Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Personalmente, tra questi ultimi romanzi gialli che Polillo ha pubblicato ho apprezzato di più "Delitti al College", nonostante esso presenti alcune ingenuità dovute al fatto che sia l'esordio di Clifford Orr e sia pur sempre un mystery di matrice americana. L'enigma è stato di stampo molto classico, con padre e figlio intenti ad indagare, e l'atmosfera di terrore che aleggiava sulla Dartmouth University ha suscitato la giusta dose di brividi. Meno, invece, mi è piaciuto "Il Rompicapo" proprio a causa del suo essere fin troppo incentrato nel puro mistero del cadavere in mezzo alla neve, a discapito di altri aspetti essenziali in un giallo che si rispetti, come caratterizzazione dei personaggi e stile narrativo di Thayer. "Il Crimine del Secolo" di Abbot mi ha convinto nella parte legata al police procedural, tenuto conto della precisione con cui essa è stata delineata, e nella trattazione di un enigma ispirato al caso di true crime che vide coinvolti Hall e Mills. Di "La Scatola Mortale" di Quin e del romanzo che oggi recensisco per concludere questa rassegna, "Delitto in una Camera Chiusa" di Michael Crombie (Polillo Editore, 2021), ho invece apprezzato il lato più avventuroso della trama, poiché è stato quello che mi ha intrattenuto di più e che in un certo senso ha prevalso su tutto il resto. Questi ultimi esempi, infatti, non sono riuscito a considerarli del tutto come romanzi del mistero, quanto piuttosto libri "alla Edgar Wallace", dove sono le peripezie corse dai personaggi a stare sotto le luci dei riflettori, invece delle morti sospette di alcuni individui. Oltretutto, il mistero costruito da Crombie è del tipo inverted, per cui al lettore viene già rivelato il nome dell'assassino e il bello nella lettura sta nello scoprire come il colpevole venga incastrato dall'opera dei poliziotti e degli investigatori dilettanti che lo perseguono. Forse per questo motivo piazzerei "Delitto in una Camera Chiusa" un gradino sotto rispetto al giallo di Quin. Badate, la storia fila e non manca il divertimento; soltanto ci sono alcuni piccoli difetti che non mi hanno del tutto convinto nel corso dello scorrere delle pagine. Ma andiamo con ordine.
Barrow Hill, Malcolm Midwood Milne, 1939, raffigurante una scena simile a The Maidens |
Sfortunatamente per lei, Godfrey è un avversario temibile. Da buon avvocato, egli ha pianificato il suo crimine in modo da non lasciare tracce che possano essere ricondotte alla sua persona e ha studiato un modo inattaccabile per far cessare le voci che girano sul suo conto: accusare la nipote di essere matta ed eventualmente internarla da qualche parte per renderla inoffensiva. Patricia stessa si rende conto di quanto la sua vita sia in pericolo quando, dopo un'accesa lite con lo zio, si mette al volante della propria auto per raggiungere Londra e finisce fuori strada per la rottura dell'asse dello sterzo, opportunamente limata fin quasi a tagliarla da qualcuno che vuole metterla a tacere. Intanto Alan Napier non si dà pace: Milner è preoccupato per lui e decide di raccogliere qualche informazione ufficiosa da un poliziotto che conosce, l'ispettore Evans di Scotland Yard, il quale rassicura i giovanotti sull'integrità del verdetto sulla morte di Eric Winter. Però poi i tre leggono la notizia dell'incidente quasi mortale di Patricia. Strano, non è vero, che una ragazza così giovane e sveglia, a bordo di un auto nuova, sia uscita di strada in quel modo? Milner inizia a dubitare dell'innocenza di Godfrey Winter e sfrutta le conoscenze a propria disposizione al giornale e nei luoghi che frequenta di solito per fare qualche indagine discreta; e l'incontro con l'avvocato (il quale quasi lo sequestra in un impeto di irrazionale timore) lo convince della colpevolezza di quest'ultimo. Ma come provarlo? Forse, se tornasse a The Maidens potrebbe raccogliere qualche indiscrezione dalla gente del villaggio e trovare le risposte che cercano lui e Napier. Ma per prima cosa bisogna fare in modo che Patricia non sia più nelle mani di Winter; così Alan si reca in tutta segretezza alla villa in cui ella è rinchiusa e, con un colpo da maestro, riesce ad introdursi nella casa e a sottrarre l'amata dalle grinfie del tutore legale. Ma le avventure e i pericoli non sono finiti qui... Milner, affiancato da Napier e Patricia, dovrà faticare a lungo prima di incastrare Winter; e più di una persona dovrà morire per mano dell'avvocato, nel suo irriducibile tentativo di salvarsi dal giudizio capitale.
Farmhouse Bedroom, Eric Ravilious, 1939, raffigurante un interno simile alla camera dell'infermiera Hopkins |
Da parte mia, ai fini dell'aspetto puramente enigmatico del romanzo, mi è molto dispiaciuto che la storia abbia preso questa deriva, poiché ha banalizzato tutto ciò che è venuto in seguito. L'indagine si è basata su una sorta di svelamento graduale degli indizi che avrebbero portato alla cattura e all'accusa di Winter senza dare modo al lettore di scoprirli (l'asse dell'auto trafugato dalla scena del delitto, ad esempio, viene consegnato nelle mani di Milner quasi con noncuranza, senza che ci sia stato dietro un importante lavoro di deduzione da parte sua). Pertanto, viene a cadere quel rispetto del fair play che mi sarei aspettato da un autore scozzese come Crombie; se "Delitto in una Camera Chiusa" fosse stato scritto da un autore americano, almeno non avrei avuto chissà quali aspettative. Per fortuna, questa deriva avventurosa della trama non ha tolto il piacere nello scoprire attraverso quanti pericoli il terzetto Patricia-Alan-Larry sono dovuti passare: la fuga rocambolesca da The Maidens, gli agguati e i ricatti, le visite notturne in camere sporche e gli scontri verbali-mentali tra protagonista e antagonista hanno svolto bene il loro compito,permettendomi di non annoiarmi mai fino all'ultima pagina. Però resto della mia idea iniziale, per quanto riguarda la riuscita del romanzo. Se l'autore avesse calcato meno la mano su cliché e su aspetti della trama che si riconducono al thriller sensazionalistico dei primi anni del Novecento (come complotti, ricatti da quattro soldi, travestimenti, fughe forsennate, scontri corpo a corpo), "Delitto in una Camera Chiusa" sarebbe riuscito meglio. E di sicuro proprio l'omicidio che dà il titolo al libro non si sarebbe trovato relegato agli ultimi tre capitoli, fatto e disfatto in fretta e furia! Per dare risalto all'importanza del sospetto gravante su Winter, Crombie ha tralasciato la materia fulcro del proprio romanzo. Per concludere questo discorso, tuttavia, spezzo una lancia a favore dell'autore per il fatto di aver usato un caso di true crime per prendere spunto per l'omicidio di Eric Winter: infatti, è esistito veramente un tale William Darling Shepherd che, a Chicago, ha ammazzato il giovane nipote William McClintock usando la febbre tifoide come scusa. Molto ingegnoso da parte di Crombie, ma non abbastanza per più di una modesta riuscita del suo libro.
Copertina della prima edizione originale di "Delitto in una Camera Chiusa" |
Questo è quanto sappiano su Michael Crombie/James Ronald. Che altro si può aggiungere? Basandomi su "Delitto in una Camera Chiusa", ho avuto l'impressione che egli fosse un conservatore, nel senso che non andasse molto alla ricerca di innovazioni originali, sia nei temi sia negli aspetti formali, da inserire nei suoi libri. Proprio quello recensito oggi presenta una serie di luoghi comuni a molti romanzi dei primi del Novecento, dove l'onore, la cavalleria, il melodramma e tutte queste faccende andavano per la maggiore. Alla maniera dell'opera di Wilkie Collins, esistono complotti per danneggiare la reputazione di personaggi che non possono ribellarsi e devono combattere per averla vinta su inquietanti individui pronti a tutto pur di sopraffarli; l'azione predomina sul mistero al punto da occupare un ruolo fin troppo di primo piano, indebolendo la forza di "Delitto in una Camera Chiusa" e relegandolo a mera storia d'avventura con piccole sfumature di genere crime. Nemmeno l'ambientazione spicca più di tanto, essendo confinata a brevi descrizioni che appaiono scarne e frettolose. Lo stile è buono, pur non restando impresso nel lettore; per capirci, nello stesso anno in cui Crombie diede alle stampe questo libro, Dorothy L. Sayers pubblicava "Il Segreto delle Campane": il periodo è lo stesso, ma i risultati sono assolutamente e impietosamente differenti. Pure i personaggi non convincono del tutto: non sono antipatici come quelli di "Congelato", però a mio parere non prendono vita del tutto, restano come imbrigliati in stereotipi e in uno sfondo simile a carta moschicida. Ancora una volta, l'azione e il melodramma li caratterizzano, tralasciando lo studio della psicologia che li avrebbe resi migliori e più di impatto. Patricia assomiglia prima a un'isterica e in seguito quasi scompare dal racconto; Alan Napier fa la stessa fine, incarnando però prima l'ideale stereotipato dell'eroe che accorre in soccorso dell'amata peraltro mai incontrata dal vivo. Godfrey Winter assomiglia a quegli antagonisti diabolici ma incapaci di affrancarsi dal tipo "freddo-che-ride-sinistro-dominando-tutti". Milner soltanto riesce ad essere descritto a tutto tondo, essendo l'investigatore protagonista, ma ancora una volta l'autore cade in luoghi comuni e non riesce a conferirgli alcuna originalità. Per quanto riguarda gli altri attori sulla scena, sono figure incapaci di spiccare abbastanza per ottenere ruoli importanti, nonostante alcune figure (come quella del ragazzino che aiuta Milner nelle indagini a The Maidens) risultino simpatiche. Insomma, "Delitto in una Camera Chiusa" è una lettura che non lascia grandi segni, pur intrattenendo chi legge adeguatamente: si tratta di un libro che si inserisce meglio in quel filone che vede al suo interno pure "Il Mistero del Diario" di Milward Kennedy e A.G. Macdonell, nel quale sono le avventure corse dai protagonisti ad occupare soprattutto la trama e il carattere mystery viene declinato in base ad esse, non al contrario come sarebbe meglio che fosse. Pazienza. Consiglio questo giallo di Crombie a chi desidera trascorrere qualche ora in quieta tranquillità, senza serbare grandi aspettative sull'evoluzione dell'indagine che, a mio parere, non bisognerebbe neppure considerare come "delitto della camera chiusa" poiché relega questo aspetto alla parte finale del racconto.
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