venerdì 26 luglio 2019

3 - "Dalle Nove alle Dieci"/"L'Assassinio di Roger Ackroyd" ("The Murder of Roger Ackroyd", 1926) di Agatha Christie

Copertina dell'edizione integrale,
pubblicata nei Classici del Giallo
Mondadori n. 527
"Dalle Nove alle Dieci" di Agatha Christie (Classici del Giallo Mondadori n. 527, 1987), conosciuto in Italia anche come "L'Assassinio di Roger Ackroyd", è una delle opere più celebrate della crime story classica. Pubblicato nel 1926, anno cruciale nella vita privata dell'autrice (risale a questo periodo la sua famosa scomparsa durata dieci giorni, in seguito al tradimento del marito), esso rappresenta uno dei titoli fondamentali della sua carriera, poiché riuscì a catapultarla tra i migliori giallisti dell'epoca e le conferì una grandissima fama. Fino a quel momento, infatti, la Christie non si era fatta particolarmente notare in quanto a idee spettacolari, pur avendo esordito con una detective novel più che buona, che aveva ottenuto sperticate lodi da una rivista scientifica specializzata circa l'accuratezza nella descrizione degli aspetti medici del caso; con questo romanzo, invece, ella riuscì a mettere a segno un colpo magistrale, stupendo i lettori e i critici e, come accade sempre con i capolavori, dividendo i pareri di tutti. Infatti, anche se esso presenta un delitto più o meno convenzionale all'interno del genere, con tanto di sospettati circoscritti, false piste, indizi e mistero inframmezzati da guizzi umoristici, in realtà sfida più di una delle regole della narrativa gialla, delineate dai suoi colleghi al fine di non barare con chi leggeva; soprattutto per quanto riguarda lo svelamento d'identità che conclude il caso. Proprio il finale, infatti, fece storcere il naso a molti appassionati, i quali la accusarono di aver giocato sporco; da parte mia, comunque, trovo che il dubbio non si ponga e che questo sia uno dei capolavori indiscussi dell'intero genere.

Agatha Mary Clarissa Miller, alias
Agatha Christie Mallowan, nata nel
1890 e morta nel 1976
La vicenda, raccontata in prima persona dal diligente dottor Sheppard, si svolge a King's Abbot, un immaginario paesino della campagna inglese che assomiglia a tanti altri e nel quale non succede mai niente di importante. Laggiù la vita è scandita dal pettegolezzo locale, il quale viene nutrito di continuo di qualunque pretesto innocente allo scopo di sollevare interrogativi più o meno morbosi, e ognuno fa la propria parte, all'interno della "rete investigativa" che costituisce la popolazione del posto. Ci sono zitelle rampanti come Miss Ganett e Caroline Sheppard, la sorella del medico, che sfruttano le rispettive cameriere come staffette per scambiarsi frenetiche informazioni; soldati in pensione come il colonnello Carter, i quali approfittano di un pubblico di poche pretese e assetato di curiosità per ingigantire con innocenti bugie il proprio passato nell'esercito; individui più riservati come Roger Ackroyd, il signorotto locale, oppure lo stesso dottor Sheppard, che forniscono di malavoglia il proprio contributo alla "corte del popolo", preferendo non suscitare o venire invischiati in torbidi intrighi e tentando invano di mettere un freno alle fantasie scatenate delle signorine del posto. Negli ultimi tempi, tuttavia, sembra che gli sforzi dello sfortunato medico non riescano a dare i dovuti frutti: infatti, non solo Caroline si ostina ad imperversare nel pericoloso passatempo di diffondere notizie non verificate sull'improvvisa morte dell'anziana signora Ferrars, sospettandola addirittura di aver avuto un ruolo di primo piano nella scomparsa del marito, ma intende anche andare a ficcanasare nella vita privata del loro nuovo vicino, insediatosi nel Villino dei Larici; uno strano omino, comparso a King's Abbot apparentemente dal nulla, con la testa a forma di uovo, baffi vistosi ma ben curati e un accento forestiero: insomma, un tipo che non passa certo inosservato e che non può lasciare indifferente una donna curiosa come la sorella del dottore.

Eppure il dottor Sheppard ha ben altro a cui pensare; un preoccupato Roger Ackroyd, infatti, lo ha invitato a cenare a Fernly Park, la villa di sua proprietà che domina il villaggio e in cui risiedono tutti i suoi congiunti, per discutere in privato di una faccenda della massima importanza. Il medico teme di sapere cosa lo angustia: Ralph Paton, il figlioccio di Ackroyd, è appena tornato a King's Abbot e risiede stranamente nella pensione del villaggio. Forse i due hanno avuto una discussione e serve qualcuno che li aiuti a risolvere le loro divergenze; e chi può farlo meglio del loro migliore amico? In ogni caso, Sheppard intende fare il possibile per essere di supporto e quella sera si presenta puntuale a Fernly Park. L'atmosfera prima e durante il pasto, però, è insolitamente pesante: tutti quanti sembrano sulle spine e si comportano in modo strano, dalla signora Ackroyd a sua figlia Flora, dal maggiore Blunt al giovane Geoffrey Raymond, il segretario di Ackroyd, fino ai domestici; inoltre, come se non bastasse, Ralph non è presente. Poi alle nove e mezza, mentre sta lasciando la villa, il dottore si scontra con un giovanotto dall'aria tetra e inquietante che sta attraversando il cancello della casa. Insomma, sembra proprio che stia per succedere qualcosa di brutto... E infatti, dopo essere tornato al suo cottage, una telefonata anonima annuncia allo stupefatto Sheppard l'assassinio di Roger Ackroyd, il cui cadavere viene prontamente rinvenuto nello studio di Fernly Park. Chi si trova all'altro capo dell'apparecchio? Forse il responsabile del delitto? In realtà, tutto farebbe pensare che si tratti di un semplice furto degenerato in omicidio, e la polizia parrebbe propensa a cercare il colpevole al di fuori delle quattro mura di Fernly Park; se non fosse che Ralph ha fatto perdere le proprie tracce, suscitando in questo modo i sospetti contro di sé, e che c'è qualcuno che non la pensa come i poliziotti. Hercule Poirot (il fantomatico nuovo vicino degli Sheppard al Villino dei Larici), infatti, è stato ingaggiato per risolvere l'enigma ed è convinto di dover trovare l'assassino in una cerchia ben più ristretta, forse tra coloro i quali si trovavano nella casa di Ackroyd quella sera fatidica... In questo modo, servendosi del servizievole dottor Sheppard come surrogato del buon Hastings, Poirot inizia a raccogliere tutte le testimonianze del caso, catalogando indizi improbabili come una poltrona spostata e una penna d’oca, e mettendo tutti i tasselli del puzzle al loro posto, fino a intravedere una soluzione del tutto inaspettata, ma che si rivelerà esatta.

Lord Mountbatten, ispiratore del
trucco finale di "Dalle Nove alle
Dieci", insieme a Charlie Chaplin
Lettera con cui Agatha
Christie ringraziò Lord
Mountbatten per la trovata
di "Dalle Nove alle Dieci"
Il caso, descritto in questi termini, appare quanto mai convenzionale e conforme ai canoni tradizionali della crime story. E la cosa non sembra nemmeno così insolita; dopotutto, Agatha Christie viene riconosciuta in tutto il mondo come la giallista che, nei suoi libri, ha sfruttato gli elementi fondamentali del genere talmente bene da dare l'impressione di averli inventati lei. Anche il lettore medio cita abitualmente il villaggio di campagna inglese accanto alla figura di Miss Marple, come il viaggio in treno in relazione ad "Assassinio sull'Orient-Express" e la vacanza funestata dal delitto a "Corpi al Sole", sebbene pure altri autori si siano cimentati nella realizzazione di storie ambientate in luoghi simili. Come se questo non bastasse, poi, secondo la tradizione il genere giallo è caratterizzato da uno stile poco elaborato e superficiale (aspetto che lo pregiudica in senso negativo agli occhi di alcuni studiosi come Edmund Wilson, lo stesso già citato in relazione a "Il Segreto delle Campane", il quale aveva criticato la logorrea di Dorothy L. Sayers) che trova un grande sodale nella figura della Christie, ardente sostenitrice dell'economica enunciazione su carta di fatti e dialoghi, la quale ne ha fatto un proprio marchio di fabbrica e la fa rientrare ancora di più nel ruolo di giallista classica. Quindi, come dicevo, poiché queste caratteristiche sono state sfruttate in lungo e in largo dalla Nostra, tutto farebbe pensare che anche il mistero descritto in "Dalle Nove alle Dieci" sia semplice e ordinario; se non fosse che, come non mi stancherò mai di ripetere, nella narrativa gialla niente è come appare. Infatti, anche se il ragionamento sullo stile di scrittura può trovare un certo riscontro se paragonato a quello impiegato da altri autori (la stessa Sayers, per esempio), a dispetto di quanto si possa pensare a prima vista, nel corso della descrizione delle vicende Agatha Christie, pur sembrando in tutto e per tutto disinvolta, si ingegna a capovolgere le certezze del lettore e a sviarlo con trovate innovative e inaspettate.

E lo fa sfruttando gli stessi cliché che dovrebbero limitarla, utilizzando una narrazione unica che ha mantenuto il proprio smalto fino ai nostri giorni, spesso venata di un pizzico di humor e leggerezza come nei momenti in cui, in questo specifico frangente, descrive la vita nel villaggio e le signorine pettegole che la popolano e animano (il capitolo sulla partita a mahjong è un delizioso ritratto delle interazioni che possono svilupparsi tra vicini di casa e amici, come solo chi ha vissuto situazioni simili può raccontare) oppure mentre instaura divertenti dialoghi tra i personaggi: ad esempio, il botta-e-risposta tra la signora Ackroyd e il dottor Sheppard, fatto più di allusioni che di affermazioni, il quale rappresenta una prova tipica della maestria della Christie nel fornire al lettore elementi utili alla risoluzione del caso, insieme a divertenti note di colore e cenni al carattere dei personaggi; così come sono emblematici il discorso tra Blunt e Flora al laghetto, dove traspare non solo il trasporto sentimentale che li lega ma anche un sottile senso di disagio, e i ripetuti scontri affettuosi tra Caroline e il dottor Sheppard, nei quali si intravede più di quanto si riesca a cogliere.

Anche in questi casi, infatti, come nei momenti più "seri", Agatha Christie non si abbandona mai a frivolezze fini a se stesse. Magari descrive Hercule Poirot e i suoi atteggiamenti come se ne volesse fare una caricatura, ma sotto sotto ragiona su come ingannare il suo pubblico e, in aggiunta, fornisce osservazioni per nulla banali su menzogna, metodo, concetto di verità, sesto senso; oppure fa spiegare al suo investigatore belga, attraverso una Lezione, come si ottiene la verifica dei fatti o in che modo si possa ricavare una sorta di identikit dell'assassino. Se considerate nel complesso, insomma, nessuna di queste "divagazioni" risulta superflua alla soluzione finale; anzi, proprio attraverso il magistrale uso dei silenzi, più che delle parole, Christie riesce a svelare solo ciò che desidera sia svelato e a nascondere ciò che, invece, intende mantenere segreto, per tutto il libro, in ogni frase. Forse è questo il segreto di Agatha, quello che le ha permesso di sviluppare una maniera tutta sua di raccontare ed incantare il lettore, di metterlo alla prova ma con leggerezza, tanto che in più di un caso i suoi romanzi si rivelano essere un porto sicuro, dove rifugiarsi in momenti tristi, complicati o noiosi.

Piantine di Fernly Park e, in particolare, dello studio di
Roger Ackroyd (la scena del delitto)
La stessa vita di Agatha Mary Clarissa Miller (questo era il suo cognome da nubile, trasformato nel celeberrimo Christie in occasione del primo matrimonio e divenuto Mallowan con l'avvento della seconda relazione coniugale) sembra un'emanazione di questa speciale capacità di saper dire e non dire in base al proprio volere. A volte è stata generosa e disposta alle confidenze, altre si è rivelata più chiusa di un'ostrica. Grazie alla sua autobiografia sappiamo molto riguardo l'infanzia, il periodo più felice di tutta la sua esistenza, quello dove gli affetti rappresentati dai genitori, dal fratello, dalla sorella e dai domestici non mancarono mai; in cui le giornate erano piene ancor più del solito di voglia di fare, giocare, scoprire il mondo; durante il quale iniziò a viaggiare e che le regalò ricordi indelebili, come le giornate passate da "zia-nonnina" nella casa di Ealing. Allo stesso modo, ci ha raccontato con generosità i primi balli e gli incontri con gli innumerevoli giovanotti che la corteggiarono, così come il momento in cui si ritrovò catapultata improvvisamente nel pieno della Grande Guerra e iniziò a lavorare come infermiera al dispensario di Torquay. Ha descritto la nascita della sua carriera di scrittrice, dovuta all'impulso di un momento in occasione di una scommessa con la sorella Madge; l'incontro con Archie, il primo marito, e il loro viaggio in giro per il mondo in occasione dell'Esposizione Universale del 1924; la nascita della figlia Rosalind; la passione per le case e il cibo; il viaggio in Oriente e gli scavi archeologici. Persino la gioia nel possedere un auto di proprietà e di aver cenato accanto alla Regina d'Inghilterra. Tuttavia, riguardo altri eventi della sua vita Agatha Christie ha preferito lasciare un'ombra di incertezza e di dubbio. Il più famoso è la sua scomparsa nel 1926, quando Archie le confessò di essersi innamorato della propria segretaria e di voler divorziare. Probabilmente nessuno, al di fuori della stessa Agatha, ha mai saputo quale fu il movente scatenante di questo improvviso colpo di testa: forse un'amnesia, come sostennero i suoi familiari? Oppure un deliberato tentativo di accusare il coniuge fedifrago di averla eliminata per ottenere la separazione? Martin Edwards, sfruttando le informazioni ricavate dai romanzi di questa grande scrittrice, in "The Golden Age of Murder" ha formulato un'interessante ipotesi a riguardo. In ogni caso, resterà per sempre un mistero insoluto, poiché nemmeno prima di morire lei rivelò la verità.

Anche del suo rapporto con gli altri membri del Detection Club, l'associazione di giallisti di cui fece parte per molti anni, non racconta nella sua autobiografia; tuttavia, in questo caso possiamo sfruttare le lettere e i documenti che proprio i suoi compagni ci hanno lasciato, i quali ci tramandano un'immagine vitale e disponibile della Christie, fatta di sostegno reciproco e condivisione di interessi (la citazione al caso reale del dottor Crippen, in "Dalle Nove alle Dieci", è un segno di questi gusti comuni), oltre che di amicizia e sacrificio, come nel momento in cui lei, nonostante la timidezza, accettò di assumere la carica di Presidente del Club, poiché nessun altro possedeva le specifiche capacità richieste dal ruolo. La modestia fu sempre una delle sue caratteristiche principali, tanto che odiava rilasciare interviste (non si fidava della stampa, dopo che essa l'aveva gettata in pasto alla gente al momento della sua scomparsa) e non riusciva a spiccare parola davanti a un pubblico o ad eseguire correttamente un pezzo al pianoforte, se le premesse si facevano terribilmente ufficiali; ma il tratto caratteriale che a mio parere l'ha saputa contraddistinguere maggiormente è stata soprattutto la sua grandissima gioia di vivere, la quale le permise di coltivare un carattere solare, purché venato a volte da qualche ombra, che lei riversò nei suoi personaggi, rendendoli più vivi che mai e, in questo modo, facendoceli amare anche nella loro imperfezione.

Così, mentre osserviamo i tentativi di Caroline Sheppard di ottenere informazioni da coloro che la circondano (tra l'altro, a detta della sua autrice, fu l'ispirazione per la figura di Miss Jane Marple), oppure la vecchia signora Ackroyd che tenta precipitosamente di trovare una scusa alle proprie mosse maldestre, o ancora l'evoluzione del rapporto tra Blunt e Flora Ackroyd e il progressivo sviluppo della personalità del dottor Sheppard a contatto con Poirot, ci accorgiamo che potremmo essere noi i protagonisti delle sue trame, in procinto di affrontare le nostre sfide e di rialzarci ogni volta che cadiamo. Tutti loro non sono mai come sembrano, attori di un romanzo giallo che ingannano il lettore; cosa dire allora di noi stessi, che indossiamo ogni giorno una maschera diversa? Agatha Christie l'aveva capito, ed era riuscita a trasportare questa consapevolezza (e la vita reale) sulla carta per farne materiale da usare allo scopo di sviare il lettore; senza mai barare, per giunta. Perché se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare alla Signora del Delitto, quello è proprio il suo Onesto Inganno: ovvero, fornirci tutti gli indizi che ci servono (rispettando il rigido fair-play) e, allo stesso tempo, menarci per il naso con una classe a tutt'oggi ineguagliata. Di questo ci sono tantissimi esempi tra le sue opere, e nonostante le accuse di aver barato che le sono state rivolte, sono convinto che anche in "Dalle Nove alle Dieci" esso venga rispettato (ne è la prova la spiegazione finale del trucco su cui si basa l'enigma, curiosamente suggerita da due fonti differenti, Lord Mountbatten e James Watts, cognato della Christie); in fondo, la Nostra non ha fatto altro che dare una svolta sorprendente e rivoluzionaria al genere, grazie a un tour de force equilibrato e simile a un esercizio al trapezio, senza nascondere al pubblico più attento il suo trucco, come chiunque desidererebbe fosse fatto per continuare ad essere sorpreso.

E chi tira in ballo le regole non scritte della crime story, dovrebbe ricordare che monsignor Ronald Knox era ironico quando delineò il suo Decalogo; ciò che è davvero essenziale, quando si scrive un romanzo giallo, è stupire il lettore, superarlo in astuzia, sconcertare. Poi, se riesci a introdurre concetti sociali e culturali come, ad esempio, l'assicurare la giustizia agli innocenti che non possono più averla (temi fondamentali degli alti suoi capolavori riconosciuti, "Assassinio sull'Orient-Express" e "Dieci Piccoli Indiani"), allora tanto meglio. Altrimenti, a mio parere va più che bene anche "un brillante trucco alla Maskelyne", come T.S. Eliot definì "Dalle Nove alle Dieci" citando un abile prestigiatore dell'epoca; un libro difeso nientemeno che da Dorothy L. Sayers,  famigerata per essere implacabile nel bocciare le opere che sfruttavano trucchi disonesti per far quadrare le vicende narrate, la quale spazzò via le critiche rivoltegli osservando con semplicità che "è compito del lettore sospettare di tutti quanti". Insomma, c'è ancora bisogno di mettere in dubbio l'onestà della soluzione di questo straordinario capolavoro?

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venerdì 19 luglio 2019

"Il Segreto delle Campane" ("The Nine Tailors", 1934) - Dorothy L. Sayers

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore
Se c'è una crime novel che, sull'onda della sperimentazione e dell'innovazione che caratterizzarono la Golden Age del romanzo giallo, si è spinta ai limiti del genere e ha provato a romperne gli schemi, quella è stata "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers. Ispiratrice di numerosi altri romanzi gialli (come "The Bishop's Crime" di H. C. Bailey e "Dead Men's Morris" e "St. Peter's Finger" di Gladys Mitchell), sotto certi aspetti essa presenta un delitto decisamente tradizionale, con un misterioso omicidio avvenuto in un sonnolento villaggio sullo stile di St. Mary Mead (dove vive l'arguta Miss Jane Marple di Agatha Christie) e una cerchia di sospetti poco estesa, in cui l'investigatore dilettante indaga a fianco della polizia, tra false piste e indizi incomprensibili, per individuare il colpevole. Eppure, come nei mysteries più sorprendenti, ben presto ci accorgiamo di trovarci davanti a un libro dove, accanto all'ambientazione e al clima di distensione campagnoli, tipici delle storie classiche, vengono accostati temi inconsueti e uno stile complesso ma non per questo astruso, in cui l'attenzione per i dettagli della vita della gente comune assume un'enorme importanza e risulta fondersi in un genere misto, così da mettere insieme l'indagine ordinaria con un tipo di narrazione più descrittiva nel tratteggiare, giorno per giorno, il carattere e l'esistenza di un gruppo di persone e le piccole e grandi sfide che esse si trovano a dover affrontare: ovvero, quella della cosiddetta comedy of manners. Una vicenda insolita, insomma, in cui il paesaggio diventa parte del mistero e agli stereotipi artificiosi viene sostituita la personalità dell'individuo.

Siamo nella regione dei Fens, nell'East Anglia. È la vigilia di Capodanno e lord Peter Wimsey, insieme al fedele Bunter, si sta dirigendo a Walbeach per trascorrervi le feste, quando l'auto su cui i due viaggiano finisce fuori strada a causa della bufera di neve che imperversa sulla desolata pianura spazzata dal vento, costringendoli a cercare rifugio nel vicino villaggio di Fenchurch St. Paul. Lì vengono accolti con estremo calore nella canonica, sita accanto alla cattedrale che svetta alta contro il cielo, dall'entusiasta rettore Venables e dai suoi amici i quali, rispettosi di un'antica tradizione, si preparano a eseguire un concerto di campane di nove ore per salutare l'anno venturo, così da stabilire un nuovo record e festeggiare in allegria. Tuttavia, poche ore prima dell'inizio della grande esibizione musicale, giunge la notizia che uno dei campanari, Will Thoday, si è ammalato e non potrà partecipare all'impresa, rischiando di rendere vani i sogni di gloria dei suoi compagni... Se non fosse che Sua Signoria può vantare trascorsi come suonatore di campane, per cui si propone come sostituto per ricambiare la gentile ospitalità del rettore e permettere a quella gente semplice di realizzare il loro grandioso progetto. Il sacerdote e i suoi compagni accettano di buon grado l'offerta, e durante la notte tra il 31 dicembre e il mattino del 1° gennaio l'esibizione, con grande soddisfazione e felicità di tutta la popolazione, viene portata a compimento; ma al rientro nella canonica una triste notizia aspetta i concertisti: Lady Thorpe, la moglie del signorotto locale, è in fin di vita e desidera ricevere l'estrema unzione prima di morire. Una disgrazia, osserva la signora Venables, mentre il rettore si affretta a raggiungere Red House; soprattutto se legata alla cattiva salute di Sir Henry e a tutta una serie di guai che si è abbattuta sulla sua famiglia, tra cui il vecchio scandalo, mai del tutto dimenticato, legato alla collana di smeraldi di lady Wilbraham. "Quale collana?" chiede lord Peter, incuriosito.

Si tratta, spiega la donna, di un efferato furto avvenuto poco prima della Grande Guerra: in quel periodo il maggiordomo di Red House, tale Deacon, aveva sottratto un gioiello dal valore inestimabile a un'ospite dei suoi padroni; e sebbene fosse stato presto identificato come l'autore del crimine insieme alla sua giovane moglie, Mary Russell (ora signora Thoday), e a un complice londinese di nome Cranton e fosse stato consegnato alla giustizia, nessuno era mai riuscito a recuperare il maltolto. In seguito Deacon era stato spedito in prigione e, poco dopo, ucciso in un tentativo di fuga. Un caso doloroso, che ancora perseguita i Thorpe ma ormai, immagina lord Peter mentre si prepara a lasciare Fenchurch St. Paul, troppo remoto per poter essere risolto... O forse no? Pochi giorni dopo la sua partenza, infatti, nel cimitero del villaggio viene trovato un cadavere sfigurato, con le mani mozzate e sepolto in gran fretta nella tomba di un altro defunto. Chi è lo sconosciuto, e come ha fatto ad arrivare lì senza che nessuno si accorgesse di niente? Si tratta forse dell'uomo che Sua Signoria aveva incontrato allontanandosi da Fenchurch e che, grazie ad alcuni tratti caratteristici, aveva riconosciuto come un ex galeotto? Il rettore Venables chiede aiuto a lord Peter per risolvere il caso e quest'ultimo accetta di affiancare la polizia nelle sue ricerche, imbarcandosi in un'indagine parallela a quella del sovrintendente Blundell, lunga un anno intero, tra l'Inghilterra e la Francia, al seguito di un criminale sparito dalla faccia della terra e di un uomo che sostiene di aver perso la memoria, tra crittogrammi da decifrare e allegre descrizioni della vita rurale degli abitanti del villaggio; fino a tornare al Natale e allo stesso Fenchurch St. Paul, dove i fili verranno sciolti da Sua Signoria in un finale che richiama fortemente la scena dello sbarco dall'Arca di Noè, con i campi allagati e le nove campane della cattedrale intente a ruggire la propria immortalità e onnipotenza.

Dorothy Leigh Sayers, nata nel 1893
e morta nel 1957
"Il Segreto delle Campane" non è affatto un romanzo "semplice"; o meglio, non è da prendere alla leggera. Spesso i gialli vengono tacciati di essere frivoli o addirittura scadenti nelle loro trame e nella trattazione superficiale di temi importanti; in questo caso, invece, ci troviamo di fronte alla diretta antitesi di tutto questo: non c'è nulla di insensato, di futile, di vacuo nel libro di Dorothy L. Sayers; anzi, c'è chi ha affermato che questo volume abbia addirittura superato tutti i limiti in senso opposto. La complessità del suo stile, ad esempio, ha spinto il critico Edmund Wilson a giudicare "Il Segreto delle Campane" come "uno dei romanzi più noiosi che avessi mai letto"; mentre Queenie Leavis, riferendosi alla sua opera completa, accusò la Sayers di voler rifilare al lettore "un esercizio intellettuale che egli odia nel caso esso gli venga sottoposto" (opinione alquanto discutibile). Per conto mio, credo che i manierismi della scrittura della grande Dorothy (comprese le numerosissime citazioni, all'inizio di ogni capitolo o nel mezzo del racconto) siano più che giustificati in un romanzo del genere, in cui parte del fascino sta nel lasciarsi trasportare nei luoghi e nelle digressioni, i quali ci aiutano a comprendere meglio il contesto descritto nella vicenda.

Eppure sono consapevole che, a volte, chi legge una crime novel non vuole far altro che distrarsi un po', e quindi una tale profusione di eloquenza può intimorire e annoiare. Se questo è il vostro caso, sareste i primi a stroncare "Il Segreto delle Campane". Sareste frustrati dal continuo riferimento alla campanologia, questa antica arte misteriosa, che vanta illustri trascorsi solo in terra d'Albione e che ci appare estranea alla soluzione del caso, e vi chiedereste perché l'autrice si ostini a fare riferimenti alla tradizione anglosassone del cosiddetto bell-ringing, con tanto di date e aneddoti su grandi concerti del passato, e ad inserire nozioni sulle campane "messe in piedi", "chiamate nel mezzo", "a rovescio" o "in anticipo", che agli occhi del lettore medio non potranno mai possedere alcuna importanza. Trovereste tediosi i discorsi sulle maree dei Fens, in cui si spendono pagine e pagine a disquisire sulle dighe, che vengono aperte o chiuse e hanno un così importante ruolo nelle faccende politiche del Governo inglese dei primi del Novecento. Non vedreste la necessità di soffermarsi sugli aneddoti della storia del paese e dei suoi abitanti, di riportare parola per parola le iscrizioni incise sulle campane di Fenchurch St. Paul, di raccontare le tribolazioni a cui fanno fronte i contadini e gli artigiani che compongono l'esiguo numero degli abitanti del villaggio. Insomma, vi aspettereste un'esposizione del caso chiara e rapida come di solito accade con quella campionessa di lucida onestà e sottile inganno che è Agatha Christie. Eppure qui è Dorothy L. Sayers a muovere i fili dei burattini, quell'erudita, coraggiosa, franca, vigorosa, fragile, sperimentatrice e puntigliosa matrona del buon costume e fervente sostenitrice dell'alta letteratura.

"Floods" by Roland Vivian Pitchforth, c. 1935 (Pulborough,
Sussex) raffigurante una piena in campagna
Nata a Oxford il 13 giugno 1893, Dorothy Leigh Sayers rivelò fin dall'infanzia un precoce ingegno che le permise di imparare il latino e il francese prima dei dieci anni, di diventare una poetessa esuberante (aveva un "fiammeggiante gusto nel vestire") mentre ancora studiava al Somerville College e di eccellere nel campo della pubblicità, quando tornò a Londra in seguito a un breve ed infelice periodo trascorso in Francia. Nel 1924 riuscì a pubblicare il suo primo romanzo giallo, "Peter Wimsey e il Cadavere Sconosciuto", ma allo stesso tempo dovette affrontare una gravidanza segreta e dare alla luce un figlio illegittimo contando solo sulle sue forze, poiché il padre del piccolo aveva già intrapreso una relazione stabile e non voleva avere alcun rapporto con esso; inoltre poco dopo si sposò con un uomo dal carattere duro e perse entrambi i genitori. Iniziò così un lungo calvario, punteggiato da sporadici sprazzi di felicità quando un nuovo volume della serie di Peter Wimsey (tutti tradotti in italiano, tranne "Gaudy Night") vedeva la luce, oppure in occasione di eventi mondani come la rappresentazione di una sua opera teatrale o una cena del Detection Club. Dorothy L. Sayers (pretese che la "L" del cognome della madre fosse sempre inserita tra nome e cognome sulla copertina dei suoi romanzi) prese molto a cuore quest'associazione e suoi membri: sostenne sempre fermamente che le opere dei suoi colleghi, come le sue, dovessero soddisfare alti standard in fatto di stile ed ingegnosità, così da "riportare la detective story al suo antico splendore", e strinse un forte legame di amicizia soprattutto con alcune delle sue colleghe più risolute, come Helen de Guerry Simpson. Tuttavia, nonostante ciò, non riuscì mai ad aprirsi con nessuno riguardo i propri tormenti personali e non rivelò mai ai suoi compagni di essere madre. Considerava quella gravidanza come un "amaro peccato", e trasformò l'esperienza disastrosa in un vero e proprio trauma: "Adesso sono spaventata da qualunque sentimento" avrebbe considerato più avanti. Quest'ultima, insieme al fallimento del proprio matrimonio, la frustrò a lungo, finché non venne il 17 dicembre 1957 e una trombosi coronaria mise termine alla sua esistenza.

Una delle immagini presenti nell'edizione
della Polillo Editore, raffigurante la
Cattedrale di Fenchurch St. Paul e un
dettaglio del suo soffitto
Dorothy L. Sayers, in sintesi, fu una straordinaria narratrice che, sebbene avesse vissuto tanti momenti di dolore e di difficoltà come Christie, ebbe una formazione (fu una delle prime donne a laurearsi) e una concezione della crime story molto differente da quelle dalla collega. Basta conoscere a grandi linee la sua vita per capire come l'approccio alla sua opera (e a questo libro) debba almeno provare ad essere diverso. Ci viene chiesto di immergerci in esso con tutti noi stessi, con lo spirito di voler intraprendere una lettura meno superficiale di quella che, all'occorrenza, metteremmo in pratica con i romanzi di Christie. Di cambiare punto di vista, ad esempio, e di immaginare per un momento che le questioni sulla campanologia, le maree e gli innocenti accenni alle vite della gente vengano tagliate da questo romanzo; che cosa resterebbe? Il nostro caso, ovviamente, ma più povero e... meno intrigante. Perché, se ci pensiamo bene, quelle parti non sono passaggi così inutili come poteva sembrare all'inizio, piccoli tasselli all'apparenza insignificanti, ma elementi si cui viene costruito uno degli enigmi più sorprendenti della Golden Age del giallo; almeno, questa è la mia opinione personale. Le chiuse e le vicende ad esse legate contribuiscono a tratteggiare meglio la descrizione dei luoghi e ad esaltare l'ambientazione in cui si svolge la storia, sapientemente tratteggiata in numerosi paragrafi, così come la chiesa con le sue funzioni potenti, e la rievocazione della battaglia sulla Somme in Francia permette al lettore di raffigurarsi meglio come devono essersi svolti i fatti al di là della Manica. È questo uno dei punti forti del romanzo, con le descrizioni accurate che soltanto chi ha vissuto nella zona del Fens o ha percepito sulla propria pelle le vicende della guerra può raccontare; e anche i dialoghi (insieme alla struttura stessa del romanzo, sotto forma di saggio sullo studio dei concerti di campane) denotano una sapiente costruzione, a volte leggeri e simpatici, altre densi e appassionanti.

Ci facciamo sommergere dalla parlantina del rettore Venables (tipico esempio dello humor insito nella scrittura di Sayers), ospitale, entusiasta, con una fede incrollabile, che ci racconta di questo e di quello, ma non è qualcosa che crea disturbo alla narrazione; anzi, magari ci divertiamo pure a sapere che sta facendo tardi per chissà quale appuntamento ma continua a trattenersi per parlare a ruota libera del più e del meno, e nel frattempo il tempo all'interno del romanzo, scandito dal trascorrere delle quattro stagioni, riesce a scorrere con grande fluidità e senza scatti frenetici, come se assistessimo in prima persona a quanto accade davanti ai nostri occhi. I personaggi (lord Peter primo tra tutti, col suo umorismo misto ad intelligenza, ma anche Hilary Thorpe e Will Thoday che ad modo loro, un po' una e un po' l'altro, incarnano alcuni pensieri dell'autrice sull'esistenza) risultano quindi divertenti e credibili, proprio grazie al loro essere genuini, con quel misto di sbadataggine e solennità che li caratterizza, tra battibecchi, orazioni funebri e piccoli gesti quotidiani trasformati in grandi azioni, pervasi da una sorta di austera maestosità che li esalta. Un gruppo di abitanti della campagna inglese di inizio Novecento, vivi come se li vedessimo con i nostri occhi e provinciali, tra i quali la religione gioca un ruolo importantissimo nella vita di tutti i giorni. Figlia di un pastore della Chiesa Anglicana, Dorothy L. Sayers aveva un forte senso del peccato e di cosa fosse giusto o sbagliato; e in "Il Segreto delle Campane" si possano rintracciare queste influenze, dal timore che certi personaggi provano di fronte ai propri gesti a una sorta di fatale destino che sembra abbattersi su coloro che si sono comportati male. L'enigma stesso, di altissimo livello, non subordinato alle eccellenti ambientazione e scrittura, con una struttura basata su colpi di scena e frequente azione, e capace di presentare indizi ma, allo stesso tempo, di nascondere la verità, ci mostra come sembri esserci una forza più grande di noi a giudicare l'uomo. "[Dio] è un giudice giusto, forte e paziente, e viene offeso ogni momento" ci ricorda il rettore Venables, e così sembrano fare Batty Thomas, Paul Taylor, Gaude, Jubilee, Dimity, Sabaoth, John e Jericho, le maestose campane della cattedrale che ruggiscono elevandosi al cielo, simili a giganti, in questa storia di fede e giustizia inevitabile, dove chi ha peccato viene raggiunto dalla mano di Dio ovunque si trovi per essere condotto al patibolo che gli spetta. Un insegnamento forse un po' dogmatico, ma di sicuro efficace, che ha reso "Il Segreto delle Campane" il mio romanzo giallo preferito.

Link a Il segreto delle campane su Libraccio


Link all'edizione italiana su Amazon

Link all'edizione in lingua originale su Amazon

venerdì 12 luglio 2019

# - L'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario

Libri, libri e ancora libri
In uno dei miei romanzi gialli preferiti, "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman, la giovane Ruth Bellingham descrive la propria occupazione con l'espressione "approvvigionatrice letteraria", cioè una sorta di impiego presso musei e biblioteche, volto alla ricerca e alla raccolta, per conto di terzi, di nozioni e informazioni definite come "provviste da dare in pasto ai leoni della letteratura". Mi è sempre piaciuta questa perifrasi, fin dal momento in cui mi sono imbattuto in essa per la prima volta, e oggi ho deciso di assumere, in qualche modo, un ruolo simile a quello di Miss Bellingham attraverso "Three-a-Penny". Grazie all'esperienza diretta, infatti, ho notato che i lettori di classiche crime stories, proprio come i loro eroi letterari, sono continuamente a caccia di autori sconosciuti o libri rari nei mercatini dell'usato, oppure di nuove uscite in edicola e libreria. Una cosa più che naturale, viste le esigue pubblicazioni annuali in tal senso e la difficoltà nel reperire uno specifico titolo tradotto. Spesso, però, capita che molti romanzi, per semplice distrazione o perché pubblicati da piccole case editrici, passino inosservati agli occhi degli appassionati del giallo all'inglese; e questo è un vero peccato. Si rischiano due conseguenze nefaste: la perdita di un titolo da aggiungere alla propria collezione, ma anche che l'editore smetta di dedicarsi alla pubblicazione di altri libri simili, visto che non guadagna nulla. Per fortuna, però, esiste un'arma fondamentale per sostenere gli appassionati di giallo classico nella loro inarrestabile ricerca: il passaparola. Ed è grazie ad esso che, in questo spazio, intendo fornire periodicamente a voi leoni una buona dose di "provviste", attraverso le segnalazioni di editori da tenere d'occhio e dei titoli che (presumibilmente) daranno alle stampe a breve. Non voglio essere così arrogante da sostenere che siano tutti qui; con molta probabilità qualcuno mi sarà scappato, per cui vi chiederei di integrare la mia lista con un commento, in caso conosceste qualche sito o traduzione che non ho menzionato.

Copertina di "Svanita nel Nulla" di
Ethel Lina White
Allora, in primo luogo prendiamo in considerazione le collane da edicola. Il Giallo Mondadori ha già fatto un post dettagliato sul blog omonimo; tuttavia, essendo che in quel caso sono state raccolte le uscite comprendenti tutti i sottogeneri (compresi storico e moderno), faccio comunque un riepilogo dei titoli più "classici" previsti fino a settembre.

Serie Classici:
- Luglio: l'inedito "Svanita nel Nulla" (She Faded into Air) di Ethel Lina White, autrice inglese che scriveva storie di suspense sullo stile della Regine del Brivido americane, e "Sei Donne e un Libro" (serie Oro) di Augusto De Angelis, pioniere del giallo all'italiana.
- Agosto: l'inedito "Morte di un Dottore" (Doctors Also Die) di D. M. Devine, uno degli scrittori più significativi tra le "nuove leve" del giallo classico tra gli anni Sessanta e Settanta.
- Settembre: "La Casa della Freccia" (The House of the Arrow) di A.E.W. Mason, un grande classico di uno dei pionieri della crime story.

Serie Speciali:
- Luglio: "Ai Gatti Piace il Delitto", contenente due romanzi e un racconto in cui gli amici felini la faranno da padrone; ovvero “La Pensione di Madame Fournier” di Todd Downing, “Il Gatto e il Capricorno” di D.B. Olsen e “Il Gatto di Miss Paisley” di Roy Vickers.
- Settembre: "Investigatori col Monocolo", contenente anch'esso due romanzi e un racconto, stavolta pienamente appartenenti all'Età d'Oro del giallo e a tema scientifico; ovvero “Il Silenzio delle Ombre” (The Hog’s Back Mystery, 1933) di Freeman Wills Crofts, “Il Cratere del Diavolo” (Jack-in-the-Box, 1944) di J.J. Connington e l'inedito Rex v. Burnaby di Richard Austin Freeman, tratto dalla raccolta "Puzzle Lock” del 1925.

Copertina di "Ai Gatti Piace il Delitto"
Una menzione speciale, inoltre, la merita"Il Tempo dell'Odio" (No Man's Nightingale) di Ruth Rendell, ultima tra le regine del giallo all'inglese, il quale verrà pubblicato ad Agosto nella serie Regolare del Giallo Mondadori.

Per quanto riguarda le collane da libreria, invece, la scelta si fa più ampia. Innanzitutto, c'è l'onnipresente (e sempre sia lodata) Polillo Editore con i suoi Bassotti, che ha in programma di pubblicare una serie di titoli niente male:
- "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy: il titolo italiano non mi dice nulla, ma spero sia Death to the Rescue, il romanzo che scrisse per sfidare Berkeley e che procurò al suo autore una denuncia e un processo per diffamazione.
- "Il Rompicapo" di tale Thayer: ho sondato a fondo vari siti, e su GADetection, la wikipedia del giallo classico, c'è un'autrice americana con questo nome; che sia lei? Apparentemente sì, visto che ha pubblicato un certo QED, che sarebbe un delitto impossibile sulla neve. Molto interessante.
Copertina di "Morte nella Neve"
di J. Jefferson Farjeon
- "Il Mistero della Candela Ritorta" di Edgar Wallace, già pubblicato in passato da Mondadori.
- "Il Crimine del Secolo" di Anthony Abbot, già pubblicato in passato da Mondadori.
- "Uno Dopo L'Altro" di tale MacDonell: a quanto pare, lui è stato la metà "fantasma" di "Il Mistero del Diario" di Kennedy. Sembra abbia scritto solo sette gialli, in mezzo ad altri tipi di narrativa, e questo mi ricorda un po' "La Morte Cammina per Eastrepps" di Francis Beeding (con un serial killer, insomma).

In secondo luogo, c'è Edizioni Lindau, che ho scoperto grazie al blog di Pietro de Palma (il quale, fino a qualche anno fa, ogni tanto faceva dei post simili a questo). Negli ultimi tempi questo editore non ha prodotto grandi titoli nella collana Crimini e Misteri, ma vi voglio segnalare comunque i meritevoli tra quelli già disponibili:
- "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay: un giallo di Natale tra i più classici;
- "Morte in Costa Azzurra" di John Bude, che leggerò quest'estate perché in tema col clima;
- "Morte di un Aviatore" e "Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg, ingiustamente uno degli autori della Golden Age meno conosciuti e celebrati;

Copertina del nuovo "Un Cadavere
al Campo Due" di Glyn Carr
- "Morte nella Neve" di J. Jefferson Farjeon (già pubblicato da Polillo come "Sotto la Neve"), che è uno dei gialli sulla neve che preferisco in assoluto, pur non trattandosi di una tipica detective novel.

Poi ci sono Shake Edizioni e Mulatero Editore. La collana legata al primo marchio, Noir Sselavy, sfortunatamente è stata chiusa tempo fa; però i cinque volumi che ha dato alle stampe prima di allora si possono ancora trovare e sono molto interessanti: tutti sono stati selezionati da esperti e presentano omicidi impossibili e spettacolari, per cui non c'è pericolo che restiate delusi. Si tratta di:
- "Omicidio nella Quarta Dimensione" e il suo seguito, "Il Caso Marceau", di Harry S. Keeler.
- "Le Orme di Satana" di Norman Berrow.
- "La Morte nel Buio" di Georges Antheil, pubblicato sotto lo pseudonimo di Stacey Bishop.
- "La Faccia Tagliata" di Cameron McCabe (quest'ultimo pubblicato anche da Polillo come "La Ragazza Tagliata nel Montaggio").

Mulatero Editore, invece, è un marchio dedicato alla montagna e alle escursioni. Che cosa avrà mai a che fare con il giallo classico? Ebbene, pare che un tempo, in Inghilterra, sia stata pubblicata una serie di crime stories ambientate in alta quota, con un investigatore dilettante che era pure alpinista, ad opera di un certo Glyn Carr. Mulatero sta coraggiosamente provvedendo a tradurla in italiano; e poiché Martin Edwards, in occasione della ripubblicazione di alcuni di questi titoli all'estero, aveva espresso pareri molto positivi a riguardo, da parte mia intendo provarla al più presto. Ecco i titoli finora pubblicati nella collana Brividi:

Copertina di "Il Mistero della Vetreria" di
Margaret Armstrong
- "Assassinio sul Cervino".

Infine, c'è Edizioni Le Assassine, che ho scoperto per caso mentre cercavo la traduzione di un libro di Annie Haynes. Si tratta di un editore milanese, che pubblica solamente opere di scrittrici di sesso femminile in due collane: Oltreconfine, dedicata ad autrici contemporanee ed estere, e Vintage, che si occupa invece della riscoperta di autrici del passato. Le uscite sono molto centellinate, ma l'attesa ripaga le aspettative; soprattutto se si considerano i titoli che arriveranno in futuro. Dopo "Luna di Miele da Incubo" di Marie Belloc Lowndes, "Il Tagliacarte Veneziano" di Carolyn Wells, "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?" della Haynes e "All'Una e Trenta" di Isabel Ostrander, infatti, sono in programma:
- "Il Mistero della Vetreria" di Margaret Armstrong, che è stato riscoperto (insieme agli altri libri dell'autrice) da Curtis Evans quasi dieci anni fa, e che finalmente appare anche in Italia;
- "Il Divorzio non si Addice a Enid Balfame" di Gertrude Atherton;

Copertina di "Quella Casa nella Brughiera"
ripubblicato da Mondadori il mese scorso
- "Un Cappio per Archibald Mitfold" di Dorothy Bowers; ovvero colei che, se non fosse morta giovanissima, a detta di molti sarebbe divenuta sotto ogni aspetto l'erede di Dorothy L. Sayers all'interno del Detection Club.

Come potete vedere, insomma, non mancano certo nuovi titoli (anche se questo è un periodo insolitamente affollato di uscite; qualche anno fa resisteva solo il Giallo Mondadori da edicola, per intenderci). Se a questi, poi, aggiungiamo alcuni stand-alones, come qualche titolo della collana "Giallo Mondadori" da libreria (vi segnalo soprattutto "Quella Casa nella Brughiera" di Ngaio Marsh) e la serie dell'Ispettore Gamache di Louise Penny, in corso di pubblicazione da parte di Giunti, ci possiamo considerare ampiamente soddisfatti. Voi cosa ne pensate? E soprattutto, avete qualcosa fa aggiungere alla lista?

Link ai titoli consigliati su Libraccio:
"Il capanno sulla spiaggia" di Milward Kennedy;
"Il rompicapo" di Lee Thayer;
"Il mistero della candela ritorta" di Edgar Wallace;
"Il crimine del secolo" di Anthony Abbot;
"Uno dopo l'altro" di A.G. MacDonell;
"Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Morte di un aviatore" di Christopher St. John Sprigg;
"Morte in Costa Azzurra" di John Bude;
"Morte nella neve" di J. Jefferson Farjeon;
"Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg;
"Omicidio nella quarta dimensione" di Harry S. Keeler;
"La morte nel buio" di Georges Antheil;
"Le orme di Satana" di Norman Berrow;
"Il caso Marceau" di Harry S. Keeler;
"La faccia tagliata" di Cameron McCabe;
"Morte dietro la cresta" di Glyn Carr;
"Assassinio sul Cervino" di Glyn Carr;
"Un cadavere al campo due" di Glyn Carr;
"Luna di miele da incubo" di Marie Belloc Lowndes;
"Il tagliacarte veneziano" di Carolyn Wells;
"Chi ha ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes;
"Il mistero della vetreria" di Margaret Armstrong;
"Quella casa nella brughiera" di Ngaio Marsh;
"Case di vetro" di Louise Penny;
"L'inganno della luce" di Louise Penny;
"La via di casa" di Louise Penny.

Link ai titoli consigliati su IBS:
"Il capanno sulla spiaggia" di Milward Kennedy;
"Il rompicapo" di Lee Thayer;
"Il mistero della candela ritorta" di Edgar Wallace;
"Il crimine del secolo" di Anthony Abbot;
"Uno dopo l'altro" di A.G. MacDonell;
"Natale con delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Morte di un aviatore" di Christopher St. John Sprigg;
"Morte in Costa Azzurra" di John Bude;
"Morte nella neve" di J. Jefferson Farjeon;
"Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg;
"Omicidio nella quarta dimensione" di Harry S. Keeler;
"Le orme di Satana" di Norman Berrow;
"La morte nel buio" di Georges Antheil;
"Il caso Marceau" di Harry S. Keeler;
"La faccia tagliata" di Cameron McCabe;
"Morte dietro la cresta" di Glyn Carr;
"Assassinio sul Cervino" di Glyn Carr;
"Un cadavere al campo due" di Glyn Carr;
"Luna di miele da incubo" di Marie Belloc Lowndes;
"Il tagliacarte veneziano" di Carolyn Wells;
"Chi ha ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes;
"Il mistero della vetreria" di Margaret Armstrong;
"Quella casa nella brughiera" di Ngaio Marsh;
"Case di vetro" di Louise Penny;
"L'inganno della luce" di Louise Penny;
"La via di casa" di Louise Penny.

Link ai titoli consigliati su Amazon:
"Il capanno sulla spiaggia" di Milward Kennedy;
"Il rompicapo" di Lee Thayer;
"Il mistero della candela ritorta" di Edgar Wallace;
"Il crimine del secolo" di Anthony Abbot;
"Uno dopo l'altro" di A.G. MacDonell;
"Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay;
"Morte di un Aviatore" di Christopher St. John Sprigg;
"Morte in Costa Azzurra" di John Bude;
"Morte nella Neve" di J. Jefferson Farjeon;
"Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg;
"Omicidio nella quarta dimensione" di Harry S. Keeler;
"Le orme di Satana" di Norman Berrow;
"La morte nel buio" di Georges Antheil;
"Il caso Marceau" di Harry S. Keeler;
"La faccia tagliata" di Cameron McCabe;
"Morte dietro la cresta" di Glyn Carr;
"Assassinio sul Cervino" di Glyn Carr;
"Un cadavere al campo due" di Glyn Carr;
"Luna di miele da incubo" di Marie Belloc Lowndes;
"Il tagliacarte veneziano" di Carolyn Wells;
"Chi ha ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes;
"Il mistero della vetreria" di Margaret Armstrong;
"Quella casa nella brughiera" di Ngaio Marsh;
"Case di vetro" di Louise Penny;
"L'inganno della luce" di Louise Penny;
"La via di casa" di Louise Penny.

venerdì 5 luglio 2019

1 - "The Golden Age of Murder" (2015) di Martin Edwards

Copertina dell'edizione paperback
pubblicata dalla Collins Crime Club
Con il suo tipico modo di fare, caustico e un po' spiritoso, una volta Dorothy L. Sayers disse a Lucy Beatrice Malleson, una collega giallista che scriveva sotto numerosi pseudonimi: "Tu devi ricordare, Anthony Gilbert, che sebbene per noi gli autori valgono solo tre soldi, loro sono abbastanza eccitanti per le altre persone". Un'affermazione che sottolinea come, già nella prima parte del Novecento, la gente fosse molto interessata alle esistenze degli scrittori: non solo dal punto di vista pubblico, in cui i riconoscimenti non mancavano, ma soprattutto da quello privato, quando loro toglievano la maschera e si rivelavano senza filtri. Com'è comprensibile, essi non intendevano rivelare la propria privacy: in quel tempo, in cui non esistevano ancora Internet e i social network, ottenere informazioni strettamente personali su qualsiasi personalità di spicco era un'ardua caccia alla notizia, e gli autori si impegnavano ad incoraggiare il meno possibile questo tipo di rapporto intrusivo, costituito di lettere spedite ai diretti interessati o ai loro editori, alle quali spesso seguiva un cortese rifiuto a soddisfare la richiesta sottoposta alla loro attenzione, e di "indagini" intraprese analizzando minuziosamente le scarne biografie dei romanzi già pubblicati.

Per gli ammiratori degli scrittori di detective novels, poi, la faccenda si faceva ancor più complessa, in quanto l'intenzione dei loro idoli di tenere segreta la propria privacy era rinforzata da un talento innato nel celare le proprie tracce e depistare quelle che i fans avevano provato a seguire, alla ricerca di indiscrezioni: un'impresa pressoché disperata, insomma. Per questi motivi, dunque, la vita privata dei giallisti dell'Età d'Oro restò un enorme dilemma, sul quale le persone si interrogarono e fantasticarono, e ancora al giorno d'oggi risulta complesso stabilire delle certezze su di essa, essendo ormai passato quasi un secolo dal periodo in cui essi sono vissuti. Le uniche informazioni ufficiali di cui disponiamo su questi magnifici narratori sono molto scarse, poiché si limitano alle rare interviste che rilasciarono a viva voce e alle già citate note biografiche poste sul retro dei loro libri, che spesso nulla ci dicono sulla quotidianità delle loro esistenze. Tuttavia, se ci si pensa, esistono anche altre fonti, meno appariscenti ma non meno efficaci, da cui poter attingere per capire chi siano stati quegli uomini e quelle donne straordinarie, e Martin Edwards ci ha dato prova di ciò grazie al suo illuminante saggio "The Golden Age of Murder" (Collins Crime Club, 2015).

Una giovane Dorothy Leigh Sayers,
nata nel 1893 e morta nel 1957
L'idea che sta alla base del libro scaturisce da una coincidenza: l'autore, appartenente da qualche tempo alle schiere dei membri del Detection Club, il circolo di scrittori di gialli più famoso del mondo e tutt'ora esistente, e scrittore di numerosi romanzi (alcuni stand-alones ed altri con protagonista l'avvocato di Liverpool Harry Devlin, in parte tradotti nella collana del Giallo Mondadori), viene nominato primo Archivista e quindi curatore dei documenti conservati da questa mitica associazione di giallisti. Eppure c'è un problema: l'archivio storico non esiste più, pure il Registro delle riunioni è scomparso dai tempi del Blitz su Londra e la biblioteca è stata svenduta. Un vero disastro, per chi volesse tentare di ricostruire la memoria del Club. Tuttavia, come tutti gli appassionati di racconti di enigmi, Martin Edwards si lascia irretire dal mistero che circonda la documentazione scomparsa, il quale stuzzica la sua innata curiosità da lettore di gialli e lo spinge inevitabilmente a porsi delle domande. Cosa sarà accaduto a tutti quei resoconti e alle prime edizioni firmate dei membri fondatori del Club? Chi erano, veramente, quegli uomini e quelle donne che le scrissero e decisero di conservarle, e quali avventure hanno vissuto durante le loro esistenze?

In questo modo, dunque, egli mette in pratica gli insegnamenti dei giallisti degli anni '40 e dà inizio a una intensa e serrata caccia al tesoro, che lo spinge a mettersi in contatto con esperti del genere e semplici librai, alla ricerca di volumi perduti e notizie che variano dal pettegolezzo all'affermazione autenticata, per ricostruire la storia dell' archivio perduto del Detection Club e dei suoi membri fondatori. Con un misto di metodo e fortuna e grazie ad interviste e familiari o conoscenti dei defunti, riesce a raccogliere una quantità incredibile di aneddoti su questi illustri (eppure semisconosciuti) esponenti della cosiddetta "Età d'Oro" del giallo inglese (siamo negli anni '30-'40) e a sondare i lati meno noti delle loro vite, insieme a una gran quantità di informazioni sulle loro opere; e il risultato delle sue ricerche è proprio "The Golden Age of Murder": un testo che, sebbene non sia un romanzo vero e proprio, non è nemmeno uno di quei tomi noiosi le cui pagine sono piene di note e di paroloni che possono essere compresi soltanto da chi ha già fatto qualche incursione nel genere; piuttosto, esso si può considerare uno scorrevole esempio di come si possano spiegare, anche ai neofiti, argomenti importantissimi per la comprensione non solo delle esistenze dei giallisti del periodo tra le due Guerre Mondiali, i quali inventarono la moderna detective novel, ma anche di quel mondo affascinante che è la narrativa gialla classica, oltre ad essere un buon modo per iniziare ad interessarsi alla crime story classica. 

Quindi, dopo una breve introduzione in cui descrive i propri obiettivi, Martin Edwards inizia a tracciare la storia generale del Detection Club e delle sue stelle più brillanti: la fulgida Dorothy L. Sayers, l'enigmatico Anthony Berkeley e la placida Agatha Christie. Tutti e tre, nel 1926, dovettero affrontare momenti molto difficili in seguito a delusioni amorose, intrappolati in matrimoni angustianti e tormentati da una forte inquietudine interiore, e per sfuggire alle proprie catastrofi personali negli anni seguenti iniziarono ad incontrarsi in cene informali con altri illustri colleghi (ospitati tutti insieme da Berkeley, il quale mise a disposizione i locali per i primi incontri e si impegnò a contattare i futuri soci fondatori del Club) dove poter chiacchierare dei loro interessi comuni e svagarsi un po'. Ben presto ognuno si rese conto che quei momenti di felicità erano troppo preziosi per poter rimanere delle sporadiche occasioni d'incontro, senza contare che il clima in Europa stava andando ad incupirsi sempre più, e su idea dello stesso Berkeley decisero di fondare una vera e propria rete sociale, che permettesse loro di continuare ad interagire in determinate occasioni. In questo modo diedero vita a un gioco/partita dove ognuno, senza venire meno allo scopo catartico generato dallo scrivere quelle detective novels, si impegnava a superare gli altri in astuzia e studio della psicologia e a sorprenderli, sia che si trattasse di lanciare una sfida a un ex-Commissario Capo di Scotland Yard, oppure partecipare a un romanzo collettivo in cui nessuno sapeva come andava a finire o a una trasmissione radiofonica da coordinare da ogni angolo del Paese. Le Regole furono studiate a tavolino, con grande perizia, e ben presto fu ideato anche un cerimoniale per l'iniziazione di nuovi membri, i quali dovevano presentare delle caratteristiche specifiche e impegnarsi a mantenere alti gli standard del Club. In seguito viene descritto come alcuni membri persero la voglia di continuare la partita e abbandonarono il genere, ma allo stesso tempo nuova linfa venne a stimolare le idee e a far ribollire gli animi nella forma di giovani desiderosi di mostrare il proprio ingegno; finché alla fine del volume proprio Sayers, Berkeley e Christie furono costretti ad lasciare il gruppo, alcuni per cause di forza maggiore, altri per discrepanze personali con i criteri di valutazione dei membri, nuovi e vecchi.

Anthony Berkeley Cox, nato nel 1893
e morto nel 1971
A parte ciò in "The Golden Age of Murder", oltre alla descrizione di come la stessa detective novel si sia sviluppata tra le due guerre, troviamo un intero capitolo dedicato alla nascita del genere, sebbene la materia non rientri specificatamente nel soggetto del saggio; un altro, alla fine, spiega come i romanzi degli anni del primo dopoguerra abbiano ispirato e continuino ad ispirare gli autori di thriller moderni, grazie alle caratteristiche di un genere glorioso che riesce a rinnovarsi in continuazione. Inoltre, a fare da sfondo a questo racconto, viene anche tratteggiato in modo sintetico il contesto storico in cui avvennero cambiamenti letterari e non, tra la caduta di un governo e l'ascesa di un altro meno conservatore, oppure un'abdicazione che contribuì ad arrestare le carriere di due stimati narratori, oppure ancora una delle numerose rivolte che descrivevano come, man mano, il mondo stesse andando verso uno scenario più cupo e oscuro. La cosa che più mi ha deliziato nel leggere questo saggio, tuttavia, è stata un'altra. Infatti Martin Edwards mette quei grandiosi autori come sotto una lente d'ingrandimento, uno alla volta, e al di là delle loro vite straordinarie e caratterizzate da eventi di portata nazionale (conferenze pubbliche, rappresentazioni di loro commedie e quant'altro), li ritrae attraverso le sfide che li hanno resi umani, con i loro tentativi di destreggiarsi nella vita lavorativa e privata presi punto per punto, tentando di decifrare quanto possibile dai loro gesti e le loro stesse parole.

Già; perché, oltre alle vicende amorose, i travagli personali e pubblici che ognuno di loro ha dovuto affrontare, i successi e gli insuccessi, una parte fondamentale del saggio è stata occupata dalla presa in considerazione delle opere principali di questi innovatori, quelle fondamentali per lo sviluppo del genere, illustrando come proprio grazie a quei loro stessi libri siano riusciti ad esorcizzare i demoni che ognuno di loro conservava nel proprio cuore e temeva di affrontare. Sono queste le "fonti" a cui facevo riferimento sopra; infatti, quegli acuti osservatori del genere umano, uomini o donne che furono, usarono la propria arte come valvola di sfogo e per fronteggiare una serie di conflitti che, pur nel loro essere ordinari, permisero loro di crescere in autostima e forza interiore. E lo fecero in un modo curioso ma comprensibile: caricarono le proprie angosce e preoccupazioni sui loro stessi personaggi, permettendo al lettore di identificarsi con essi e, allo stesso tempo, aprirsi con il mondo per scaricare la tensione, ma senza dichiarare apertamente i propri intenti e rivelando al lettore frammenti della propria vita privata (non bisogna dimenticare che ci troviamo di fronte a delle persone che godevano nel mistificare la realtà dei fatti e costruire dei castelli in aria). In questo modo gli autori si lasciarono ispirare di volta in volta dalle proprie esperienze e dalla vita stessa, ma non si limitarono a copiare da essa; bensì applicarono le loro conoscenze per studiarla a fondo. Dorothy L. Sayers, ad esempio, sfruttò le competenze acquisite nel corso degli studi sulla criminologia e delle esperienze di vita per indagare su crimini realmente accaduti, come quello di Julia Wallace, e avanzare ipotesi che riuscirono a gettare nuova luce su quegli efferati delitti.

Questo interesse fu condiviso da un grande numero di suoi compagni, tanto che molto spesso casi reali furono usati come base dei loro delitti fittizi: con mia grande gioia, quelli più famosi, accaduti in Inghilterra ed America, in "The Golden Age of Murder" vengono accostati al romanzo cui hanno fatto da cassa di risonanza e tratteggiati in modo da far comprendere come gli autori abbiano attinto ad essi per delineare ed arricchire le proprie trame, grazie ai loro dettagli agghiaccianti ma rivelatori di un odio e un dolore insopportabili. Sono convinto, dunque, che l'intento degli scrittori della Golden Age non fosse solo quello di facilitare il proprio compito di creazione di una vicenda criminosa, ma anche di avvicinare la caratterizzazione dei propri personaggi (colpevoli o non) ai lettori i quali, come loro, dovevano comprendere gli istinti che li avevano mossi. Chissà quanti erano incappati in una relazione infelice o in una storia d'amore clandestina come quella del dottor Crippen (pur senza i risvolti inquietanti che essa finì per creare)! Era un modo per rappresentare la vita in tutta la sua brutale integrità, fatta di luci e ombre, di bene e male, di colpa e assoluzione, e mostrare non come fosse inevitabile lasciarsi andare, quanto piuttosto necessario reagire alle avversità. La stessa Agatha Christie subì un forte shock quando suo marito Archie confessò di essersi innamorato di un'altra donna, eppure riuscì a ricavare da quell'esperienza del materiale da riplasmare per chiudere le proprie ferite e guarire; altrimenti non sarebbe riuscita a diventare quel che è oggi: la più grande di tutti e tutte. Certo, si dovette sforzare per ritrovare la gioia di scrivere, ma proprio grazie al Detection Club, al tacito sostegno che esso le diede e agli incontri con persone nella sua stessa condizione, feriti e ossessionati da demoni invisibili, ci riuscì. Credo sia un indice della fedeltà che la stessa Christie riponeva nei suoi amici il fatto che, sebbene nella sua vita fu sempre molto riservata, lei decise di accollarsi (quasi del tutto) la presidenza del Club alla morte di Sayers, quando apparve chiaro che nessun altro poteva adempiere al compito meglio di lei. Lo fece perché sentiva un forte legame nei confronti di quei compagni che avevano condiviso le sue stesse dolorose situazioni, e sostenere una stessa causa faceva del bene anche a lei.

Una giovane Agatha Mary Clarissa Miller,
alias Agatha Christie Mallowan, nata nel
1890 e morta nel 1976
Vite, romanzi, storia, realtà: tutto ciò si è fuso in questo meraviglioso libro a formare un grande insieme, descrivendo la nascita del giallo tradizionale e le ripercussioni che esso suscitò nella società del tempo e nei suoi protagonisti. Si potrebbe dire che ci troviamo di fronte a un "romanzo saggiato", con presenti tutte le caratteristiche delle nostre amate crime novels. Ambientazione: il periodo storico tra le due guerre, con tutto ciò che ha portato con sé. Personaggi: gli scrittori stessi, con le loro angosce e le loro gioie personali. Scrittura: la sapiente capacità dell'autore di analizzare le vite, le opere e i contesti che man mano vengono presi in considerazione, insieme a cold cases e informazioni ben dosate. Insomma, sembrerebbe che manchi solo un bell'enigma per poter paragonare questo libro a uno dei nostri amati romanzi del mistero. Ed in realtà c'è anche quello, se ci si sofferma a pensare, seduti davanti a una scrivania a raccogliere i pezzi del puzzle uno dopo l'altro; perché non bisogna dimenticare che i protagonisti sono i più grandi giallisti di sempre, e chi meglio di loro è stato capace di disseminare false piste e celare indizi nei propri scritti? Infatti ci troviamo di fronte a una serie di domande a cui è difficile dare risposta: come mai Sayers e Berkeley smisero di scrivere gialli dopo la Seconda Guerra Mondiale? Cosa indusse Christie a fuggire nel 1926 e a far perdere le proprie tracce per ben 11 giorni? Cosa celano, nel profondo, i romanzi con protagonista Roger Sheringham? E come mai Sayers decise di rinunciare a una laurea speciale conferitale dalla Chiesa d'Inghilterra? Domande, quesiti, interrogativi (insieme a molti altri) che si pone chiunque sia appassionato di gialli, e che ognuno tenta di risolvere a modo proprio. E anche Martin Edwards prova a mettere in moto le proprie cellule grigie, come se si fosse accomodato a riflettere in una poltrona della biblioteca di una casa di campagna, ma non ha la presunzione di affermare le proprie teorie come l'assoluta verità. Perché ci sarà sempre qualcosa di nuovo da portare alla luce per arricchire le prove a vantaggio o svantaggio di una o l'altra teoria. E perché, se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare ai nostri astuti autori, è proprio la loro capacità di trasformare qualunque prova in un rompicapo dalla doppia faccia e qualunque faccenda, sia un delitto in un casa di campagna o un tranquillo tè tra anziane zitelle, in un'avventura degna di essere intrapresa.

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