Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Se c'è una crime novel che, sull'onda della sperimentazione e dell'innovazione che caratterizzarono la Golden Age del romanzo giallo, si è spinta ai limiti del genere e ha provato a romperne gli schemi, quella è stata "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers. Ispiratrice di numerosi altri romanzi gialli (come "The Bishop's Crime" di H. C. Bailey e "Dead Men's Morris" e "St. Peter's Finger" di Gladys Mitchell), sotto certi aspetti essa presenta un delitto decisamente tradizionale, con un misterioso omicidio avvenuto in un sonnolento villaggio sullo stile di St. Mary Mead (dove vive l'arguta Miss Jane Marple di Agatha Christie) e una cerchia di sospetti poco estesa, in cui l'investigatore dilettante indaga a fianco della polizia, tra false piste e indizi incomprensibili, per individuare il colpevole. Eppure, come nei mysteries più sorprendenti, ben presto ci accorgiamo di trovarci davanti a un libro dove, accanto all'ambientazione e al clima di distensione campagnoli, tipici delle storie classiche, vengono accostati temi inconsueti e uno stile complesso ma non per questo astruso, in cui l'attenzione per i dettagli della vita della gente comune assume un'enorme importanza e risulta fondersi in un genere misto, così da mettere insieme l'indagine ordinaria con un tipo di narrazione più descrittiva nel tratteggiare, giorno per giorno, il carattere e l'esistenza di un gruppo di persone e le piccole e grandi sfide che esse si trovano a dover affrontare: ovvero, quella della cosiddetta comedy of manners. Una vicenda insolita, insomma, in cui il paesaggio diventa parte del mistero e agli stereotipi artificiosi viene sostituita la personalità dell'individuo.
Siamo nella regione dei Fens, nell'East Anglia. È la vigilia di Capodanno e lord Peter Wimsey, insieme al fedele Bunter, si sta dirigendo a Walbeach per trascorrervi le feste, quando l'auto su cui i due viaggiano finisce fuori strada a causa della bufera di neve che imperversa sulla desolata pianura spazzata dal vento, costringendoli a cercare rifugio nel vicino villaggio di Fenchurch St. Paul. Lì vengono accolti con estremo calore nella canonica, sita accanto alla cattedrale che svetta alta contro il cielo, dall'entusiasta rettore Venables e dai suoi amici i quali, rispettosi di un'antica tradizione, si preparano a eseguire un concerto di campane di nove ore per salutare l'anno venturo, così da stabilire un nuovo record e festeggiare in allegria. Tuttavia, poche ore prima dell'inizio della grande esibizione musicale, giunge la notizia che uno dei campanari, Will Thoday, si è ammalato e non potrà partecipare all'impresa, rischiando di rendere vani i sogni di gloria dei suoi compagni... Se non fosse che Sua Signoria può vantare trascorsi come suonatore di campane, per cui si propone come sostituto per ricambiare la gentile ospitalità del rettore e permettere a quella gente semplice di realizzare il loro grandioso progetto. Il sacerdote e i suoi compagni accettano di buon grado l'offerta, e durante la notte tra il 31 dicembre e il mattino del 1° gennaio l'esibizione, con grande soddisfazione e felicità di tutta la popolazione, viene portata a compimento; ma al rientro nella canonica una triste notizia aspetta i concertisti: Lady Thorpe, la moglie del signorotto locale, è in fin di vita e desidera ricevere l'estrema unzione prima di morire. Una disgrazia, osserva la signora Venables, mentre il rettore si affretta a raggiungere Red House; soprattutto se legata alla cattiva salute di Sir Henry e a tutta una serie di guai che si è abbattuta sulla sua famiglia, tra cui il vecchio scandalo, mai del tutto dimenticato, legato alla collana di smeraldi di lady Wilbraham. "Quale collana?" chiede lord Peter, incuriosito.
Si tratta, spiega la donna, di un efferato furto avvenuto poco prima della Grande Guerra: in quel periodo il maggiordomo di Red House, tale Deacon, aveva sottratto un gioiello dal valore inestimabile a un'ospite dei suoi padroni; e sebbene fosse stato presto identificato come l'autore del crimine insieme alla sua giovane moglie, Mary Russell (ora signora Thoday), e a un complice londinese di nome Cranton e fosse stato consegnato alla giustizia, nessuno era mai riuscito a recuperare il maltolto. In seguito Deacon era stato spedito in prigione e, poco dopo, ucciso in un tentativo di fuga. Un caso doloroso, che ancora perseguita i Thorpe ma ormai, immagina lord Peter mentre si prepara a lasciare Fenchurch St. Paul, troppo remoto per poter essere risolto... O forse no? Pochi giorni dopo la sua partenza, infatti, nel cimitero del villaggio viene trovato un cadavere sfigurato, con le mani mozzate e sepolto in gran fretta nella tomba di un altro defunto. Chi è lo sconosciuto, e come ha fatto ad arrivare lì senza che nessuno si accorgesse di niente? Si tratta forse dell'uomo che Sua Signoria aveva incontrato allontanandosi da Fenchurch e che, grazie ad alcuni tratti caratteristici, aveva riconosciuto come un ex galeotto? Il rettore Venables chiede aiuto a lord Peter per risolvere il caso e quest'ultimo accetta di affiancare la polizia nelle sue ricerche, imbarcandosi in un'indagine parallela a quella del sovrintendente Blundell, lunga un anno intero, tra l'Inghilterra e la Francia, al seguito di un criminale sparito dalla faccia della terra e di un uomo che sostiene di aver perso la memoria, tra crittogrammi da decifrare e allegre descrizioni della vita rurale degli abitanti del villaggio; fino a tornare al Natale e allo stesso Fenchurch St. Paul, dove i fili verranno sciolti da Sua Signoria in un finale che richiama fortemente la scena dello sbarco dall'Arca di Noè, con i campi allagati e le nove campane della cattedrale intente a ruggire la propria immortalità e onnipotenza.
Dorothy Leigh Sayers, nata nel 1893 e morta nel 1957 |
"Il Segreto delle Campane" non è affatto un romanzo "semplice"; o meglio, non è da prendere alla leggera. Spesso i gialli vengono tacciati di essere frivoli o addirittura scadenti nelle loro trame e nella trattazione superficiale di temi importanti; in questo caso, invece, ci troviamo di fronte alla diretta antitesi di tutto questo: non c'è nulla di insensato, di futile, di vacuo nel libro di Dorothy L. Sayers; anzi, c'è chi ha affermato che questo volume abbia addirittura superato tutti i limiti in senso opposto. La complessità del suo stile, ad esempio, ha spinto il critico Edmund Wilson a giudicare "Il Segreto delle Campane" come "uno dei romanzi più noiosi che avessi mai letto"; mentre Queenie Leavis, riferendosi alla sua opera completa, accusò la Sayers di voler rifilare al lettore "un esercizio intellettuale che egli odia nel caso esso gli venga sottoposto" (opinione alquanto discutibile). Per conto mio, credo che i manierismi della scrittura della grande Dorothy (comprese le numerosissime citazioni, all'inizio di ogni capitolo o nel mezzo del racconto) siano più che giustificati in un romanzo del genere, in cui parte del fascino sta nel lasciarsi trasportare nei luoghi e nelle digressioni, i quali ci aiutano a comprendere meglio il contesto descritto nella vicenda.
Eppure sono consapevole che, a volte, chi legge una crime novel non vuole far altro che distrarsi un po', e quindi una tale profusione di eloquenza può intimorire e annoiare. Se questo è il vostro caso, sareste i primi a stroncare "Il Segreto delle Campane". Sareste frustrati dal continuo riferimento alla campanologia, questa antica arte misteriosa, che vanta illustri trascorsi solo in terra d'Albione e che ci appare estranea alla soluzione del caso, e vi chiedereste perché l'autrice si ostini a fare riferimenti alla tradizione anglosassone del cosiddetto bell-ringing, con tanto di date e aneddoti su grandi concerti del passato, e ad inserire nozioni sulle campane "messe in piedi", "chiamate nel mezzo", "a rovescio" o "in anticipo", che agli occhi del lettore medio non potranno mai possedere alcuna importanza. Trovereste tediosi i discorsi sulle maree dei Fens, in cui si spendono pagine e pagine a disquisire sulle dighe, che vengono aperte o chiuse e hanno un così importante ruolo nelle faccende politiche del Governo inglese dei primi del Novecento. Non vedreste la necessità di soffermarsi sugli aneddoti della storia del paese e dei suoi abitanti, di riportare parola per parola le iscrizioni incise sulle campane di Fenchurch St. Paul, di raccontare le tribolazioni a cui fanno fronte i contadini e gli artigiani che compongono l'esiguo numero degli abitanti del villaggio. Insomma, vi aspettereste un'esposizione del caso chiara e rapida come di solito accade con quella campionessa di lucida onestà e sottile inganno che è Agatha Christie. Eppure qui è Dorothy L. Sayers a muovere i fili dei burattini, quell'erudita, coraggiosa, franca, vigorosa, fragile, sperimentatrice e puntigliosa matrona del buon costume e fervente sostenitrice dell'alta letteratura.
"Floods" by Roland Vivian Pitchforth, c. 1935 (Pulborough, Sussex) raffigurante una piena in campagna |
Una delle immagini presenti nell'edizione della Polillo Editore, raffigurante la Cattedrale di Fenchurch St. Paul e un dettaglio del suo soffitto |
Dorothy L. Sayers, in sintesi, fu una straordinaria narratrice che, sebbene avesse vissuto tanti momenti di dolore e di difficoltà come Christie, ebbe una formazione (fu una delle prime donne a laurearsi) e una concezione della crime story molto differente da quelle dalla collega. Basta conoscere a grandi linee la sua vita per capire come l'approccio alla sua opera (e a questo libro) debba almeno provare ad essere diverso. Ci viene chiesto di immergerci in esso con tutti noi stessi, con lo spirito di voler intraprendere una lettura meno superficiale di quella che, all'occorrenza, metteremmo in pratica con i romanzi di Christie. Di cambiare punto di vista, ad esempio, e di immaginare per un momento che le questioni sulla campanologia, le maree e gli innocenti accenni alle vite della gente vengano tagliate da questo romanzo; che cosa resterebbe? Il nostro caso, ovviamente, ma più povero e... meno intrigante. Perché, se ci pensiamo bene, quelle parti non sono passaggi così inutili come poteva sembrare all'inizio, piccoli tasselli all'apparenza insignificanti, ma elementi si cui viene costruito uno degli enigmi più sorprendenti della Golden Age del giallo; almeno, questa è la mia opinione personale. Le chiuse e le vicende ad esse legate contribuiscono a tratteggiare meglio la descrizione dei luoghi e ad esaltare l'ambientazione in cui si svolge la storia, sapientemente tratteggiata in numerosi paragrafi, così come la chiesa con le sue funzioni potenti, e la rievocazione della battaglia sulla Somme in Francia permette al lettore di raffigurarsi meglio come devono essersi svolti i fatti al di là della Manica. È questo uno dei punti forti del romanzo, con le descrizioni accurate che soltanto chi ha vissuto nella zona del Fens o ha percepito sulla propria pelle le vicende della guerra può raccontare; e anche i dialoghi (insieme alla struttura stessa del romanzo, sotto forma di saggio sullo studio dei concerti di campane) denotano una sapiente costruzione, a volte leggeri e simpatici, altre densi e appassionanti.
Ci facciamo sommergere dalla parlantina del rettore Venables (tipico esempio dello humor insito nella scrittura di Sayers), ospitale, entusiasta, con una fede incrollabile, che ci racconta di questo e di quello, ma non è qualcosa che crea disturbo alla narrazione; anzi, magari ci divertiamo pure a sapere che sta facendo tardi per chissà quale appuntamento ma continua a trattenersi per parlare a ruota libera del più e del meno, e nel frattempo il tempo all'interno del romanzo, scandito dal trascorrere delle quattro stagioni, riesce a scorrere con grande fluidità e senza scatti frenetici, come se assistessimo in prima persona a quanto accade davanti ai nostri occhi. I personaggi (lord Peter primo tra tutti, col suo umorismo misto ad intelligenza, ma anche Hilary Thorpe e Will Thoday che ad modo loro, un po' una e un po' l'altro, incarnano alcuni pensieri dell'autrice sull'esistenza) risultano quindi divertenti e credibili, proprio grazie al loro essere genuini, con quel misto di sbadataggine e solennità che li caratterizza, tra battibecchi, orazioni funebri e piccoli gesti quotidiani trasformati in grandi azioni, pervasi da una sorta di austera maestosità che li esalta. Un gruppo di abitanti della campagna inglese di inizio Novecento, vivi come se li vedessimo con i nostri occhi e provinciali, tra i quali la religione gioca un ruolo importantissimo nella vita di tutti i giorni. Figlia di un pastore della Chiesa Anglicana, Dorothy L. Sayers aveva un forte senso del peccato e di cosa fosse giusto o sbagliato; e in "Il Segreto delle Campane" si possano rintracciare queste influenze, dal timore che certi personaggi provano di fronte ai propri gesti a una sorta di fatale destino che sembra abbattersi su coloro che si sono comportati male. L'enigma stesso, di altissimo livello, non subordinato alle eccellenti ambientazione e scrittura, con una struttura basata su colpi di scena e frequente azione, e capace di presentare indizi ma, allo stesso tempo, di nascondere la verità, ci mostra come sembri esserci una forza più grande di noi a giudicare l'uomo. "[Dio] è un giudice giusto, forte e paziente, e viene offeso ogni momento" ci ricorda il rettore Venables, e così sembrano fare Batty Thomas, Paul Taylor, Gaude, Jubilee, Dimity, Sabaoth, John e Jericho, le maestose campane della cattedrale che ruggiscono elevandosi al cielo, simili a giganti, in questa storia di fede e giustizia inevitabile, dove chi ha peccato viene raggiunto dalla mano di Dio ovunque si trovi per essere condotto al patibolo che gli spetta. Un insegnamento forse un po' dogmatico, ma di sicuro efficace, che ha reso "Il Segreto delle Campane" il mio romanzo giallo preferito.
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