venerdì 26 luglio 2019

3 - "Dalle Nove alle Dieci"/"L'Assassinio di Roger Ackroyd" ("The Murder of Roger Ackroyd", 1926) di Agatha Christie

Copertina dell'edizione integrale,
pubblicata nei Classici del Giallo
Mondadori n. 527
"Dalle Nove alle Dieci" di Agatha Christie (Classici del Giallo Mondadori n. 527, 1987), conosciuto in Italia anche come "L'Assassinio di Roger Ackroyd", è una delle opere più celebrate della crime story classica. Pubblicato nel 1926, anno cruciale nella vita privata dell'autrice (risale a questo periodo la sua famosa scomparsa durata dieci giorni, in seguito al tradimento del marito), esso rappresenta uno dei titoli fondamentali della sua carriera, poiché riuscì a catapultarla tra i migliori giallisti dell'epoca e le conferì una grandissima fama. Fino a quel momento, infatti, la Christie non si era fatta particolarmente notare in quanto a idee spettacolari, pur avendo esordito con una detective novel più che buona, che aveva ottenuto sperticate lodi da una rivista scientifica specializzata circa l'accuratezza nella descrizione degli aspetti medici del caso; con questo romanzo, invece, ella riuscì a mettere a segno un colpo magistrale, stupendo i lettori e i critici e, come accade sempre con i capolavori, dividendo i pareri di tutti. Infatti, anche se esso presenta un delitto più o meno convenzionale all'interno del genere, con tanto di sospettati circoscritti, false piste, indizi e mistero inframmezzati da guizzi umoristici, in realtà sfida più di una delle regole della narrativa gialla, delineate dai suoi colleghi al fine di non barare con chi leggeva; soprattutto per quanto riguarda lo svelamento d'identità che conclude il caso. Proprio il finale, infatti, fece storcere il naso a molti appassionati, i quali la accusarono di aver giocato sporco; da parte mia, comunque, trovo che il dubbio non si ponga e che questo sia uno dei capolavori indiscussi dell'intero genere.

Agatha Mary Clarissa Miller, alias
Agatha Christie Mallowan, nata nel
1890 e morta nel 1976
La vicenda, raccontata in prima persona dal diligente dottor Sheppard, si svolge a King's Abbot, un immaginario paesino della campagna inglese che assomiglia a tanti altri e nel quale non succede mai niente di importante. Laggiù la vita è scandita dal pettegolezzo locale, il quale viene nutrito di continuo di qualunque pretesto innocente allo scopo di sollevare interrogativi più o meno morbosi, e ognuno fa la propria parte, all'interno della "rete investigativa" che costituisce la popolazione del posto. Ci sono zitelle rampanti come Miss Ganett e Caroline Sheppard, la sorella del medico, che sfruttano le rispettive cameriere come staffette per scambiarsi frenetiche informazioni; soldati in pensione come il colonnello Carter, i quali approfittano di un pubblico di poche pretese e assetato di curiosità per ingigantire con innocenti bugie il proprio passato nell'esercito; individui più riservati come Roger Ackroyd, il signorotto locale, oppure lo stesso dottor Sheppard, che forniscono di malavoglia il proprio contributo alla "corte del popolo", preferendo non suscitare o venire invischiati in torbidi intrighi e tentando invano di mettere un freno alle fantasie scatenate delle signorine del posto. Negli ultimi tempi, tuttavia, sembra che gli sforzi dello sfortunato medico non riescano a dare i dovuti frutti: infatti, non solo Caroline si ostina ad imperversare nel pericoloso passatempo di diffondere notizie non verificate sull'improvvisa morte dell'anziana signora Ferrars, sospettandola addirittura di aver avuto un ruolo di primo piano nella scomparsa del marito, ma intende anche andare a ficcanasare nella vita privata del loro nuovo vicino, insediatosi nel Villino dei Larici; uno strano omino, comparso a King's Abbot apparentemente dal nulla, con la testa a forma di uovo, baffi vistosi ma ben curati e un accento forestiero: insomma, un tipo che non passa certo inosservato e che non può lasciare indifferente una donna curiosa come la sorella del dottore.

Eppure il dottor Sheppard ha ben altro a cui pensare; un preoccupato Roger Ackroyd, infatti, lo ha invitato a cenare a Fernly Park, la villa di sua proprietà che domina il villaggio e in cui risiedono tutti i suoi congiunti, per discutere in privato di una faccenda della massima importanza. Il medico teme di sapere cosa lo angustia: Ralph Paton, il figlioccio di Ackroyd, è appena tornato a King's Abbot e risiede stranamente nella pensione del villaggio. Forse i due hanno avuto una discussione e serve qualcuno che li aiuti a risolvere le loro divergenze; e chi può farlo meglio del loro migliore amico? In ogni caso, Sheppard intende fare il possibile per essere di supporto e quella sera si presenta puntuale a Fernly Park. L'atmosfera prima e durante il pasto, però, è insolitamente pesante: tutti quanti sembrano sulle spine e si comportano in modo strano, dalla signora Ackroyd a sua figlia Flora, dal maggiore Blunt al giovane Geoffrey Raymond, il segretario di Ackroyd, fino ai domestici; inoltre, come se non bastasse, Ralph non è presente. Poi alle nove e mezza, mentre sta lasciando la villa, il dottore si scontra con un giovanotto dall'aria tetra e inquietante che sta attraversando il cancello della casa. Insomma, sembra proprio che stia per succedere qualcosa di brutto... E infatti, dopo essere tornato al suo cottage, una telefonata anonima annuncia allo stupefatto Sheppard l'assassinio di Roger Ackroyd, il cui cadavere viene prontamente rinvenuto nello studio di Fernly Park. Chi si trova all'altro capo dell'apparecchio? Forse il responsabile del delitto? In realtà, tutto farebbe pensare che si tratti di un semplice furto degenerato in omicidio, e la polizia parrebbe propensa a cercare il colpevole al di fuori delle quattro mura di Fernly Park; se non fosse che Ralph ha fatto perdere le proprie tracce, suscitando in questo modo i sospetti contro di sé, e che c'è qualcuno che non la pensa come i poliziotti. Hercule Poirot (il fantomatico nuovo vicino degli Sheppard al Villino dei Larici), infatti, è stato ingaggiato per risolvere l'enigma ed è convinto di dover trovare l'assassino in una cerchia ben più ristretta, forse tra coloro i quali si trovavano nella casa di Ackroyd quella sera fatidica... In questo modo, servendosi del servizievole dottor Sheppard come surrogato del buon Hastings, Poirot inizia a raccogliere tutte le testimonianze del caso, catalogando indizi improbabili come una poltrona spostata e una penna d’oca, e mettendo tutti i tasselli del puzzle al loro posto, fino a intravedere una soluzione del tutto inaspettata, ma che si rivelerà esatta.

Lord Mountbatten, ispiratore del
trucco finale di "Dalle Nove alle
Dieci", insieme a Charlie Chaplin
Lettera con cui Agatha
Christie ringraziò Lord
Mountbatten per la trovata
di "Dalle Nove alle Dieci"
Il caso, descritto in questi termini, appare quanto mai convenzionale e conforme ai canoni tradizionali della crime story. E la cosa non sembra nemmeno così insolita; dopotutto, Agatha Christie viene riconosciuta in tutto il mondo come la giallista che, nei suoi libri, ha sfruttato gli elementi fondamentali del genere talmente bene da dare l'impressione di averli inventati lei. Anche il lettore medio cita abitualmente il villaggio di campagna inglese accanto alla figura di Miss Marple, come il viaggio in treno in relazione ad "Assassinio sull'Orient-Express" e la vacanza funestata dal delitto a "Corpi al Sole", sebbene pure altri autori si siano cimentati nella realizzazione di storie ambientate in luoghi simili. Come se questo non bastasse, poi, secondo la tradizione il genere giallo è caratterizzato da uno stile poco elaborato e superficiale (aspetto che lo pregiudica in senso negativo agli occhi di alcuni studiosi come Edmund Wilson, lo stesso già citato in relazione a "Il Segreto delle Campane", il quale aveva criticato la logorrea di Dorothy L. Sayers) che trova un grande sodale nella figura della Christie, ardente sostenitrice dell'economica enunciazione su carta di fatti e dialoghi, la quale ne ha fatto un proprio marchio di fabbrica e la fa rientrare ancora di più nel ruolo di giallista classica. Quindi, come dicevo, poiché queste caratteristiche sono state sfruttate in lungo e in largo dalla Nostra, tutto farebbe pensare che anche il mistero descritto in "Dalle Nove alle Dieci" sia semplice e ordinario; se non fosse che, come non mi stancherò mai di ripetere, nella narrativa gialla niente è come appare. Infatti, anche se il ragionamento sullo stile di scrittura può trovare un certo riscontro se paragonato a quello impiegato da altri autori (la stessa Sayers, per esempio), a dispetto di quanto si possa pensare a prima vista, nel corso della descrizione delle vicende Agatha Christie, pur sembrando in tutto e per tutto disinvolta, si ingegna a capovolgere le certezze del lettore e a sviarlo con trovate innovative e inaspettate.

E lo fa sfruttando gli stessi cliché che dovrebbero limitarla, utilizzando una narrazione unica che ha mantenuto il proprio smalto fino ai nostri giorni, spesso venata di un pizzico di humor e leggerezza come nei momenti in cui, in questo specifico frangente, descrive la vita nel villaggio e le signorine pettegole che la popolano e animano (il capitolo sulla partita a mahjong è un delizioso ritratto delle interazioni che possono svilupparsi tra vicini di casa e amici, come solo chi ha vissuto situazioni simili può raccontare) oppure mentre instaura divertenti dialoghi tra i personaggi: ad esempio, il botta-e-risposta tra la signora Ackroyd e il dottor Sheppard, fatto più di allusioni che di affermazioni, il quale rappresenta una prova tipica della maestria della Christie nel fornire al lettore elementi utili alla risoluzione del caso, insieme a divertenti note di colore e cenni al carattere dei personaggi; così come sono emblematici il discorso tra Blunt e Flora al laghetto, dove traspare non solo il trasporto sentimentale che li lega ma anche un sottile senso di disagio, e i ripetuti scontri affettuosi tra Caroline e il dottor Sheppard, nei quali si intravede più di quanto si riesca a cogliere.

Anche in questi casi, infatti, come nei momenti più "seri", Agatha Christie non si abbandona mai a frivolezze fini a se stesse. Magari descrive Hercule Poirot e i suoi atteggiamenti come se ne volesse fare una caricatura, ma sotto sotto ragiona su come ingannare il suo pubblico e, in aggiunta, fornisce osservazioni per nulla banali su menzogna, metodo, concetto di verità, sesto senso; oppure fa spiegare al suo investigatore belga, attraverso una Lezione, come si ottiene la verifica dei fatti o in che modo si possa ricavare una sorta di identikit dell'assassino. Se considerate nel complesso, insomma, nessuna di queste "divagazioni" risulta superflua alla soluzione finale; anzi, proprio attraverso il magistrale uso dei silenzi, più che delle parole, Christie riesce a svelare solo ciò che desidera sia svelato e a nascondere ciò che, invece, intende mantenere segreto, per tutto il libro, in ogni frase. Forse è questo il segreto di Agatha, quello che le ha permesso di sviluppare una maniera tutta sua di raccontare ed incantare il lettore, di metterlo alla prova ma con leggerezza, tanto che in più di un caso i suoi romanzi si rivelano essere un porto sicuro, dove rifugiarsi in momenti tristi, complicati o noiosi.

Piantine di Fernly Park e, in particolare, dello studio di
Roger Ackroyd (la scena del delitto)
La stessa vita di Agatha Mary Clarissa Miller (questo era il suo cognome da nubile, trasformato nel celeberrimo Christie in occasione del primo matrimonio e divenuto Mallowan con l'avvento della seconda relazione coniugale) sembra un'emanazione di questa speciale capacità di saper dire e non dire in base al proprio volere. A volte è stata generosa e disposta alle confidenze, altre si è rivelata più chiusa di un'ostrica. Grazie alla sua autobiografia sappiamo molto riguardo l'infanzia, il periodo più felice di tutta la sua esistenza, quello dove gli affetti rappresentati dai genitori, dal fratello, dalla sorella e dai domestici non mancarono mai; in cui le giornate erano piene ancor più del solito di voglia di fare, giocare, scoprire il mondo; durante il quale iniziò a viaggiare e che le regalò ricordi indelebili, come le giornate passate da "zia-nonnina" nella casa di Ealing. Allo stesso modo, ci ha raccontato con generosità i primi balli e gli incontri con gli innumerevoli giovanotti che la corteggiarono, così come il momento in cui si ritrovò catapultata improvvisamente nel pieno della Grande Guerra e iniziò a lavorare come infermiera al dispensario di Torquay. Ha descritto la nascita della sua carriera di scrittrice, dovuta all'impulso di un momento in occasione di una scommessa con la sorella Madge; l'incontro con Archie, il primo marito, e il loro viaggio in giro per il mondo in occasione dell'Esposizione Universale del 1924; la nascita della figlia Rosalind; la passione per le case e il cibo; il viaggio in Oriente e gli scavi archeologici. Persino la gioia nel possedere un auto di proprietà e di aver cenato accanto alla Regina d'Inghilterra. Tuttavia, riguardo altri eventi della sua vita Agatha Christie ha preferito lasciare un'ombra di incertezza e di dubbio. Il più famoso è la sua scomparsa nel 1926, quando Archie le confessò di essersi innamorato della propria segretaria e di voler divorziare. Probabilmente nessuno, al di fuori della stessa Agatha, ha mai saputo quale fu il movente scatenante di questo improvviso colpo di testa: forse un'amnesia, come sostennero i suoi familiari? Oppure un deliberato tentativo di accusare il coniuge fedifrago di averla eliminata per ottenere la separazione? Martin Edwards, sfruttando le informazioni ricavate dai romanzi di questa grande scrittrice, in "The Golden Age of Murder" ha formulato un'interessante ipotesi a riguardo. In ogni caso, resterà per sempre un mistero insoluto, poiché nemmeno prima di morire lei rivelò la verità.

Anche del suo rapporto con gli altri membri del Detection Club, l'associazione di giallisti di cui fece parte per molti anni, non racconta nella sua autobiografia; tuttavia, in questo caso possiamo sfruttare le lettere e i documenti che proprio i suoi compagni ci hanno lasciato, i quali ci tramandano un'immagine vitale e disponibile della Christie, fatta di sostegno reciproco e condivisione di interessi (la citazione al caso reale del dottor Crippen, in "Dalle Nove alle Dieci", è un segno di questi gusti comuni), oltre che di amicizia e sacrificio, come nel momento in cui lei, nonostante la timidezza, accettò di assumere la carica di Presidente del Club, poiché nessun altro possedeva le specifiche capacità richieste dal ruolo. La modestia fu sempre una delle sue caratteristiche principali, tanto che odiava rilasciare interviste (non si fidava della stampa, dopo che essa l'aveva gettata in pasto alla gente al momento della sua scomparsa) e non riusciva a spiccare parola davanti a un pubblico o ad eseguire correttamente un pezzo al pianoforte, se le premesse si facevano terribilmente ufficiali; ma il tratto caratteriale che a mio parere l'ha saputa contraddistinguere maggiormente è stata soprattutto la sua grandissima gioia di vivere, la quale le permise di coltivare un carattere solare, purché venato a volte da qualche ombra, che lei riversò nei suoi personaggi, rendendoli più vivi che mai e, in questo modo, facendoceli amare anche nella loro imperfezione.

Così, mentre osserviamo i tentativi di Caroline Sheppard di ottenere informazioni da coloro che la circondano (tra l'altro, a detta della sua autrice, fu l'ispirazione per la figura di Miss Jane Marple), oppure la vecchia signora Ackroyd che tenta precipitosamente di trovare una scusa alle proprie mosse maldestre, o ancora l'evoluzione del rapporto tra Blunt e Flora Ackroyd e il progressivo sviluppo della personalità del dottor Sheppard a contatto con Poirot, ci accorgiamo che potremmo essere noi i protagonisti delle sue trame, in procinto di affrontare le nostre sfide e di rialzarci ogni volta che cadiamo. Tutti loro non sono mai come sembrano, attori di un romanzo giallo che ingannano il lettore; cosa dire allora di noi stessi, che indossiamo ogni giorno una maschera diversa? Agatha Christie l'aveva capito, ed era riuscita a trasportare questa consapevolezza (e la vita reale) sulla carta per farne materiale da usare allo scopo di sviare il lettore; senza mai barare, per giunta. Perché se c'è qualcosa che non possiamo proprio rimproverare alla Signora del Delitto, quello è proprio il suo Onesto Inganno: ovvero, fornirci tutti gli indizi che ci servono (rispettando il rigido fair-play) e, allo stesso tempo, menarci per il naso con una classe a tutt'oggi ineguagliata. Di questo ci sono tantissimi esempi tra le sue opere, e nonostante le accuse di aver barato che le sono state rivolte, sono convinto che anche in "Dalle Nove alle Dieci" esso venga rispettato (ne è la prova la spiegazione finale del trucco su cui si basa l'enigma, curiosamente suggerita da due fonti differenti, Lord Mountbatten e James Watts, cognato della Christie); in fondo, la Nostra non ha fatto altro che dare una svolta sorprendente e rivoluzionaria al genere, grazie a un tour de force equilibrato e simile a un esercizio al trapezio, senza nascondere al pubblico più attento il suo trucco, come chiunque desidererebbe fosse fatto per continuare ad essere sorpreso.

E chi tira in ballo le regole non scritte della crime story, dovrebbe ricordare che monsignor Ronald Knox era ironico quando delineò il suo Decalogo; ciò che è davvero essenziale, quando si scrive un romanzo giallo, è stupire il lettore, superarlo in astuzia, sconcertare. Poi, se riesci a introdurre concetti sociali e culturali come, ad esempio, l'assicurare la giustizia agli innocenti che non possono più averla (temi fondamentali degli alti suoi capolavori riconosciuti, "Assassinio sull'Orient-Express" e "Dieci Piccoli Indiani"), allora tanto meglio. Altrimenti, a mio parere va più che bene anche "un brillante trucco alla Maskelyne", come T.S. Eliot definì "Dalle Nove alle Dieci" citando un abile prestigiatore dell'epoca; un libro difeso nientemeno che da Dorothy L. Sayers,  famigerata per essere implacabile nel bocciare le opere che sfruttavano trucchi disonesti per far quadrare le vicende narrate, la quale spazzò via le critiche rivoltegli osservando con semplicità che "è compito del lettore sospettare di tutti quanti". Insomma, c'è ancora bisogno di mettere in dubbio l'onestà della soluzione di questo straordinario capolavoro?

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