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venerdì 6 dicembre 2019

16 - “Un Delitto Inglese” (“An English Murder", 1951) di Cyril Hare

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Sellerio Editore
Se c'è qualcosa di cui la Gran Bretagna va fiera, questa è la sua Tradizione più o meno antica nel tempo. Non solo dal punto di vista sociale e politico, considerando il fatto di possedere la democrazia più longeva del mondo (anche se negli ultimi anni sta affrontando non poche difficoltà a causa della Brexit), affiancata alla monarchia più famosa della Storia; ma pure in ambiti artistici come quello cinematografico: non per niente, uno dei suoi celebri esponenti fu nientemeno che Alfred Hitchcock, conosciuto soprattutto per le sue opere americane ma pure regista di film realizzati nella Vecchia Europa, imitato e assurto al riverente titolo di Maestro del Brivido. A ragione, si potrebbe dire che l'Inghilterra abbia costruito la propria fortuna sulla capacità di esaltare e sfruttare il suo eterno passato come se fosse ancora parte del presente (cosa che, purtroppo, non si riesce a fare adeguatamente in Italia, dove la materia prima è tanto più copiosa che in qualunque altro Paese quanto bistrattata): ha conferito ai modi di fare e intendere un dato argomento e agli usi e costumi del suo popolo un'immutabilità perenne e un'importanza caratteristica, tale da renderli inconfondibili da quelli del resto dell'Europa e da tramutarli in una "merce" da esportare all'estero, così da instaurare un prototipo (forse anacronistico?) che contribuisce ad accrescere e celebrare la grandezza del Paese, inducendo noi "stranieri" a guardare sempre più spesso al modello inglese come a un punto di riferimento, a farcì influenzare da esso e a tentare di imitarlo, addirittura facendo nostre alcune usanze meramente "folkloristiche" della sua storia, pur di sentirci più vicini alla Gran Bretagna. In tal senso, un esempio che sorge immediato alla mente è quello riguardante il Natale. Le abitudini anglosassoni, risalenti a secoli fa, prevedono una preparazione e una conseguente celebrazione di tale festa così da fondere gli antichi riti druidici con quelli cristiani, in una maniera che nel tempo è stata più o meno adottata anche altrove: ci sono le carole beneauguranti da cantare insieme agli amici di porta in porta, scambiandosi ramoscelli sempreverdi; la scrittura delle letterine per Babbo Natale e delle cartoline di auguri per i parenti; la decorazione dei negozi con addobbi natalizi a partire dal mese di novembre; per non parlare, poi, del complesso procedimento che porterà all'apertura del Calendario dell'Avvento, alla decorazione dell'albero in casa (suddiviso in fasi temporali) e all'apertura dei regali, in seguito alla Messa della Vigilia e di quella del giorno di Natale.

In realtà, ci sarebbero molti altri gesti legati alle feste natalizie (alcuni prettamente british, altri che pian piano abbiamo adottato anche noi), ma elencandoli tutti rischierei di dilungarmi troppo e di annoiare; quello che mi interessa sottolineare, è come il popolo inglese tenga in grandissima importanza tutto ciò che è legato al suo passato, sia tanto fiero di esso da desiderare e riuscire ad esportarlo, come se fosse qualcosa di scontato, e sia difficilmente disposto a cambiarlo in favore di usanze moderne (anche nel momento in cui sarebbe meglio farlo). Questo concetto, tra altre cose, è illustrato al meglio in uno dei più classici romanzi gialli della tradizione natalizia britannica: "Un Delitto Inglese" di Cyril Hare (Sellerio Editore, 2017), pubblicato anche nei Classici del Giallo Mondadori col titolo "Delitto di Natale". La Tradizione, insieme alla sua celebrazione, è infatti il tema principale attorno a cui ruota questo delizioso esempio di crime story legata al "Christmas Murder Mystery", in cui coesistono tutti i più tipici elementi caratterizzanti il sottogenere: una bufera di neve, il maggiordomo austero che non si scompone per nessuna ragione, la casa isolata in cui avviene un omicidio tra familiari e amici, sospetti in abbondanza e un assassino che si aggira tra i saloni silenziosi. Eppure, non è tutto qui: la sola presenza di questi caratteri rischierebbe di dare vita a una storia uguale a tante altre, senza identità definita, come accade sempre più spesso negli ultimi anni. Serve qualcosa in più per conferire originalità alle vicende raccontate, che le distingua dalla massa; e Hare, da buon avvocato, ha sfruttato la propria conoscenza della legge inglese per trattare anche temi politici e sociali, in modo da dare più enfasi alla Tradizione e, allo stesso tempo, gettare uno sguardo su come essa possa influenzare il futuro, aggiungendo originalità alle situazioni che ha tratteggiato.

Immagine del tipico Natale inglese
La storia inizia presentandoci il dottor Wenceslaus Bottwink, mentre quest'ultimo si trova nell'archivio di Warbeck Hall, una grande casa signorile immersa nella campagna inglese di proprietà della famiglia omonima, intento a svolgere alcune ricerche riguardo la storia politica dell'Inghilterra del XVIII secolo. Come apprendiamo ben presto, il professore è un appassionato studioso delle leggi britanniche, oltre che un rifugiato politico, abituato dalla Storia a mettersi in disparte e a farsi notare il meno possibile, il quale sta approfittando con estremo tatto della gentilezza di Lord Warbeck per completare le trascrizioni di alcuni documenti di proprietà della famiglia che gli potranno essere utili in futuro, incurante del freddo che lo attanaglia e dell'avvicinarsi del Natale. Solo il maggiordomo Briggs, altera figura silenziosa, lo avvicina quotidianamente per offrirgli una tazza di tè: gli altri domestici sono stati assunti per lavorare in giornata e passano tutto il tempo a mantenere in vita il poco che resta ancora in piedi dell'antica casa, mentre Lord Warbeck disputa una battaglia con la morte che gli impedisce di muoversi in libertà e si appresta a tramutarsi in una triste sconfitta. Pur essendo uno straniero poco abituato alle tradizioni dell'Inghilterra, Bottwink è consapevole del fatto che un ospite non è desiderabile per le imminenti feste, visti i numerosi problemi che affliggono il vecchio Lord; eppure, nonostante ciò, il padrone di casa sembra intenzionato a far finta che tutto stia andando bene e ad organizzare un ultimo Natale a Warbeck Hall: ha invitato i parenti e gli amici che gli restano per concludere il bellezza l'anno, e non ha alcuna intenzione di allontanare nemmeno l'esule professore.

Al party saranno presenti nientemeno che il Cancelliere dello Scacchiere dell'attuale Governo, Sir Julius Warbeck; il figlio di Lord Warbeck, un esaltato fascistoide senza il becco di un quattrino di nome Robert; lady Camilla Prendergast, nipote del vecchio; infine, la signora Carstairs, legata alla famiglia da una lunga amicizia e moglie del braccio destro del Cancelliere. Si prospetta un soggiorno perlomeno allegro per gli abitanti di Warbeck Hall; se non fosse che tutti, chi più e chi meno, nascondono un segreto nel proprio cuore e sono in rapporti tesi con almeno un altro componente della comitiva. Lady Camilla, ad esempio, vuole interrogare Robert sul loro burrascoso rapporto, decisa più che mai ad estorcergli la verità; la signora Carstairs nutre un profondo disappunto verso sir Julius, poiché è convinta che suo marito potrebbe fare un lavoro migliore se ricoprisse la sua carica; il Cancelliere, dal canto suo, sopporta malvolentieri la presenza di una guardia del corpo e teme che la sua figura istituzionale possa essere messa in ombra dalle ambiziose mire della Carstairs. Quello più scontento di tutti, però, è Robert: costretto a convivere con due avversari politici, un vecchio amore, un padre malato e un ebreo, non vede l'ora di andarsene. Senza contare quell'altro problema... E Briggs, che sotto l'apparente pacatezza deve fronteggiare una sfida importantissima, non solo per il suo avvenire ma soprattutto per quello di sua figlia? Fin da subito, perciò, i rapporti tra gli ospiti si guastano e si accendono liti per un nonnulla, facendo presagire sviluppi funesti in vista del 25 dicembre; sarà però la notte della Vigilia a veder entrare in scena il primo cadavere, mentre la neve cade fuori dalla finestra e le comunicazioni con l'esterno si interrompono. Bloccati dalla tempesta e prede di un misterioso assassino, gli abitanti superstiti di Warbeck Hall dovranno fare affidamento sull'acume della guardia del corpo di sir Julius, l'agente Rogers, e sul più insospettabile degli investigatori dilettanti per scoprire la soluzione di un omicidio prettamente "inglese", più che originale e legato a doppio filo con il glorioso passato della Gran Bretagna.

William Pitt il Giovane, figura centrale nella politica inglese
della fine del Settecento e delle vicende raccontate in "Un
Delitto Inglese"
Oltre a quanto abbiamo visto poco sopra, anche la classica crime story rappresenta un tipo di "prodotto locale" che costituisce un vanto per l’Inghilterra ed è stato possibile esportare al di fuori del Paese. Alcune sue caratteristiche (la zitella-detective, l'omicidio nel villaggio di campagna, il cadavere in biblioteca...), assieme alla figura dell'investigatore dilettante, acuto e originale, divenuto una figura familiare da associare allo svelamento del colpevole nel proverbiale salotto, e all'assassinio privo di violenza gratuita, sono entrate a far parte dell'immaginario collettivo e sono ormai conosciute in tutto il mondo proprio per il loro essere "tipicamente anglosassoni". In passato, il popolo inglese si è impegnato a consacrare questo modello letterario, nato per necessità in periodo di guerra ed evolutosi in strumento per sondare l'animo umano, al grado di tradizione perpetua a tutti gli effetti. Da semplice pretesto di svago, i suoi autori hanno compreso il desiderio dei lettori e, al fine di scolpirlo nel tempo, hanno reso il mystery portavoce di un passato glorioso, il quale è stato man mano modificato da importanti cambiamenti sociali e politici ma mai dimenticato, adottando di volta in volta forme nuove per rappresentare al meglio questi ultimi; nonché per stabilire una certa superiorità della Gran Bretagna rispetto al resto d'Europa, quando il romanzo giallo classico ha iniziato a diffondersi all'estero. Tra gli altri, il periodo natalizio, occasione di confronto tra generazioni differenti e miscuglio di usanze allegre e più cupe emozioni sotterranee, spesso legate ad innovative strategie di indagine psicologica, si è prestato magnificamente allo scopo e, di conseguenza, ha fornito agli scrittori di gialli il pretesto per creare l'usanza del "Christmas Murder Mystery" tutt'oggi in voga; intrecciato sì alla Tradizione dal punto di vista della forma, ma anche espressione del cambiamento dei tempi da quello dei contenuti. Infatti, sono stati soprattutto questi ultimi, i temi toccati nel corso delle indagini in queste straordinarie opere letterarie, a mettere in luce il contrasto esistente tra usanze passate e moderne, in cui le une dominano sulle altre in modo alternato, e a decretare il grandissimo successo di questo sottogenere.

Prendiamo "Un Delitto Inglese": il suo autore non si dilunga sulle specifiche abitudini del Natale, questo è vero; però, pur essendo stato scritto nel 1951, questo romanzo riesce a immergere il lettore nel mondo incantato della campagna inglese immersa nella neve, mettendo in mostra un tipo di società che sembra scaturito da un libro di storia sociale, nella quale contano i fasti e il rispetto del passato. Come un prototipo del "Giallo di Natale", il romanzo esalta ed eterna la Tradizione, presentando uno sfondo costituito dall'immancabile casa di campagna, claustrofobica e isolata da una bufera (pp. 11, 21-23, 34-35, 37, 39, 42-43 ecc.); un gruppo di personaggi variegati, parenti-serpenti legati da qualche tipo di rapporto e costretti a convivere tutti assieme in un luogo chiuso (ognuno con un proprio punto di vista e una personalità spiccata, come si evince dai quadretti del cap. 2); una narrazione caratterizzata da uno stile perversamente gradevole che mescola ironia nera e un tocco di gioia innocente (per esempio alle pp. 64-66); un enigma caratterizzato da una complessa corrente sotterranea di sentimenti contrastanti, in cui l'esplosivo contrasto tra amore e odio sfocia nell'omicidio pianificato con attenzione e senza inutili spargimenti di sangue (pp. 48-54, 53-55); un auto-nominato investigatore il più delle volte dilettante, il quale fa domande discrete e allenta la tensione con una buona dose di humor. Tutto ciò viene costruito con attenzione nel corso della narrazione, proprio secondo l'usanza della Golden Age secondo cui non esiste violenza gratuita e il movente è molto complesso da individuare, e ci catapulta nell'Inghilterra del passato. I personaggi, nel loro tratteggio, assomigliano alle figure che potremmo trovare nelle storie più classiche della tradizione, quelle conosciute dappertutto: il maggiordomo flemmatico (pp. 10-17, 32-35), il Lord attaccato al passato in cui egli contava ancora qualcosa (pp. 31-35), il ministro egocentrico che mette se stesso davanti al resto (pp. 18-23), la giovane ragazza innamorata dello scapestrato giovanotto in cerca di guai (pp. 23-26, 28-30, 63-66, 92, 127, 145-147), l'esimio professore straniero dall'aria sospetta (pp. 9-17), la tipica matrona "suffragetta" che si dà da fare per sostenere il marito (ma sotto sotto anche i propri interessi, pp. 26-28); tutti costoro appaiono familiari al lettore proprio perché prelevati dalla tradizionale società inglese, assieme ai loro nomi (avete notato che gli aristocratici hanno nomi insoliti, la servitù nomi comuni e il professore uno difficilmente pronunciabile?).

L'ambientazione non potrebbe essere più classica, con tanto di solido contesto storico-sociale a sostenere i momenti descrittivi della trama (in alcuni momenti assomiglia a quello dei romanzi tardo-vittoriani, come "L'Occhio di Osiride"). Lo stile stesso, in cui si alternano descrizioni che all'apparenza esulano dalla trama e dialoghi ironici tra gli attori in scena, sembra risalire ad anni precedenti a quello che vide la scrittura di "Un Delitto Inglese" (come nella digressione sulla pesca e l'amore alle pp. 82-83). Insomma; pur essendo della metà degli Anni '50 del Novecento, questo libro intelligente mette in mostra un mondo che possiamo definire suggestivo benché antico, superato, in cui la politica è ferma agli albori della politica fascista e nazista, in cui lo straniero viene visto come il Male e la società è basata su un sistema feudale alla fine della propria esistenza, minacciato dalle tasse sempre più gravi e da un sistema di classe al termine dei propri giorni e dominato dalle tradizioni familiari. L'atmosfera che si respira è quella di una belle epoque agonizzante: gli individui sono concentrati a soddisfare i propri desideri egoistici (vedasi Sir Julius), ad illudersi che tutto stia ancora andando bene e che non si stia profilando all'orizzonte l'alba di una nuova era, in cui per forza di cose verranno catapultati (Lord Warbeck e, in un certo senso, anche Robert); in questo Hare si è dimostrato ineccepibile ed abilissimo nell'inserire numerosi dettagli che conferiscono a tutto ciò un'immagine complessiva vivida, in cui sospetto e ambizione si mescolano al clima da brivido di Warbeck Hall. Tuttavia, se questa "forma" ci restituisce una sorta di esaltazione della Tradizione e un romanzo in cui il passato occupa ancora un posto di primo piano all'interno della storia, d'altra parte non si può fare a meno di notare che anche un preoccupato sguardo al futuro e all'implacabile cambiamento si affaccia ogni tanto tra le righe, grazie alla trattazione di alcuni temi fondamentali; come se esistesse la consapevolezza del fatto che il passato sia superato e bisogni guardare al futuro. Ad esempio, dietro il tono ironico dei dialoghi, si cela il decadimento dell'aristocrazia contrapposto dell'ascesa dei borghesi, indicato sia dal confronto tra il vecchio Lord Warbeck e suo figlio Robert (il dialogo tra i due alle pp. 37-43 ne costituisce un ridicolo esempio), sia dalla situazione di isolamento della casa durante la bufera di neve. I personaggi appaiono più spaventati di ogni altra cosa dal dover tornare tra il resto del mondo e affrontare il Nuovo Ordine che li aspetta là fuori (pp. 156-159); si sentono inadeguati, fuori posto, come Lord Warbeck mentre osserva i propri terreni, all'inizio del cap. 3. "Svegliandosi dal suo sonno leggero di ammalato, [...] vide dalla finestra il prato, il giardino, il parco [...]. Ogni traccia di abbandono e di trascuratezza dei tempi recenti era scomparsa. Il viale correva liscio [...], la siepe presentava una superficie piatta e uniforme [...]. Un'illusione, naturalmente. Due giorni di disgelo avrebbero mostrato nuovamente i dossi, i vuoti e e erbacce - avrebbero mostrato [...] le grondaie rotte in almeno mezza dozzina di punti di quella vecchia casa" pensa costui, riflettendo sulla propria precaria situazione economica e sui tempi che corrono veloci verso un futuro in cui lui non ha posto; senza dimenticare i continui riferimenti alla nostalgia di un po' tutti i personaggi, i quali desidererebbero tornare indietro a un momento in cui tutto era sinonimo di felicità e serenità (ad esempio, alle pp. 21-23, 78, 93-95).

Da questa profonda riflessione ne scaturisce un'altra sul cambiamento storico e politico, la quale si snoda per tutto il romanzo e delinea il complesso rapporto tra le classi, ognuna ritratta da un diverso punto di vista. L'indebolimento del vecchio ordine, legato a un arrugginito sistema costituzionale, e una certa ridicola ansia nel voler mantenere tutto come un tempo (compreso il complesso e arrugginito sistema giuridico inglese), all'alba di una nuova era, mettono in mostra come ormai gli abitanti di Warbeck Hall vivano in un disperato anacronismo, inadeguati nei confronti dei rapporti tra gli individui (spesso ci sono riferimenti al rango sociale), incapaci di guardare avanti e costretti a una non-vita volta all'indietro, in cui le lamentele si fanno sempre più numerose ma suonano ormai vuote ("un traditore della sua classe, un traditore del suo paese" viene definito Julius da Robert a p. 40). Più di una volta il professor Bottwink, dalla sua posizione privilegiata di straniero, percepisce questo conflitto interiore (ai suoi occhi, tutti sembrano "ancora sotto il potere della mano morta del passato"), ma allo stesso tempo egli appare incapace di uscire dal ruolo di "sinistro figuro" che gli è stato affibbiato; il quale mette in mostra quanto il conservatorismo inglese di quel tempo potesse essere nocivo, se non addirittura razzista (vedasi il pensiero di Sir Julius, quando Bottwink paragona la pesca e l'amore: "lo guardò con evidente sorpresa. Quel buffo e piccolo straniero poteva essere quasi umano, allora"). In ogni caso, per fortuna, c'è una nota lieta in tutto ciò: alla fine Bottwink riesce ad affrancarsi quasi del tutto dal suo status e a diventare l'investigatore dilettante del romanzo, una delle figure più inglesi di sempre. Non solo: se si presta attenzione, ci si rende conto che, una volta superata la morte del secondo personaggio, viene come tracciata una linea divisoria tra antico e moderno, oltre la quale le tradizioni iniziano a non venire più rispettate del tutto, le apparenze futili cadono assieme alle maschere dei personaggi, e ognuno affronta i propri demoni (pp. 162, 163, 166, 185-190, 192-198, 209, 217, 219, 232) come a voler dire: "Lasciamoci alle spalle ciò che è stato e che non tornerà; ricordiamoci di quanto è accaduto, ma affrontiamo il presente guardando avanti". A mio parere, il cardine della narrazione resta proprio questo insolito miscuglio di elogio e, allo stesso tempo, critica del passato: dall'antiquato e ritratto con un certo trasporto sistema giuridico che Hare mette in mostra gradualmente nel corso della trama, alla condizione precaria dell'antica aristocrazia illustre, alla Storia classista però gloriosa del popolo inglese; tutto quanto viene da un lato dimesso per poi essere in qualche modo elogiato dall'altro, senza celebrazione gratuita, in quanto parte di un'eredità che appartiene ad ogni individuo in Inghilterra e non può essere rinnegata. Anche questo fa parte della Tradizione cui accennavo sopra, della quale gli inglesi vanno tanto fieri: non è pensabile smettere di perpetuarla, anche se ormai arretrata.

Alfred Gordon Clarke (alias Cyril
Hare), nato nel 1900 e morto nel 1958
Lo stesso Cyril Hare (pseudonimo di Alfred Gordon Clarke) fu una figura tanto controversa quanto i temi trattati in "Un Delitto Inglese". Nato nel 1900 a Mickleham, studiò Storia al New College di Oxford prima di intraprendere la professione forense a Londra. In concomitanza con il matrimonio, tuttavia, decise di intraprendere l'ulteriore pratica letteraria per incrementare le magre entrate che gli procurava il suo lavoro ed assunse uno pseudonimo che univa il nome della sua abitazione (Cyril Mansions) con il proprio luogo di lavoro (sito a Hare Court). Come Cyril Hare iniziò a scrivere racconti per il "Punch", finché nel 1937 riuscì a pubblicare con discreto successo il suo primo giallo, "Tenant for Death", in cui le indagini vengono affidate a un ispettore di Scotland Yard piuttosto convenzionale, Mallet. Quest'ultimo ricompare nel titolo seguente, "Death is no Sportsman", ma fu dal 1939 che l'attività letteraria di Hare si fece più originale: con "Suicide Excepted", infatti, egli cominciò a sfruttare la propria esperienza nel mondo giudiziario e della legge inglese per rinforzare intreccio e ambientazione dei suoi libri, dando sempre meno risalto alla figura di Mallet. Nel frattempo, ricoprì per qualche tempo il ruolo di judge's marshal e accompagnò un giudice itinerante con mansioni segretariali nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale; esperienza che gli sarebbe servita per dare vita al suo capolavoro, "Tragedy at Law", in cui fece la sua comparsa il suo investigatore per eccellenza: l'avvocato Francis Pettigrew, il quale avrebbe anticipato i "personaggi di carne e sangue" (come l'ha definito Martin Edwards) degli scrittori futuri. Pettigrew, infatti, risulta un individuo molto meno impostato e formale del tipico detective della Golden Age, interessato il giusto al denaro e disilluso, moderno e giusto, per il quale il delitto non è un gioco.

Grande appassionato di storia, di musica classica, di legge (come Michael Gilbert, ad esempio) e provetto oratore, nonché affetto da una "congenita e incurabile indolenza" che limitò la sua attività letteraria, Hare scrisse cinque romanzi con Pettigrew protagonista, che sommati a una trentina di racconti e agli altri rimanenti contano dieci esemplari della miglior crime story di stampo giudiziario, prima di morire nel 1958. Tra questi ultimi, l'unico a non presentare un investigatore di serie fu proprio "Un Delitto Inglese", il quale vide invece come deus ex machina l'insolita figura di uno storico ungherese, il professor Bottwink, e si può considerare il più "classico" dei gialli di Hare. Esso venne basato su "The Murder at Warbeck Hall", un radiodramma composto per la serie "Mystery Playhouse presents The Detection Club", scritto in un tentativo di raccogliere fondi per il Club e trasmesso dalla BBC assieme a:
  • The Murder in the Mews by Agatha Christie;
  • A Nice Cup of Tea by Anthony Gilbert;
  • Sweet Death by Christianna Brand;
  • Bubble, Bubble, Toil and Trouble by E. C. R. Lorac,
  • Where Do We Go From Here? by Dorothy L. Sayers.
Sempre Martin Edwards ha rivelato che, al momento della sua morte, Hare aveva iniziato a scrivere un nuovo romanzo con protagonista il dottor Bottwink; purtroppo però non riuscì a finirlo e non se ne farà mai nulla, poiché l'esiguo manoscritto rimasto incompiuto è talmente breve da rendere impossibile capire come si sarebbe sviluppata la trama. Ciò è un vero peccato, visto il calibro del primo libro di quella che si prospettava come una serie di qualità.

Certamente, la trama di "Un Delitto Inglese" ruota attorno a un complesso cavillo legale, oscuro ai più in Inghilterra e del tutto sconosciuto a chi come me vive in in altro Paese, che rende impossibile sciogliere l'enigma del movente prima dello svelamento finale; per non parlare dell'uso ingegnoso di insolite figure politiche come quella del Cancelliere dello Scacchiere e di passaggi storici difficili da comprendere. Eppure, la resa dell'ambientazione e dell'atmosfera nel suo insieme, grazie allo stile e a personaggi vividi, conferiscono a questo libro una marcia in più, che compensa in parte l'impossibilità di scoprire il motivo del gesto dell'assassino (il colpevole, in realtà, non è così imprevisto). Ben più di una semplice storia si cela tra le righe di "Un Delitto Inglese": c'è interesse nel tratteggiare i processi di indagine; c'è una certa pietà nei confronti di tutti gli attori sulla scena (compreso il colpevole); c'è voglia di dare originalità alla trama (l'uso stesso del professor Bottwink come investigatore è indice di ciò), di spiegare qualcosa che va oltre il racconto, in modo simile a quello adottato da Dorothy L. Sayers in "Il Segreto delle Campane", e di dimostrare che spesso serve qualcuno che viene da fuori per rendersi conto di come sta la situazione; c'è una forte denuncia verso il classismo becero e il nazismo. Ma soprattutto, in questo romanzo viene sottolineata l'importanza della Tradizione; anche se superata, quest'ultima resta uno strumento irrinunciabile che conserva un ruolo di primo piano per comprendere il futuro. È indispensabile guardare avanti, sembra suggerire l'autore, ma tralasciare del tutto ciò che abbiamo abbandonato dietro di noi può portare a risultati spiacevoli (anche a lasciare insoluti diversi omicidi, a quanto pare).

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