venerdì 31 gennaio 2020

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Febbraio 2020)

Salve a tutti, amici dell'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario. L'interminabile (almeno per me) primo mese dell'anno sta volgendo al temine e Febbraio si affaccia di fronte a noi, carico di tante cose da fare e, soprattutto, da leggere. Spero che vi siate caricati, in occasione della relativa moria di pubblicazioni di Gennaio, perché stavolta ci aspettano molte nuove letture interessanti. Io farò del mio meglio per presentarvele, mentre ancora recupero le ultime recensioni ancora in sospeso, per poi tornare alla carica con una serie di letture in tema con future ripubblicazioni in lingua inglese.

Copertina di "Dov'è Cicely?" pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 1429
Dunque, partiamo con l'uscita da edicola. Nel mese in procinto di iniziare, infatti, oltre ai consueti nuovi titoli da libreria, anche il Giallo Mondadori riserverà una sorpresa davvero gradita: ovvero, la pubblicazione del raro e molto atteso "Dov'è Cicely?" di nientemeno che Anthony Berkeley, nella collana dei Classici in uscita ai primi di Febbraio. Pubblicato per la prima volta nel 1927 sotto lo pseudonimo di A. Monmouth Platts, questo romanzo si attiene in tutto e per tutto al modello che l'autore ha instaurato nel corso della sua carriera. Innanzitutto, esso presenta numerosi cenni biografici a personaggi e luoghi che ebbero un forte legame con l'autore (i nomi di alcuni dei primi richiamano persone che Berkeley conobbe sul serio, mentre dai secondi egli prese a prestito i soprannomi per costituire proprio il suo pseudonimo). La sua trama, inoltre, si basa sulla sparizione impossibile di una giovane ragazza, la Cicely del titolo, la quale avviene durante una seduta spiritica nella casa della zia acquisita. Il rituale doveva essere qualcosa di scherzoso, un intrattenimento per trascorrere qualche ora oziosa; invece la ragazza, benché circondata da un folto gruppo di individui ben poco simpatici (altra caratteristica della narrativa di Berkeley), sparisce sul serio da una stanza da cui (almeno in teoria) non si poteva uscire in alcun modo. Toccherà a Stephen Munro, giovane gentiluomo inglese caduto in disgrazia, lasciare i panni di novello valletto per indossare quelli dell'investigatore dilettante e risolvere un mistero apparentemente inspiegabile; un classico giallo della camera chiusa che, sebbene non si possa paragonare al geniale "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati", va letto per l'importanza del suo autore all'interno del genere (Berkeley fu il "vero" fondatore del Detection Club) e per la sua intrinseca eccezionalità: in questa uscita italiana, infatti, "Dov'è Cicely?" vede per la terza volta la luce su scala mondiale, dopo l'edizione originale del 1927 e quella giapponese di una quindicina di anni fa (grazie Pietro per l'appunto!), precedendo addirittura quella inglese o americana.

In secondo luogo, Febbraio vedrà il proseguo della serie del Detective Kindaichi, avviata da Sellerio con il titolo omonimo l'anno scorso. Stavolta, tocca a "La Locanda del Gatto Nero", in uscita nel corso del mese. Sfortunatamente, per il momento non si conosce altro (presumo che sia la traduzione di "The Case of the Black Cat Restaurant" del 1947, ma sul Web non ho trovato nemmeno una trama da cui attingere qualche informazione). Tuttavia, vorrei segnalare a chi fosse interessato che il Giallo Mondadori, a suo tempo, pubblicò la traduzione di "The Inugami Curse" sotto il titolo "L'Ascia, il Koto e il Crisantemo". Ci aggiorneremo non appena si saprà qualcosa in più riguardo questo titolo, promesso.

Copertina di "Il Regno delle Ombre"
pubblicata da Einaudi
Infine, per gli amanti del giallo classico declinato in chiave moderna, il 25 febbraio Einaudi pubblicherà il nuovo romanzo della serie di Armand Gamache, "Il Regno delle Ombre" di Louise Penny. Era da tempo che mi domandavo quando sarebbe stato pubblicato (a dirla tutta, era previsto per lo scorso dicembre), e finalmente i desideri di noi lettori sono stati esauditi. Si tratta della traduzione di "Kingdom of the Blind"(2018), il seguito di "Case di Vetro" e penultima avventura dell'ispettore capo della Surete del Quebec (anche se la serie non terminerà a breve). Siamo ancora una volta in pieno inverno, ma stavolta Gamache si trova coinvolto in uno strano caso che vede se stesso quale esecutore testamentario di un'anziana e sconosciuta "Baronessa", una tale Myrna che vive nel vicinato di Three Pines, il piccolo paese al confine tra Canada e Stati Uniti che tanto lo ha affascinato fin dalla sua prima inchiesta in "Still Life". Il testamento della donna, tuttavia, contiene alcune clausole bizzarre che fanno sospettare all'ispettore che tutta la faccenda sia uno scherzo di cattivo gusto e che si risolverà con qualche semplice seccatura; eppure, passano pochi giorni e nella fattoria della Baronessa viene rinvenuto un cadavere. Chi è la vittima di omicidio? Ha qualcosa a che fare col carico di droga che sta per riversarsi sulle strade di Montreal, il quale ha messo tanto in difficoltà Gamache e lo ha ridotto ad essere sospeso dal servizio di polizia? Lo scoprirete se leggerete "Il Regno delle Ombre".

Copertina di "Death in White Pyjamas &
Death Knows No Calendar" pubblicato
dalla British Library Crime Classics
Questo per quanto riguarda le uscite in italiano. Per quelle in lingua inglese, invece, vi voglio segnalare tre titoli. Il primo è "Death in White Pyjamas & Death Knows No Calendar", di John Bude, il quale raccoglie due romanzi brevi dell'autore di "The Cornish Coast Murders". In "Death in White Pyjamas", un attore viene ucciso all'interno del parco di una villa di campagna, dove un gruppo teatrale guidato da un produttore e uno sceneggiatore si è riunito per discutere una nuova piece teatrale da mettere in scena. Il cadavere, tuttavia, indossa un pigiama che sembra non appartenergli. Come mai? Toccherà all'ispettore Harting e al sergente Dane trovare una risposta a questo quesito e a risolvere il curioso caso. In "Death Knows No Calendar", invece, il maggiore Tom Boddy (grande appassionato di romanzi gialli) si ritrova ad indagare su di una sparatoria avvenuta in una camera chiusa, dove l'assassino non si trova. Certo, ci sono ben quattro sospettati; però non è facile attribuire all'uno o all'altro il prodigioso omicidio, senza contare che in questo mystery molto atteso gli elementi impossibili del crimine da risolvere si riveleranno ben più di quanto Boddy credesse.

Copertina di "The Inugami Curse"
pubblicato da Pushkin Vertigo
L'altro titolo, infine, è pubblicato da Pushkin Vertigo. Si tratta di "The Inugami Curse" di Seishi Yokomizo; lo stesso autore della serie di Kindaichi di cui ho parlato poco sopra. Anche in Inghilterra, infatti, si sta riscoprendo questo autore e Pushkin ha già pubblicato "The Honjin Murders" (il nostro "Il Detective Kindaichi") alla fine dell'anno scorso. Con questa seconda uscita, la serie continua a presentare delitti avvenuti in Giappone: stavolta, la vicenda si svolge nel 1940, quando il capofamiglia degli Inugami muore e i suoi eredi si apprestano a beneficiare del suo testamento e dei suoi lasciti. Ognuno appare desideroso di mettere la mano sulla propria fetta del patrimonio del vecchio; alcuni, forse fin troppo. Infatti, non appena inizia a delinearsi una spartizione del denaro, iniziano ad avvenire alcuni strani omicidi, in cui i membri della famiglia sono le vittime. Per sventare il pericolo, Kindaichi viene convocato alla casa degli Inugami per scoprire chi sia il responsabile dei delitti e mettere fine alla catena di morte che è stata avviata; eppure, prima dovrà svelare i terribili segreti che si celano tra i membri della famiglia, tra relazioni proibite, crudeltà mostruose e identità celate.

Copertina di "The Honjin Murders"
pubblicato da Pushkin Vertigo
Bene, anche per questo mese vi ho presentato tutte le nuove uscite di rilievo nel campo del giallo classico. Vi anticipo già che, per il prossimo, sono in arrivo grandi novità, che sono sicuro ci permetteranno di entrare nel pieno della primavera con un ottimo spirito. Alla prossima!

P.S. In tanti hanno risposto al sondaggio che avevo lanciato all'inizio di Gennaio. Vi ringrazio infinitamente; lascio ancora un po' di tempo per essere sicuro di aver raccolto tutti i voti possibili, poi più avanti pubblicherò i risultati.

P.P.S. Il 13 Febbraio sono stati annunciati ben quattro nuovi Bassotti della Polillo Editore! Si tratta di alcuni tra i titoli che vi avevo già anticipato:
- "Il Capanno sulla Spiaggia" di Milward Kennedy;
- "Il Rompicapo" di Lee Thayer;
- "Uno Dopo L'Altro" di Archibald Gordon MacDonell;
- "La Scatola Mortale" di Basil Godfrey Quin.
L'editore associato a Polillo, Rusconi, mi ha comunicato che saranno in pubblicazione per maggio-giugno di quest'anno; in ogni caso, vi lascio qui sotto il link Amazon, in caso voleste già preordinarli. Ancora buone letture!

Link ai titoli consigliati su IBS:
"Il regno delle ombre" di Louise Penny.

Link ai titoli consigliati su Libraccio:
"Il regno delle ombre" di Louise Penny.

Link ai titoli consigliati su Amazon:
"Dov'è Cicely?" di Anthony Berkeley (solo ebook);
"The Inugami Curse" di Seishi Yokomizo;
"The Honjin Murders" di Seishi Yokomizo;
"Il regno delle ombre" di Louise Penny.

venerdì 24 gennaio 2020

22 - "Come in uno Specchio"/"Lo Specchio del Male" ("Through a Glass, Darkly", 1950) di Helen McCloy

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Quando uno passa tanti anni a leggere romanzi appartenenti a un dato genere narrativo, è inevitabile che poco a poco inizi a smussare i propri gusti letterari. Io, ad esempio, tra le varie tipologie di crime novels, mi sono accorto di preferire quelle scritte da autori inglesi, tranquille e ambientate in cornici tradizionali, come i villaggi o le case signorili e gli alberghi. Se il periodo in cui si svolge la vicenda, poi, è quello natalizio, allora raggiungiamo la perfezione. Gli esuberanti scrittori americani sullo stile di Raymond Chandler, di conseguenza, non mi hanno mai convinto, con le loro prosaiche storie di criminalità organizzata, piene di sparatorie, risse e violenza. La cosiddetta "scuola americana" o hard-boiled, infatti, è un po' troppo estrema perché io possa apprezzarla al meglio, e solo ogni tanto mi azzardo a deviare dal seminato con opere "miste", ottenendo risultati altalenanti. Tuttavia, con il giudizio qui sopra non voglio dire di avere qualcosa contro le trame urbane; anzi, ho molto apprezzato "C'è un Cadavere dall'Avvocato" di Michael Gilbert e "Laura" di Vera Caspary. Non sono nemmeno così intransigente da escludere dal mio bacino di lettura qualunque autore statunitense, solamente perché la maggior parte di loro ha preferito dare vita a libri meno cervellotici e più immediati dal punto di vista delle emozioni forti: solo, preferisco che non si esageri nel rendere la vicenda troppo pragmatica. La crime fiction, ai miei occhi, deve possedere le qualità di un mondo astratto, pur mantenendo una certa realtà di sfondo. E un mondo del genere, anche se sacrificarono in parte il rispetto della sfida col lettore, riuscirono a crearlo le grandi Regine della Suspense: a parte alcune eccezioni (S.S. Van Dine, Ellery Queen, Rufus King e Charles Daly King), ritengo che siano state loro a raccogliere con maggiore intraprendenza il modello già affermato in Inghilterra e ad adattarlo alla società d'oltreoceano. Scrittrici come Mignon G. Eberhart o Mary Roberts Rinehart diedero il via a lunghe serie di gialli, in cui il fattore principale era costituito dalla grande atmosfera di suspense e terrore che minacciava i personaggi, e con queste loro epopee delle women in jeopardy, ovvero le “donne in pericolo”, gettarono le basi per il thriller moderno.

Da questo romanzo vittoriano in salsa americana, infatti, ben presto se ne venne a sviluppare un tipo ancora diverso, legato sì alla realtà ma allo stesso tempo influenzato dallo scandagliare della psicologia dell’individuo, dove contavano di più lo straniamento e le sensazioni suscitate nel lettore rispetto all'azione. Il tema della guerra assunse un’importanza primaria, viste le conseguenze che i soldati americani soffrirono a partire dagli anni ‘40, e le ossessioni nascoste o represse costituirono un terreno fertile su cui piantare i semi su cui sviluppare le trame di numerosi autori ed autrici. Un esempio può essere "Morte al Telefono" di Elizabeth Daly, in cui l'atmosfera della casa dei Fenway e la tensione psicologica che emerge dall'incertezza diffusa sono influenzate dal conflitto militare e sono più preponderanti degli indizi materiali su cui può basarsi la soluzione del caso. Oppure i romanzi di Margaret Millar e quelli dello stesso John Dickson Carr, il quale ha portato con sé dall'America una certa dose di questa modernità, quando decise di trasferirsi nel Vecchio Continente per scrivere gialli sullo stile britannico; basta pensare alle sue atmosfere notturne e un po’ rarefatte, dove i personaggi sembrano smarrire la ragione e andare incontro a un incubo ad occhi aperti, oppure alla grande importanza che viene data alle azioni spesso stranianti degli uomini e delle donne che agiscono lungo le sue trame, ben fornite di indizi ma pur sempre suggestive. In ogni caso, questa nuova attenzione conferita alla psicologia clinica trovò terreno fertile in America, e non poté che portare alla creazione del primo investigatore psichiatra della storia del giallo: chi meglio di lui avrebbe saputo affrontare le difficoltà presentate dagli svariati casi medici (e criminali)? L'idea fu sviluppata e messa in pratica da Helen McCloy, la quale fece del dottor Basil Willing il suo personaggio per eccellenza e finì per usarlo in tredici romanzi, oltre ad alcuni racconti. Oggi intendo recensire quello che viene considerato come il suo capolavoro, insieme a "La Stanza del Silenzio": ovvero, "Come in uno Specchio" (Polillo Editore, 2006/"Lo Specchio del Male", Classici del Giallo Mondadori, 1998): una storia dove i fantasmi sembrano prendere vita e l'incertezza non abbandona mai il lettore, spingendolo a chiedersi se i fatti narrati siano fittizi oppure reali.

How They Met Themselves - Dante Gabriel Rossetti
(una delle rappresentazioni pittoriche del fenomeno del
doppelganger)
Le trame di questi "gialli psichiatrici" sono, neanche a dirlo, tanto particolari quanto i volumi che le ospitano. In questo caso, la vicenda si snoda a partire dal licenziamento di Faustina Crayle, giovane insegnante di educazione artistica in carica presso la Brereton School di New York. I motivi che la direttrice dell'istituto, Mrs. Lightfoot, adduce per giustificare la sua improvvisa decisione sono più che mai vaghi ed indefiniti, e l'insolita remissività di Faustina al proprio destino insospettiscono Gisela von Hohenems, professoressa di tedesco e amica della ragazza, nonché il lettore, i quali iniziano a domandarsi se non esistano ragioni ignote e molto più gravi di quanto si pensi, dietro il drastico provvedimento preso nei confronti di Faustina; tanto più che, oltre al fatto di sentirsi sempre fuori posto ed avere la sgradevole sensazione di possedere un carattere troppo arrendevole e timido, la ragazza ha confidato all'amica di avere l'impressione che tutte quante nella scuola (dalle domestiche alle altre insegnanti e alle alunne) siano impaurite dalla sua presenza e si ostinino a parlarle alle spalle. Eppure Faustina è convinta di non aver fatto consapevolmente niente di male, e Gisela si dichiara d'accordo a questo proposito. Tuttavia è un fatto assodato che Alice Aitchison, un'altra delle docenti della Brereton, nutra un ingiustificato godimento nel mettere a disagio la giovane collega, come pure una delle cameriere; e quando il pomeriggio seguente il licenziamento di Faustina si verifica uno strano episodio nel parco adiacente all'istituto, la signorina von Hohenems e il lettore iniziano a sospettare che siano in atto forze al di fuori della legge naturale e ad domandarsi se Alice non sia nel giusto a diffidare della parola della sfortunata collega.

A quanto pare, infatti, Faustina è stata vista da alcuni testimoni in due posti diversi nello stesso momento: mentre stava dipingendo in riva al lago, e all'interno della Brereton, intenta a guardare davanti a sé con espressione smarrita e seduta su di una poltrona; e non sarebbe la prima volta che si verifica un fenomeno del genere, spiegando così il licenziamento da parte della signora Lightfoot. In questo caso, inoltre, le involontarie spettatrici sono due alunne della scuola, oltre alla stessa Gisela, le quali non avrebbero alcun motivo per mentire; quindi, sembrerebbe che non ci siano dubbi sulla veridicità delle loro parole. Eppure ciò non spiega come si sia potuto verificare un evento all'apparenza impossibile. Impaurita dalla piega che gli eventi rischiano di prendere all'interno della vita della sua amica, Gisela interpella il suo fidanzato, Basil Willing, uno psichiatra che è appena tornato dal servizio militare in Giappone, affinché possa fare luce sul mistero, grazie alle sue conoscenze in materia psichiatrica e alla passione per i problemi irrisolti e insoliti. Il quesito stimola la curiosità di Willing, il quale si affretta ad interrogare i testimoni e le persone che hanno avuto qualcosa a che fare con Faustina, e ben presto emerge la possibilità che la figura vista dalle alunne e dal resto del personale, docente e domestico, non sia altro che un doppelganger, ovvero un doppio della nostra personalità, foriero di morte, che viene proiettato dai nostri impulsi e che potrebbe aver assunto vita propria. Faustina ha forse sviluppato questa facoltà e, in momenti in cui la sua capacità di dominarsi viene meno, riesce a creare un doppio in grado di muoversi da solo? Può manifestarsi sul serio un fenomeno del genere? Per tentare di risolvere l'enigma, la vita di Faustina e i precedenti episodi di sdoppiamento vengono attentamente presi in esame; tuttavia la soluzione appare lontana e impossibile da provare in tribunale. I genitori e i tutori delle ragazze sono preoccupati dalla situazione e dalla piega che gli eventi hanno assunto, e lo stesso Basil teme che dietro la mano del Maligno si celi quella ben più materiale di un essere umano, intenzionato a far del male alla povera Faustina; e quando Alice Aitchison muore in circostanze misteriose, accanto a una figura simile a quella di Faustina, mentre quest'ultima si trovava al telefono con Gisela, egli capisce che il tempo a sua disposizione sta finendo e deve sbrigarsi a sciogliere l'enigma.

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 829
Per quanto mi riguarda, i romanzi di Helen McCloy appartengono a un piccolo gruppo di opere che, attente ai luoghi emotivi del lettore e alla trattazione del Mistero con la "m" maiuscola come carattere fondamentale dello svolgimento della vicenda, sfruttano la realtà del loro tempo per addentrarsi nel campo dell'irrazionale che si fa razionale e per descrivere i disturbi della società, insieme all'inadeguatezza dell'individuo. Libri quali "Memoria di Tenebra/L'Enigma dei Tre Omini" di John Franklin Bardin, "Laura" di Vera Caspary o "La Rossa Mano Destra" (oggetto quest'ultimo di numerosi saggi e di interpretazioni che continuano ancora ai giorni nostri) si concentrano, infatti, sulle paranoie inconsce e sulle ossessioni degli uomini e delle donne, che sembrano assumere connotazioni tangibili, e si interrogano sul significato di bene e male e sulle varie declinazioni che tali definizioni possono assumere, dando vita a storie tormentate e nebulose, in cui niente è come appare e i fatti si possono rovesciare quando meno te lo aspetti. Simile ai suoi compagni, dunque, "Come in uno Specchio" è un libro complesso, stratificato su diversi piani di lettura che vanno dal semplice romanzo del mistero al saggio sulla paranoia della psiche umana, ed è zeppo di riferimenti al mito antico e alla realtà del momento in cui fu scritto. Tra le righe, si percepisce con chiarezza la situazione in cui versava il mondo (e il romanzo giallo) in seguito alla fine del secondo conflitto mondiale, influenzato dalla diffidenza verso il forestiero, dal sospetto quotidiano nei confronti dei rifugiati e dalla sgradevole attenzione posta su tutto ciò che appariva "strano" e poteva generare scalpore (pp. 18-19, 50, 53-54, 57, 59-60, 100). Immaginate come doveva essere la faccenda: le ripercussioni della crisi del 1929, che un ventennio prima aveva sferrato un duro colpo alla società statunitense, non avevano ancora smesso di influenzare la vita degli americani e continuavano a mettere in dubbio il loro futuro, mentre nulla pareva riuscire a porre riparo alle conseguenze dell'ultimo scontro tra le grandi nazioni del mondo. Le notizie sui soldati che tornavano dal fronte non erano buone, poiché la maggior parte di essi era adesso afflitta da PPT (Psicosi Post-Traumatica), e l'esistenza dei cittadini non era semplificata dalla disoccupazione galoppante e dalle povere condizioni di vita.

In questo frangente, era naturale che l'angoscia, presente fin dagli anni '30, diventasse sempre più insopportabile e si diffondesse come un virus nell'aria, come un gas che si respirava ogni giorno e con cui bisognava fare i conti. Essa logorò costantemente i rapporti sociali, attraverso sintomi fisici e psichici, ed avvelenò gli equilibri tra le classi sociali, finché i timori di ognuno crebbero a tal punto da trasformarsi in ossessioni vere e proprie. Tutti si rivolgevano disperatamente a un passato che non poteva più tornare, pensavano per sé, costantemente alla ricerca di pace e stabilità, incuranti del danno che potevano arrecare agli altri ed attenti affinché nessuno sconvolgesse i fragili piani che si era andati costruendo; e ben presto questo atteggiamento spinse le menti spaventate delle persone ad iniziare una moderna “caccia alle streghe” e a partorire terribili ed inquietanti spettri, che infestavano le conversazioni e spesso prendevano forma di scandali o velate minacce, le quali molto spesso venivano ingigantite fino a premere sulle coscienze e alimentare pericolosi impulsi (soprattutto pp. 121-140, 161-166, 164-166, 176-185). Da queste chimere dettate dall'inefficacia individuale, pertanto, gli scrittori di gialli della fine degli anni '40, proprio come McCloy, trassero ispirazione per plasmare la materia dei loro libri, trasferendoli nei loro personaggi fittizi e dando ampia voce al diffuso malcontento, il quale divenne la componente principale della crime novel psicologica americana.

Anche in "Come in uno Specchio" si possono ritrovare questi caratteri: la tensione generata dal pettegolezzo e dalla maldicenza, che perseguita Faustina alla Brereton e alla Maidstone, assomiglia a un fantasma che appare e scompare, ombra spaventosa che si affaccia sulla soglia dei discorsi quando uno meno se lo aspetta, sempre presente seppure invisibile; i continui riferimenti della signora Lightfoot alla reputazione della sua scuola, invece, rimandano a quella difesa psicologica contro lo scalpore, che predicava di fare il possibile per non attirare l'attenzione dell'opinione pubblica; lo "strano" e l'ignoto non sono ben accetti nella società del tempo, quindi si devono scoraggiare tutti i fenomeni che rientrano in questo campo, anche se ciò dovesse arrecare danno a qualcuno (guarda caso, sempre Faustino, additata come una sorta di strega). Inoltre, è interessante cogliere anche il carattere con cui vengono dipinti i personaggi: ognuno di loro soffre ferite segrete, delusioni interiori che faticano a rimarginarsi e traumi pregressi (pp. 61-67, 76-79, 104-108, 148-153); soprattutto Faustina, remissiva, debole, totalmente incapace di far fronte alla situazione in cui si viene a trovare. Tutti si sono convinti che lei sia colpevole di qualche curioso atteggiamento o fenomeno e si schierano a contrastare questa sua anormalità, mentre lei non reagisce perché non ne è capace, non ne ha la forza; certo, questo comportamento può essere imputato a una natura timida e chiusa, eppure a me ha fatto venire in mente quei poveretti a cui è stato tolto tutto, gli sconfitti di cui erano piene le città statunitensi, nel periodo in cui questo romanzo è stato pubblicato. La debolezza e l'esaurimento di Faustina riflettono gli innumerevoli conflitti caratteriali tra i protagonisti (es. pp. 10-14), e di fronte alla prepotenza di Alice, sintomo dell'intolleranza che chiunque provava di fronte alla fragilità e del debole che soccombe al forte, essi assomigliano a un grido di aiuto per uscire dalla difficoltà. Tuttavia, quando Basil Willing si offre di aiutare Faustina a scoprire cosa le stia succedendo, la giovane è talmente influenzata dalla suggestione e dalle forze che le ruotano attorno da non avere nemmeno il coraggio di accettare: tutto ciò appare come un punto di non ritorno, dove non si può fare altro che arrendersi al proprio destino e la giustizia non riesce più a riequilibrare le sorti (e la carenza di fiducia) dell'uomo.

Helen Worrell Clarkson McCloy, nata
nel 1904 e morta nel 1994
Oltre che per la dura e precisa rappresentazione del mondo reale e dei suoi disturbi di inadeguatezza, "Come in uno Specchio" è un romanzo notevole anche per la trattazione di una lunga serie di altri argomenti. La complessità delle materie trattate fanno capire come Helen Worrell Clarkson McCloy (era questo il nome intero dell'autrice, nata a New York nel 1904) fosse una persona istruita ed acculturata: i continui riferimenti all'antica Grecia e al mito dell'antichità (pp. 17, 34-38, 49, 53, 104-106, 111); i discorsi sullo scorrere del tempo, che secondo alcune ipotesi si potrebbe alterare; le numerose discussioni tra Gisela e Basil riguardo musica (il Valzer della Scarpina di Vetro, p. 54), letteratura (Goethe, pp. 23-24, 45) ed arte; tutto ciò viene appena accennato, ma è indice di una vasta conoscenza, sviluppata durante gli studi in Europa e proseguiti in America. Inoltre, cosa non da poco, è molto approfondita l'analisi psicologica tout court dell'individuo (essendo il suo investigatore il primo segugio-psichiatra della storia, non ci aspetteremmo niente di meno): la teoria del doppelganger tedesco e dell'eidolon greco, ovvero dell'Altro (pp. 78, 123), secondo cui in punto di morte l'individuo riuscirebbe a vedere di sfuggita una copia tridimensionale del proprio essere, viene ampiamente discussa in più di un'occasione, con riferimenti a personaggi e casi reali (come lo psicologo William James e il fisiologo Charles Richet a p. 128, oppure gli episodi di Emilie Segée e "Il racconto di Tod Lapraik" alle pp. 161-163 e 122), così che il lettore possa comprendere fino in fondo le possibili implicazioni dell'indagine; la filosofia e la religione sono trattate nel dettaglio, anche in relazione a culti indigeni; l'attività del subconscio dell'essere umano, della corruzione della sua personalità e degli sforzi della memoria cosciente per mettere a freno gli impulsi e l'istinto la fanno da padrone per tutta la lunghezza della storia; come pure la suggestione, il sonnambulismo, le manie e le ossessioni, mescolate in un sapiente calderone e impostate per instaurare un clima di tensione sempre crescente, che impedisce di annoiarsi e spinge a continuare la lettura.

Il mondo legale, poi, occupa un posto di primo piano tra gli argomenti trattati e assume dei connotati poco lusinghieri; l'avvocato Watkins, per quanto sia un vecchietto dall'aria sorniona, non è di grande aiuto allo scioglimento del mistero che avvolge Faustina, ma si limita a indicare una via possibile e non viene in soccorso in modo adeguato alla sua protetta. Inoltre, il concetto di giustizia che viene espresso nel finale, nel memorabile scontro-incontro tra investigatore e (presunto) colpevole del cap. 16, non permette che vengano dissipati tutti i dubbi e restano, quindi, alcuni importanti interrogativi legati ad essa, come se ormai non fosse più l'organo adatto a presiedere sul comportamento degli uomini. E se la voce della coscienza viene, in questo modo, messa a tacere come in "La Corte delle Streghe" di John Dickson Carr, una delle ispirazioni per l'autrice (egli fu un suo amico, insieme alla moglie, tanto che "Alias Basil Willing" fu dedicato proprio a loro), anche riguardo al mistero in sé ci sono alcune analogie tra questi due capolavori di crime fiction; prima tra tutte, la scelta del delitto impossibile tra i numerosi tipi di assassinio. Helen McCloy, infatti, ha affrontato questo tema in numerosi romanzi e il soprannaturale, accompagnato da uno spiccato senso per la suspense, ha sempre avuto una parte di primo piano nella trattazione delle trame insieme all'analisi psicologica. Essi possono essere considerati come dei piacevoli ibridi, che mescolano intelligentemente gli elementi del giallo all'inglese con quelli tipici del romanzo psicologico americano: una caratteristica, questa, che li ha resi graditi agli estimatori di entrambi i sottogeneri, e che ha contribuito ad affermare la sua autrice come la più grande scrittrice americana di gialli. Sposata con Davis Dresser, l'autore noto con lo pseudonimo di Brett Halliday e creatore del detective privato Mike Shayne, la McCloy fu, tra le altre cose, direttrice del New York Evening Sun per diciotto anni e il primo presidente donna dell'associazione dei Mystery Writers of America, prima di spegnersi a Boston, nel 1994. Per quel momento aveva contribuito al genere con una trentina di meravigliosi gialli: numerosi furono gli stand-alones come "Panico", ma sono ricordati soprattutto i tredici romanzi con protagonista Basil Willing, tra cui "La Stanza del Silenzio", "Omicidio a Scena Aperta" e "Come in uno Specchio".

In quest'ultimo in particolare, la narrazione è caratterizzata da uno stile brillante e colto, il quale si presta a delineare personaggi a tutto tondo e approfonditi dal punto di vista psicologico; da un'atmosfera misteriosa e autunnale, che riflette gli stati d'animo dei suoi attori pur riuscendo a non essere eccessivamente dettagliata (es. pp. 29-35, 39-41, 141-143, 186-188, 205-207, 219-222); da un enigma all'apparenza soprannaturale, pieno di interrogativi angoscianti che si accumulano sempre più, il quale si riesce a risolvere in modo chiaro e onesto come in ogni buon giallo che si rispetti, anche se conserva un marchio demoniaco e ambiguo che non dissolve del tutto l’incubo. La tensione è sottile e sempre presente, la paura e l'inquietudine artigliano il lettore dall'inizio alla fine, e spesso siamo indotti a riflettere sulla giustizia e l'assurdità delle cose che ci capitano, mentre l'indagine pratica e il fantastico si miscelano davanti ai nostri occhi. Il Male emerge in tutta la sua fascinosa crudeltà, in questo libro dove conta di più il benessere personale ed egoistico, rispetto alla giustizia: si tratta di un ritratto realista di cosa eravamo diventati già nel 1950? Ci auguriamo di no. Eppure il dubbio resta. Inquietante, conturbante, reale.

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venerdì 17 gennaio 2020

21 - "Morte Dietro la Cresta" ("Death on Milestone Buttress", 1951) di Glyn Carr

Copertina dell'edizione pubblicata
dall'Editore Mulatero
Nel corso degli anni 2000 a Boulder, in Colorado, venne fondata una casa editrice dal suggestivo nome di Rue Morgue Press. Nata dall'entusiasmo di due librai del luogo, Tom ed Enid Schantz, essa si proponeva di presentare al grande pubblico di appassionati di classica crime story alcuni tra i titoli più interessanti e misconosciuti del panorama giallo della Golden Age (ma non solo). In questo modo, grazie agli sforzi congiunti di questi infaticabili riscopritori, scrittori del calibro di John Dickson Carr, Kelley Roos, Stuart Palmer, Craig Rice e Dorothy Bowers poterono tornare ad occupare il posto che meritano sugli scaffali delle librerie, e nuovi lettori ebbero la possibilità di conoscere le opere di questi straordinari autori, presentate in autorevoli introduzioni scritte proprio dai due coniugi. Il proposito di riportare in auge questi scrittori venne accolto con grande gioia: se si cerca sul Web, si possono ancora trovare numerosi interventi di importanti critici di crime novel che si complimentavano per l'egregio lavoro fatto fino a quel punto dagli Schantz; e a quel tempo, se il mio interesse per il romanzo giallo fosse stato meno vago, anche io mi sarei unito al coro di lodi. Tuttavia, avrete notato che mi riferisco alla Rue Morgue Press usando il tempo passato: infatti, come ho scoperto in seguito, a partire dall'estate del 2011 con la morte di Enid, le uscite della casa editrice si erano ridotte di molto e nell'arco di un paio d'anni esse si arrestarono pian piano, a causa di una disastrosa piena che aveva danneggiato le scorte e di fastidiosi problemi di salute e finanziari; finché, agli inizi del 2016, nel suo sempre interessante blog, TomCat di Beneath the Stains of Time aveva annunciato la definitiva cessata attività della Rue Morgue Press. Una conclusione ingloriosa, per un'esperienza che aveva dimostrato come la classica crime story potesse costituire un terreno adatto per il mercato libraio e che aveva dato in qualche modo l'esempio da seguire per i suoi successori.

Eppure, come si dice, la speranza è l'ultima a morire: anche qui in Italia, con la scomparsa di Polillo, sembrava che tutto fosse perduto e che i Bassotti fossero destinati a non avere un seguito; invece... (continuate a seguire Three-a-Penny per le ultime news!). Perciò mi auguro che qualcosa di simile, nel nostro Paese e all'estero, possa accadere anche con gli autori che avevano trovato rifugio nell'editore di Boulder. Finora noi italiani abbiamo avuto la fortuna di veder pubblicato, con una certa continuità, uno di questi scrittori poco conosciuti da parte di una casa editrice piccola ma volenterosa. Il giallista Glyn Carr, infatti, ha trovato uno spazio all'interno della Mulatero Editore di Torino, specializzata in romanzi e saggi sull'alpinismo. E che posto! L'intenzione di Mulatero, infatti, è quella di rendere di nuovo disponibile l'intero corpus crime di questo particolare personaggio del panorama letterario inglese della seconda metà del Novecento. Inoltre, l'editore è stato talmente gentile da accogliere una mia proposta e da inviarmi alcuni tra questi gialli atipici, permettendomi di leggerli e di presentarveli. Mi auguro che la fiducia sarà considerata ben riposta. In ogni caso, oggi vi parlerò del primo episodio delle avventure dell'investigatore dilettante Abercrombie Lewker: "Morte Dietro la Cresta" (Mulatero Editore, 2018). Si tratta di una storia che prende ispirazione dal giallo più classico di tradizione britannica e dal filone narrativo che rese celebre John Dickson Carr, ovvero quello del mistero della camera chiusa; declinato tuttavia secondo alcuni criteri particolari. Infatti, se Carr si divertì ad ideare delitti impossibili che si svolgevano all'interno di stanze all'apparenza impenetrabili, il suo omonimo proveniente dal Galles decise di trasportare l'ambientazione a livelli più estremi, dove i limiti non sono più costituiti da solidi muri intonacati, ma da ripide pareti di roccia il cui limite superiore viene rappresentato dal cielo azzurro delle quote più elevate, pur mantenendo gli elementi classici del romanzo del mistero.

Il Monte Tryfan, con una visuale sulla parete interessata
alle indagini in "Morte Dietro la Cresta"
In particolare, in questo caso d'esordio, la "scena del delitto" è costituita dalle falesie del Galles e dal Monte Tryfan. La giovane Hilary Bourne, impiegata di banca e aspirante alpinista, ha stabilito di recarsi lassù in occasione delle vacanze, per allontanarsi dall'aria inquinata di Londra e per impratichirsi nell'arrampicata in compagnia di una famiglia di amici, i Jupp, e di alcuni uomini di scienza come Michael Rouse (per il quale nutre una segreta infatuazione), Raymond Cauthery e il navigato professor Ferriday. Eccitata a causa delle scalate che si accinge a compiere, pur nella sua condizione di principiante, la ragazza incappa però nell'errore più diffuso tra gli esordienti: annebbiata dall'entusiasmo, decide di fare il passo più lungo della gamba, ignorando il comodo autobus che l'avrebbe portata comodamente a destinazione e ritrovandosi a dover scarpinare per molte miglia in solitudine in direzione del Tryfan. Per sua fortuna il capocomico Abercrombie Lewker, soprannominato Filthy da amici e colleghi e costretto a rimandare la sospirata vacanza di fine stagione teatrale assieme alla moglie Georgina, ha ripiegato per una tranquilla settimana di ascensioni sulle pareti del Galles del Nord; per cui Hilary può approfittare del passaggio che l'attore le offre fino alla sua meta. Giunti al modesto Dol Afon ai piedi del Tryfan, tuttavia, i due nuovi amici si accorgono che nel gruppetto di scalatori si percepisce una forte tensione: la figlia di George Jupp, Mildred, si comporta in modo molto strano e appare più taciturna del dovuto; suo fratello Harold, invece, sembra sopportare di malagrazia i propositi alpinistici impostogli dal padre; da parte sua, Mrs. Jupp manifesta un'allegria che non le appartiene e si sforza di tenere buono il carattere esplosivo del marito; Michael, infine, appare distante e più che deciso a ignorare Hilary, come a volerla spingere tra le braccia accoglienti di Raymond. Per non parlare della tempesta emotiva in atto sulla relazione tra la figlia della padrona dell'ostello, Gwennie, e il suo promesso sposo, un pastore dal temperamento ardimentoso. Soltanto Cauthery (e in piccola parte il professor Ferriday) appaiono a proprio agio; anzi, sembrerebbe addirittura che il giovane scalatore sia fin troppo entusiasta. Lewker lo scopre a flirtare con Gwennie, per poi passare a corteggiare Hilary nell'indifferenza apatica di Rouse, ed infine tornare dalla giovane signorina Jupp alla quale è fidanzato.

Filthy lo sente: qualcosa di terribile e di oscuro si sta addensando sul Dol Afon; e non si tratta solo delle nuvole che vanno raccogliendosi sulle pareti rocciose del Monte Tryfan. In seguito a una passeggiata ricognitiva, durante la quale i conflitti vengono esasperati ancora di più e i suoi presentimenti acuiti dalla tensione, Lewker decide di intraprendere la facile via della Grooved Arete assieme a Harold e al professor Ferriday, mentre il resto del gruppo si sparpaglia sulla montagna e a valle. Hilary ha accettato di arrampicare assieme a Cauthery il Milestone Buttress, un percorso per principianti in cui nessuno dovrebbe aver problemi, e lui non riesce a togliersi di dosso la sensazione che la Morte sia in agguato tra le guglie rocciose. Alla fine i suoi presentimenti di avverano: durante l'ascesa con Hilary, Cauthery scivola da una guglia e cade, morendo sul colpo. Tutto farebbe pensare a un incidente (tanto più che il tempo si era fatto nebbioso e il rischio di scivolare si era alzato); eppure la ragazza ha sentito qualcosa che potrebbe ribaltare la situazione e aprire a nuove ipotesi, tra cui quella dell'omicidio. Ma chi potrebbe essere il responsabile? Forse lo strano individuo che si è accampato sul Tryfan? Certo, i moventi per l'uccisione di Cauthery non mancano; eppure tutti gli escursionisti possiedono alibi che appaiono inattaccabili. Deciso a vederci chiaro e ad impersonare il protagonista della tragedia, Lewker intraprenderà un'indagine ufficiosa assieme a Hilary, atta a scagionare gli innocenti da un pesante sospetto e ad assicurare alla giustizia un astuto assassino, capace di spostarsi da una vetta rocciosa ad un'altra come per magia.

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Rue Morgue Press
Come avrete capito, la particolarità dei casi di cui si occupa Lewker è quella di essere ambientati in suggestivi paesaggi montuosi, i quali riescono a dare originalità agli omicidi inventati dall'autore e, allo stesso tempo, ad intrattenere il lettore. Il piacere più grande che ho ricavato da questo "Morte Dietro la Cresta", infatti, è stato l'immergermi in questi luoghi solenni e un po' spaventosi, dove l'uomo si ritrova ad essere una misera parte dell'insieme, e scoprire tutti i piccoli dettagli del Monte Tryfan e della vita dell'appassionato di arrampicata (pp. 28, 34-35, 40-41, 51-52, 61-63, 70-76, cap. 8 ecc...). È notevole il fatto che Glyn Carr sia riuscito a trasformare l'ambientazione nel punto focale della sua narrazione: se ricordate, nella recensione di "Un Piccolo Omicidio di Natale", avevo fatto notare come lo scenario fosse l'elemento più debole tra quelli che costituiscono il romanzo giallo, poiché esso necessita di essere affiancato ad almeno un altro elemento della narrativa gialla per poter esprimere al meglio il proprio potenziale. Di solito, non basta inventare una storia calata in luoghi da sogno per evocare qualcosa di indimenticabile: pur ideando spazi affascinanti, ciò non toglie che, se i personaggi sono scialbi oppure sono protagonisti di un mistero insulso o narrato con uno stile grezzo, allora sarà servita a ben poco un'attenta descrizione degli ambienti in cui la storia si svolge. Nel caso dei libri di Glyn Carr, tuttavia, ho notato come le descrizioni, accurate al punto da sembrare passaggi di guide turistiche vere e proprie (pp. 189-190), mi abbiamo spinto ad immergermi totalmente nella lettura e siano riuscite a tenermi incollato alle pagine, sopperendo ad alcuni piccoli difetti negli altri aspetti della trama e trattando qualcosa che non si vede spesso nella tradizionale crime story. Al posto del villaggio o della villa di campagna, oppure della nave da crociera e dei college universitari, qui l'ambientazione è del tutto diversa e, benché inserita in mezzo ad altri elementi classici (come il rispetto dell'onore o il classismo alle pp. 53-54 oppure 218-221), occupa una parte maggiore della storia: ci sono tanti piccoli dettagli sulla vita dell'escursionista, sulle buone norme da seguire quando si decide di scalare una parete rocciosa, sugli accorgimenti e sulle abitudini che gli alpinisti devono adottare per poter praticare questo sport estremo in tutta sicurezza, con tanto di lessico specifico (pp. 48-49, 88-89, 117-118, 121-125, 131-141, 143-144, 184-187, 271 ecc...). Essendo nato e vivendo ai piedi delle Piccole Dolomiti, forse per le vicende raccontate ho percepito un interesse maggiore di quanto farebbe il comune lettore di gialli; i miei monti non sono vere e proprie vette, però le passeggiate che faccio di solito per i boschi nelle loro vicinanze hanno decisamente contribuito a farmi "sentire" più vicino alla storia che viene raccontata in "Morte Dietro la Cresta".

Inoltre, non bisogna dimenticare che il Monte Tryfan esiste davvero e si trova proprio nel nord del Galles (in quello che oggi è lo Snowdonia National Park, istituito nel 1951, proprio l'anno in cui venne pubblicato il romanzo in questione), come il fatto che l'autore è vissuto da quelle parti e ha potuto attingere ad esperienze reali per costruire questa storia (es. pp. 30-31); questi aspetti hanno aiutato a dare maggiore realtà ai luoghi in cui viene ambientato l'assassinio di Cauthery e ai movimenti dei personaggi (soprattutto quelli di Lewker). Però bisogna ammettere che, forse, l'attenzione data all'aderenza della realtà ha in un certo senso pregiudicato la riuscita complessiva dell'indagine intrapresa da Lewker e Hilary e dello stesso romanzo. Va benissimo soffermarsi sui piccoli aspetti che rendono autentici gli scenari in cui decidi di immergere i tuoi personaggi (mi viene in mente, ad esempio, il villaggio di Fenchurch St. Paul di "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers) e sulle azioni degli attori sulla scena, spesso caratterizzate da divertenti siparietti; tuttavia, se ciò va ad occupare una parte maggiore dell'indagine che intendi raccontare, forse questo può essere un po' controproducente. Voglio dire, è interessante il racconto della scalata passo per passo oppure la vita all'interno dell'ostello, ma tutto ciò deve essere un'aggiunta al caso e non sostituirsi ad esso. In "Morte Dietro la Cresta", invece, ho notato che è avvenuto il contrario, tanto che alla fine il mistero è sembrato quasi spostarsi in secondo piano rispetto al resto. Intendiamoci, lo stile è ironico e il libro si legge molto bene (es. pp. 24, 56, 114, 244-248): ci sono cenni alla politica e alla scienza (pp. 80-82, 211-213, 234-235, 282-283), all'arrampicata (pp. 228-229, 267-270) e tutta una serie di citazioni divertenti tratte da Shakespeare e da altre crime novels (pp. 20-23, 29-30, 102, 107, 113, 225-226 ecc..., oltre ai titoli dei capitoli). Però la sensazione finale che ho percepito è stato quello di aver ideato un'indagine della quale nemmeno l'autore era del tutto convinto. Certo, la soluzione dell'apparente impossibilità del caso è soddisfacente e piacevole, ma anche un po' banale e prevedibile per chi ha letto parecchi romanzi del mistero; come se l'impegno di Glyn Carr fosse stato riposto più sulla costruzione degli scenari che sull'enigma. È questa la critica più grande che mi sento in dovere di fare su questo esordio, basato su false piste non del tutto impossibili da svelare prima della spiegazione finale, ma in fondo coinvolgente in fatto di stile narrativo e personaggi simpatici. 

Frank Showell Styles (alias Glyn Carr), nato
nel 1908 e morto nel 2005
Tutto sommato, comunque, sono convinto che "Morte Dietro la Cresta" non sarebbe potuto essere un esordio migliore per Frank Showell Styles, vero nome di Glyn Carr. Nato a Birmingham nel 1908, dopo la scuola egli lavorò in banca per una decina d'anni, finché decise di mollare questo impiego che non lo soddisfaceva. Partì quindi per un lungo viaggio in giro per l'Europa, che dovette tuttavia interrompere allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Arruolatosi nella Royal Navy come artigliere, durante il conflitto riuscì a salire di grado fino a giungere a quello di comandante. Tornata la pace, Styles decise di rinunciare a tornare a lavorare nel mondo della finanza e si trasferì in Galles, dove trascorse il tempo ad arrampicare (fu da sempre la sua passione più grande), a dedicarsi al teatro e a progettare la sua nuova carriera di scrittore. Nel 1947, infatti, diede alle stampe il suo primo romanzo, "Traitor's Mountain", una spy story che mescolava il genere a quello umoristico, e il successo di quest'ultimo lo spinse a dare il via a una serie più convenzionale, sotto pseudonimo e con protagonista un divertente capocomico un po' sovrappeso e dalla citazione facile che si ritrova ad indagare su casi misteriosi ambientati in alta montagna. In realtà, già durante una scalata del Milestone Buttress gli balzò in mente come "fosse facile progettare un omicidio perfetto in quel luogo"; pertanto decise di "ideare un sistema [adatto] e costruirci attorno una trama adeguata". In questo modo, come Glyn Carr firmò "Morte Dietro la Cresta" (primo di quindici gialli classici, tra cui vanno ricordati "Assassinio sul Cervino" e "Il Picco delle Streghe") e Abercrombie Lewker fece il proprio ingresso nella letteratura del mistero, dopo tre romanzi più avventurosi. La serie fu accolta favorevolmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, soprattutto per la capacità dell'autore di descrivere con doverosa attenzione le scene di arrampicata e i luoghi in cui esse si svolgevano. Dopo "Fat Man Agony" (1969), Styles concluse le avventure di Lewker per dare il via a un'altra serie, il cui protagonista divenne un ufficiale della marina britannica al tempo delle guerre napoleoniche; nel frattempo, tuttavia, continuò a scalare e a fare escursioni, oltre a scrivere una quantità enorme di guide, manuali e racconti sulla montagna (in totale furono circa 160), finché non morì nel 2005.

I romanzi di Abercrombie Lewker (in parte ripubblicati dalla Rue Morgue Press, secondo la quale pare esista un romanzo inedito andato perduto) sono storie leggere, divertenti e facili da leggere, proprio come voleva scriverle Styles: ognuna presenta un delitto apparentemente impossibile, alla maniera di quelli creati da John Dickson Carr con la stanza chiusa trasformata in un ambiente impervio e pericoloso, caratterizzato da pregi e difetti. Ad esempio, in "Morte Dietro la Cresta", a una prima parte in cui viene costruita un'atmosfera di tensione e sospetto, segue un omicidio e l'indagine di Lewker: sebbene il caso sia un po' prevedibile per i lettori più navigati, l'identità del colpevole non colpisca più di tanto, le storie d'amore siano abbastanza melense e ogni tanto emerga qualche cliché (i comunisti cattivi, gli scienziati e i politici misteriosi e le fanciulle indifese), tutto sommato gli indizi sono forniti secondo il fair play e le ambientazioni sono davvero mozzafiato. Anche i dettagli sull'arrampicata vengono forniti con cognizione di causa, tra una battuta ironica e una citazione, tra lessico più o meno elevato. Oltre a ciò, inoltre, i personaggi occupano un posto molto importante all'interno della storia: alcuni spiccano meno, ma la caratterizzazione di Hilary e Lewker mi ha colpito. Entrambi sono ben presentati e ritratti secondo un tono che varia dallo scherzoso al serio. La ragazza dimostra un misto tra frivolezza e intelligenza, lasciandosi influenzare dall'amore ma conscia del pericolo che corrono lei e il suo amato; il capocomico, invece, oscilla tra la parodia e un ritratto del detective dilettante più classico. A volte è burrascoso ed eccentrico, altre compassionevole e deciso a fare il galante; un momento è abilissimo nel decifrare gli indizi che gli si presentano davanti agli occhi, un altro si lascia andare alle citazioni (numerosissime), soprattutto tratte dall'opera di Shakespeare. Impersona al meglio il personaggio dell'attore che vuole intrattenere il proprio pubblico, ma anche quello dello stesso lettore, poiché si diverte a immaginare di essere il Grande Investigatore dei romanzi gialli. Sono convinto che sia stato proprio il suo personaggio, mescolato alle descrizioni degli ambienti e ai discorsi sull'arrampicata, a riscattare "Morte Dietro la Cresta": un romanzo che altrimenti sarebbe stato un po' banale, ma che in questo caso riesce a raggiungere e superare la sufficienza. Direi proprio adatto a svagarsi un po', senza pretendere chissà cosa ma divertente. Sono curioso di vedere cosa riserverà la seconda avventura di Abercrombie Lewker.

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venerdì 10 gennaio 2020

20 - "Un Piccolo Omicidio di Natale" ("Another Little Christmas Murder", 1947) di Lorna Nicholl Morgan

Copertina dell'edizione pubblicata
dalle Edizioni Lindau
Dopo l'enigma in "Quando l'Amore Uccide", i personaggi in "Natale con Delitto" e lo stile in "Sotto la Neve", eccoci giunti all'ultimo tra i punti che caratterizzano il "Christmas Murder Mystery": ovvero, l'ambientazione. Di tutti e quattro, questo è forse quello più debole, poiché necessita di essere affiancato ad almeno un altro elemento della narrativa gialla per poter esprimere al meglio il proprio potenziale. Infatti, non basta certo inventare una storia calata in uno scenario da sogno, come un'isola dei Caraibi o una casa isolata dalla neve nella campagna inglese, per evocare qualcosa di indimenticabile oppure originale e immergere chi legge all'interno della vicenda: pur costruendo suggestive rappresentazioni di luoghi immaginari, magari in parte prese in prestito da altri scrittori e sfruttate come punto di partenza per le loro trame, ciò non toglie che, se il resto non funziona perché i personaggi sono scialbi oppure si muovono in modo disordinato dentro un mistero insulso o narrato con uno stile troppo grezzo, allora sarà servita a ben poco un'attenta descrizione degli ambienti in cui la storia si svolge. Ultimamente, ad esempio, mi è capitato di leggere un thriller moderno, che è stato spacciato come "nella migliore tradizione del giallo alla Agatha Christie". All'apparenza, tutto faceva presagire che si trattasse di una lettura affascinante e di spessore; ma quando sono arrivato alla fine del libro, ho dovuto constatare che le premesse non erano state affatto mantenute, tanto da farmi rinunciare a scrivere una recensione. E non pensate che, tra i romanzi contemporanei, non ci sia ben più di qualche romanzo del mistero che merita l'attenzione degli appassionati di giallo classico! In questo caso specifico, però, il thriller è stato costruito più sul risalto che avrebbe dato il suo scenario e sulla psicologia, che sugli indizi messi a disposizione del lettore (come accade nella maggior parte delle volte); e su personaggi calati in una narrazione fatua e dalla coscienza fin troppo contorta, tanto da farli sembrare fantasmi inconsistenti invece di persone reali. L'unico elemento che si salvava era proprio l'ambientazione invernale di uno chalet di montagna, circondato dalla foresta innevata e silenziosa: ecco, quello sì che richiamava la tradizione di Agatha Christie, con luoghi affascinanti e misteriosi, ma non è certo stato abbastanza per compensare una storia dallo stile tanto moscio.

Il risultato restituito al lettore, quindi, a mio parere è stato quello di aver dato fin troppa importanza ai luoghi in cui si è svolta a vicenda, senza mettere loro accanto qualcosa d'altro a rinforzo e tralasciando il perfezionamento dell'indagine. Eppure sarebbe stato sufficiente un racconto più solido oppure un mistero maggiormente classico, mescolato ad essa, per rimediare a scivoloni grossolani e per dare vita a un mystery intrigante e, allo stesso tempo, di grande effetto scenico; come "Sotto la Neve" di Farjeon, dove il racconto e l'ambientazione riescono in parte a sopperire alla fragilità dell'enigma in fatto di fair play, oppure i thriller ideati da Ethel Lina White, in cui spesso il dualismo tra tradizione (nelle descrizioni dei luoghi) e modernità (nella trattazione del mistero) riesce a dare vita a storie in cui il lettore non può fare a meno di immergersi completamente. Un discorso simile a quello fatto per il thriller che ho preso ad esempio si potrebbe fare anche per il romanzo che recensisco oggi, nel quale lo scenario in cui si muovono i personaggi occupa una parte forse troppo larga della storia. All'interno di "Un Piccolo Omicidio di Natale" di Lorna Nicholl Morgan (Lindau, 2019), infatti, benché i luoghi appaiano vividi tanto quanto le persone che li popolano, con le loro stanze gelide e ostili e i lunghi corridoi minacciosi e oscuri che ricordano la tradizione delle Regine del Brivido americane oppure la stessa White, essi sembrano sostituirsi ai protagonisti e diventare loro stessi il cardine di una narrazione, di conseguenza, meno centrata e caratterizzata da toni melodrammatici davvero accentuati. In questo modo, purtroppo, soffermandosi su elementi di importanza secondaria, si perde un po' il vero fulcro di ogni romanzo giallo che si rispetti (l'enigma e il suo impatto sui personaggi); anche se, devo ammetterlo, "Un Piccolo Omicidio di Natale" ha riservato anche qualche sorpresa in positivo, riguardo alcuni temi e aspetti della trama.

Una grande casa isolata e immersa nella neve, simile a
Wintry Wold
La storia inizia presentandoci Dylis Hughes, un'entusiasta agente di commercio che sta viaggiando per lavoro in giro per uno Yorkshire abbondantemente innevato. Benché la sua auto non sia del tutto in sesto e le previsioni meteo abbiano annunciato un'imminente bufera di neve, infatti, la ragazza intende svolgere il proprio compito e raggiungere la vicina cittadina di Raggden, così da pubblicizzare i prodotti della ditta di cui è orgogliosamente socia e concludere qualche vendita vantaggiosa. Tuttavia, proprio mentre sta tentando di orientarsi nel bel mezzo del paesaggio candido e gelido, ecco che la temuta tempesta si abbatte sulla piccola auto e sulla sua passeggera, costringendole a bloccarsi sul ciglio dell'Harry's Hole (un pericoloso precipizio) e impedendo loro di arrivare a destinazione. Dylis ha imparato a non lasciarsi abbattere dalle avversità e, sebbene impensierita, si prepara a trascorrere la notte all'interno della sua automobile; quando l'arrivo tempestivo e fortunoso di un giovane di nome Inigo Brown sembra volgere la sorte in suo favore. Quest'ultimo, infatti, sta dirigendosi verso la villa dello zio, un ricco possidente delle vicinanze che vedrà per la prima volta nella sua vita, e si offre di condurre con sé la ragazza; tanto più che il vecchio signor Brown si è raccomandato con lui di portare a Wintry Wold anche un amico. Laggiù potrà attendere che il tempo si rassereni e le consenta di andare a cercare un carro attrezzi per l'auto impantanata, e nel frattempo trascorrere del tempo con lui e i suoi parenti.

Benché dubbiosa, Dylis decide di accettare l'offerta di Inigo e i due, a bordo della potente automobile di quest'ultimo, raggiungono Wintry Wold. L'enorme edificio, immerso nella luce del crepuscolo calante e del bianco manto della neve, appare simile a un animale addormentato, ma all'erta e pronto a difendersi dalle offensive dei visitatori indesiderati; un po' come la donna che viene ad aprire loro la porta, la quale asserisce di essere la moglie del padrone di casa, Theresa Brown. Allo stesso modo dei domestici (due individui dall'aspetto poco professionale e ancor meno rassicurante) e le altre persone presenti alla villa (un ubriacone di nome Carpenter e un paio di autisti rimasti in panne col loro camion), anche lei dà una strana impressione in Inigo e Dylis: tutti sembrano sul chi vive, per motivi diversi, ma soprattutto Theresa, la quale pare più che intenzionata ad impedire ai due giovani di incontrare il vecchio signor Brown, il quale è costretto a letto da una misteriosa malattia. In breve tempo, altri viaggiatori (un entusiasta salutista, Mr. Howe, e il suo segretario Mr. Raddle, il giornalista Charlie Best e uno strano signore dall'aria distinta di nome Ashley) si aggiungono ai rifugiati di Wintry Wold per scampare alla bufera di neve che imperversa sulla campagna inglese; finché, mentre l'affabilità di Theresa stride sempre più con un curioso atteggiamento scostante e misterioso, la morte verrà a visitare la casa. E se il decesso sembra non riservare alcuna stranezza, tuttavia la scomparsa di alcuni residenti e rumori misteriosi fuori dalla sua porta e lungo gli oscuri corridoi, mescolati al suo naturale atteggiamento risoluto, porteranno Dylis ad intraprendere un'indagine personale e a tentare di capire cosa si cela davvero dietro le facce ipocrite e gli strani comportamenti degli abitanti di Wintry Wold, prima che si verifichi un "piccolo omicidio" in occasione dell'imminente Natale.

Una scala misteriosa...
"Un Piccolo Omicidio di Natale" appartiene a quella folta schiera di romanzi gialli classici che, in Inghilterra, hanno potuto rivedere la luce in seguito a un lungo periodo di trascuratezza, grazie al successo arriso alla ripubblicazione di "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon. Dopo la straordinaria scalata di questo titolo alla top ten dei bestsellers nel 2014, infatti, molti editori hanno seguito l'esempio della British Library Crime Classics e, in occasione delle feste natalizie, producono ogni anno almeno un rinomato (dagli appassionati) titolo a tema; un po' come accadeva con il "Christie di Natale", quando Agatha era ancora viva. In Italia, per qualche tempo, lo ha fatto Polillo, e adesso questa consuetudine è stata raccolta da Lindau, il quale ha dato rispettivamente alle stampe "Natale con Delitto" di Mavis Doriel Hay, "Morte nella Neve" di Farjeon (ritraduzione del titolo qui sopra) e proprio il romanzo che recensisco oggi. Tuttavia l'autrice di quest'ultimo, Lorna Nicholl Morgan, rientra nel novero degli scrittori di mysteries tradizionali che non hanno saputo costruirsi una certa fama neppure tra gli appassionati: a differenza di Farjeon, il quale fu molto apprezzato mentre era in vita, lei non ha lasciato segni inconfondibili del suo passaggio all'interno del genere, in modo simile a H.H. Stanners (il cui "Com'è Morto il Baronetto?" ha rivisto la luce soltanto nel nostro Paese, appena un anno fa). E se, nel caso di Stanners, io non sono riuscito a capire perché il suo libro non sia stato riscoperto prima, dopo aver letto "Un Piccolo Omicidio di Natale" credo di poter immaginare le cause per cui l'opera di Morgan non abbia resistito adeguatamente alla prova del tempo.

Pubblicato per la prima volta nel 1947 come "Another Little Murder", questo giallo mi ha infatti dato l'impressione di essere un po' troppo fuori fuoco, per diversi motivi: primo tra tutti, la decisione di aggiungere al titolo la parola "Christmas/Natale" alle rispettive edizioni inglese ed italiana. Se è vero che l'atmosfera generale del libro rimanda al periodo delle feste di fine anno, con tanto di neve in abbondanza e misteri da svelare in gelidi scenari da cartolina natalizia, è pur vero che manca del tutto la presenza di alberi decorati, gaudenti propositi nell'organizzare cene allegre e quei giochi o scenette teatrali che spesso si accompagnano a questa occasione. Capisco che intitolare questo romanzo "Un Piccolo Omicidio Invernale" avrebbe forse fatto meno presa sui lettori; però non trovo nemmeno giusto imbrogliare chi lo compra. In ogni caso, comunque, personalmente questa critica reca meno importanza rispetto ad altre (sapevo già che il Natale non era argomento principale di questo giallo, quindi non ho avuto alcuna sorpresa in questo senso). Tutt'altro discorso, però, riguarda il suo contenuto. Infatti, se per alcuni elementi esso si avvicina a quello di "Sotto la Neve", con un enigma e un racconto in cui contano più le emozioni della complessità e dell'accuratezza dell'indagine, rispetto al tipo del giallo natalizio imperniato sul puro mistero (come "Il Natale di Poirot" oppure "Natale con Delitto"), d'altra parte ho avuto la sensazione che il soggetto di "Un Piccolo Omicidio di Natale" non si possa nemmeno accostare del tutto a quello del libro di Farjeon. Mi spiego meglio.

Quest'ultimo, secondo me, è stato impostato in modo strettamente "inglese", con suggestioni di intimità legate al periodo vittoriano, e ha fatto dell'evocazione di un clima da fiaba il proprio punto focale; mentre il mystery di Morgan assomiglia più al genere di romanzo del mistero che è stato portato alla ribalta dalle Regine del Brivido americane; nella maggior parte dei casi molto buono, per carità, ma pur sempre segnato da accentuali elementi di suspense a discapito del caso. L'impressione finale che ho percepito dalla lettura di "Un Piccolo Omicidio di Natale", dunque, è stata di mettere insieme, in modo un po' goffo e impreciso, caratteri del giallo tradizionale con molti altri di impronta americana; col risultato di creare una sorta di thriller ingentilito, contraddistinto da uno spiccato senso del melodramma e da una protagonista femminile molto risoluta (a differenza della classica woman in jeopardy), in cui si vuole far coesistere un dualismo "alla White" ma senza riuscirci. A differenza dell'uso che se ne fa nella narrazione di White, infatti, in questo libro gli elementi del giallo di suspense sono molto più accentuati e l'effetto che se ne ricava è quello di dare vita a un racconto che si potrebbe definire "freddo" e affilato; nel quale l'atmosfera non è più quella "calda", familiare e intima di salotti confortevoli e il clima tutto sommato disteso, suggestivo e privo di bruschi sbalzi, ma piuttosto ostile verso i personaggi e fin troppo algido, in cui il brivido non manca in tutti i sensi. Personalmente preferisco il taglio adottato da Farjeon a quello di Morgan, ma probabilmente chi va matto per il mystery da brivido trarrà soddisfazione da questo libro.

Copertina della recente edizione
pubblicata da Sphere, in Inghilterra
Perciò, dato questo lungo discorso in gran parte negativo, leggere "Un Piccolo Omicidio di Natale" si è rivelato una totale perdita di tempo? Affatto. Tenuto conto delle imprecisioni innegabili dell'enigma e della sua storia un po' banale, infatti, non si può certo nascondere il fatto che questo romanzo abbia riservato anche qualche sorpresa in positivo. Non fatevi ingannare dal fatto che esso sia stato ripubblicato per la prima volta solo dopo sessant'anni o che in pochi conoscessero la sua autrice: ciò non è dovuto del tutto alla sua inesperienza o alla povertà intrinseca della sua opera, ma pure dal fatto che di lei non si conosce quasi nulla. Come era stato per H.H. Stanners, infatti, di Lorna Nicholl Morgan si sa soltanto che fu una scrittrice di gialli degli anni '40 e che pubblicò, nell'arco di quattro anni, altrettanti volumi: "Murder in Devils' Hollow" (1944); "Talking of Murder" (1945), in cui il membro di un esclusivo club muore alla vigilia di Capodanno; "The Death Box" (1946), dove la vicenda è incentrata su di un corpo rinvenuto all'interno di una scatola e sulla scomparsa di una giovane signora; e "Un Piccolo Omicidio di Natale" (1947). Un vero peccato che le notizie sul suo conto siano tutte qui. Ma siccome non mi va di liquidare troppo in fretta l'elusiva figura di questa scrittrice, dopo i suoi sforzi per imporsi al mondo, vorrei intraprendere una sorta di indagine, alla maniera di quella fatta per Stanners, e provare a ricavare dalle informazioni contenute nel suo libro (l'unico da me letto finora) qualche elemento della sua personalità.

Per iniziare, prenderei in esame i personaggi, ritratti con una certa dose di asetticità ma dotati di un netto carattere e tratteggiati con attenzione, oltre ad essere molto vari. Tra tutti, mi hanno colpito soprattutto Ashley (col suo particolare metodo di "indagine", pp. 112-115, 177, 181), Howe e Raddle, a causa delle loro sciocche manie salutiste, e ovviamente Dylis. Ognuno di loro potrebbe lasciar trapelare un pezzetto della loro creatrice e dare l'idea di come fosse: discreta, forse interessata alle malattie e i loro rimedi salutisti, ma soprattutto forte, determinata, intelligente ed entusiasta come la protagonista (pp. 7-12, 18, 66, 99, 132, 145, 156, 176-177, 180), dotata di un forte ottimismo e dalla personalità spiccata, la quale viene esaltata nel trio di caratteri centrale nel romanzo, costituito assieme a quelli di Inigo e Theresa. Con quest'ultima viene messo in scena un forte contrasto: una è fatua, capricciosa, un po' inconsistente; l'altra, invece, è indipendente, coraggiosa (a volte fin troppo) e curiosa. Inoltre Dylis ha intrapreso una carriera (quella del commesso viaggiatore) che spesso viene ricollegata agli uomini, dando prova della sua voglia di osare e di mettersi in gioco per sovvertire i ruoli (devo ammettere, insomma, che in questa scelta ho visto un po' di femminismo, da parte di Morgan). Ma non solo; oltre alla sua passione per le cure e le diete naturali (pp. 45-47, 49-54, 56, 74-75, 94-96, 115, 128-129, 158, 186-189, 263-266), insolita all'interno della letteratura del mistero della Golden Age (anche se bisogna ricordarsi del detective salutista di Victor Whitechurch, Thorpe Hazell), l'autrice si è distinta in questo romanzo per aver inserito un tema scottante per il tempo: ovvero, quello della pornografia! Si tratta di un elemento curioso, che dimostra come lei intendesse mettersi alla prova grazie ai suoi libri e avesse deciso di sfruttare la rigidità delle leggi britanniche a riguardo, per costruire il proprio mistero. Mistero che, per qualche vago cenno, assomiglia a quello di "Trappola per Topi", dove un gruppo di estranei si ritrova bloccato in un luogo chiuso e deve convivere con il timore di essere ucciso nel sonno da uno degli altri viaggiatori. Stavolta, però, il caso viene lasciato andare senza grande attenzione ai particolari e risulta banale; probabilmente nemmeno Morgan credeva fino in fondo alla storia che stava scrivendo, la quale appare come un qualcosa di già visto, desolata e senza quel mordente caratteristico dei capolavori del giallo. Tuttavia, la resa dell'atmosfera (pp. 28-30, 34, 36-42, 47-50, 52-59, 96-98, 108-110, 120-125, 131-136, 142-143, ma non solo), con sinistri passi lungo i corridoi, i rumori scricchiolanti della casa e le presenze spettrali, genera un piacevole senso di brivido lungo la schiena, che monta mano a mano mentre passa il tempo; fino al momento in cui il sospetto diventa insopportabile e la tensione si spezza (cap. 13).

Una cosa, dunque, è certa: Morgan sapeva scrivere in modo da catturare i sensi del lettore e suscitare suggestione, grazie a uno stile ricco di humor (esempio pp. 105-107), dove il divertimento si mescola a un potente tono melodrammatico e sinistro (in questo è molto simile a quello di Farjeon in "Sotto la Neve"), e a un senso dell'ambientazione che rende perfettamente l'aura minacciosa dell'antica dimora in cui Dylis e gli altri viaggiatori sono capitati e il pericolo costituito dalla bufera di neve (simile a quello corso dall'Inghilterra e dall'Europa tra la fine del 1946 e il 1947, pp. 8-12, 21-22, 32-33, 41, 61, 63-67, 79-80, 129, 243). In conclusione, dunque, "Un Piccolo Omicidio di Natale" è risultato un po' più debole rispetto ad altri letti durante queste feste di Natale; però non mi ha deluso. Mi aspettavo una storia giocata sul fascino e la suggestione da brivido, benché con un enigma più articolato, ed è ciò che, tutto sommato, ho trovato: una lettura simpatica e per certi versi sorprendente, da riservare per i momenti in cui si è al caldo, sotto le coperte. Sono curioso di leggere altro di Lorna Nicholl Morgan, per vedere se il giudizio complessivo sull'opera può migliorare; chissà che non ci si riesca in futuro.

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venerdì 3 gennaio 2020

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Gennaio 2020)

Buon inizio dell'anno a tutti i lettori di Three-a-Penny e dell'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario! Mi auguro che abbiate passato un allegro periodo di festa e che vi siate ricaricati in vista del 2020, il quale ci riserverà sicuramente più di una sorpresa; soprattutto dal punto di vista delle letture a tema "giallo". Io sto sfruttando queste prime settimane dell'anno per sistemare alcune faccende in sospeso per il blog (non temete, le recensioni sono solo "in pausa"!), per tornare a pieno regime molto presto. Fin d'ora, infatti, mi sto adoperando a raccogliere anticipazioni da potervi dare in questo senso, così da tenervi sempre aggiornati sulle nuove uscite; e devo rivelarvi che ne ho raccolte alcune che (sono sicuro) faranno piacere a più di uno di voi. Però, siccome riguardano potenziali volumi che verranno dati alle stampe a partire da febbraio, per questa volta vi voglio anticipare solo un titolo, per poi passare a una faccenda un po' diversa dal solito. Ma andiamo con ordine.

Copertina di "Castle Skull" pubblicato
dalla British Library Crime Classics
Innanzitutto, come vi dicevo, l'unica uscita di Gennaio: ovvero, "Castle Skull" di John Dickson Carr. Dopo "It Walks by Night", pubblicato in lingua originale a settembre e tradotto in italiano molti anni fa da Mondadori come "Il Mostro del Plenilunio", la British Library Crime Classics curata da Martin Edwards riproporrà, a partire dal giorno 10, anche il secondo romanzo del grande Maestro del Delitto della Camera Chiusa; nonché seconda avventura di Henry Bencolin. Tradotto in italiano come "Sfida per Bencolin", questo romanzo narra la trista storia di Myron Alison, un famoso attore teatrale ed incallito dongiovanni, il quale una notte muore arso vivo, con ben tre pallottole in petto, mentre si trova sui bastioni di un lugubre castello a forma di teschio, sulle rive del Reno. Sebbene il delitto in sé sia già abbastanza originale, alla strana vicenda va aggiunto il fatto che il maniero è appartenuto a uno strano individuo, un illusionista di nome Maleger, il quale aveva fama di mettere in scena esibizioni teatrali particolarmente lugubri e spaventose. Molto suggestivo, non è vero? Tutto farebbe pensare che Maleger possa essere tornato dall'oltretomba per ricominciare a stupire il suo pubblico, sebbene con messe in scena più realistiche di un tempo. Così, per sfatare un tale infausto presagio, il finanziere Jerome D'Aunay chiede a Bencolin di risolvere il mistero della morte del suo amico e di dare ad esso una spiegazione razionale, che scacci i fantasmi e l'oscurità dal castello. Di più non voglio rivelare: se vi ho incuriosito, sta a voi procurarvi una copia di "Castle Skull" e scoprire come si sono svolti i fatti. Inoltre, vi consiglio di approfittare dell'occasione: come per la "puntata" precedente, anche in questo caso tale ripubblicazione assume i caratteri di un piccolo grande evento, poiché in Inghilterra i romanzi di Bencolin sono molto difficili da reperire; per non parlare delle traduzioni italiane.

Copertina di "Gaudy Night" pubblicata
da Hodder & Stoughton
Adesso che ho esaurito i "consigli per gli acquisti", dunque, vorrei passare a un quesito da proporre e che, nelle settimane seguenti, darà vita a un sondaggio vero e proprio. Infatti, siccome questo mese le uscite da libreria in fatto di gialli classici sono un po' scarse, mi piacerebbe occupare questo spazio chiedendo a tutti i lettori di "Three-a-Penny" e agli appassionati della classica crime story di indicare quale, secondo loro, sono i romanzi gialli "tradizionali" che LORO vorrebbero veder presto pubblicati, in italiano oppure un inglese. La mia idea sarebbe di indicare almeno un paio di titoli, da indicare qui sotto nei commenti (oppure in calce a uno dei post che già da qualche giorno ho lasciato su altre piattaforme), in modo da stilare una classifica da quello meno "desiderato" a quello più agognato, in base al numero di nomination ottenuto da ogni romanzo. Vi sembra una buona idea? Da parte mia, io sono molto curioso di conoscere le vostre risposte. Inoltre, spero che tutto ciò abbia successo e che, una volta condiviso il post con i risultati finali (la data di conclusione della votazione dipenderà dall'entusiasmo con cui questa sfida verrà accolta), esso possa essere di ispirazione a qualche editore per accontentarci. Chissà se sarà possibile...

Siete pronti? Allora... direi di cominciare! Il mio voto va assolutamente alla traduzione italiana di "Gaudy Night" di Dorothy L. Sayers. Aspetto numerosi riscontri da parte vostra; non siate timidi e fatevi avanti.

Con questo, vi saluto e vi do appuntamento al mese prossimo, con nuove anticipazioni e (forse) l'esito del sondaggio. A presto!

Link all'edizione di "Castel Skull" in lingua originale su Amazon: Castle skull