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venerdì 24 gennaio 2020

22 - "Come in uno Specchio"/"Lo Specchio del Male" ("Through a Glass, Darkly", 1950) di Helen McCloy

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Quando uno passa tanti anni a leggere romanzi appartenenti a un dato genere narrativo, è inevitabile che poco a poco inizi a smussare i propri gusti letterari. Io, ad esempio, tra le varie tipologie di crime novels, mi sono accorto di preferire quelle scritte da autori inglesi, tranquille e ambientate in cornici tradizionali, come i villaggi o le case signorili e gli alberghi. Se il periodo in cui si svolge la vicenda, poi, è quello natalizio, allora raggiungiamo la perfezione. Gli esuberanti scrittori americani sullo stile di Raymond Chandler, di conseguenza, non mi hanno mai convinto, con le loro prosaiche storie di criminalità organizzata, piene di sparatorie, risse e violenza. La cosiddetta "scuola americana" o hard-boiled, infatti, è un po' troppo estrema perché io possa apprezzarla al meglio, e solo ogni tanto mi azzardo a deviare dal seminato con opere "miste", ottenendo risultati altalenanti. Tuttavia, con il giudizio qui sopra non voglio dire di avere qualcosa contro le trame urbane; anzi, ho molto apprezzato "C'è un Cadavere dall'Avvocato" di Michael Gilbert e "Laura" di Vera Caspary. Non sono nemmeno così intransigente da escludere dal mio bacino di lettura qualunque autore statunitense, solamente perché la maggior parte di loro ha preferito dare vita a libri meno cervellotici e più immediati dal punto di vista delle emozioni forti: solo, preferisco che non si esageri nel rendere la vicenda troppo pragmatica. La crime fiction, ai miei occhi, deve possedere le qualità di un mondo astratto, pur mantenendo una certa realtà di sfondo. E un mondo del genere, anche se sacrificarono in parte il rispetto della sfida col lettore, riuscirono a crearlo le grandi Regine della Suspense: a parte alcune eccezioni (S.S. Van Dine, Ellery Queen, Rufus King e Charles Daly King), ritengo che siano state loro a raccogliere con maggiore intraprendenza il modello già affermato in Inghilterra e ad adattarlo alla società d'oltreoceano. Scrittrici come Mignon G. Eberhart o Mary Roberts Rinehart diedero il via a lunghe serie di gialli, in cui il fattore principale era costituito dalla grande atmosfera di suspense e terrore che minacciava i personaggi, e con queste loro epopee delle women in jeopardy, ovvero le “donne in pericolo”, gettarono le basi per il thriller moderno.

Da questo romanzo vittoriano in salsa americana, infatti, ben presto se ne venne a sviluppare un tipo ancora diverso, legato sì alla realtà ma allo stesso tempo influenzato dallo scandagliare della psicologia dell’individuo, dove contavano di più lo straniamento e le sensazioni suscitate nel lettore rispetto all'azione. Il tema della guerra assunse un’importanza primaria, viste le conseguenze che i soldati americani soffrirono a partire dagli anni ‘40, e le ossessioni nascoste o represse costituirono un terreno fertile su cui piantare i semi su cui sviluppare le trame di numerosi autori ed autrici. Un esempio può essere "Morte al Telefono" di Elizabeth Daly, in cui l'atmosfera della casa dei Fenway e la tensione psicologica che emerge dall'incertezza diffusa sono influenzate dal conflitto militare e sono più preponderanti degli indizi materiali su cui può basarsi la soluzione del caso. Oppure i romanzi di Margaret Millar e quelli dello stesso John Dickson Carr, il quale ha portato con sé dall'America una certa dose di questa modernità, quando decise di trasferirsi nel Vecchio Continente per scrivere gialli sullo stile britannico; basta pensare alle sue atmosfere notturne e un po’ rarefatte, dove i personaggi sembrano smarrire la ragione e andare incontro a un incubo ad occhi aperti, oppure alla grande importanza che viene data alle azioni spesso stranianti degli uomini e delle donne che agiscono lungo le sue trame, ben fornite di indizi ma pur sempre suggestive. In ogni caso, questa nuova attenzione conferita alla psicologia clinica trovò terreno fertile in America, e non poté che portare alla creazione del primo investigatore psichiatra della storia del giallo: chi meglio di lui avrebbe saputo affrontare le difficoltà presentate dagli svariati casi medici (e criminali)? L'idea fu sviluppata e messa in pratica da Helen McCloy, la quale fece del dottor Basil Willing il suo personaggio per eccellenza e finì per usarlo in tredici romanzi, oltre ad alcuni racconti. Oggi intendo recensire quello che viene considerato come il suo capolavoro, insieme a "La Stanza del Silenzio": ovvero, "Come in uno Specchio" (Polillo Editore, 2006/"Lo Specchio del Male", Classici del Giallo Mondadori, 1998): una storia dove i fantasmi sembrano prendere vita e l'incertezza non abbandona mai il lettore, spingendolo a chiedersi se i fatti narrati siano fittizi oppure reali.

How They Met Themselves - Dante Gabriel Rossetti
(una delle rappresentazioni pittoriche del fenomeno del
doppelganger)
Le trame di questi "gialli psichiatrici" sono, neanche a dirlo, tanto particolari quanto i volumi che le ospitano. In questo caso, la vicenda si snoda a partire dal licenziamento di Faustina Crayle, giovane insegnante di educazione artistica in carica presso la Brereton School di New York. I motivi che la direttrice dell'istituto, Mrs. Lightfoot, adduce per giustificare la sua improvvisa decisione sono più che mai vaghi ed indefiniti, e l'insolita remissività di Faustina al proprio destino insospettiscono Gisela von Hohenems, professoressa di tedesco e amica della ragazza, nonché il lettore, i quali iniziano a domandarsi se non esistano ragioni ignote e molto più gravi di quanto si pensi, dietro il drastico provvedimento preso nei confronti di Faustina; tanto più che, oltre al fatto di sentirsi sempre fuori posto ed avere la sgradevole sensazione di possedere un carattere troppo arrendevole e timido, la ragazza ha confidato all'amica di avere l'impressione che tutte quante nella scuola (dalle domestiche alle altre insegnanti e alle alunne) siano impaurite dalla sua presenza e si ostinino a parlarle alle spalle. Eppure Faustina è convinta di non aver fatto consapevolmente niente di male, e Gisela si dichiara d'accordo a questo proposito. Tuttavia è un fatto assodato che Alice Aitchison, un'altra delle docenti della Brereton, nutra un ingiustificato godimento nel mettere a disagio la giovane collega, come pure una delle cameriere; e quando il pomeriggio seguente il licenziamento di Faustina si verifica uno strano episodio nel parco adiacente all'istituto, la signorina von Hohenems e il lettore iniziano a sospettare che siano in atto forze al di fuori della legge naturale e ad domandarsi se Alice non sia nel giusto a diffidare della parola della sfortunata collega.

A quanto pare, infatti, Faustina è stata vista da alcuni testimoni in due posti diversi nello stesso momento: mentre stava dipingendo in riva al lago, e all'interno della Brereton, intenta a guardare davanti a sé con espressione smarrita e seduta su di una poltrona; e non sarebbe la prima volta che si verifica un fenomeno del genere, spiegando così il licenziamento da parte della signora Lightfoot. In questo caso, inoltre, le involontarie spettatrici sono due alunne della scuola, oltre alla stessa Gisela, le quali non avrebbero alcun motivo per mentire; quindi, sembrerebbe che non ci siano dubbi sulla veridicità delle loro parole. Eppure ciò non spiega come si sia potuto verificare un evento all'apparenza impossibile. Impaurita dalla piega che gli eventi rischiano di prendere all'interno della vita della sua amica, Gisela interpella il suo fidanzato, Basil Willing, uno psichiatra che è appena tornato dal servizio militare in Giappone, affinché possa fare luce sul mistero, grazie alle sue conoscenze in materia psichiatrica e alla passione per i problemi irrisolti e insoliti. Il quesito stimola la curiosità di Willing, il quale si affretta ad interrogare i testimoni e le persone che hanno avuto qualcosa a che fare con Faustina, e ben presto emerge la possibilità che la figura vista dalle alunne e dal resto del personale, docente e domestico, non sia altro che un doppelganger, ovvero un doppio della nostra personalità, foriero di morte, che viene proiettato dai nostri impulsi e che potrebbe aver assunto vita propria. Faustina ha forse sviluppato questa facoltà e, in momenti in cui la sua capacità di dominarsi viene meno, riesce a creare un doppio in grado di muoversi da solo? Può manifestarsi sul serio un fenomeno del genere? Per tentare di risolvere l'enigma, la vita di Faustina e i precedenti episodi di sdoppiamento vengono attentamente presi in esame; tuttavia la soluzione appare lontana e impossibile da provare in tribunale. I genitori e i tutori delle ragazze sono preoccupati dalla situazione e dalla piega che gli eventi hanno assunto, e lo stesso Basil teme che dietro la mano del Maligno si celi quella ben più materiale di un essere umano, intenzionato a far del male alla povera Faustina; e quando Alice Aitchison muore in circostanze misteriose, accanto a una figura simile a quella di Faustina, mentre quest'ultima si trovava al telefono con Gisela, egli capisce che il tempo a sua disposizione sta finendo e deve sbrigarsi a sciogliere l'enigma.

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 829
Per quanto mi riguarda, i romanzi di Helen McCloy appartengono a un piccolo gruppo di opere che, attente ai luoghi emotivi del lettore e alla trattazione del Mistero con la "m" maiuscola come carattere fondamentale dello svolgimento della vicenda, sfruttano la realtà del loro tempo per addentrarsi nel campo dell'irrazionale che si fa razionale e per descrivere i disturbi della società, insieme all'inadeguatezza dell'individuo. Libri quali "Memoria di Tenebra/L'Enigma dei Tre Omini" di John Franklin Bardin, "Laura" di Vera Caspary o "La Rossa Mano Destra" (oggetto quest'ultimo di numerosi saggi e di interpretazioni che continuano ancora ai giorni nostri) si concentrano, infatti, sulle paranoie inconsce e sulle ossessioni degli uomini e delle donne, che sembrano assumere connotazioni tangibili, e si interrogano sul significato di bene e male e sulle varie declinazioni che tali definizioni possono assumere, dando vita a storie tormentate e nebulose, in cui niente è come appare e i fatti si possono rovesciare quando meno te lo aspetti. Simile ai suoi compagni, dunque, "Come in uno Specchio" è un libro complesso, stratificato su diversi piani di lettura che vanno dal semplice romanzo del mistero al saggio sulla paranoia della psiche umana, ed è zeppo di riferimenti al mito antico e alla realtà del momento in cui fu scritto. Tra le righe, si percepisce con chiarezza la situazione in cui versava il mondo (e il romanzo giallo) in seguito alla fine del secondo conflitto mondiale, influenzato dalla diffidenza verso il forestiero, dal sospetto quotidiano nei confronti dei rifugiati e dalla sgradevole attenzione posta su tutto ciò che appariva "strano" e poteva generare scalpore (pp. 18-19, 50, 53-54, 57, 59-60, 100). Immaginate come doveva essere la faccenda: le ripercussioni della crisi del 1929, che un ventennio prima aveva sferrato un duro colpo alla società statunitense, non avevano ancora smesso di influenzare la vita degli americani e continuavano a mettere in dubbio il loro futuro, mentre nulla pareva riuscire a porre riparo alle conseguenze dell'ultimo scontro tra le grandi nazioni del mondo. Le notizie sui soldati che tornavano dal fronte non erano buone, poiché la maggior parte di essi era adesso afflitta da PPT (Psicosi Post-Traumatica), e l'esistenza dei cittadini non era semplificata dalla disoccupazione galoppante e dalle povere condizioni di vita.

In questo frangente, era naturale che l'angoscia, presente fin dagli anni '30, diventasse sempre più insopportabile e si diffondesse come un virus nell'aria, come un gas che si respirava ogni giorno e con cui bisognava fare i conti. Essa logorò costantemente i rapporti sociali, attraverso sintomi fisici e psichici, ed avvelenò gli equilibri tra le classi sociali, finché i timori di ognuno crebbero a tal punto da trasformarsi in ossessioni vere e proprie. Tutti si rivolgevano disperatamente a un passato che non poteva più tornare, pensavano per sé, costantemente alla ricerca di pace e stabilità, incuranti del danno che potevano arrecare agli altri ed attenti affinché nessuno sconvolgesse i fragili piani che si era andati costruendo; e ben presto questo atteggiamento spinse le menti spaventate delle persone ad iniziare una moderna “caccia alle streghe” e a partorire terribili ed inquietanti spettri, che infestavano le conversazioni e spesso prendevano forma di scandali o velate minacce, le quali molto spesso venivano ingigantite fino a premere sulle coscienze e alimentare pericolosi impulsi (soprattutto pp. 121-140, 161-166, 164-166, 176-185). Da queste chimere dettate dall'inefficacia individuale, pertanto, gli scrittori di gialli della fine degli anni '40, proprio come McCloy, trassero ispirazione per plasmare la materia dei loro libri, trasferendoli nei loro personaggi fittizi e dando ampia voce al diffuso malcontento, il quale divenne la componente principale della crime novel psicologica americana.

Anche in "Come in uno Specchio" si possono ritrovare questi caratteri: la tensione generata dal pettegolezzo e dalla maldicenza, che perseguita Faustina alla Brereton e alla Maidstone, assomiglia a un fantasma che appare e scompare, ombra spaventosa che si affaccia sulla soglia dei discorsi quando uno meno se lo aspetta, sempre presente seppure invisibile; i continui riferimenti della signora Lightfoot alla reputazione della sua scuola, invece, rimandano a quella difesa psicologica contro lo scalpore, che predicava di fare il possibile per non attirare l'attenzione dell'opinione pubblica; lo "strano" e l'ignoto non sono ben accetti nella società del tempo, quindi si devono scoraggiare tutti i fenomeni che rientrano in questo campo, anche se ciò dovesse arrecare danno a qualcuno (guarda caso, sempre Faustino, additata come una sorta di strega). Inoltre, è interessante cogliere anche il carattere con cui vengono dipinti i personaggi: ognuno di loro soffre ferite segrete, delusioni interiori che faticano a rimarginarsi e traumi pregressi (pp. 61-67, 76-79, 104-108, 148-153); soprattutto Faustina, remissiva, debole, totalmente incapace di far fronte alla situazione in cui si viene a trovare. Tutti si sono convinti che lei sia colpevole di qualche curioso atteggiamento o fenomeno e si schierano a contrastare questa sua anormalità, mentre lei non reagisce perché non ne è capace, non ne ha la forza; certo, questo comportamento può essere imputato a una natura timida e chiusa, eppure a me ha fatto venire in mente quei poveretti a cui è stato tolto tutto, gli sconfitti di cui erano piene le città statunitensi, nel periodo in cui questo romanzo è stato pubblicato. La debolezza e l'esaurimento di Faustina riflettono gli innumerevoli conflitti caratteriali tra i protagonisti (es. pp. 10-14), e di fronte alla prepotenza di Alice, sintomo dell'intolleranza che chiunque provava di fronte alla fragilità e del debole che soccombe al forte, essi assomigliano a un grido di aiuto per uscire dalla difficoltà. Tuttavia, quando Basil Willing si offre di aiutare Faustina a scoprire cosa le stia succedendo, la giovane è talmente influenzata dalla suggestione e dalle forze che le ruotano attorno da non avere nemmeno il coraggio di accettare: tutto ciò appare come un punto di non ritorno, dove non si può fare altro che arrendersi al proprio destino e la giustizia non riesce più a riequilibrare le sorti (e la carenza di fiducia) dell'uomo.

Helen Worrell Clarkson McCloy, nata
nel 1904 e morta nel 1994
Oltre che per la dura e precisa rappresentazione del mondo reale e dei suoi disturbi di inadeguatezza, "Come in uno Specchio" è un romanzo notevole anche per la trattazione di una lunga serie di altri argomenti. La complessità delle materie trattate fanno capire come Helen Worrell Clarkson McCloy (era questo il nome intero dell'autrice, nata a New York nel 1904) fosse una persona istruita ed acculturata: i continui riferimenti all'antica Grecia e al mito dell'antichità (pp. 17, 34-38, 49, 53, 104-106, 111); i discorsi sullo scorrere del tempo, che secondo alcune ipotesi si potrebbe alterare; le numerose discussioni tra Gisela e Basil riguardo musica (il Valzer della Scarpina di Vetro, p. 54), letteratura (Goethe, pp. 23-24, 45) ed arte; tutto ciò viene appena accennato, ma è indice di una vasta conoscenza, sviluppata durante gli studi in Europa e proseguiti in America. Inoltre, cosa non da poco, è molto approfondita l'analisi psicologica tout court dell'individuo (essendo il suo investigatore il primo segugio-psichiatra della storia, non ci aspetteremmo niente di meno): la teoria del doppelganger tedesco e dell'eidolon greco, ovvero dell'Altro (pp. 78, 123), secondo cui in punto di morte l'individuo riuscirebbe a vedere di sfuggita una copia tridimensionale del proprio essere, viene ampiamente discussa in più di un'occasione, con riferimenti a personaggi e casi reali (come lo psicologo William James e il fisiologo Charles Richet a p. 128, oppure gli episodi di Emilie Segée e "Il racconto di Tod Lapraik" alle pp. 161-163 e 122), così che il lettore possa comprendere fino in fondo le possibili implicazioni dell'indagine; la filosofia e la religione sono trattate nel dettaglio, anche in relazione a culti indigeni; l'attività del subconscio dell'essere umano, della corruzione della sua personalità e degli sforzi della memoria cosciente per mettere a freno gli impulsi e l'istinto la fanno da padrone per tutta la lunghezza della storia; come pure la suggestione, il sonnambulismo, le manie e le ossessioni, mescolate in un sapiente calderone e impostate per instaurare un clima di tensione sempre crescente, che impedisce di annoiarsi e spinge a continuare la lettura.

Il mondo legale, poi, occupa un posto di primo piano tra gli argomenti trattati e assume dei connotati poco lusinghieri; l'avvocato Watkins, per quanto sia un vecchietto dall'aria sorniona, non è di grande aiuto allo scioglimento del mistero che avvolge Faustina, ma si limita a indicare una via possibile e non viene in soccorso in modo adeguato alla sua protetta. Inoltre, il concetto di giustizia che viene espresso nel finale, nel memorabile scontro-incontro tra investigatore e (presunto) colpevole del cap. 16, non permette che vengano dissipati tutti i dubbi e restano, quindi, alcuni importanti interrogativi legati ad essa, come se ormai non fosse più l'organo adatto a presiedere sul comportamento degli uomini. E se la voce della coscienza viene, in questo modo, messa a tacere come in "La Corte delle Streghe" di John Dickson Carr, una delle ispirazioni per l'autrice (egli fu un suo amico, insieme alla moglie, tanto che "Alias Basil Willing" fu dedicato proprio a loro), anche riguardo al mistero in sé ci sono alcune analogie tra questi due capolavori di crime fiction; prima tra tutte, la scelta del delitto impossibile tra i numerosi tipi di assassinio. Helen McCloy, infatti, ha affrontato questo tema in numerosi romanzi e il soprannaturale, accompagnato da uno spiccato senso per la suspense, ha sempre avuto una parte di primo piano nella trattazione delle trame insieme all'analisi psicologica. Essi possono essere considerati come dei piacevoli ibridi, che mescolano intelligentemente gli elementi del giallo all'inglese con quelli tipici del romanzo psicologico americano: una caratteristica, questa, che li ha resi graditi agli estimatori di entrambi i sottogeneri, e che ha contribuito ad affermare la sua autrice come la più grande scrittrice americana di gialli. Sposata con Davis Dresser, l'autore noto con lo pseudonimo di Brett Halliday e creatore del detective privato Mike Shayne, la McCloy fu, tra le altre cose, direttrice del New York Evening Sun per diciotto anni e il primo presidente donna dell'associazione dei Mystery Writers of America, prima di spegnersi a Boston, nel 1994. Per quel momento aveva contribuito al genere con una trentina di meravigliosi gialli: numerosi furono gli stand-alones come "Panico", ma sono ricordati soprattutto i tredici romanzi con protagonista Basil Willing, tra cui "La Stanza del Silenzio", "Omicidio a Scena Aperta" e "Come in uno Specchio".

In quest'ultimo in particolare, la narrazione è caratterizzata da uno stile brillante e colto, il quale si presta a delineare personaggi a tutto tondo e approfonditi dal punto di vista psicologico; da un'atmosfera misteriosa e autunnale, che riflette gli stati d'animo dei suoi attori pur riuscendo a non essere eccessivamente dettagliata (es. pp. 29-35, 39-41, 141-143, 186-188, 205-207, 219-222); da un enigma all'apparenza soprannaturale, pieno di interrogativi angoscianti che si accumulano sempre più, il quale si riesce a risolvere in modo chiaro e onesto come in ogni buon giallo che si rispetti, anche se conserva un marchio demoniaco e ambiguo che non dissolve del tutto l’incubo. La tensione è sottile e sempre presente, la paura e l'inquietudine artigliano il lettore dall'inizio alla fine, e spesso siamo indotti a riflettere sulla giustizia e l'assurdità delle cose che ci capitano, mentre l'indagine pratica e il fantastico si miscelano davanti ai nostri occhi. Il Male emerge in tutta la sua fascinosa crudeltà, in questo libro dove conta di più il benessere personale ed egoistico, rispetto alla giustizia: si tratta di un ritratto realista di cosa eravamo diventati già nel 1950? Ci auguriamo di no. Eppure il dubbio resta. Inquietante, conturbante, reale.

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