Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Anche in questi frangenti, dove le persone sembrerebbero più disposte a rilassarsi e ad abbandonare gli intenti criminali, il delitto non evita di fare la propria apparizione; anzi, si può dire che esso diventi più presente del solito, soprattutto se la gente è in ferie. Forse ciò è dovuto al fatto che chiunque si diriga verso le località sopra citate intenda trascorrere un po' di tempo senza preoccupazioni, lontano dalle frustrazioni della monotonia quotidiana, e quando si imbatte in ostacoli alla propria felicità pure in un periodo che dovrebbe essere dedicato al più totale relax, la classica goccia che fa traboccare il vaso fa degenerare nel crimine lo stress accumulato (a meno che non ci sia premeditazione, s'intende). In ogni caso la cornice soleggiato-vacanziera, con le sue pigre ore oziose, il rumore del vento sulla costa e tra gli alberi, la pace e la tranquillità del dolce far niente, costituisce una sorta di sottogenere prolifico del giallo classico e occupa un ruolo di primo piano al suo interno: basti pensare a "Corpi al Sole" di Agatha Christie, famosissima avventura di Poirot alle prese con un delitto perpetrato in un'isola, quando tutti hanno un alibi di ferro; oppure a "Il Dramma di Corte Rossa" di A.A. Milne, uno dei primi e più celebrati esempi di "giallo della casa di campagna" scritto dall'autore di Winnie-the-Pooh; oppure ancora a "Morte a Vele Spiegate" di C.P. Snow, un libro incentrato su di un'uccisione compiuta su di uno yacht che gironzola per l'Inghilterra orientale, mentre libri quali "La Domatrice" e "Non c'è più Scampo" della Christie mettono in scena omicidi avvenuti nel corso di viaggi in località lontane e insolite, come la Giordania e il territorio di quella che fu la Mesopotamia. Tra i romanzi gialli di questo tipo, spesso ambientati in posti esotici e fuori dal comune, c'è anche il libro che recensirò quest'oggi: "Un Pomeriggio da Ammazzare" (Polillo Editore, 2016) di Shelley Smith. Esso tratta una storia in cui psicologia e sentimenti come l'amore, l'inganno, il tradimento e la morte dominano la scena, tratteggiata su due piani temporali che si mescolano in continuazione, in uno stile ipnotico e all'interno di un'ambientazione che ricorda allo stesso tempo le favole de "Le Mille e Una Notte" e i racconti vittoriani di Wilkie Collins. Tuttavia, se pensate che quest'ultimo aspetto voglia significare che le vicende raccontate siano ispirate a una narrativa superata e vetusta, vi voglio mettere in guardia: prima della fine della storia, più di una volta vi troverete di fronte a un'inaspettata svolta nei fatti. A dispetto delle apparenze, questo non è un romanzo prevedibile: l'essere umano e i suoi sentimenti nascondono intenti nascosti, sono mutevoli come le dune del deserto, sferzate da un vento indomabile, e "Un Pomeriggio da Ammazzare" illustra al meglio questo concetto.
"Deserto con Luna" di Riccardo Vasdeki, che ritrae un deserto simile a quello di "Un Pomeriggio da Ammazzare" |
Alva Hine (la quale un tempo si chiamava Blanche Sheridan e abitava con la sua famiglia sulla costa dell'Essex), infatti, può vantare il triste destino di essere stata tra i protagonisti di un vecchio caso di omicidio, iniziato dal momento in cui lei, giovane ragazza intenta a prendersi cura del padre (per il quale nutriva un insana ammirazione mista ad amore incestuoso) e dei fratelli in seguito alla morte della madre, aveva ricevuto il dubbio onore di vedersi piombare in casa una matrigna odiosa. A suo dire quest'ultima, Sophia Falk, aveva accalappiato il suo ingenuo padre grazie al proprio fascino e ai suoi ventisei anni, e in questo modo aveva distrutto il bel quadretto della famiglia Sheridan, insinuando gelosie e rancori segreti tra i componenti di quest'ultima. In particolare, Sophia aveva dato prova di odiare profondamente proprio la giovane e sgraziata Blanche; al punto di spingerla tra le braccia di un proprio cugino, Oliver Bridgewater, pur di allontanarla dal padre. La cosa, tuttavia, non si era rivelata priva di pericoli e rischi; al punto che, ben presto, l'esistenza di Alva e degli altri protagonisti del dramma aveva assunto una piega sempre più sinistra, tra malattie più o meno false, intrighi per aggiudicarsi denaro e un'atmosfera casalinghe che si faceva ogni giorno meno serena. Finché, all'improvviso, Sophia era stata uccisa. Tutti quanti avevano un buon motivo per liberarsi della sinuosa serpe che si era installata nella casa degli Sheridan, per cui chi è il colpevole dell'omicidio? Forse il novello vedovo, uno tra i suoi figli, suo genero Oliver, oppure il giovanotto che era andato a fare visita alla vittima proprio poco prima che lei fosse trovata senza vita in giardino? Il finale riserva una doppia sorpresa al lettore, il quale forse si aspetta la prima rivelazione della narratrice; ma la seconda, quando Lancelot Jones si renderà conto che la sua ospite ha tenuto per sé un'importante informazione, non potrà fare a meno di colpire nel segno.
"Un Pomeriggio da Ammazzare" è uno di quei deliziosi esempi di romanzo giallo che, pur presentando una storia intrigante e avendo tutte le intenzioni di sorprendere il lettore, non vuole prendersi troppo sul serio. Fin dall'inizio, infatti, ci rendiamo conto di come il tono del racconto sia decisamente ironico (basta fare attenzione allo scambio di battute tra il pilota Ras Ali e il signor Jones) e che Alva Hine stia divertendosi a prendere in giro il suo ospite, magari sottoponendolo a un fuoco incrociato di rivelazioni sconvolgenti sul suo rapporto con il padre, oppure stuzzicando il materialismo di Jones con discorsi sul romanzo fittizio. Eppure, se considerassimo questo libro come qualcosa di fatuo, caratterizzato solo dalla semplice leggerezza, cadremmo in errore. A ben guardare, in esso c'è molto più di quanto possa apparire a prima vista. D'altronde, "Un Pomeriggio da Ammazzare" si può considerare come una celebrazione del giallo tradizionale, fatto di quegli elementi tipici e prestabiliti che sono rimasti nel tempo senza mai cambiare e che definiscono il genere. Questo tipo di romanzo, come ho già detto altre volte, basa tutto se stesso sulle apparenze che vengono suscitate e sull'ingannare e fuorviare chi legge con false piste e personaggi sospetti (benché attenendosi al fair play, s'intende); quindi, non deve sorprendere che l'autrice abbia tratteggiato una vicenda piena di piccoli dettagli, insignificanti solo a prima vista e importantissimi ai fini della soluzione finale, e di concetti molto profondi.
Un giardino vittoriano, simile a quello in cui ha trovato la morte Sophia Sheridan, nata Falk |
Tuttavia, ciò che in questo libro colpisce più di tutto, secondo me, è il fatto che il giallo classico venga inserito in una cornice che rimanda a qualcosa di totalmente diverso dal mystery della Golden Age, nel quale gli elementi materiali rappresentano il fulcro della narrazione: ovvero, quel genere letterario che si sarebbe sviluppato nel giallo psicologico moderno. La stessa Smith, parlando della sua opera complessiva, osservò di aver "cominciato a scrivere whodunit [n.b. i gialli tradizionali]" ma di essersi ben presto "allontanata dalla formula" per buttarsi "su un tipo di storia che tenesse più conto degli aspetti psicologici nella personalità del criminale". Si tratta dello stesso percorso che, anni prima, aveva intrapreso Anthony Berkeley, quando aveva assunto lo pseudonimo di Francis Iles: dopo alcuni anni dedicati al semplice giallo nel solco della tradizione, egli aveva deciso di interessarsi di più sulla psiche dell'assassino e di esplorarla, spostando in secondo piano l'indagine prettamente formale e prediligendo, quindi, l'esplorazione degli impulsi e dei sentimenti che andavano a scontrarsi nella mente del pazzo e del paranoico (come accade, ad esempio, in "L'Omicidio è un Affare Serio").
In quel caso, tuttavia, egli si era limitato all'applicazione di questo nuovo metodo di analisi del caso criminale nei confronti dell'omicida, mettendo in luce i suoi conflitti interiori, senza aggiungere nulla che si rifacesse alla tradizionale crime novel; dopotutto, si trattava pur sempre di generi inconciliabili sotto alcuni aspetti. Smith, invece, è riuscita a trovare un espediente per far convivere, all'interno della sua storia, queste due facce della stessa medaglia, sfruttando la risorsa già impiegata nei romanzi vittoriani del "racconto nel racconto" per rafforzare la sua idea di romanzo del mistero, inteso come strumento atto a scandagliare le profondità dell'animo umano e a mettere in luce le sue debolezze. Quindi, non bisogna pensare che "Un Pomeriggio da Ammazzare" sia un racconto come quelli degli altri autori di giallo classico. Al suo interno, convivono allo stesso tempo una certa leggerezza nell'esposizione dei fatti, una veste ironica ma non troppo cinica e disillusa, e un'attenzione particolare a temi seriosi e tutt'altro che confortevoli come l'incesto e il senso della giustizia (pp. 176-182), che lo rendono innovativo e più vicino al giallo moderno. Questo mix insolito viene rappresentato al meglio dalle due storie che Smith ha inserito nel suo romanzo: quella al presente, in cui la psicologia e le parole contano più delle parole e sono rivelatori nel tratteggiare il profilo reale dei personaggi (pp. 14-15, 21-25, 35, 46-47, 62-64, 67, 69-70), e quella presentata all'interno del lungo flashback costituito dal racconto in salsa vittoriana che miss Hine recita per Lancelot Jones, basato non solo sul ritratto mentale dei personaggi (con tutte le loro gelosie e invidie), ma pure sull'uso di cliché del giallo classico. E la particolarità di "Un Pomeriggio da Ammazzare" non sta solo in questo connubio; anche la trattazione della storia del delitto e l'enigma in sé presentano qualcosa di originale, poiché spinge i lettori ad interpretarli e decifrarli come se essi riuscissero ad arrivare alla soluzione finale prima dello scioglimento dei dubbi; quando invece le cose stanno all'opposto e il primo colpo di scena (al termine del "racconto vittoriano") illude chi legge di aver scoperto la verità e li prepara per lo scossone dell'ultima pagina, simile a una bastonata in testa, al termine del "racconto al presente".
Tra tutte, l'originalità fu la caratteristica principale delle storie di Nancy Hermione Courlander, vero nome di Shelley Smith. Nata nel 1912 a Richmond on Thames, nel Surrey, ella studiò sin da piccola in Francia: prima al Cours Maintenon di Cannes, poi al College Fermina di Parigi e infine alla Sorbonne, dove si diplomò nel 1931. Nel 1933 sposò Stephen Bodington, ma il matrimonio si rivelò fallimentare e i due divorziarono appena cinque anni dopo, nel 1938. Nel 1942, per racimolare un po' di denaro, Hermione pubblicò sotto pseudonimo il suo primo romanzo, "Background for Murder", una storia che si rifaceva al classico giallo tradizionale, con tanto di enigma predominante sul fattore psicologico dei personaggi. Pian piano, tuttavia, Smith iniziò a modificare la propria concezione di romanzo poliziesco e virò verso un tipo di mystery ispirato alla narrativa inaugurata da Anthony Berkeley, sotto lo pseudonimo di Francis Iles. La psicologia divenne la chiave attraverso cui si poteva giungere alla soluzione dell'enigma, la strada giusta per interpretare le prove non scritte lasciate dall'assassino; forse un po' presuntuosa, come concezione, ma di sicuro efficace. Questo la portò a scrivere numerosi gialli psicologici, senza impostazioni schematiche definite e molto diversi tra loro proprio a causa della sua novella considerazione del genere giallo, i quali si augurò potessero dare "soddisfazione a coloro che amano andare un po' più in profondità". Ottima scrittrice nonché giallista e sceneggiatrice di livello, Shelley Smith a scrivere così quindici romanzi (non molto famosi in Italia) prima della morte avvenuta nel 1998, tra cui i più importanti sono "La Cantina N.5", una storia inserita dal critico H.R.F. Keating tra i 100 migliori gialli mai scritti, in cui lo studio dei caratteri e del loro interagire è stato paragonato quasi allo stesso livello di "La Morte non sa Leggere" di Ruth Rendell; "In un Villaggio Inglese", inclusa nella lista delle 100 migliori crime novels dal critico Julian Symons, che mescola una prima parte più classica e una seconda centrata sullo studio del carattere dei personaggi e sulle tensione; "La Ballata dell'Uomo in Fuga", premiato nel 1963 con il Grand prix de littérature policière e finalista per l'Edgar nello stesso anno, il quale è un tipico esempio di thriller cinematografico, tanto che da esso venne tratto il film "Un Buon Prezzo per Morire" di Carol Reed; e ovviamente "Un Pomeriggio da Ammazzare".
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Bellissima copertina inglese per "Un Pomeriggio da Ammazzare" |
Quest'ultimo può essere considerato come il capolavoro di Shelley Smith, un magistrale esempio di quanto quella dello scrittore si possa considerare più come una vocazione artistica che un mestiere: in esso, infatti, Smith traccia le sue storie in un senso "non commerciale", il cui scopo non è quello di dare vita a un meccanismo perfettamente complesso, ma piuttosto a un'opera di bellezza fine a se stessa, capace di interpretare il mondo senza per questo voler strizzare troppo l'occhio al "popolare" e che vuole prendere in giro chi si ostina a considerare il giallo come un serio esercizio mentale. La narrazione diventa un gioco fantasioso, che si trasforma a volte in uno strumento potente che riesce a condizionare il lettore: pur restando attinente al giallo classico, spingendo ad andare avanti nella trama così da svelare tutti i retroscena e i dubbi, essa dimostra come chi legge sia influenzabile, stuzzica i valori della società e scuote le menti grazie ai temi che affronta, tra un colpo di scena e l'altro. Attinente alla crime story classica, ci chiediamo come mai Alva Hine si sia trasferita nel deserto; ci immergiamo nell'ambientazione da fiaba del racconto, simile a quella delle "Mille e Una Notte" (pp. 9-11, 17, 24-25, 29, 48-49, 63-64, 75, 80-81, 84, 89. 98, 183-185), tra pianure deserte, coste battute dal vento, case signorili appena accennate, intraviste sullo sfondo rispetto allo spessore dei personaggi; diventiamo consapevoli del vittorianesimo "alla Henry James" in cui era calata la società in cui è cresciuta miss Hine, tra inchini, buone maniere, sorrisi di facciata, apparenze da mantenere, subdoli giochi di seduzione, rapporti malati e segreti nascosti (pp. 18-21, 25-27, 30-35, 39-40, 43-46, 53-60, 69-70, 78-79, 103-104, 114-115, 130-131, 133-134, 142, 145, 147, 163, 167); ci facciamo spettatori di adulterii, incesti, melodrammi tratteggiati con una poesia e un romanticismo quasi svenevoli, ma pur sempre suggestivi (pp. 18-21, 26-27, 36-38, 48-49, 60-62, 65, 72, 75, 89-90, 95-96, 112-113, 116-122, 153-161, 173-174, 185-188); assistiamo a un enigma che, benché meno elaborato, si rifà all'indagine classica. La suspense, secondo la migliore tradizione del genere, viene mantenuta fino alle ultime pagine; anche dopo il primo colpo di scena sconcertante del racconto, quando le ombre del passato si stendono inquietanti sul presente e capiamo che le cose raramente sono quello che sembrano. I riferimenti letterari e culturali sono numerosi (pp. 12-15, 22, 31, 98, 138, 185), come a sottolineare l'aspetto fittizio di tutta la faccenda, e grande importanza viene data alla letteratura e al potere della parola sulle psicologia. Eppure, questo romanzo non si riduce del tutto agli elementi più tradizionali del giallo; già, poiché la parte più considerevole di "Un Pomeriggio da Ammazzare" viene occupata dall'analisi dell'essere umano e dei suoi sentimenti più oscuri. Essa viene descritta perfettamente da due frasi, tratte da "La Cantina N.5" e "La Ballata dell'Uomo in Fuga": la prima recita "L’omicidio inizia nella mente", mentre la seconda "Noi interpretiamo il mondo che ci circonda attraverso le nostre paure e le nostre speranze. Le parole che gli altri ci rivolgono noi le intendiamo come una risposta ai nostri stessi pensieri. Nelle paura o nel desiderio, noi cerchiamo invariabilmente ciò che ci aspettiamo di vedere".
Da questi due pensieri scaturiscono le premesse, i retroscena, i preludi, le avvisaglie di gran parte dei drammi narrati dalla scrittrice inglese. Il rimpianto e il desiderio di tornare indietro sono temi molto importanti all'interno del romanzo, ma è soprattutto l’incomprensione (l’incomunicabilità che non sta tanto nella forma o nella sintassi delle frasi di chi parla, ma nella mente, nel cuore, nelle aspirazioni o nelle paure di colui che ascolta) la chiave di lettura di "Un Pomeriggio da Ammazzare": Blanche e Sophia, Mr. Sheridan e Harry, Harry e Lucy, Oliver e Sophia, Blanche e Oliver; tutti costoro vivono in un'eterna inconciliabilità, sordi al prossimo e incentrati solo su loro stessi e sui loro desideri. I più reconditi desideri o le più radicate paure dei personaggi (spesso soli e distaccati dal resto della famiglia, poco simpatici ma interessanti per il loro decadimento morale, pp. 7-8, 10-12, 14-15, 17-19, 25-26, 32-33, 35, 38, 42, 58-60, 62, 69-71, 74-75, 82-83, 85, 91-95, 101, 118-122, 125-127, 135-136, 143) provocano la distorsione delle parole e/o dei gesti altrui, generando false ipotesi a cui seguono morte, dolore e distruzione. In certi casi, il fraintendimento diventa una sola cosa con la volontà inconscia di vedere eliminato ciò che si frappone al coronamento delle brame, delle aspirazioni, delle speranze e delle fissazioni. In altri con l’impellenza di veder spazzate via le paure, le ansie, le apprensioni nel più breve tempo possibile; costi quel che costi. In questo modo, agli attori sulla scena viene data maggiore importanza rispetto agli indizi dell'indagine e ai luoghi in cui il dramma si svolge, ed essi risultano quindi reali e efficaci. Su tutti quanti, però, spiccano le donne, a volte in cerca di guai, altre volte vittime sull'orlo di un esaurimento nervoso, ma vere, volitive, determinate, vendicative, astiose, orgogliose (basta considerare Blanche, Sophia e Mrs. Falk). Esse diventano letali e provocano scintille quando si scontrano tra loro, lasciando gli uomini inermi davanti alla loro potenza, un po' stupidi, deboli e malleabili, sbeffeggiati fino alla fine. Donne capaci di rendere irrespirabile e asfissiante l’atmosfera placida e idilliaca di una casa nel deserto, ma per le quali facciamo comunque il tifo (pp. 18-21, 26, 43-45, 48-49, 51-58, 60, 64, 73-76, 79, 88-90, 92, 94, 96-98, 100, 103-104, 110, 113-115, 117-119, 121, 124-127, 133, 139, 148-152, 157, 168-172, 174-175). Jones appare come un individuo talmente noioso e materialista da farci storcere il naso, e non vediamo l'ora che venga messo in imbarazzo da Alva Hine, al punto di allontanarci dalla sua concezione pure quando egli sta dalla parte della giustizia. Un risultato niente male per un'autrice come Shelley Smith, capace di dare vita con questo bellissimo romanzo a un "tour de force che è una rarità, totalmente originale" secondo il giudizio di Julian Symons. "Un racconto drammatico di mistero vittoriano e melodramma". Un atto d’amore per le storie della Golden Age, ma con un pizzico di innovazione che lo rende geniale e intelligente, ma anche un piacevole trabocchetto in cui il lettore viene bellamente ingannato e portato fuori strada, per il gusto di prenderlo per i fondelli; una piacevole opera che ci ha aiutato a trascorrere un pomeriggio in spensieratezza, la quale alla fine ci ha dato congedo in modo arguto ed educato come se fossimo nelle "Mille e Una Notte" e il sultano ci abbia permesso di vedere indenni l'alba del giorno dopo.
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