Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Si possono fare tantissimi esempi di ciò. Prendiamo Dorothy L. Sayers la quale, allo stesso modo di J.S. Fletcher nel campo del giornalismo e Freeman Wills Crofts in quello delle ferrovie, trasse ispirazione e spunto dal proprio lavoro dai pubblicitari Benson's per costruire e dare colore a "Lord Peter e l'Altro". Grazie all'esperienza, poté non solo ideare un crimine sfruttando tutti gli elementi possibili e la conoscenza del proprio ruolo all'interno di un nucleo specifico di persone, ma anche dare originalità alla canonica trama che prevede un cadavere su di una scena del delitto e un investigatore (dilettante o professionista) convocato a risolvere il mistero. Ecco, qualcosa di simile riuscirono a fare un po' tutti i suoi colleghi, i quali venivano da un ambiente familiare che si identificava con un ceto medio-elevato e pertanto avevano frequentato istituti più prestigiosi di quelli destinati al popolo della periferia. Come racconta Martin Edwards in "The Story of Classic Crime in 100 Books", ad esempio, tra i primi ventotto membri del Detection Club partendo dalla sua fondazione, non meno di quattro di loro (Ronald Knox, Douglas Cole, Lord Gorell ed Edgar Jepson) aveva frequentato il prestigioso Balliol di Oxford! Il loro era un circolo a cui appartenevano soprattutto esponenti di un mondo elitario, composto da membri accomunati da radici comuni che si svilupparono in percorsi di vita differenti, il quale tuttavia riusciva a parlare a chiunque con un linguaggio universale: quello della natura umana. E si sa che l'essere vivente manifesta se stesso in ogni momento della propria vita; soprattutto quando egli viene raffigurato dentro un gruppo. Per questo agenzie pubblicitarie, stazioni, uffici bancari e appunto scuole costituirono un terreno molto fertile che permise ai giallisti della Golden Age di sbizzarrirsi. Tra nomi come Nicholas Blake, Christopher Bush, Gladys Mitchell e R.C. Woodthorpe, oggi ho scelto Michael Innes col suo "Morte nello Studio del Rettore" (Polillo Editore, 2008), dal momento che egli viene considerato il capostipite del filone del "giallo universitario". Non avrei potuto selezionare autore migliore; e questo romanzo ne è la prova, dal momento che tratta un caso complessissimo e avvincente che coinvolge docenti e studenti, tra ironia e terrore.
New College, Oxford, Antique Print, 1920s, raffigurante un complesso studentesco simile al St. Anthony |
Esse sono di proprietà dei succitati docenti anziani e di alcuni membri del personale: Tracy Deighton-Clerk, il preside; Empson, docente di psicologia e scienza della mente; John Haveland, professore di antropologia; Pownall, insegnante di storia antica; Samuel Titlow, docente di archeologia classica; Giles Gott, censore addetto alla ronda e giallista sotto pseudonimo; Arthur Lambrick, matematico. Chiudono il cerchio dei sospetti il dottor Barocho; Ian Campbell, insegnante di etnologia e alpinista provetto; Denis Chalmers-Paton; l'anziano professor Curtis che è in procinto di godersi una meritata pensione. Tutti costoro hanno trascorso la notte dentro il St. Anthony's oppure erano in possesso della fatidica chiave che avrebbe aperto i cancelli all'omicida, pertanto sono sia testimoni sia probabili assassini. E il fatto che tutti loro, più o meno, avessero un movente valido per togliere di mezzo Umpleby non semplifica le cose. L'ex rettore si era macchiato di oscuri furti di idee, di velate frecciate ai danni dei colleghi, di essere fonte di insensati battibecchi; chiunque potrebbe essersi offeso al punto di decidere di toglierlo di torno. Ma Appleby non è uno sprovveduto: lui stesso ha frequentato il St. Anthony's qualche tempo prima e sa come funziona la mente di questi docenti svagati soltanto all'apparenza. Può sembrare che loro non abbiano alcun cruccio al mondo, che siano immersi in elucubrazioni astratte e che nulla riesca a toccarli; ma in realtà sono più soggetti agli impulsi provenienti dall'esterno della gente normale. Ciò che non scompone minimamente un idraulico, può scuotere fin dalle fondamenta il fragile castello di carte che ogni professore ha costruito, la loro carriera andare in frantumi a causa di una minima scossa. Pertanto, decide di unire la forza bruta dei poliziotti al comando di Dodd e la conoscenza psicologica e mentale che lo contraddistingue per incastrare il colpevole, inconsapevole che parte del suo lavoro verrà svolto da tre studenti annoiati, i quali si lanceranno a caccia di un sospettato per il puro gusto di un pomeriggio di svago e del rispetto della giustizia.
A Road in Seine et Marne, Alfred Sisley, 1875, raffigurante un paesaggio campagnolo simile a quello di Burford |
Perché dico "all'apparenza"? Semplicemente perché proprio su di essi si basa l'interpretazione della maggior parte delle prove e la raccolta di indizi utili allo svelamento della verità. Con questo non intendo dire che sia esclusivamente così: ci sono molti elementi pratici su cui Dodd e Appleby fanno affidamento, come le impronte sull'arma del delitto, alcuni segni su di un oggetto voluminoso che ha avuto un ruolo centrale nella costruzione della messinscena nello studio, le stesse ossa sparse attorno a Umpleby costituiscono una prova che può o non può indicare con sicurezza un certo individuo. Però, ho avuto come la sensazione che Innes abbia conferito maggiore spessore al lavorio mentale di Appleby, al suo saper cogliere sfumature in ciò che viene o non viene detto, al tono o alla reazione coi quali una determinata persona risponde. Non per nulla, l'autore viene considerato alla pari di due artisti dello scavare nella natura umana come Nicholas Blake e Margery Allingham, capaci di sfruttare una certa erudizione per interpretare il groviglio psicotico che si nasconde dietro le maschere che tutti noi portiamo addosso. Si tratta di un lavorone (se avete letto "Quando l'Amore Uccide" oppure "Morte di un Fantasma", per fare un esempio ciascuno dei giallisti appena citati, ve ne sarete resi conto), che parte da premesse semplici come banali assassini per poi dare vita a trame in cui ci sono svolte vertiginose e inaspettate dietro ogni angolo. La stessa di "Morte nello Studio del Rettore" si inalbera dal presupposto di un omicidio avvenuto dentro un college come tanti altri, ma è il modo attraverso il quale essa viene interpretata a restituire la qualità dell'opera. Modo che, sfortunatamente, non a tutti piacerà. E lo dico a ragion veduta, visto che ad esempio ho letto una brevissima recensione da due stelle su cinque per questo romanzo, in cui veniva criticato il fatto che ogni cosa appariva troppo verbosa e contorta. Già; "Morte nello Studio del Rettore" di Michael Innes è assolutamente pieno di paroloni, di similitudini, di riferimenti ad opere letterarie di genere "elevato", di citazioni a filosofi e ad altri illustri e augusti personaggi della Storia della letteratura. Non si scappa da questo fatto. A qualcuno farà storcere il naso, ne sono certo; però chi come il sottoscritto si diverte ad affrontare letture stuzzicanti dal punto di vista della comprensione non resterà deluso. L'enigma coinvolge talmente tante variabili, tante prove che possono essere interpretate in differenti modi, tante piccole scoperte capaci di capovolgere e ricapovolgere i sospetti, che non lascerà nessuno indifferente. Nel bene o nel male, sta a seconda del gusto del lettore.
John Innes Mackintosh Stewart, alias Michael Innes, nato nel 1906 e morto nel 1994 |
Alla sua copiosa produzione, firmata sempre come Michael Innes, l'autore dedicava due ore ogni mattina, dalle sei alle otto, prima di dedicarsi al lavoro universitario. Dal 1936 al 1986 si contano circa cinquanta opere, tutte con protagonista lo stesso investigatore, l'ispettore John Appleby di Scotland Yard il quale, per la fine della propria carriera, avrebbe raggiunto il grado di commissario della Polizia Metropolitana e ottenuto nientemeno che un cavalierato. Uomo di straordinaria cultura, di metodi raffinati e di grande sensibilità, egli si sposerà con Judith Raven ( in "Applesby's End")e avrà un figlio, Bobby, il quale seguirà le orme del padre nel campo delle investigazioni. Tra i romanzi più famosi di Innes si contano, oltre a quelli già segnalati, "Lament for a Maker", "Stop Press", "The Daffodil Affair", "Delitto a Elvedon Court", "Meglio Erede che Morto" e "Christmas at Candleshoe", dal quale Disney trasse il film "Una Ragazza, un Maggiordomo e una Lady"; oltre alla spy story "The Man from the Sea"inserita dal critico Julian Symons nella sua lista dei cento migliori romanzi gialli di tutti i tempi. Importante fonte di ispirazione per altri giallisti come Edmund Crispin, Innes morì nel 1992, dopo un felice matrimonio e ben cinque figli. Come dicevo, fu molto apprezzato dalla critica, la quale gli riservò sempre tanti elogi: riguardo "Morte nello Studio del Rettore", ad esempio, il Times lo descrisse come "il più importante contributo alla letteratura gialla apparso da molto tempo a questa parte"; il celebre critico e autore di "The Cain's Jawbone", Torquemada, lo rilesse ben due volte prima di poter assicurare come, nonostante la complessità, esso fosse un romanzo "non vulnerabile in nessun momento"; Nicholas Blake lo celebrò sullo Spectator come "il miglio esordio che avesse mai letto". E in effetti le cose stanno proprio così. A prima vista, infatti, "Morte nello Studio del Rettore" può forse dare l'impressione di essere fin troppo pretenzioso, lento e poco equilibrato in fatto di ironia e dramma; ma non è affatto questo ciò che io ho tratto dalla sua lettura. Anzi, penso che quest'opera serva proprio a dimostrare come sia errato quel postulato secondo cui un romanzo del mistero non debba mai essere preso troppo sul serio: in questo caso, se non ti costringi a dare importanza a ciò che esso racconta, non riuscirai ad apprezzarlo fino in fondo.
Copertina dell'edizione più recente del romanzo in lingua inglese |
Al di là di questo, comunque, ci sono altri elementi che mi hanno portato a promuovere "Morte nello Studio del Rettore". Dietro alla persistente serietà dei toni, ogni tanto emergono sprazzi ironici che fanno tirare il fiato al lettore: le parti con protagonisti gli studenti a caccia di fantomatici assassini sono tra le migliori del romanzo, ma pure i discorsi tra Appleby e Dodd oppure quelli con il professor Curtis e Gott sono simpatiche. Sono numerosissimi i riferimenti al genere giallo, tra citazioni di Edgar Allan Poe, Thomas De Quincey, titoli di opere e riferimenti a delitti fittizi (pp. 14-15, 18-19, 25-29, 33-34, 46-47, 75-76, 85, 103, 120, 126-128, 187-191, cap. 12, 205-207, 220, 293). L'ambientazione è affascinante quanto l'atmosfera generale della storia (pp. 85-93, 97-99): c'è indubbiamente più "scena mentale" che "scena pragmatica", dal momento che contano più le tabelle orarie di quelle planimetriche e che l'importante sia inserire in una sorta di diagramma ipotetico gli stati d'animo a discapito dei numeri, ma non mi sento di dire che Innes sia stato carente da questo punto di vista. Bene o male, riusciamo a farci un'idea del St. Anthony e di come sia il classico mondo accademico che in esso alberga. E a proposito di mondo accademico, la parte del leone in "Morte nello Studio del Rettore" la fanno i personaggi. Sono loro il fulcro attorno a cui ruotano le vicende in ogni momento, sono sempre al centro dell'attenzione e come posti sotto una lente d'ingrandimento; lente che, tuttavia, ne evidenzia più il carattere rispetto alla fisicità. Ho avuto l'impressione che Innes intendesse mettere in mostra più la loro personalità, rischiando così di tralasciare elementi che ci permettessero di distinguere meglio Empson da Titlow, per fare un esempio. In questo senso, in effetti, è stato un po' carente, ma non bisogna dimenticare che il suo scopo era proprio quello di analizzare in profondità il sentimento. Riconosciamo Deighton-Clerk dall'atteggiamento oltraggiato, Titlow dal pessimismo, Haveland dalla paranoia, Curtis dall'arguzia, Ransome dalla schiettezza... Indubbiamente è un processo meno immediato, ma credo pure interessante. Solo Appleby ci appare come un individuo in carne ed ossa a tutto tondo, dotato tanto di intelligenza quanto di pragmatismo: sviluppato nel corso dei romanzi della serie, nasce, cresce e si sviluppa davanti ai nostri occhi, mettendo in luce caratteristiche nuove e differenze con Dodd. Per il resto, l'unica altra cosa degna di nota è il fatto che non ci sono personaggi femminili in "Morte nello Studio del Rettore". Una stranezza che non passa inosservata. Detto ciò, sono convinto che questo giallo possa fare la felicità di coloro i quali vogliono andare oltre il semplice divertimento e svago, facendo un'immersione in un mondo tanto strano e astruso quanto suggestivo. Non cedete alle apparenze e date una possibilità a Michael Innes: il suo esordio è una bomba che vi irretirà e non vi permetterà di sfuggirgli.
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