, il ritrovamento del cadavere nella baracca al cap. 4, il volo fatale per uno dei personaggi sospetti sul finale) in modo sempre egregio, le continue citazioni al dramma del XVII secolo, che con le sue tinte fosche è perfetto a descrivere una vicenda desolata come quella raccontata (pp. 19, 21, 39, 98-99, 196-198), e la continua aggiunta di eventi criminosi ed indizi che fa cambiare prospettiva al lettore e lo guida in un territorio ancora inesplorato, in un'eterna girandola caleidoscopica che muta i sospetti in vicoli ciechi fino alla spiegazione perfettamente logica e in sintonia con i piccoli dettagli sparsi per tutto il romanzo (indispensabili per arrivare a capire che "quando l'amore uccide", non contano i semplici ragionamenti logici, ma bisogna prendere in considerazione anche come l'odio e il senso di vendetta si possano trasformare in sentimenti capaci di spingerci a compiere le imprese più straordinarie e, a volte, a sacrificare ciò che abbiamo di più caro in nome di qualcosa che abbiamo provato un tempo ma che, alla fine, ci è stato portato via, lasciandoci orfani e come "gusci di morte", decisi a darci quella giustizia che non sempre ci viene accordata) fanno di "Quando l'Amore Uccide" un romanzo complesso, in cui l'autore sembra metterci in guardia dal fatto che la vendetta abbia un costo non indifferente e mai conseguenze positive, soprattutto se associata con quel pericoloso sentimento che è l'amore; poiché essa è capace di pazientare per anni e anni nel cuore degli uomini e di infondere una forza incredibile in chiunque la nutra, come un fuoco inestinguibile che divora ciò che lo circonda, fonte di grandiose soddisfazioni le quali altro non sono che effimeri miraggi di un passato che mai ritornerà, ma anche di rovinare l'esistenza delle sue sfortunate vittime. Sta all'individuo decidere se vale la pena giocare la partita fino in fondo, oppure rinunciare ad essa in favore della consapevolezza di convivere col ricordo di quanto è accaduto.

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