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venerdì 1 novembre 2019

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Novembre 2019)

Salve a tutti, buon Halloween e bentornati all'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario. Ormai stiamo giungendo alla fine di un altro anno e in questo appuntamento di Novembre, con le anticipazioni delle nuove crime novels in uscita, iniziano a comparire i primi titoli da segnare in occasione dell'imminente arrivo della stagione delle feste. In ogni caso, voglio precisare che, se vi siete persi qualche appuntamento, il mese prossimo l'appuntamento sarà interamente dedicato proprio ai consigli per i regali di Natale, con un riepilogo dei migliori romanzi da regalare o regalarsi; quindi ricordatevi di tenere d'occhio il blog, mi raccomando. Nel frattempo, ancora una volta voglio consigliarvi i titoli più meritevoli che sono stati dati alle stampe negli ultimi trenta giorni circa, così da indirizzarvi nella marea di nuovi libri pubblicati. Molto bene, iniziamo!

Copertina di "Il Picco delle Streghe"
pubblicato da Mulatero Editore
Pur considerando la (temporanea?) pausa di Polillo Editore, a causa della scomparsa del suo patron Marco Polillo, e quella di Le Assassine, le quali presumibilmente offriranno un nuovo titolo nella collana Vintage a partire dal 2020, questa volta le uscite sono per fortuna più numerose di quelle del mese precedente. Innanzitutto, vi voglio segnalare che Mulatero pubblicherà "Il Picco delle Streghe", a partire dal giorno 13. Si tratta del nuovo romanzo della serie alpinistica di Abercrombie Lewker, con il Nostro impegnato come sempre in misteri nel solco della tradizione classica, ma ambientati ad alta quota. Questa volta, lo scenario sarà quello del Lake District, quella regione della Cumbria, in Inghilterra, divenuta famosa come meta turistica per la sua fama di dimora del poeta Wordsworth e per i suoi caratteristici laghi di origine glaciale, separati da montagne aspre e pareti rocciose su cui arrampicare. Proprio durante una vacanza in questo luogo, assieme alla moglie Georgina, Lewker assisterà al ritrovamento del cadavere di una giovane scalatrice che alloggiava nell'ostello di Birkdale, assieme ad altri amici. Tutto farebbe pensare a una disgrazia; però, pochi mesi prima, un altro ragazzo era stato trovato morto nello stesso punto, con inferta una ferita simile. Il sospetto si fa largo in Abercrombie al punto di spingerlo ad intraprendere un'indagine per accertare se si sia trattato di un incidente o di un deliberato omicidio, assieme a un amico della vittima e a un amico poliziotto. Insomma, un bel mistero, che promette di regalare piacevoli ore di lettura.

Copertina di "Un Piccolo Omicidio di
Natale" pubblicato da Lindau
In secondo luogo, Lindau ha deciso di pubblicare anche quest'anno un bel giallo natalizio, per la gioia di noi appassionati di delitti sulla neve. Dopo "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay e "Morte nella Neve" di Joseph Jefferson Farjeon, infatti, il 7 Novembre sarà la volta di un romanzo che, da parte mia, desideravo ardentemente venisse tradotto; ovvero, "Un Piccolo Omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan. Titolo originale "Another Little Murder", esso è stato dato alle stampe pochi anni fa in lingua originale, col nome "Another Little Christmas Murder", da Shpere, una succursale di Little Brown Books, e fa parte della ristrettissima cerchia di crime novels scritte da una delle autrici più oscure della Golden Age del giallo. Sulla vita dell'autrice, a quanto pare, non si sa nulla al di fuori del fatto che pubblicò quattro libri. La storia di questo, in particolare, narra le avventure di Dylis Hughes, agente di commercio, durante i giorni che precedono Natale di un anno non meglio precisato. Costretta a mettersi al volante nel bel mezzo di una bufera, all'improvviso resta bloccata con la sua auto nella campagna dello Yorkshire, dopo il tramonto, e viene soccorsa dal giovane Inigo Brown, il quale la convince a seguirlo nella casa del vecchio zio dove lui è diretto, per festeggiare le feste imminenti. Giunti alla villa, tuttavia, i due si trovano davanti a una strana situazione: il padrone di casa, apparentemente malato, è chiuso nella propria stanza; la giovane moglie sembra nascondere qualcosa; i domestici hanno l'aria di essere degli impostori. Inoltre, quando la tormenta obbliga altri viaggiatori a cercare rifugio nella casa, la compagnia si allarga e l'atmosfera si surriscalda; finché, nel cuore della notte, non avverrà un omicidio... Questa è la trama che più o meno riporta il sito ufficiale di Lindau. Devo avvertirvi, però, che dalle recensioni che ho letto in giro, sembra essere una crime novel che col Natale vero e proprio ha poco a che fare (avrete notato che anche il titolo originale è stato cambiato); vedremo se è davvero così. In ogni caso, non so voi, ma io nutro delle grandissime aspettative riguardo questo romanzo giallo. Sarà di sicuro uno dei miei regali di Natale.

Copertina di "Death in Fancy Dress"
pubblicato da British Library Crime
Classics
Infine, per quanto riguarda le uscite in lingua straniera, vi voglio segnalare due titoli. Il primo uscirà il 28 per il famoso marchio Collins Crime Club, ed è la ristampa in edizione economica di una raccolta di racconti che ha suscitato grandi apprezzamenti all'estero; ovvero, "Bodies from the Library: Lost Classic Stories by Masters of the Golden Age", curato da Tony Medawar. Si tratta di una raccolta di storie brevi, tutte di autori appartenenti alla crime story classica e tutte pressoché inedite (almeno al momento della pubblicazione dell'edizione a copertina rigida). Ci sono Agatha Christie, Christianna Brand, A.A. Milne, Cyril Hare e Freeman Wills Crofts, tra gli altri. Un'uscita da non lasciarsi scappare, a mio avviso. Il secondo titolo che vi voglio consigliare, invece, è l'ultimo libro dell'anno pubblicato dalla British Library Crime Classics: "Death in Fancy Dress" di Anthony Gilbert, in commercio dal giorno 10. Gilbert è lo pseudonimo dietro il quale si nascose Lucy Beatrice Malleson, autrice di calibro della Golden Age del giallo classico che scrisse anche sotto il nome di Anne Meredith. L'anno scorso, io ho comprato il suo "Portrait of a Murderer", una storia di Natale molto originale per certi aspetti, e l'ho iniziato a leggere; poi ho dovuto abbandonarlo per mancanza di tempo (la mia lettura dell'inglese richiede concentrazione), ma a breve ho intenzione di riprenderlo in mano e di portarlo a termine, perché mi affascinava moltissimo. "Death in Fancy Dress", invece, è un tipico delitto-da-casa-di-campagna, con un omicidio che avviene durante un ballo mascherato. Però non tutto si riconduce alla trama classica, poiché saranno inclusi anche il Servizio Segreto Britannico e un misterioso antagonista dal nome "The Spider", che uniranno alla tradizione un pizzico di modernità.

Copertina di "Bodies from the Library"
pubblicato da Collins Crime Club
Bene, anche per questo mese è tutto. Vi ricordo ancora una volta che a Dicembre arriverà un appuntamento speciale, con i consigli per i regali di Natale nel segno del Giallo Classico. Buone Letture a tutti quanti!

Link ai titoli consigliati su Libraccio:
"Il picco delle streghe" di Glyn Carr;
"Un piccolo omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan;
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Morte nella neve" di J. Jefferson Farjeon.

Link ai titoli consigliati su IBS:
"Il picco delle streghe" di Glyn Carr;
"Un piccolo omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan;
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Morte nella neve" di J. Jefferson Farjeon.

Link ai titoli consigliati su Amazon:
"Il picco delle streghe" di Glyn Carr;
"Un piccolo omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan;
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Morte nella neve" di J. Jefferson Farjeon;
"Bodies from the Library" di Tony Medawar;
"Death in Fancy Dress" di Anthony Gilbert.

venerdì 25 ottobre 2019

# - Grazie Marco Polillo (1949-2019)

Un breve pensiero alla memoria di Marco Polillo, il patron della casa editrice omonima che ci ha lasciato oggi, il quale mi ha fatto scoprire quanto vasto e vario possa essere il genere della crime story classica. E' stato grazie a lui (e ai suoi volumetti dalla caratteristica copertina arancione) che per la prima volta ho appreso dell'esistenza di altri autori, al di fuori di Agatha Christie e Arthur Conan Doyle, capaci di raccontare a modo proprio il delitto e l'inganno, la Vita e la Morte, la gioia e il dolore, con una chiarezza e un fascino inconfondibili. Dorothy L. Sayers, Anthony Berkeley, Mary Robert Rinehart, H.H. Stanners; insieme ai numerosi colleghi pubblicati da Polillo Editore, sono entrati nella mia vita e continuano ancora oggi a farmi compagnia, e per questo non posso che ringraziare Marco Polillo, al quale avrei desiderato poter stringere la mano almeno una volta. Sfortunatamente, così non è stato. Non mi resta che esprimergli la mia eterna gratitudine, e augurargli buon viaggio.

Raymond West

Copertina di "Uno Sparo in Biblioteca", il
primo Bassotto che ho comprato e quello
che mi ha fatto conoscere Polillo Editore

venerdì 18 ottobre 2019

12 - "La Figlia del Tempo" ("The Daughter of Time", 1951) di Josephine Tey

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 589
Secondo me, la Storia (quella con la S maiuscola) è uno degli argomenti più interessanti di cui si possa discutere. Penso che, se a raccontare aneddoti sono persone dotate di un'ampia conoscenza della materia e di una grande capacità oratoria, sia un vero piacere lasciarsi rapire dalla narrazione di eventi accaduti tanti anni fa e seguire le vicissitudini di genti e popoli ormai scomparsi ma, in qualche modo, ancora "vivi", come se li vedessimo davanti ai nostri occhi. Forse questo mio entusiasmo è legato al fatto che ho sempre sognato di diventare archeologo, di effettuare nuove scoperte e trovare una risposta alle incognite che di frequente si presentano ad ostacolare la ricostruzione del passato. Magari sentivo già l'interesse di voler affrontare questioni irrisolte, proprio come se fossi davanti a un mistero da crime story tradizionale: infatti, sebbene presentino anche caratteristiche diverse, questi due campi del sapere sono accomunati dal saper "riportare in vita" persone appartenenti ad altre epoche e da un certo alone di incertezza, poiché di alcuni fatti possediamo notizie incerte e siamo quindi costretti a fare ipotesi su cosa sia veramente accaduto. È un fatto, tuttavia, che ciò che è accaduto un tempo non suscita la stessa attrazione in tutte le persone. Quando deve essere studiata per forza a scuola, ad esempio, la Storia non riscuote molto successo; per fortuna, io posso dire di aver conosciuto professori capaci di appassionare i loro allievi, chi usando le tecniche tradizionali, chi attraverso stratagemmi insoliti (per esempio, la figura della regina Hatshepsut, moglie del faraone Thutmose II, mi rimarrà sempre impressa per il fatto che ci venne presentata attraverso le sue numerose relazioni in forma di gossip antiquato). Inoltre, anche dopo la fine degli studi, molto spesso questa materia viene snobbata dalla gente in favore di altri interessi. Un vero peccato; tanto più perché essa può essere trattata attraverso metodi più "leggeri" di altre, come i romanzi che, con le loro trame delineate a partire da fatti realmente accaduti, non aspettano altro che appassionare i lettori con storie avvincenti e tratteggiate con attenzione.

Grazie ad essi, gli eventi del passato possono rivivere in tutto il loro splendore, senza per questo annoiare (non per niente oggi va tanto di moda il cosiddetto "giallo storico"), e magari suscitare la curiosità necessaria a fare ulteriori ricerche sull'argomento trattato. In particolare, gli appassionati di crime story e true crime (come i membri del Detection Club ai tempi di Sayers, Christie e Berkeley) possono sentirsi stimolati da oscure circostanze del passato a intraprendere nuove indagini per far luce su insoliti cold cases, i delitti irrisolti, grazie alle tecniche moderne fornite dalla scienza. Anche se non partì da un romanzo storico, ad esempio, è in questo modo che Patricia Cornwell ha potuto identificare, nella figura del pittore ottocentesco Walter Sickert, nientemeno che Jack lo Squartatore. Quindi, credetemi se vi dico che il giallo è un mezzo meraviglioso attraverso cui imparare cose nuove e, a volte, rimettere in discussione quelle che sappiamo. Quest'ultimo aspetto, secondo cui lo studio della Storia può avere risvolti inaspettati, può essere rappresentato anche da uno dei romanzi più famosi della letteratura del mistero di tutti i tempi. Inserito nelle più famose liste di critica della narrativa di genere, la "British Crime Writers' Association" l'ha votato come la migliore opera fittizia di detection mai scritta in assoluto. Secondo me non è la più bella, ma di sicuro rientra in un'ipotetica top ten. Si tratta di "La Figlia del Tempo" di Josephine Tey (Classici del Giallo Mondadori n. 589, 1989); un mystery atipico, quasi unico nel suo genere (la formula è stata ripresa qualche decennio più tardi da Colin Dexter nel suo "La Fanciulla è Morta"), in cui non c'è una vera e propria indagine, con un detective che si sposta da un luogo all'altro per cercare gli indizi atti a incastrare il colpevole, ma piuttosto una ricerca che va più in profondità e non smette di affascinarmi ad ogni rilettura, grazie alla sua aura di armonia e distensione.

Ritratto di Riccardo III, di Artista Ignoto
(The National Portrait Gallery History
of the Kings and Queens of England)
Tutto il libro si svolge dentro la stanza di un ospedale, nella quale Alan Grant, il poliziotto protagonista di alcuni dei gialli di Tey, è confinato a causa di una brutta caduta che gli ha procurato la rottura di una gamba. Grant non ne può più di stare senza far niente, ad osservare le crepe del soffitto e a sondare le figure delle sue due infermiere, da lui ribattezzate la Nana e l'Amazzone; e per la sua mente iperattiva, non se ne parla nemmeno di ingannare il tempo attraverso la lettura di romanzi insulsi come "Il sudore e il solco", oppure l'annuale resoconto di Lavinia Fitch sulle tribolazioni di un'eroina senza macchia. Così, nel tentativo di scacciare gli "aculei della noia", decide di chiedere aiuto a Marta Hallard (l'amica attrice che comparirà anche in altri tre libri della serie) affinché gli procuri un intrigante diversivo alle lunghe giornate in attesa della guarigione; diversivo che viene prontamente presentato sotto forma di stampe, raffiguranti antichi personaggi della Storia coinvolti in misteri irrisolti. Sebbene all'inizio sia dubbioso sull'effetto benefico di tale stratagemma, ben presto Grant si scopre affascinato dalla possibilità di soppesare minuziosamente i volti di importanti figure del passato, proprio come ha già fatto con la Nana e l'Amazzone: dopo anni trascorsi nelle forze di polizia, ha infatti sviluppato un certo interesse per ciò che i tratti fisici riescono a rivelare delle persone; e soprattutto il dipinto di un gentiluomo in berretto di velluto e farsetto con i tagli nelle maniche suscita la sua curiosità. Si tratta nientemeno che di Riccardo III, il famigerato Mostro il quale, secondo la tradizione classica, uccise i due nipotini prigionieri nella Torre di Londra per poter salire al trono d'Inghilterra.

Un vero "cattivone", la cui colpa tuttavia non è mai stata provata al cento percento e la cui faccia assomiglia a quella di un giudice. Era davvero chi la Storia ci ha tramandato in ricordo, oppure si tratta di un enorme errore compiuto da qualche sciocco o un deliberato tentativo di screditare un uomo onesto per farne perdurare la cattiva memoria? Sarebbe una bella soddisfazione, riflette Grant, riuscire a spuntarla dove folle di studiosi e storici hanno fallito e stabilire con ragionevole certezza se Riccardo fosse colpevole o innocente... La tentazione di scoprire la verità sul caso dei Principini della Torre si fa sempre più irresistibile, finché egli non decide di procurarsi altre prove sulla vita e l'esistenza dell'ultimo dei Plantageneti, grazie all'aiuto delle sue fidate (e bisbetiche) infermiere e di Brent Carradine, un giovane storico inviato in soccorso da Marta. A partire da questo punto, la vicenda si snoderà attraverso la storia dei casati degli York e dei Lancaster, gli eventi che portarono alla Guerra delle Due Rose, gli amori e i tradimenti che infestavano le esistenze di re e regine dell'Inghilterra all'epoca dell'occupazione francese, grazie a resoconti di prima mano e altri "per sentito dire", come quelli di Thomas Moore ed Evelyn Payne-Ellis, pur restando tra le quattro mura della camera d'ospedale di Grant; finché Grant, seguendo il detto “la Verità è figlia del tempo”, stabilirà un verdetto inattaccabile... o forse no?

Albero genealogico dei Plantageneti presente nell'edizione
dei Classici del Giallo Mondadori n. 589
Nella letteratura gialla, non è una novità che un autore decida di sfruttare un cold case per articolare la trama del proprio libro. Eppure, in pochi sono riusciti a creare un'opera tanto in anticipo sui tempi come ha fatto Josephine Tey con "La Figlia del Tempo". Innanzitutto va segnalato, per il momento in cui fu ideato, il modo insolito con cui il mistero è stato affrontato; e cioè attraverso l'uso della Storia come campo e mezzo d'indagine. Fin dall'inizio, Tey osserva come la fiction abbia ormai assuefatto tutti quanti (pp. 5 e 9), al punto da far perdere di vista ciò che è vero e ciò che è falso, e anche la crime story ormai tenda a dedicarsi a un mondo fasullo, in cui le persone ritratte non sono "né vivaci né aspre" (pp. 9-10), allo stesso modo dei saggi contemporanei e dei loro sedicenti autori (critica aspramente gli storici di professione alle pp. 135-136, 156-157 e 181): insomma, sembra dirci che non c'è più voglia di verificare i fatti, come accade quando si scrive un romanzo serio (pp. 51-52), ma ci si limita a sostenere vicende e situazioni dando l'impressione che siano assodate e inconfutabili. Per fare ciò porta ad esempio due avvenimenti ad illustrare il suo punto di vista: quello del Massacro di Boston (pp. 91-92), ma soprattutto quello degli eventi verificatesi a Tonypandy, nel sud del Galles (pp. 92-94, 107-108, 117-118, 128-131). Entrambi sono stati decantati nei secoli quali strumenti da monito ma, in realtà, consistono in casi travisati che hanno ingrossato le fila dei Misteri nella Storia, come quello del Robin di Elisabetta, di Maria Stuarda o del Delfino di Francia Luigi XVII. Alcuni conoscono la verità, certamente; però lo studio degli avvenimenti storici (veri o falsi che siano) a scuola ha favorito l'uniformarsi della trasmissione di nozioni agli studenti (pp. 99-100 e 184-185), assieme all'ottusità insita nell'essere umano di rigettare la verità, quando essa va contro ciò che ti hanno inculcato fin dalla tenera età (pp. 118-120 e 176-177). Forse non c'è speranza e tali bugie resisteranno incrollabili e inattaccabili all'usura del tempo? Secondo Tey, esiste un modo per sconfiggere i pregiudizi: ovvero, affidarsi a prove sicure e inconfutabili; e per fare ciò servono fonti altrettanto fedeli e imparziali. Proprio quelle che la Storia ci offre!

Si tratta di un sistema complesso e lungo, al quale ci si deve accostare con l'infinita pazienza e il metodo dell'investigatore (come dimostra Grant nel capitoli 13 e 17 e alle pp. 164-165), ma che assicura risultati fondati e privi di abbellimenti fuorvianti. Nel caso di Riccardo, le prove materiali sono scomparse da moltissimi anni, i diretti interessati sono morti e, quindi, le possibilità di riuscire ad ottenere un verdetto chiaro sono pressoché nulle: il caso, insomma, è da considerarsi prettamente come "accademico". Eppure l'autrice ci dimostra come proprio la Storia, grazie alla sua peculiare caratteristica di preservare molti documenti ed eventi "noiosi" dallo scorrere del tempo (pp. 94-95), possa permettere ai fatti reali di sopravvivere e di trasformarsi in un importantissimo strumento di riscontro, nelle mani degli investigatori del futuro, per ritrattare casi chiusi con un'accuratezza valida, se non perfetta. Ci viene ricordato ancora una volta che i moventi e i gesti stessi degli uomini, assieme all'aspetto fisico (a volte rivelatore di una personalità nascosta, pp. 22-24), si assomigliano anche se sono trascorsi anni e anni; non per niente la Miss Marple di Agatha Christie una un metodo simile, basato sul confronto tra gli atteggiamenti degli esseri umani: basta saperne interpretare il comportamento e le azioni per ricavare delle impressioni (e quindi prove indiziarie) utili a dare una spinta in un senso o nell'altro alla ricerca della verità. Verità che, essendo "figlia del tempo", viene perpetuata e non può in nessun modo essere cancellata; mistificata, certo, ma non eliminata in modo completo. Il ché ci porta al secondo punto di importanza che questo libro incarna: "La Figlia del Tempo", infatti, oltre ad essere un innovativo esempio di come la letteratura (e la Storia) possa diventare un mezzo attraverso il quale garantire l'adempimento di una sorta di giustizia poetica, vuole essere un incoraggiamento ad informarsi e a riflettere a fondo prima di esprimere un giudizio affrettato, come ad esempio su una questione conosciuta da tutti in Inghilterra ma che, fino al momento in cui non fu pubblicato questo romanzo, era stata trascurata.

Come ha sottolineato Sarah Polski in un articolo per il New Yorker, infatti, nel 1951 (quando il libro apparve per la prima volta) la storia di Riccardo III era pesantemente influenzata dalla tragedia omonima di Shakespeare e dai resoconti "ufficiali"; eppure, da allora, più è cresciuta la fama di questo volume e più si è allargato il gruppo dei potenziali Riccardiani, ovvero i sostenitori dell'innocenza di Sua Maestà. Come mai ci fu una tale ampia rivalutazione della sua figura? Ebbene, gli interrogativi posti dalla tesi presentata dalla Tey spingevano i lettori a farsi delle domande, allo stesso modo di Grant, arrivando addirittura ad influenzare molti personaggi che in seguito sarebbero divenuti ferventi sostenitori di Riccardo (George Awdy parlò della sua conversione come di "un risveglio", Isolde Wigram fondò la Richard III Society). Essi seguirono le tracce lasciate dall'investigatore fittizio per attuare una reale ricerca attraverso i testi citati nel corso della vicenda; ricerca che la stessa autrice aveva intrapreso alla Biblioteca Pubblica di Londra durante un viaggio da Inverness, dove stava la sua casa, probabilmente spinta dal dubbio e dalla facile sentenza emessa dalle altre persone su Riccardo: un'impresa niente male, se si considera quanto si può fare con pochi mezzi a disposizione. In questo modo i lettori riuscirono ad identificarsi con il detective letterario e la sua creatrice, a seguire i loro ragionamenti e a capire quali fossero le basi della loro teoria e quale fosse la loro solidità, mentre allo stesso tempo veniva loro mostrato come il giudicare un fatto da un'occhiata superficiale fosse un atteggiamento sciocco da adottare. La ricerca della verità assume una grande importanza in questo meraviglioso romanzo: essa è sinonimo di redenzione e di liberazione, e vuole essere un monito contro i futili tentativi degli uomini di mistificare la realtà. Per me è questo il significato che si nasconde dietro al titolo del libro.

Elizabeth Mackintosh (alias
Josephine Tey e Gordon Daviot),
nata nel 1896 e morta nel 1953
L'interesse di Josephine Tey per la storia di Riccardo III non si limitò alla sola stesura di "La Figlia del Tempo", ma anche a un dramma basato sulla triste vicenda del monarca inglese, il quale però non fu mai messo in scena perché considerato troppo complesso per poter essere apprezzato dal pubblico dell'epoca. L'autrice (il cui vero nome era Elizabeth Mackintosh), dunque, non fu solo scrittrice di romanzi, ma anche drammaturga sotto il nome di Gordon Daviot (John Gielgud, fratello del coautore del famoso "Assassinio alla BBC", interpretò Riccardo II in una sua opera teatrale). Per il resto, della sua vita si sa ben poco, poiché ella fu sempre estremamente riservata*: è sicuro che fu insegnante di educazione fisica a Inverness, in Scozia; che ad un certo punto dovette rinunciare all'incarico scolastico, per potersi prendere cura del padre anziano ed infermo, e che si metteva in viaggio unicamente in occasione delle visite, due volte all'anno, intraprese per incontrare la sorella a Londra. Forse fu per questo motivo che non prese mai parte al Detection Club; senza dubbio, non fu per la scarsa qualità dei suoi libri gialli. Nel corso della vita, Josephine Tey ne scrisse otto: tutti di grande successo, come "L'Uomo in Coda" (1929) in cui fece la sua prima apparizione l'ispettore di Scotland Yard Alan Grant (originale investigatore “tutto d’un pezzo” ma dotato di un’animo sensibile); "È Caduta una Stella" (1936), da cui Hitchcock trasse ispirazione per il suo "Giovane e Innocente"; "Miss Pym" (1946), che venne ambientato in una scuola per giovani donne, e questo "La Figlia del Tempo". Oltre ai contenuti di cui ho già parlato, vorrei sottolineare alcune caratteristiche formali di questo romanzo straordinario. Ad esempio, per quanto non sia apprezzato da tutti, l'enigma presenta degli aspetti insoliti rispetto a quelli che si trovano in gran parte nei gialli degli anni '40-50; Grant, infatti, viene indotto ad occuparsi del "caso" grazie all'intervento di Marta Hallard e segue il suo l'invito a dedicare le proprie facoltà intellettive alla risoluzione del problema senza muovere un muscolo, come un armchair detective, ma imbarcandosi in una specie di monologo ad alta voce, pacato e chiaro, inframmezzato dalla conversazione brillante con le infermiere, Marta e Brent Calladine ma quasi sempre rivolto a se stesso.

La scrittura, ricca di citazioni di carattere storico ma non solo (oltre al cenno alla "Forca di Morton" a p. 88, sono presenti riflessioni sul mondo del libro, sulla psicologia delle persone (pp. 46 e 49), sul teatro (p. 18), addirittura sulla pesca e sul bricconi di una volta (pp. 97-98)) è coinvolgente ed essenziale, poiché conserva un tono semplice ed illustra le situazioni facendo leva sul colore locale, pur trattando argomenti storici considerati di solito noiosi, tanto da riuscire ad appassionare il lettore e a fargli venir voglia di sapere come certe decisioni abbiano cambiato il mondo in un'epoca ormai passata. I personaggi sono ben caratterizzati, divertenti, soprattutto umani nella loro quotidianità ed aperta ostilità nei confronti degli studiosi che sono stati incapaci di mentire in modo convincente, a partire da Tommaso Moro, il quale esce distrutto dal confronto tra la sua versione viziata dei fatti e quella invece reale degli "uomini comuni". L'ambientazione, seppur minimalista, riesce a creare un piccolo mondo reale ma sereno, in cui l'azione fisica è limitata all'entrata e all'uscita di scena dei comprimari del protagonista: Marta Hallard, la Nana e l'Amazzone sono figure che, pur vive e spiritose nel racconto delle proprie disavventure quotidiane, non influenzano il "viaggio" che Grant (con l'aiuto di Brent Carradine) compie attraverso il tempo. Voglio soltanto segnalare un paio di imprecisioni, poiché due volte il 1483 è stato scambiato con un'altra data: dapprima col 1485 (p. 124) e poi addirittura col 1583 (p. 153), un secolo più avanti! Ma questo probabilmente è un errore del traduttore, qualcosa che non intacca il fascino e la poesia di "La Figlia del Tempo": un libro indimenticabile che chiunque dovrebbe leggere, soprattutto per capire bene come si svolsero i fatti durante la Guerra delle Due Rose, senza tanti giri di parole ed eventi difficili da tenere a mente. Mi sono sentito un po' come se fossi tornato a scuola e mi fossi lasciato di nuovo avvincere dalle avventure amorose della regina Hatshepsut, ritrovando il modo migliore in cui la Storia (quella con la S maiuscola) dovrebbe essere insegnata.

* P.S. Si vocifera che una biografia di Josephine Tey sia in corso di scrittura da parte di un membro della sua famiglia, il membro del Detection Club Catherine Aird; finora non è stato pubblicato nulla, ma si spera che prima o poi essa possa vedere la luce.

Link all'edizione italiana su Amazon
 

Link all'edizione in lingua originale su Amazon

venerdì 11 ottobre 2019

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Ottobre 2019)

Eccoci all'appuntamento di ottobre per quanto riguarda il vostro Approvvigionatore Letterario. Mi devo scusare per non aver pubblicato questo post all'inizio del mese come al solito, quando quest'ultimo è ufficialmente cambiato; il fatto è che ho provato ad aspettare qualche giorno nella speranza che Polillo desse qualche notizia sui titoli che vi ho anticipato qualche tempo fa, ma sfortunatamente sono ancora tutti fermi (tranquilli, appena so qualcosa ve lo faccio sapere). Come se non bastasse, gli altri editori italiani di crime story pubblicheranno nuovi gialli a partire dai primi di novembre; quindi, per stavolta, l'unica recente uscita nella nostra lingua che voglio segnalarvi riguarda una scrittrice canadese, Shari Lapena, la quale ha appena visto il proprio "L'Ospite Indesiderato" approdare nelle librerie del nostro Paese grazie a Mondadori. Si tratta di un thriller sullo stile di quelli di Louise Penny, che volge un'occhio al passato pur restando attuale, in cui un gruppo di persone si stabilisce per un certo periodo in una casetta isolata e (come da lunga tradizione) resta bloccato da una tempesta di neve. Seguono la scoperta di un cadavere, sospetti e brividi in abbondanza. Si tratta, dunque, di una tipica trama alla "Dieci Piccoli Indiani" (non per nulla è stato paragonato a un libro della Christie), dove un killer misterioso uccide senza che gli altri ospiti riescano a capire di chi si tratti. Da parte mia, penso che proverò a leggerlo non appena la copia della mia biblioteca si libererà dalle prenotazioni; in ogni caso, sembrerebbe molto interessante.

Copertina di "L'Ospite Indesiderato",
pubblicato da Mondadori
Per quanto riguarda le uscite in lingua, invece, tenetevi forte: sono in arrivo un sacco di titoli a mio avviso imperdibili. 

Innanzitutto, sono venuto a conoscenza che Tippermuir Books ha pubblicato, circa alla metà di settembre, un nuovo libro che raccoglie alcuni scritti di Dorothy L. Sayers da lungo assenti dagli scaffali delle librerie. Si tratta di "God, Hitler and Lord Peter Wimsey", curato da Suzanne Bray, in cui vengono raggruppati numerosi articoli che la Nostra ha scritto per i giornali inglesi, spaziando da temi religiosi ad altri prettamente politici. Quello che dovrebbe interessare di più noi appassionati dei suoi romanzi gialli, tuttavia, dovrebbero essere le cosiddette ‘Wimsey Papers’, ovvero quella serie di lettere che la Sayers compose per The Spectator durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui Lord Peter, Harriet Vane ed altri personaggi delle sue storie interagivano tra loro, come se fossero persone reali e in carne ed ossa. Questa corrispondenza sui generis, da quanto ho capito, costituisce un tassello non indifferente per riuscire ad inquadrare al meglio i protagonisti dei suoi gialli; per cui intendo fare il possibile per procurarmene una copia, prima che si esauriscano, e consiglio di fare lo stesso anche a voi, se amate il mondo del gentiluomo-segugio.

Copertina di "God, Hitler and Lord Peter
Wimsey", pubblicato da Tippermuir
In secondo luogo, anche la sempre ottima British Library si sta dando da fare per soddisfare gli attenti lettori della collana Crime Classics. Il 26 settembre, ad esempio, è stato rilasciato "The Pocket Detective 2", il nuovo volumetto curato da Kate Jackson di crossexaminingcrime.com (dopo "The Pocket Detective") in cui sono stati raccolti numerosi rebus e puzzles dedicati agli appassionati di enigmistica e giallo classico. D'accordo, non si tratta di un romanzo vero e proprio; però trovo molto simpatica e divertente questa iniziativa della BLCC di proporre al suo pubblico qualcosa di diverso ma pur sempre appassionante. Inoltre, proprio per quanto riguarda le crime novels, il 10 di questo mese verrà pubblicato "The Christmas Egg", uno dei titoli a tema natalizio curati per l'editore dal sempre ottimo Martin Edwards. Si tratta di una storia molto particolare, la quale vede nientemeno che l'omicidio di un'anziana principessa, scappata dalla Russia in seguito alla Rivoluzione del 1917. La nobildonna è morta in condizioni di estrema povertà, pur possedendo una fortuna in gioielli; quindi, cosa nasconde questo insolito caso? L'ispettore Brett Nightingale, appassionato di opera, è deciso a scoprirlo (e anche io, visto che non posso resistere ai gialli ambientati sotto le feste di fine anno!).

Copertina di "The Christmas Egg",
pubblicato dalla British Library
Sempre i primi giorni di ottobre, per i tipi di Dean Street Press verranno pubblicati ben 10 nuovi romanzi di un autore semisconosciuto al pubblico dei libri del mistero. Si tratta di Brian Flynn, recentemente riscoperto da The Puzzle Doctor di classicmystery.blog. Scrittore molto prolifico (ha al suo attivo ben 54 titoli, spesso incentrati sulla figura del segugio Anthony Bathurst), secondo questo blogger e storico del giallo classico egli merita di essere riscoperto, dopo la sua lenta caduta nel dimenticatoio, per la qualità della scrittura e degli intrecci che ha saputo ideare. Da parte mia, ritengo sia sempre un piacere trovare nuovi gialli da testare, e ho l'impressione che Brian Flynn non deluderà le aspettative. Nel dettaglio, i romanzi presto disponibili per Dean Street Press saranno:

  • The Billiard-Room Mystery (1927);
  • The Case of The Black Twenty-Two (1928), il quale vede anche un delitto di camera chiusa;
  • The Mystery of The Peacock’s Eye (1928), considerato il suo capolavoro;
  • The Murders Near Mapleton (1929), ambientato durante le feste di Natale;
  • The Five Red Fingers (1929);
  • Invisible Death (1929);
  • The Creeping Jenny Mystery (1929);
  • Murder En Route (1930), che vede un delitto impossibile verificatosi sul tetto di un autobus;
  • The Orange Axe (1931);
  • The Triple Bite (1931).

  • Copertina di "The Mystery of the
    Peacock's Eye", pubblicato da
    Dean Street Press
    Infine, una menzione speciale per un autore che non ha pubblicato (finora) alcuna crime story, ma è stato per lungo tempo a contatto con questo mondo e, quindi, a mio parere merita di essere incluso nella lista delle imminenti pubblicazioni di questo mese. Si tratta di David Suchet, l'attore che tra il 1989 e il 2013 ha impersonato in modo impeccabile il personaggio di Hercule Poirot nella serie britannica "Agatha Christie's Poirot" e ad esso viene ormai inesorabilmente (ma giustamente) accostato. Il giorno 3 Constable ha pubblicato il suo "Behind the Lens - My Life", un photo-memoir in cui egli ha ripercorso la sua lunga carriera davanti alle telecamere e sui palchi di tutta l'Inghilterra, ad interpretare personaggi di Shakespeare, Wilde, Christie e Doctor Who, ma anche dietro un oggetto a cui è molto legato: la macchina fotografica. Ogni passo della sua vita professionale, infatti, è stato immortalato in numerosi scatti dallo stesso Suchet, i quali sono stati raccolti e ora pubblicati, insieme ai suoi commenti. Discute di un sacco di argomenti, dalle suo origini ebraiche allo sviluppo di Londra nel corso degli anni, e lo fa sempre con l'arguzia che ha saputo contraddistinguerlo dal resto degli attori. Forse non è un libro che può interessare agli appassionati di crime fiction come il precedente "Poirot and Me"; tuttavia vi consiglio comunque di darci un'occhiata, perché secondo me merita (ad esempio, io proverò a procurarmene una copia).

    Copertina di "Behind the Lens", pubblicato
    da Constable
    Così si conclude anche questo appuntamento di ottobre con l'Approvvigionatore Letterario. Per novembre ci aspettano altre uscite e nuovi titoli, anche in italiano. Portate pazienza per qualche settimana; quando arriverà il momento, vi aggiornerò. Intanto buone letture, come sempre!

    AGGIORNAMENTO: Che vi dicevo, poco sopra? Un’altra uscita è arrivata, prima della fine del mese. Si tratta dell’edizione italiana di “The Last Séance”, la raccolta di racconti del soprannaturale firmata dalla proprietà Agatha Christie, di cui vi ho parlato il mese scorso. Il titolo scelto è “L’Ultima Seduta Spiritica”, e sarà disponibile dal giorno 22. Per i dettagli delle trame, vi consiglio di dare un’occhiata al post dell’Approvvigionatore Letterario di Settembre; in ogni caso, sappiate che si tratta di un’edizione particolare, rispetto alle solite a copertina morbida: stavolta, infatti, avrà copertina rigida e con effetto ruvido.

    Link a titoli consigliati su Libraccio:
    "L'ospite indesiderato" di Shari Lapena;
    "L'ultima seduta spiritica" di Agatha Christie.

    Link ai titoli consigliati su IBS:
    "L'ospite indesiderato" di Shari Lapena;
    "L'ultima seduta spiritica" di Agatha Christie.

    Link ai titoli consigliati su Amazon:
    "L'ospite indesiderato" di Shari Lapena;
    "God, Hitler and Lord Peter Wimsey" di Dorothy L. Sayers;
    "The Pocket Detective 2" di Kate Jackson;
    "The Christmas Egg" di Mary Kelly;
    "The Case of the Black Twenty-Two" di Brian Flynn;
    "The Mystery of the Peacock's Eye" di Brian Flynn;
    "The Murders near Mapleton" di Brian Flynn;
    "The Five Red Fingers" di Brian Flynn;
    "Invisible Death" di Brian Flynn;
    "The Creeping Jenny Mystery" di Brian Flynn;
    "Murder en Route" di Brian Flynn;
    "The Orange Axe" di Brian Flynn;
    "The Triple Bite" di Brian Flynn;
    "The Billiard-Room Mystery" di Brian Flynn;
    "Behind the Lens: My Life" di David Suchet;
    "L'ultima seduta spiritica" di Agatha Christie.

    venerdì 4 ottobre 2019

    11 - "Il Terrore Corre sul Filo" ("Sorry, Wrong Number", 1948) di Lucille Fletcher & Allan Ullman

    Copertina dell'edizione pubblicata
    nei Classici del Giallo Mondadori
    n. 836
    Le crime novels, grazie alle loro caratteristiche peculiari, sono prodotti letterari che si adattano molto bene alle trasposizioni in diverse forme di intrattenimento. Infatti, pur nascendo in veste di storie lunghe o di racconti brevi ed essendo apprezzate per la capacità di tenere costantemente alta l'attenzione del lettore, mentre le pagine scorrono sotto i suoi occhi, esse riescono a catturare anche l'interesse degli appassionati di film televisivi e riduzioni radiofoniche quando, grazie a qualche ritocco, vengono trasformate in un'opera teatrale, in forma di commedia o di tragedia a seconda dei casi; in un radiodramma, da recitare davanti a un microfono; oppure in una vicenda raccontata su pellicola, in cui il mistero prende forma fisica e i suoi attori si muovono davanti agli occhi dello spettatore. Tutto sta nel talento dei loro autori, capaci di reinventare qualcosa che essi stessi o altri hanno scritto: tra i copioni scritti per il teatro, ad esempio, uno dei più famosi (e il mio preferito in assoluto) è quello di "Trappola per Topi" di Agatha Christie, tratto dal racconto "Tre Topolini Ciechi" dall'autrice stessa, in cui un variegato gruppo di ospiti si rifugia in una pensione nel bel mezzo della campagna inglese, gestita da una giovane coppia di sposini, per poi scoprire di essere isolati dal resto della civiltà a causa di una furiosa tempesta di neve e prede di un maniaco omicida. Il racconto "originale" rappresenta una tipica prova della Regina del Mistero, poiché capace di stregare il lettore pur senza dilungarsi in descrizioni dettagliate o presentare trame complesse e dense di avvenimenti; la riduzione teatrale, però, conta sull'atmosfera e la tensione generate dal sospetto e dal talento degli attori nel dare l'impressione di ambiguità ad ogni loro gesto, così da sopperire all'impossibilità di un cambio di scena con un racconto giocato maggiormente sulle personalità dei personaggi e le parole che pronunciano. Tra le celebri pellicole tratte da altrettanto rinomati romanzi, invece, a mio parere spiccano "Assassinio sull'Orient-Express" di Sydney Lumet e "Testimone d'Accusa" di Billy Wilder (derivati anche questi da opere omonime della Christie, ma ad opera di sceneggiatori differenti), dove il primo può essere designato come un esempio di adattamento rigoroso della trama letteraria, mentre il secondo mostra come una vicenda, utilizzata per un semplice racconto, possa articolarsi in una trama ben più complessa grazie alla fantasia degli adattatori.

    Infine, per quanto riguarda gli adattamenti radiofonici, restano celebri nella storia della crime fiction i pezzi che John Dickson Carr ("I Morti hanno il Sonno Leggero") ed Ellery Queen ("Le Falene Assassinate e altri racconti") scrissero nel corso della loro carriera per questo mezzo di intrattenimento: vicende tese, capaci di dare più di un brivido grazie all'uso di attente e sapienti voci che si spandono nell'aria. Proprio la suspense, a mio parere, si è rivelata essere un carattere fondamentale di queste tre forme di svago; non c'è dubbio, infatti, che sia grazie ad essa che gli sceneggiatori e i drammaturghi riescano a tenere incollati gli spettatori e gli ascoltatori alle loro poltrone. Uomini e donne come Alfred Hitchcock e gli autori sopra citati capirono ben presto come far leva sulle emozioni dell'essere umano, e di conseguenza crearono delle situazioni dove esse venivano solleticate di continuo, come in film quali "La Signora Scompare" e "Psycho", oppure commedie del tipo di "L'Ospite Inatteso", "Il Rifugio" o "La Tela del Ragno" della Christie. Nel 1948, in America, anche una scrittrice di gialli radiofonici decise di scrivere un'opera di questo tenore, traendo ispirazione da un pezzo che aveva precedentemente composto, in seguito a un casuale incontro per la strada. Il suo nome era Lucille Fletcher, e il risultato dei suoi sforzi fu "Il Terrore Corre sul Filo" (Classici del Giallo Mondadori n. 836 del 1999), una vicenda in cui dominano gli elementi del giallo delle women in jeopardy, come la caratterizzazione psicologica dei personaggi e il senso dell'ambientazione essenziale ma d'atmosfera, la quale divenne ben presto oggetto dell'attenzione della Paramount (la quale ne fece un film di successo con Burt Lancaster e Barbara Stanwyck).

    Articolo di presentazione del film "Il Terrore Corre sul Filo",
    tratto dall'omonimo romanzo dal regista A. Litvak
    La storia si svolge nell'arco di un paio d'ore di una calda serata estiva a New York, durante le quali Leona Stevenson, una ricca donna nevrotica e inferma, tenta con ogni mezzo di mettersi in contatto col marito che tarda a rincasare. Lei si trova in casa da sola, poiché le domestiche hanno ottenuto il permesso di uscire, e non si sente per niente a proprio agio, imprigionata tra le quattro mura della sua camera da letto, pur possedendo un telefono pronto ad esaudire qualunque chiamata intenda fare; tanto più che tale apparecchio risulta inutile, poiché il suo Henry si ostina a non rispondere dalla linea del proprio ufficio, che lei continua a farsi passare dalla telefonista di turno. Nel corso della sua vita, Leona ha sempre evitato qualsiasi responsabilità le si sia parata davanti e ha sviluppato un carattere capriccioso e sgradevole, peggiorato da una malattia che l'ha resa attenta solo ai propri desideri e sorda a quelli della gente intorno a sé; quindi non capisce perché le addette al centralino non vogliano esaudire le sue richieste per contattare Henry e monta nei loro confronti ridicole accuse, con un'arroganza cieca alle difficoltà che loro vanno incontro per soddisfare i suoi bisogni. Henry non la farebbe mai agitare in modo simile, quindi deve essere colpa loro se lui non le risponde. Infastidita dalla faccenda, la signora Stevenson decide di assillare le povere impiegate finché la sua richiesta non sarà realizzata; finché, quando chiede per l'ennesima volta di essere messa in contatto con suo marito, all'improvviso all'altro capo del telefono risponde una voce: che sia Henry, finalmente? Ben presto, però, Leona realizza che a parlare non è suo marito, ma un individuo di nome George il quale, insieme a un altro tale e ignaro che un'estranea si sia infilata nella loro linea, sta progettando nientemeno che un omicidio a sangue freddo, ai danni di una sconosciuta.

    Allarmata e consapevole di aver ascoltato una minaccia reale, la signora Stevenson tenta di scoprire l'identità del fantomatico assassino con l'aiuto delle telefoniste e, in seguito, di dare l’allarme presso la polizia, ma nessuno vuole credere alla fantastica storia di un’isterica apparentemente confusa come lei. Inoltre, il tempo passa e Henry, l'unico che potrebbe aiutarla a salvare la vita della sconosciuta destinata a morire, tarda ancora a tornare. In un disperato tentativo di capire cosa gli sia successo, Leona interpella la segretaria del marito e scopre che lui ha staccato prima dal lavoro per uscire con una giovane donna, la signora Sally Lord. Forse si tratta di un'amante; in quel caso, la signora Stevenson decide che deve saperne di più e, accecata dalla gelosia, si mette in contatto con questa supposta rivale in amore, scoprendo in lei una vecchia amica. Che coincidenza! Però è un caso anche che il signor Lord sia un investigatore e che sia sulle tracce di Henry? In un crescendo di tensione, tra boccette di sali e medicine prescritte dai dottori, la curiosità di Leona cresce e il suo umore volubile degenera sempre più, mentre apprende fatti sorprendenti sul marito e il telefono continua a squillare nel silenzio della grande casa vuota, portando con sé storie di sventura e di morte. Riuscirà a guarire se stessa e, in una disperata corsa contro il tempo, a cambiare un destino che sembra già segnato prima del frenetico finale della notte?

    Il Terrore Corre sul Filo", per quanto mi riguarda, occupa un posto singolare all'interno della narrativa di genere, poiché rappresenta un'insolita variazione del giallo delle women in jeopardy, e incarna alla perfezione il concetto di paradosso. Di norma, in ogni giallo che si rispetti almeno un aspetto dell'indagine si rivela essere il contrario di quanto si credeva in realtà (la vera natura del colpevole, soprattutto); stavolta, invece, gli elementi che si vengono a capovolgere sono molto più numerosi. La sua forma, gli atteggiamenti dei personaggi, lo stile, l'ambientazione; tutto quanto appare normale a prima vista, alla fine si rivela ribaltato. Ad esempio, il romanzo non è molto lungo: conta meno di 130 pagine e si può tranquillamente leggere in una sola notte; eppure, a conti fatti, riesce comunque a provocare una sensazione forte nel lettore, allo stesso modo del film nello spettatore, come se si estendesse ben oltre i suoi confini materiali e invadesse altre aree. Inoltre, ci aspetteremmo che la resa finale non sia più di tanto valorizzata da questa brevità, quando invece è indubbio che lo svolgimento "in tempo reale", tra la 21:30 e le 23:15, riesce a conferire un ritmo irresistibile a una trama la quale, pur stringata, scorre davanti ai nostri occhi come se fosse una pellicola, con le intestazioni dei capitoli in forma di orari che scandiscono il numero di minuti rimanenti all'assassino per colpire. In questo caso, pertanto, la brevità diventa un carattere a favore dello svolgimento, in cui contano soprattutto l'urgenza e il senso di tensione, e la profondità del carattere di Leona e degli altri personaggi non viene sacrificata a vantaggio della frenesia; anzi, ci permette di conoscere i tratti essenziali di tutti i protagonisti senza dilungarsi troppo.

    A questo proposito, poi, troviamo un nuovo aspetto paradossale di "Il Terrore Corre sul Filo", che riguarda la personalità di tutti gli attori sulla scena. La nevrotica protagonista (pp. 7-10, ma non solo), circondata dal lusso e dal potere, antipatica fin dall'inizio al lettore per il suo carattere viziato e noioso, astuta e instabile, alla fine risulta essere una vittima chiusa come in una gabbia dorata (pp. 22-23), bisognosa di affetto e che trascorre l'esistenza come in un carcere, tradita dai familiari e dalla falsa concezione del mondo che è andata costruendosi nel corso della vita; suo padre, Jim Cotterell, da potente affarista e pragmatico uomo d'azione, degno della stima dei suoi pari, si rivela essere uno zerbino e il tipico esempio di sprezzante e ottuso parvenu, convinto che solo il denaro faccia la felicità e che gli affetti siano superflui (pp. 24-28); la signora Jennings, zelante segretaria sul posto di lavoro, lascia emergere una natura pettegola che la fa paragonare a un uccello non solo nella descrizione (pp. 30-35); Henry Stevenson, all'apparenza intelligente e integerrimo vicepresidente della società di Cotterell, in realtà dimostra di essere ingenuo, vanesio (pp. 100-101), spregiudicato, orgoglioso, molto determinato e troppo esigente; Sally Lord sembra una dolce madre di famiglia, ma non prova alcun rimorso nell'abbandonare Leona all'incertezza sul destino del marito (p. 68), come pure Mr. Evans, il quale nasconde una natura debole e la coscienza sporca dietro futili scuse (p. 93). Tutti costoro, insomma, appaiono agli occhi del lettore sotto una certa luce la quale, man mano che il tempo scorre e le 23:15 si avvicinano, cambia e li trasforma negli opposti di quanto credevamo, tanto da farci affezionare anche alla protagonista, nonostante i suoi difetti, e a condividere i suoi timori nel parossismo di tensione che genera la trama.

    Fino alla fine restiamo accanto a Leona, ci poniamo i suoi stessi quesiti, proviamo il suo enorme egoismo (tema centrale del romanzo, assieme a quello della famiglia malata e dei rapporti che ne scaturiscono (p. 24-26), raccontati da Charlotte Armstrong in opere come "L'Insospettabile"), seguiamo il suo cammino verso una vita irrealizzabile e assurda, nutriamo pietà per lei, scaviamo nella storia grazie alle sue telefonate e ai numerosi flashback, che ritraggono gli ambienti con essenziale cura, e ricaviamo scampoli di un'esistenza futile e infelice e le informazioni che lei stessa ottiene dai suoi interlocutori, alla ricerca di un omicida che prima o poi, ne siamo certi, dovrà pur comparire sulla scena. E invece, cosa quasi impossibile in un romanzo dove i ladri e gli assassini sono necessari per la riuscita finale del prodotto, questo colpevole non si vede (quasi) mai: non sappiamo nulla di lui, non abbiamo alcuna descrizione fisica e, anche al momento in cui egli entra in scena, ci viene fornito come carattere distintivo soltanto la sua voce roca. Ecco un altro aspetto paradossale di questo piccolo capolavoro della suspense: probabilmente l'idea di usare tale connotato intangibile è derivato dal fatto che "Il Terrore Corre sul Filo" sia nato come pezzo radiofonico; tuttavia, bisogna ammettere che esso si è dimostrato un originale espediente per contraddistinguere questo romanzo del mistero (e il suo omicida) dai suoi numerosi compagni. E se l'uomo che sferra l'attacco fisico resta nell'ombra, il mandante (l'individuo di cui George e l'altro tizio parlano quando Leona intercetta la loro telefonata) appare chiaro fin dall'inizio, almeno agli occhi dei lettori smaliziati dei nostri giorni; un doppio paradosso, forse inconsapevole, ma che non influisce sulla resa finale del libro, come pure in quella del film di Litvak. Anche in quel caso, infatti, il "colpo di scena" non sortisce gli effetti che deve aver prodotto negli anni '50, quando entrambi vennero presentati al pubblico, poiché nemmeno la pellicola ci mostra mai come sia in realtà il fantomatico George; eppure non posso fare a meno di pensare che tutti e due restino una prova superba di quanto si possa fare per produrre grandi risultati, pur impiegando pochi mezzi, e rappresentino opere esemplari in entrambi questi campi.

    Lucille Fletcher, nata nel 1912 e morta nel 2000
    Non bisogna dimenticare, però, che "Il Terrore Corre sul Filo" nacque come radiodramma e anche in quel caso guadagnò ampi riconoscimenti. Facente parte della serie "Suspense", tra il 1943 e il 1960 venne ripreso ben sette volte, con protagonista Agnes Moorehead ogni volta (l'attrice resta famosa per la sua collaborazione con Orson Welles, il quale la fece debuttare sul grande schermo come la madre di Charles Foster Kane, il protagonista del suo capolavoro "Quarto Potere", ma anche per le interpretazioni in "Piano... piano, dolce Carlotta" di Robert Aldrich e nella sitcom "Vita da Strega"). Lo stesso Welles definì il copione del dramma come "la più grande sceneggiatura di un singolo pezzo radio di tutti i tempi", e oltre alla trasposizione per il grande schermo (che ottenne una nomination all'Oscar per la Stanwyck), esso fu adattato nel 1959 e vinse un premio Edgar. Insomma, ottenne un successo a dir poco strepitoso, se si pensa che la sua autrice ebbe il cosiddetto "lampo di genio" mentre si trovava in un negozio di generi alimentari. Lucille Fletcher (1912-2000) nata a Brooklyn e moglie del celebre compositore Bernard Herrmann, infatti, stava aspettando il suo turno in coda e, come ha raccontato una delle sue figlie, fu colpita dall'atteggiamento rude e scostante che una donna vestita di visone aveva assunto nei confronti delle altre persone. Da quell'incontro casuale nacque l'idea di usare come protagonista una signora maleducata e insopportabile, ma con crucci segreti, la quale venne umanizzata ma non ammorbidita dalla stessa Fletcher e dal suo collega Allan Ullman (1908-1982) nella figura di Leona Stevenson: ciò che rimase dai loro sforzi congiunti fu una persona reale e viva, ma che giaceva da sola nell'oscurità, in preda alla paura della Morte. In seguito, Lucille Fletcher si impegnò a scrivere altri drammi radiofonici e dieci romanzi, tra cui "La Morte aveva i suoi Occhi" e "Ossessione Senza Fine", mentre Ullman divenne editore e scrittore di libri a nome di Sandy Alan; tuttavia nessuno dei due ottenne tanto successo come con il frutto della loro prima collaborazione. "Il Terrore Corre sul Filo" è una variazione perfetta del thriller sullo stile di quello di autrici come Rinehart ed Eberhart, in cui tutto si svolge in pochissimo tempo e spazio, che mette in luce le illusioni di una donna degli anni '40 in un mondo ostile, che nutre desideri impossibili (pp. 77-80) e vuole soltanto raggiungere la felicità senza sacrificare nulla (pp. 53-54, 68, 81), e immerso in un clima di tensione ben poche volte raggiunto o superato da altri libri di questo genere. Consigliato per una lettura a letto, con luci abbassate e totale silenzio: ne vale davvero la pena, credetemi.

    Link all'edizione italiana su Amazon
     

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    venerdì 27 settembre 2019

    10 - "Gli Occhi Verdi del Gatto" ("Clouds of Witness", 1927) di Dorothy L. Sayers

    Copertina dell'edizione integrale,
    pubblicata nel Giallo Mondadori
    n. 2748
    Più mi confronto con altri appassionati di crime story classica, più mi rendo conto di come questo genere letterario presenti una natura particolare. Da un lato, infatti, esso unisce un grandissimo numero di lettori con gusti molto diversi tra loro, grazie alla vastità di sottogeneri di cui è composto: ce n'è per tutti i tipi, da chi predilige romanzi in cui l'enigma viene trattato con rigoroso fair play dall'autore, a chi desidera semplicemente trascorrere qualche ora a provare sulla propria pelle i brividi di terrore, a chi si lascia affascinare dalle ambientazioni e dalla caratterizzazione dei personaggi, al punto da immedesimarsi nelle vicende che sta leggendo. Allo stesso tempo, tuttavia, poiché ognuno concepisce il "giallo" in modo differente dall'altro e sostiene che il proprio preferito sia il migliore, com'è comprensibile in una società variegata come la nostra, a volte questa "unità" viene meno e possono nascere agguerrite discussioni riguardo un certo titolo o autore, in cui il Tale loda e il Talaltro critica. Questa, per me, è forse la caratteristica più affascinante del genere mystery; quella che, assieme al suo essere intrinsecamente innovativo, gli ha permesso di restare popolare anche dopo un secolo dalla sua nascita: il continuo dibattito ha alimentato il suo sviluppo, dando vita a scambi di idee (accettabili se espresse nel segno di un'esposizione pacata) e a singolari incontri-scontri dai quali, talvolta, possono scaturire nuove conoscenze. Ad esempio, più di una volta mi è capitato di entrare in contatto con persone che, al contrario di quanto pensassi io, hanno bocciato il libro di uno scrittore che avevo promosso, o viceversa. Questo, però, non mi ha impedito di cercare di capire le ragioni del loro giudizio e, alla fin fine, tali occasioni si sono rivelate utili a comprendere un punto di vista diverso dal mio, hanno dato avvio a nuovi rapporti di amicizia e hanno messo in luce alcuni aspetti della trama e dello stile che non avevo colto, arricchendo il mio giudizio finale.

    Anche con la mia ultima lettura, "Gli Occhi Verdi del Gatto" di Dorothy L. Sayers (Il Giallo Mondadori n. 2748, 2001), si è verificato un confronto di questo tipo. Mentre io l'ho apprezzato molto, un amico fan del giallo classico l'ha bocciato, pur ammettendo che le premesse facevano sperare in un romanzo migliore. Non che sia stata proprio una sorpresa; la Sayers è famosa per la sua capacità di dividere le opinioni dei lettori, visti l'uso di uno stile complesso (ma non per questo astruso), in cui i dettagli della vita quotidiana vengono descritti in modo dettagliato, e la scrittura di lunghe porzioni di testo che esulano dall'enigma in sé. Quindi mi aspettavo alcune critiche, tenuto conto pure del fatto che il mio amico predilige gialli in cui il focus è più concentrato sull'indagine. Eppure, da parte mia, sono del tutto convinto che anche stavolta lei abbia confezionato un romanzo giallo molto valido; forse non ai livelli di "Il Segreto delle Campane", ma comunque di alta qualità, con un investigatore dilettante simpatico, false piste in abbondanza, indizi disseminati tra le righe e un racconto affascinante. Se vi ho incuriosito, allora lasciate che mi spieghi meglio qui sotto, dopo aver delineato la trama a grandi linee. 

    In apertura di romanzo, ci troviamo in Francia. Lord Peter Wimsey ha trascorso alcuni mesi di vacanza all'estero, per rimettersi dall'ultimo caso risolto, e con calma sta facendo ritorno in Inghilterra, dopo aver assaporato la bellezza della Corsica e i piaceri del dolce far niente assieme al fedele Bunter. Mentre alloggia all'Hotel Meurice di Parigi, tuttavia, Sua Signoria viene riportato alla realtà dall'improvvisa notizia che suo fratello Gerald, il Duca di Denver, è stato messo sotto accusa di omicidio da parte di un tribunale inglese. Da quanto spiega il resoconto del Times in cui Lord Peter ha appreso la scioccante notizia, il nobiluomo avrebbe presumibilmente ammazzato a sangue freddo un certo Denis Cathcart, il fidanzato della sorella minore Mary, mentre si trovava nella tenuta di Riddlesdale assieme a loro due e ad alcuni amici intimi, forse a causa di un regolamento di conti legato ai sensi di onore e onestà caratteristici dell'aristocrazia britannica. Wimsey è sicuro che ci debba essere stato un errore e vuole assicurarsi che l'indagine, affidata al suo amico Charles Parker e atta ad accertare chi sia il sicuro colpevole dell'omicidio di Cathcart, venga condotta con massimo rigore e attenzione; quindi prende un volo per Londra e si affretta a raggiungere la casa in cui sono ancora radunati tutti i testimoni del fattaccio, al fine di intraprendere un'inchiesta personale. Laggiù, i fatti che vengono alla luce dai primi interrogatori non prospettano nulla di buono. Innanzitutto, l'arma che ha ucciso Cathcart appartiene senza alcun dubbio al Duca di Denver; il ché non costituisce una prova schiacciante, poiché essa veniva riposta in un cassetto accessibile a tutti gli ospiti, ma lancia comunque un'ombra di sospetto sulla figura di Gerald. Poi, si scopre che il nobiluomo aveva litigato con la vittima la sera stessa del delitto, in presenza dei signori Marchbanks, Pettigrew-Robinson e del maggiore Arbuthnot. Pare che Cathcart fosse stato accusato di essere un baro, e che il duca avesse tutte le intenzioni di mettere fine alla relazione in corso tra lui e sua sorella.

    Una brutta faccenda, che peggiora quando un'altra testimone afferma di aver sentito uno sparo più o meno nello stesso momento in cui Gerald si trovava fuori di casa, forse nei pressi della scena del delitto, davanti al padiglione di caccia, e lui stesso rifiuta di difendersi dall'accusa di omicidio e di dare alcuna spiegazione sui propri movimenti durante la serata fatale. Inoltre Mary Wimsey, dapprima desiderosa di aiutare i poliziotti, all'improvviso non sembra più così ansiosa di scoprire chi abbia ammazzato il suo promesso sposo e ha adottato la stessa tattica del fratello più vecchio; ovvero, non rispondere ad alcuna domanda. Stanno entrambi cercando di proteggere la propria famiglia da un terribile scandalo? Tuttavia, non tutto quadra con l'accusa rivolta al Duca di Denver: ad esempio, di chi sono quelle tracce che portano da un capo all'altro del bosco della tenuta? Forse dello sconosciuto che è passato rombando, a bordo di un sidecar, davanti al cancello sorvegliato dal guardiacaccia? Cosa dire, poi, di quel ciondolo a forma di gattino dagli occhi verdi che è stato rinvenuto sul luogo del delitto? C'entra forse col caso la figura di una bella signora, prigioniera in una fattoria non molto lontana da Riddlesdale? Wimsey sente che tutto quanto deve essere legato da una spiegazione semplice, razionale e comprensibile; compreso il comportamento ambiguo della vittima, Denis Cathcart, il quale ha fatto sparire dal proprio conto ingenti somme di denaro. Per questo motivo, affiancato da Parker, si lancerà in una caccia diversa da quelle che di solito avvengono a Riddlesdale, ma altrettanto pericolosa, e rischierà la vita più di una volta al fine di raggiungere la verità, alla ricerca di confessioni, di peccati segreti e di prove sfuggenti in Francia e in America; mentre Gerald si presenterà davanti a una Corte di suoi Pari per subire il giusto processo che la Costituzione inglese assicura ai nobili accusati. Tuttavia, bisognerà aspettare fino alla fine del procedimento giuridico per comprendere appieno quale sia la soluzione del caso, sorprendente, inaspettata e densa di colpi di scena.

    Immagine della Camera dei Lord, in cui si svolge il
    processo finale di "Gli Occhi Verdi del Gatto"
    Proprio come gli altri mysteries di Dorothy L. Sayers, "Gli Occhi Verdi del Gatto" (attenzione: solo l'edizione con la traduzione di Grazia Griffini risulta completa) non fa eccezione e presenta una struttura articolata e complessa. Probabilmente alcuni di voi faranno fatica ad apprezzarlo, assieme al resto della sua opera: anche in questo caso, infatti, non ci troviamo di fronte a un semplice romanzo di genere, dove importano soltanto gli interrogatori degli indiziati e lo svolgimento dell'indagine, ma veniamo immersi in una narrazione in cui pure le descrizioni e le osservazioni della vita quotidiana, ritratte con uno stile caratteristico, brioso e mai banale da parte dell'autrice, conservano grande rilevanza ai fini della trama e del risultato finale. Senza dubbio, l'uso di questo linguaggio dettagliato e al limite del pedante costituisce uno dei punti di maggior forza della narrativa della Sayers, poiché capace di suscitare nella mente di chi legge immagini più vivide del solito; eppure, non si può fare a meno di notare che esso può pregiudicare il ritmo della storia e l'impatto che essa ha sui lettori, col risultato che alcuni finiscono per considerare noiose tutte queste digressioni. L'amico a cui facevo riferimento sopra, ad esempio, ha bocciato questo libro perché il resoconto del processo al Duca di Denver e la successiva introduzione dei testimoni principali dell'omicidio di Cathcart, riportati nella prima parte, gli sono sembrati pesanti da digerire e delineati con incuria, mentre il modo in cui è stato trattato il caso, a suo parere, ha contribuito a sbilanciare l'enigma dal centro del romanzo; tutto quanto gli è parso come sfocato, dalla delineazione a tutto tondo della psicologia dei personaggi alla presentazione degli indizi, con brevi momenti di svolta che, tutto sommato, finivano sempre per rivelarsi deludenti. Per non parlare della soluzione, "la peggiore che si potesse immaginare" secondo lui. Ora, forse le cose stanno davvero così: non mi leverei mai ad oracolo inconfutabile, sia ben chiaro.

    Da parte mia, tuttavia, vorrei provare a mettere in luce perché la lettura di "Gli Occhi Verdi del Gatto", con tutte le sue piccole pecche, meriti comunque di essere presa in considerazione da tutti gli appassionati del genere giallo, grazie a due aspetti fondamentali del romanzo. Innanzitutto, desidero sottolineare quanto straordinario appaia ai miei occhi il talento della Sayers nel tratteggiare situazioni che, in altri frangenti, apparirebbero senza dubbio tediose. Le prime trenta pagine, ad esempio, in cui viene trattato a fondo il processo d'accusa al Duca di Denver, possono sembrare un po' fredde e schematiche e per questo motivo impedire alla storia di far presa fin da subito sul lettore, su questo sono d'accordo; ma dire che siano del tutto inutili mi sembra esagerato. I processi descritti in questo romanzo riescono ad essere piacevoli da seguire, anche se personalmente non nutro un particolare interesse per la pratica giuridica, che considero troppo ingessata e burocratica; essi vengono condotti con mano esperta e in modo da mantenere alta l'attenzione di chi legge, forniscono indizi utili per comprendere le azioni dei personaggi, a volte riescono addirittura a spezzare la tensione grazie all'intervento di qualche testimone indisciplinato. Inoltre, grazie al dibattito alla Camera dei Lord (pp. 114-115, insieme ai capp. 14-15-17-18), ci viene tramandato il dettagliato procedimento attraverso cui un Lord viene processato dai suoi Pari in Inghilterra. Una delle caratteristiche che preferisco delle crime novels classiche è proprio quella di riuscire a riportare ai giorni nostri un pezzetto di passato, con i suoi usi e costumi; perciò, come posso non apprezzare un coronamento all'indagine vera e propria come questo? Ma non è solo dal punto di vista tecnico che questi passaggi hanno suscitato il mio interesse; anche dal lato prettamente umano non sono da trascurare. L'atteggiamento dei giudici (soprattutto di Sir Impey) mette in luce l'astuzia innata di queste figure maniacali dal punto di vista del controllo delle prove e delle testimonianze; eppure, ciò non sovrasta del tutto l'affabilità e simpatia dei principi del foro che emergono nella loro quotidianità, al di fuori del ruolo istituzionale. Il delizioso scambio di battute riguardo una bottiglia di Porto (pp. 168-169), con i suoi riferimenti ironici e le amabili osservazioni, è solo una delle tante prove lampanti di questa doppia natura, che si possono trovare all'interno del capitolo 10 e, oltre tutto, mettono in mostra la capacità dell'autrice di tirare fuori dal cilindro inaspettati siparietti.

    In secondo luogo, poi, vorrei evidenziare la moderna varietà della narrativa che Sayers è in grado di infondere in ogni suo libro: spesso, i personaggi viaggiano in lungo e in largo per il mondo, al fine di risolvere un caso (come accade per la trasferta di Parker in Francia, al capitolo 4, e la doppia traversata oceanica da parte di Lord Peter nel finale di "Gli Occhi Verdi del Gatto"); più di una volta vengono inseriti differenti tipologie di testo, quali articoli di giornale (p. 67), lettere (pp. 81, 112), resoconti giuridici (cap. 1) e tabelle (pp. 187-188); si contano innumerevoli citazioni letterarie (fondamentali quelle al Manon Lescaut di Antoine Francois Prévost), anche senza considerare quelle poste all'inizio di ogni capitolo; non manca il riferimento a personaggi e casi reali, come quelli di Earl Ferrers e il celebre patologo Bernard Spilsbury; le ambientazioni spaziano dalla tenuta di Riddlesdale a Rue St. Honoré e Rue de la Paix, per poi tornare a villaggi di campagna simili al Fenchurch St. Paul di "Il Segreto delle Campane" o a club di simpatizzanti comunisti duri e puri (che l’autrice mette alla berlina, con un’arguzia impareggiabile). Sicuro, tali elementi possono risultare pomposi e "ridicolmente snob", come osserva il critico Julian Symons nel saggio "Bloody Murder", se messi tutti assieme; ma indicano in modo indiscutibile anche cultura, voglia di innovazione, elasticità e scorrevolezza. Niente viene lasciato al caso da parte della scrittrice: le rilevazioni scientifiche sono proprio come quelle che ci si aspetterebbe di veder essere messe in pratica dagli specialisti, ogni brano viene soppesato e perfezionato, i dialoghi sono espressi con vivacità e un tipo di linguaggio consoni al tono; per non parlare dei temi che lei ha saputo trattare in questo romanzo. Insomma, Dorothy L. Sayers si dimostra capace di unire più elementi della crime story del suo tempo, amalgamandoli in modo sorprendente e mai banale; sia nel descrivere una piacevole colazione tra personaggi quanto meno alto-borghesi, sia nel momento di ideare un enigma che, pur ancora imperniato sul "come" piuttosto che sul "chi", si dimostra all'altezza delle aspettative. "Gli Occhi Verdi del Gatto" non è forse l'opera migliore della Sayers, poiché ancora legato alla sua ostilità nei confronti del cosiddetto "interesse amoroso", a uno stile acerbo e al superficiale approfondimento del carattere di alcuni personaggi; però non riesco lo stesso a non considerare questo libro come una prova più che valida di mystery classico, oltre che una storia stupenda dal punto di vista dell'esistenza personale della sua autrice.

    Dorothy Leigh Sayers, nata nel 1983 e
    morta nel 1957
    La scrittura di "Gli Occhi Verdi del Gatto", infatti, risale a un momento molto difficile nella vita di Dorothy Leigh Sayers, nata a Oxford il 13 giugno 1893. Esso fu il frutto di un periodo di riposo forzato, durante il quale lei diede segretamente che alla luce nientemeno che un figlio illegittimo, nato dalla relazione con un tale di nome Bill White, il quale aveva già intrapreso un rapporto stabile con un'altra donna e non voleva avere niente e a che fare con lei e il bambino. Pur dotata di un precoce ingegno, che le permise di imparare il latino e il francese prima dei dieci anni, di diventare una poetessa esuberante (aveva un "fiammeggiante gusto nel vestire") mentre ancora studiava al Somerville College e di eccellere nel campo della pubblicità, Dorothy era pur sempre stata educata in una famiglia molto religiosa, da un padre e una madre che vedevano nel peccato la più grande sciagura; per questo motivo non disse loro niente a riguardo e prese la gravidanza inaspettata con un forte atteggiamento negativo. Vedeva in quel piccolo esserino, che amava con tutta se stessa, il frutto della propria cattiva condotta; e il complicato piano che riuscì a mettere in pratica per assicurare un avvenire al bambino servì ben poco a sollevare il peso dalla sua coscienza. Per tutta la vita serbò nel cuore il timore di essere scoperta e sbugiardata davanti al mondo intero, e non aiutò di certo il fatto che finì per sposarsi con un uomo dal carattere duro; soltanto la pubblicazione di raccolte, traduzioni e romanzi gialli con protagonista il suo aristocratico Peter Wimsey riuscivano a darle sporadici sprazzi di felicità, insieme agli eventi mondani cui partecipava ogni tanto, come la rappresentazione di una sua opera teatrale o una cena del Detection Club. Dorothy L. Sayers (pretese che la "L" del cognome della madre fosse sempre inserita tra nome e cognome sulla copertina dei suoi romanzi) prese molto a cuore quest'associazione e suoi membri: sostenne sempre fermamente che le opere dei suoi colleghi, come le sue, dovessero soddisfare alti standard in fatto di stile ed ingegnosità, così da "riportare la detective story al suo antico splendore", e strinse un forte legame di amicizia soprattutto con alcune delle sue colleghe più risolute, come Helen de Guerry Simpson. Tuttavia, nonostante ciò, non riuscì mai ad aprirsi con nessuno riguardo i propri tormenti personali e non rivelò mai ai suoi compagni di essere madre. Considerava quella gravidanza come un "amaro peccato", e trasformò l'esperienza disastrosa in un vero e proprio trauma: "Adesso sono spaventata da qualunque sentimento" avrebbe considerato più avanti. Quest'ultima, insieme al fallimento del proprio matrimonio, la frustrò a lungo finché, il 17 dicembre 1957, una trombosi coronaria mise termine alla sua movimentata esistenza.

    Per quel giorno, tuttavia, aveva già smesso di scrivere crime novels; ma non di occuparsi dell'animazione del Detection Club e della sua attività di critico. Dimostrò un talento particolare nello stimolare gli altri a produrre il meglio che potevano, non da meno di quanto fece lei stessa. Tutti i suoi romanzi gialli dimostrano una capacità fuori dal comune nel capire le persone, i loro bisogni e i loro desideri; non ebbe paura di applicare la sua "straordinaria vitalità" per studiare gli ultimi ritrovati della scienza, e non si fece scrupoli ad inserire nei suoi libri tematiche e situazioni che, al momento in cui scrisse, dovettero fare molto scalpore; prime tra tutti quelle riferite al femminismo e alla fedeltà familiare. Proprio il concetto di famiglia risulta essere il punto cardine attorno a cui ruota "Gli Occhi Verdi del Gatto", allo stesso modo di come la semplice vita nelle campagne inglesi aveva costituito il pretesto e il fulcro della narrazione in "Il Segreto delle Campane". Oltre ad introdurre alcuni personaggi che sarebbero tornati nelle successive avventure di Lord Peter, come sua sorella Mary, Freddy Arbuthnot, Impey Biggs e altri, e a dare avvio all'idillio tra Mary e l’ispettore Parker, esso descrive appieno come i membri di un nucleo domestico sappiano relazionarsi l'uno con l'altro. Penso che, per la Sayers, sia stato un modo per tenere vivo nei proprio pensieri il ricordo del padre e della madre, per esprimere il desiderio di potersi costruire un focolare personale assieme all'uomo giusto e per sconfiggere la solitudine della sua forzata e volontaria segregazione. Il dramma familiare contribuisce a conferire al mistero un'aura di tensione e di drammaticità, che mette in luce il lato meno distaccato di Lord Peter e dei personaggi tipici della crime story classica. Sebbene quelli secondari non siano molto tratteggiati, infatti, i membri dei Wimsey vengono sviscerati a fondo, ci viene raccontato come essi reagiscono alla tragedia che si è abbattuta su di loro, ognuno con il proprio carattere singolare: Gerald e Mary, spaventati dal fatto di poter far del male alle persone che amano, decidono di non rivelare più alcun dettaglio riguardo al caso di omicidio; la duchessa madre, vero portento dell'età vittoriana trasportato a tempi più recenti, dimostra un atteggiamento risoluto ma comprensivo, come solo una madre può fare (da notare pp. 118-122 e 152-156); lo stesso Wimsey si trova a dover mettere da parte i propri sentimenti per portare a termine l'indagine di cui si è fatto carico e scagionare il fratello da tutte le accuse. Ma anche Parker, che mostra le prime avvisaglie di un interessamento più profondo nei confronti di Mary (pp. 215-216), e il fedele Bunter, con il suo comportamento sempre impeccabile ma non per questo freddo e distaccato, mostrano un'evoluzione nei loro sentimenti.

    Proprio il maggiordomo costituisce uno dei personaggi più riusciti del libro, essendo a sua volta un segugio formidabile che raccoglie informazioni preziose dalla cameriera Ellen, grazie ai suoi modi affascinanti, e un elemento fondamentale per la sopravvivenza del suo signore. Il rapporto tra Bunter e Peter, infatti, è uno tra i più singolari della letteratura del mistero: a differenza di quello instaurato tra Poirot e Hastings, ad esempio, oppure tra Roderick Alleyn e "fratello" Fox, il legame tra loro non si basa solo su amicizia o complicità lavorativa, ma anche sul fatto che uno è tecnicamente padrone dell'altro. Eppure, ciò non sembra offrire ostacoli di alcuna sorta; Bunter è a tutti gli effetti alla pari con Peter, sia nel ruolo di investigatore sia di essere umano: un altro elemento che dimostra come la Sayers sia avanti sui suoi tempi. Anche se forse non ce ne accorgiamo spesso, lei ci ha consegnato numerosi personaggi non solo divertenti ma anche moderni, i quali si fanno veicolo di temi e messaggi molto profondi. Essi sono piccoli tasselli, all'apparenza insignificanti e molto spesso tediosi nel loro ruolo impettito, però ci parlano anche della vita reale e affrontano problemi senza dare facili risposte. L'amara riflessione sulla triste condizione della donna (soprattutto nelle campagne) ne hanno fatto un simbolo del femminismo (anche se lei odiava essere definita tale) e rappresenta uno degli elementi più importanti del romanzo, insieme al ruolo che questa figura può assumere all'interno della società (a mio parere, Mary Wimsey può essere vista come un prototipo di Harriet Vane, alter ego della stessa Sayers). "Gli Occhi Verdi del Gatto", insomma, risulta essere un giallo delizioso, con tocchi di humor e un ritmo che, seppur lento, non risulta sgradevole da seguire, con i suoi siparietti ben scritti e non irritanti, come ha osservato John Curran in "I Quaderni Segreti di Agatha Christie". Lo stesso finale, nella sua apparente semplicità, risulta coerente e suggestivo, con un pizzico di malinconia che me lo ha reso irresistibile. Mi rendo conto di essere forse troppo poco critico; però questo libro mi è piaciuto proprio tanto. E spero di avervi convinto di quanto esso, sotto sotto, sia meritevole di una lettura.

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