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venerdì 9 aprile 2021

67 - "La Scatola Mortale" ("The Death Box", 1929) di Basil Godfrey Quin

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Come mi è già capitato di ribadire recensendo romanzi gialli qui su Three-a-Penny, esistono una quantità industriale di mysteries che sono stati dimenticati in favore di altre opere che hanno invece resistito alla prova del tempo. Il ché è un peccato, perché in moltissimi casi non si è trattato di una sorte meritata. A libri come "Congelato" di Anthony Weymouth o "Il Rompicapo" di Lee Thayer (per fare un esempio che comprenda entrambe le sponde dell'Atlantico), i quali non riescono nemmeno oggi a spiccare più di tanto per originalità oppure per guizzi narrativi significativi, si possono contrapporre piccoli capolavori semisconosciuti quali "Com'è Morto il Baronetto?" di H.H. Stanners e "Morte a Linwood Court" di Mary Durham, oppure piacevoli racconti senza grandi pretese ma rese ottimali come "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes e "Uno Dopo l'Altro" di A.G. Macdonell. Senza dimenticare le numerose opere di autori quali Christopher St. John Sprigg e Milward Kennedy, che si sono dimostrate all'altezza di quelle di colleghi maggiormente celebrati ma sono state oscurate da sorti avverse e tristi casualità. Sprigg, infatti, morì molto giovane mentre combatteva per la causa comunista in Spagna, senza riuscire a valorizzare i suoi gialli nel modo adeguato; mentre Kennedy subì un durissimo colpo al suo amor proprio e al talento che possedeva quando venne accusato di diffamazione, in seguito alla pubblicazione di "Death to the Rescue" (la cui traduzione italiana attendiamo tutti quanti con trepidazione). Sono convinto che, se le carriere di questi autori non si fossero bruscamente arrestate, probabilmente oggi sentiremo parlare ancora dei loro romanzi del mistero alla pari di quelli degli altri loro compagni più famosi; e lo stesso vale per gli altri scrittori che ho menzionato qui sopra: Stanners possedeva il talento di intrigare il lettore e avrebbe fatto strada, se soltanto avesse persistito nel seguire la propria meta; Haynes lo stesso, se la malattia non le avesse impedito di continuare ad esaminare le scene di delitti reali a cui ispirarsi per creare le proprie fittizie. Durham, secondo il mio modesto parere, avrebbe dovuto avere una carriera perlomeno pari a quella di Haynes, se la sua opera complessiva raggiunge gli standard posti da "Morte a Linwood Court"; mentre Macdonell meritava di conquistare in autonomia il proprio posto nel firmamento del mystery tradizionale, senza essere accostato a Kennedy e a Rhode.

Per fortuna, negli ultimi anni tali scrittori misconosciuti stanno tornando alla ribalta sia in lingua originale sia in traduzione estera. Non solo Moonstone Press, Dean Street Press e Fonthill, ma pure le italiane Lindau, Le Assassine e Polillo/Rusconi hanno avviato una campagna di recupero di queste opere dimenticate, riproponendole ai lettori affinché la loro memoria non venga cancellata e loro possano ancora godere delle storie che tali autori hanno lasciato in eredità. Si tratta di un'operazione che riceve tutta la mia approvazione, dal momento che penso sia meraviglioso avere a disposizione da leggere cose sempre nuove e non soltanto ristampe periodiche di titoli già editi. A questo proposito, proprio nei mesi scorsi, Rusconi ha mandato in stampa un quartetto di romanzi gialli che ha visto la luce in lingua italiana per la prima volta: il sopracitato "Il Rompicapo" di Lee Thayer (che non mi ha convinto del tutto, pur essendo stato interessante sotto alcuni punti di vista), "Delitto in una Camera Chiusa" di Michael Crombie, "Delitti al College" di Clifford Orr e "La Scatola Mortale" di Basil Godfrey Quin (Polillo Editore, 2021). Premesso che recensirò presto i romanzi di Orr e Crombie, oggi mi voglio soffermare sull'ultimo perché presenta una caratteristica molto particolare: su Internet e in generale nel dibattito tra critici e appassionati, è praticamente inesistente. Voglio dire, fino a un anno fa non esistevano studi su di esso; poi PuzzleDoctor di "In Search of the Classic Mystery Novel", in occasione del suo 1200° post, ha recensito proprio "La Scatola Mortale". Quindi, capirete quanto fosse raro trovare questo libro finché Rusconi non lo ha pubblicato nella nostra lingua. E perché mai questo romanzo è così sfuggente? Si tratta forse di un ingiusto oblio come è accaduto per Sprigg, Stanners, Haynes e Durham? Mi sentirei di rispondere: sì e no. Suona strano, lo so, ma dopo averlo letto credo che sia stata un'operazione tanto meritevole quella di rendere di nuovo disponibile un giallo tanto raro, quanto tutto sommato poco incisiva dal punto di vista dell'impatto che esso ha avuto su di me. In parole povere, non è stato qualcosa di esaltante, originale e innovativo in quanto ad enigma e narrazione; però mi ha intrattenuto e il suo lavoro lo ha svolto, per cui ve lo presento.

Apple Trees, Sunset, Eragny, Camille Pissarro,
1896, raffigurante un paesaggio simile a quello del
giardino e della brughiera di Ellingham-Place
La storia inizia in modo simile a "Poirot a Styles Court": il giovane Charles Harvey, rientrato dal fronte orientale con un'invalidità permanente e un cospicuo patrimonio ereditato dal padre, trascorre un piacevole pomeriggio in un campo da golf. Lì, per una fortunata coincidenza, si imbatte nel suo amico James Clarkson-Parry, il quale è stato suo superiore in guerra e adesso si diletta a godersi la vita. Dopo un rapido scambio di convenevoli, i due decidono di cenare assieme e durante la serata Clarkson-Parry confida all'amico di essere stato poliziotto per un periodo, nonostante la sua classe sociale e il denaro della sua famiglia gli avessero permesso di vivere senza lavorare. Ora l'uomo è un investigatore privato, dal momento che mal sopportava l'idea di dover sottostare a regole precise e morali che avrebbero limitato il suo campo d'azione, e chiede a Harvey di affiancarlo come una sorta di "Watson" nei casi di cui si occupa. Charles, spronato dall'amicizia che lo lega all'altro e dalla prospettiva di una vita meno noiosa di quella che conduce al momento, accetta di buon grado e nemmeno quarantotto ore dopo, nell'ufficio di Clarkson-Parry, si presenta un signore a chiedere una consulenza su un enigma che lo assilla. L'uomo, di nome Henry Rothman, è un altro commilitone del detective e la sera precedente ha assistito a una scena molto strana e inquietante presso una casupola di sua proprietà presso Highmoor, sei miglia a nord di Novocaster: a sua insaputa, un gruppetto di cinque uomini mascherati si è dato appuntamento dentro all'edificio, in seguito a un complesso procedimento di riconoscimento reciproco basato su segnali. Per fare cosa? Rothman non lo ha ben capito. Tutto quello che ha visto è stata l'elezione di un fantomatico presidente per questa associazione, la consegna a quest'ultimo di una strana scatola di latta, piatta e con l'incisione della Morte sul coperchio, e un breve tafferuglio che si è concluso con la fuga di uno dei membri del gruppo e l'abbandono della scatola stessa proprio ai suoi piedi.

Rothman, incuriosito dalla faccenda e deciso a scoprire come mai quei cinque uomini avevano violato la sua proprietà, ha raccolto il contenitore e lo ha portato a casa, chiudendolo in cassaforte in attesa di consultare Clarkson-Parry sul da farsi. L'investigatore gli consiglia di liberarsi del fardello il prima possibile, dal momento che le intenzioni dei membri di quella società non lasciano presagire nulla di buono, ma Rothman vuole arrivare in fondo alla faccenda e insiste per assoldare il suo ex-commilitone. Così Clarkson-Parry, insieme al fidato Harvey, dopo aver preso gli accordi necessari ed essersi congedato da Rothman si reca a cena da quest'ultimo per visionare la fantomatica "Scatola della Morte"... scoprendo che l'altro è stato ucciso nel suo studio, con una pugnalata al cuore. Quello che appare chiaro fin da subito è che la società segreta di cui era venuto a conoscenza Rothman deve c'entrare qualcosa: la cassaforte, infatti, è stata svuotata e due ciclisti sospetti sono stati visti fuggire a gambe levate dalla casa del signorotto. Eppure, nel nucleo familiare di quest'ultimo si annidano più sospetti di quanto si creda: sua moglie, l'attrice May Manners; la cameriera Clara Morris, il segretario Nelson e il maggiordomo Knowles potrebbero essere complici della banda oppure membri della stessa, sotto mentite spoglie? Secondo Clarkson-Parry, tutto è possibile. Anche scoprire come le vicende si possano ingarbugliare fino a costituire una matassa informe e inestricabile, mettendo insieme indizi e piste che forse servono solo a confondere le acque. L'ispettore Tom Thompson, incaricato di eseguire le indagini sull'omicidio, ha le idee confuse e pecca dell'immaginazione necessaria per trovare gli intoppi all'interno del caso; per cui toccherà alla coppia Clarkson-Parry/Harvey sforzarsi per scoprire quale sia la verità dietro al delitto, tra inseguimenti in auto e a piedi, rapimenti nel cuore della notte, travestimenti per incursioni armate e qualche partita a golf per distendere i nervi. E capire soprattutto se l'associazione della "Scatola della Morte" abbia qualcosa a che fare con la morte di Rothman.

Le Repas des Pauvres, Alphonse Legros, 1877, raffigurante
alcuni signori riuniti attorno a un tavolo come i membri della 
Società della Morte
L'impostazione della storia dà già un segnale chiaro e forte di come Quin abbia affrontato questo suo primo romanzo; ovvero, ispirandosi a piene mani alla tradizione che in quel momento (primi del Novecento) andava per la maggiore. La cosa, vi confesso, non mi ha entusiasmato più di tanto, dal momento che ci ho trovato fin troppi riferimenti allo stile di altri giallisti e molto poca originalità e idee proprie; per questo sono un po' tiepido nei confronti di "La Scatola Mortale". Forse, se l'autore si fosse limitato a cogliere qualche elemento soltanto per sviluppare un corso di pensiero autonomo, le cose sarebbero andate diversamente e mi sarei sentito più coinvolto nelle vicende di cui ha trattato. Pazienza, è andata così e lui ha preferito giocare sul sicuro. Ad esempio, all'inizio della storia Quin si rifà in un certo senso all'esordio nel genere di Agatha Christie, con i protagonisti che sono due ex-commilitoni che si rincontrano per caso e decidono di dare il via a una collaborazione che possa avvantaggiare sia l'uno che l'altro: Clarkson-Parry ha una mente "ingenua" sulla quale testare i propri ragionamenti e che lo possa pungolare, mentre Harvey può dare sfogo all'ammirazione che prova per l'amico e migliorare se stesso. In aggiunta, l'ispettore Thompson strizza molto l'occhio alla figura di James Japp, il poliziotto che compare spesso nelle storie con protagonista Hercule Poirot e si trova a dover sostenere la parte dell'agente tanto utile per svolgere il lavoro di routine quanto un po' ottuso nei ragionamenti che porteranno alla soluzione dell'enigma (p. 41). Passiamo poi a Dorothy L. Sayers e al suo Lord Peter Wimsey: da parte mia, ho visto una chiara citazione da parte di Quin nel dipingere Clarkson-Parry come il protagonista della sua collega, simile a un aristocratico che non disdegna passatempi riservati a individui della sua classe sociale ma, allo stesso tempo, si getta volentieri nella mischia per evadere proprio da quel mondo che rischia di ingabbiarlo e limitare la sua libertà di espressione. L'idea stessa di una coppia di investigatori dove (in qualche caso) uno è la mente e l'altro il braccio farebbe pensare a Nero Wolfe e Archie Goodwin, i protagonisti dei romanzi gialli di Rex Stout... se solo non fosse che il loro esordio sarebbe avvenuto solo cinque anni dopo la pubblicazione di "La Scatola Mortale".

Ciò che invece ha influenzato maggiormente lo stile e la narrativa di Quin è stato Arthur Conan Doyle. Si percepisce benissimo come l'autore abbia esercitato un'ascendente sul suo collega (pp. 42, 99, 104, cap. 12, pp. 135-136): oltre alle mere citazioni che si possono riscontrare dentro la vicenda, la stessa coppia agisce proprio come il segugio di Baker Street e il fido Watson. Clarkson-Parry è sempre avanti a Harvey in quanto a ragionamento e astuzia, la pianificazione delle mosse da mettere in atto sono spesso nascoste all'assistente e addirittura poco approfondite, la misoginia espressa dai protagonisti maschili e soprattutto da Clarkson-Parry (il quale considera le esponenti del gentil sesso come sirene ammaliatrici che distolgono l'attenzione dai focus della vita e inducono a compiere errori, pp. 56, 163-166, 185-186, 239-245)) e la tendenza a sfruttare lo sport e il passatempo come strumento per rilassarsi e trovare ristoro dalle fatiche mentali quotidiane. Tutto questo mi ha riportato alla mente le interazioni tra Holmes e il suo assistente; per non parlare poi del fatto che Harvey sia spesso ritratto come una sorta di cagnolino che si affretta ad eseguire gli ordini del suo superiore e guardi a lui come a una divinità che cammina sulla Terra (pp. 39, 47, 61, 71, 74, 80, 124, 173). Molte volte l'assistente si interroga sul comportamento strano del suo superiore, tenta di anticiparlo con ragionamenti contorti e riflessioni, ma Clarkson-Parry è sempre un passo avanti... e si ritrova a spiegare il proprio comportamento con una spiegazione un po' didascalica. Tra l'altro, qualche volta racconta azioni che non si sono svolte sul palcoscenico accessibile al lettore, ma di nascosto ad esso; quindi, non rispetta del tutto il fair play. Questa abitudine a dare per scontato alcune cose e a trattare l'enigma come se fosse una sorta di apocrifo holmesiano mi ha un po' deluso: dopotutto, erano passati quasi dieci anni da "Poirot a Styles Court" e il giallo si era evoluto dalla formula approntata da Doyle. Formula che, oltretutto, non rispecchia quello che io considero il "vero" giallo classico. Infatti, proprio ispirandosi alle gesta di Holmes, Quin ha seguito il modello che vedeva l'inserimento di una componente avventurosa necessaria a smuovere un po' le acque del ragionamento fin troppo analitico e scientifico del segugio di Baker Street, cadendo nella trappola di dare vita a una storia più simile a quelle di Edgar Wallace, con tanto di complotti e scorribande, invece di esplorare il lato "enigmatico" della storia come, ad esempio, ha fatto Hilda Lawrence (pp. cap. 2, pp. 30, 115-118, 124-126, 130-131, cap. 14, pp. 154, 174, 192-195, 197-200, 223-231). Questo è stato un grave errore, che ha pregiudicato la riuscita del romanzo per i puristi della crime story della Golden Age. Da parte mia, come dicevo, ho apprezzato comunque gli sforzi di Quin e mi sono divertito a leggere "La Scatola Mortale"; però non lo considero un capolavoro perduto della narrativa del mistero. Ci sono state troppe cose "già viste", nonostante l'autore abbia tentato di dare una svolta originale alla vicenda.

Basil Godfrey Quin, nato nel
1891 e morto nel 1968
Rispetto ad altri autori di romanzi gialli dimenticati, di Basil Godfrey Quin si sa un po' di più. Nato a Newcastle nel 1891, della sua famiglia non si conosce praticamente nulla e le prime note biografiche sul suo conto risalgono a quando, a 16 anni, iniziò a frequentare la Newcastle Royal Grammar School, dove praticò molto sport e si dimostrò uno studente modello. Nel 1910 ottenne una borsa di studio per studiare matematica all'Armstrong College, dove restò fino allo scoppio della guerra. In quel momento decise di abbandonare gli studi e di arruolarsi come volontario, vedendosi spedito in Francia a combattere a Ypres proprio nei giorni della fatidica campagna di luglio. Ora del 1917, quando venne congedato, aveva ottenuto la Croce di Guerra per il valore dimostrato sul campo; però non la ritirò con tutti gli onori. Fu sempre molto schivo al riguardo, e non la indossò mai in tutte le riunioni con i vecchi compagni d'armi. Tra il 1917 e il 1920, Quin si occupò ancora di incarichi per conto dell'esercito, poi tornò a studiare matematica da dove aveva lasciato e si diplomò. In seguito, insegnò per molti anni al Rutherford College di Newcastle (vi rimase fino al 1951, dopo essere passato di grado da semplice insegnante a docente anziano). Già dalla fine degli anni '20, tuttavia, Quin aveva iniziato ad interessarsi di scrittura e aveva dato alle stampe "La Scatola Mortale", un romanzo giallo che seguiva la tradizione più classica delle storie del tempo, con rapimenti e ricatti e una coppia di protagonisti che ricordava Sherlock Holmes e il dottor Watson: l'onorevole James Clarkson-Parry e il suo assistente Charles Harvey. Il libro dovette riscuotere un certo successo, tanto da spingere l'autore a proseguire nei suoi sforzi con altri quattro romanzi: "Mystery of the Black Gate", "The Murder Rehearsal", "Mistigris" e "The Phantom Murder". A questo punto, tuttavia, l'autore interruppe la serie (forse perché si era stufato, forse per mancanza di tempo, forse per altri impegni). Nel 1938 si sposò con la collega Ida Ritson, dalla quale ebbe due figlie, e dopo la pensione si occupò di una piccola attività di stampa per una quindicina d'anni; fino al 1968, quando un tumore se lo portò via.

Questo è tutto quanto riguarda la vita di Quin. E sui suoi libri, cosa altro si può aggiungere oltre a quello che ho già detto sopra? L'ambientazione viene raffigurata con maestria, anche se non ci sono moltissime descrizioni e il fulcro restano i dialoghi e le azioni dei personaggi (pp. 36-37, 40-41, 46-47, 56, 86-87, 95-96, 119-120, 124-126, 192-193, 211-212). In gran parte dei casi essa è data dalla cittadina fittizia di Novocaster, che fa il verso alla Newcastle in cui l'autore ha vissuto. Lo stile è buono, anche se nella traduzione di Rusconi si contano innumerevoli errori di battitura e di traduzione (sul serio, saranno quasi una cinquantina abbondante): la parte del leone è occupata dagli scambi tra Clarkson-Parry e Harvey, dove il primo agisce da insegnante per il secondo e lo istruisce direttamente oppure attraverso le sue azioni. Ad esempio, in qualche occasione Charles tenta di fare qualche osservazione intelligente per aiutare nelle indagini e il suo mentore lo corregge oppure smentisce con ironia. Un'altra caratteristica della narrativa dell'autore, sempre legata allo stile e ai temi dei suoi libri, si può riscontrare nel fatto che in essa spesso vengono inseriti militari, soldati di vario genere e riferimenti alla vita nell'esercito: il racconto di Harvey all'inizio della storia, i continui rimandi alle sortite notturne durante inseguimenti di sospettati e incursioni armate, ma anche affettuosi ricordi di vita condivisa con i compagni in un momento tragico della storia dell'umanità. Gli stessi faccia-a-faccia con gli assassini vengono caricati di significati che rimandano alla guerra e all'esperienza al fronte di Harvey che altro non è se non un alter ego dello stesso Quin; per non parlare delle difficoltà condivise, del cameratismo, della ricerca di un bene comune e di un senso di scopo che possa avvicinare gli esseri umani. Un certo gusto per la rappresentazione delle classi sociali si può rilevare benissimo in "La Scatola Mortale": i Rothman vengono dipinti come personaggi di alto lignaggio, soprattutto la moglie che viene rappresentata come una sorta di regina dalla quale bisogna guardarsi e che deve essere rispettata in qualunque occasione; il rapporto che si instaura tra Thompson e la donna è chiaramente subordinato dall'estrazione di nascita, come quello tra lei e Clarkson-Parry, aristocratico e quindi "pari" nelle interazioni con May Manners. Per non parlare dei camerieri, delle dame da compagnia e dei segretari che devono stare al loro posto: molto classista (pp. 56-58, 79, 81-82, 128-129).

Un altro aspetto della storia che avevo già menzionato sopra riguarda la misoginia: le donne sono rappresentate come esseri tra l'angelico e la virago, pronte a sollevare gli uomini dalla miseria in cui si trovano ma altrettanto disposte a rigettarli da dove li hanno raccolti. Ciò implica una certa patina di irrealtà nella raffigurazione dei personaggi, che non emergono mai del tutto dal ruolo che è stato loro imposto; a parte forse Clarkson-Parry e Harvey, oltre all'ispettore Thompson (e all'assassino, che nella confessione dimostra una passione ardente e toccante). Sono gli investigatori ad occupare sempre la scena, mentre i sospettati vengono interrogati e compaiono sul palcoscenico per interpretare la loro parte con una certa superficialità. Ed è il rapporto tra Clarkson-Parry e Harvey ad aver colpito i miei pensieri per gran parte della durata della lettura; ho notato un affetto particolare tra i due, nonostante il primo sia più freddo e compassato del suo amico (anche in questo c'è un ennesimo paragone con Sherlock e Watson). Forse è stata soltanto una mia impressione, una cosa che ho immaginato. In ogni caso, Harvey spende anima e corpo per il compagno e non esita a farsi avanti per risparmiargli fatica e preoccupazioni, da vero amico qual è. E credo sia stato questo il pregio più grande di "La Scatola Mortale": mettere in scena l'interazione tra investigatore e spalla nel miglior modo possibile. L'enigma in sé, infatti, non è dei migliori dal momento che include un sacco di cliché e digressioni che poco hanno a che fare con il genere al suo meglio: non solo ricatti, ma pure nascondiglio segreti, inseguimenti, rapimenti, travestimenti e una quantità di avventure che meglio si adattano a un romanzo di Wallace che a uno di Doyle (pp. 31-32, 34, 89-91, 114-115). In ogni caso, come dicevo, la lettura di questo libro non mi è pesata al contrario di altre fatte quest'anno (leggasi Weymouth); per cui mi sento di consigliarvi la lettura con l'aspettativa di assaporare una storia con poche pretese e che vi faccia trascorrere qualche ora in leggerezza, per staccare la mente da pensieri troppo cupi in favore delle rocambolesche vicende che il "misterioso signor Quin" (per citare un personaggio di Agatha Christie) ha predisposto per voi.

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