venerdì 26 giugno 2020

37 - "L'Inquilino del Piano di Sopra" ("Blue Murder", 1941) di Harriet Rutland

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Quando pensiamo agli anni che vanno dal 1939 al 1945, non possiamo fare a meno di concentrare la nostra mente sul conflitto più devastante e sanguinoso di tutta la Storia: la Seconda Guerra Mondiale. E se pensiamo ad esso (e al quello che lo precedette, verificatosi tra il 1914 e il 1918), allo stesso modo non possiamo esimerci dal riflettere sul fatto che le guerre abbiano influito in modo pesante sul modo di vivere delle persone che vi si ritrovarono coinvolte. Chi di noi non ha mai sentito un proprio parente (nonno, prozia, cugino) descrivere le difficoltà, i patimenti e le sofferenze subite? Esse furono una costante del periodo, qualcosa che fece cambiare per sempre le esistenze quotidiane della gente, fonti di grandi dispiaceri e tribolazioni. Eppure, se per molti versi i conflitti portarono con loro molte conseguenze negative (talmente tante che, ancora oggi, ci auguriamo di non dover rivivere mai più un'esperienza del genere), è pur vero che la spinta per l'avanzata del progresso e della democrazia costituì un potente motore per lo sviluppo del cammino del pensiero, della tecnologia e, ovviamente, tutto ciò che riguarda l'arte e la cultura. Tra gli altri, quello della crime story fu forse uno dei campi che meglio riuscì a cogliere vantaggi dalle tristi conseguenze provocate dalla guerra, grazie alla sensibilità di cui sono particolarmente dotati gli scrittori di romanzi gialli: essi, infatti, non solo sfruttarono le drammatiche trasformazioni del conflitto sulla vita quotidiana per rinnovare l'ispirazione per la costruzione delle loro trame e per donare a esse nuove atmosfere e caratteristiche, ma riuscirono anche a dare vita a storie che si avvicinavano all'esperienza del loro pubblico, interpretando le paure che esso pativa ed elargendo un po' di conforto. In America, tralasciando quegli autori che decisero di restare fedeli al modello inglese (come la Elizabeth Daly di "Morte al Telefono" e la Helen McCloy di "Come in uno Specchio", oppure Ellery Queen, con i loro enigmi classici benché psicologici), tutto ciò portò al fiorire della scuola hard-boiled, caratterizzata da individui duri e cinici che, allo stesso modo dei soldati al fronte, affrontavano la criminalità delle strade ed erano consapevoli del fatto che, comunque, la vittoria non era mai una conquista duratura e appagante.

In Inghilterra, invece, oltre alla corrente che vedeva gli investigatori dedicare anima e corpo alla causa nazionale e impegnarsi a una lotta "di frontiera" (come accade in "Quinta Colonna" di Agatha Christie, dove Tommy e Tuppence danno filo da torcere alla suddetta rete di spie), si vide sviluppare una narrativa incentrata maggiormente su quello che si può definire come Fronte Interno: quell'ambito del conflitto che prevedeva una certa organizzazione nel territorio amico, in patria, dove si respirava un'atmosfera non meno terrorizzante di quella della prima linea, e le privazioni e miserie quotidiane coinvolgevano tantissimi cittadini innocenti, sia nelle grandi metropoli sia nelle campagne, spaventati dagli orrori della guerra ma decisi a giocare un ruolo solidale gli uni con gli altri. I romanzi gialli anglosassoni che si sono soffermati sulla minaccia dei bombardamenti improvvisi, sulla crisi e sulla carestia, sui rastrellamenti e sulle difficoltà generate dal clima di paura del periodo, sono forse quelli che più sono rimasti nel cuore di tutti noi, poiché raccontano di un mondo che in qualche modo ci appartiene, dal momento che spesso i ricordi dei parenti di cui dicevo sopra si accompagnano a questo tipo di storie. Ad esempio, "Delitto in Bianco" di Christianna Brand (autrice tra le più celebrate della generazione post-bellica di membri del Detection Club), oltre a presentare un enigma tanto ben elaborato da essere considerato uno tra i migliori di ambito ospedaliero, mostra uno spaccato aderente alla realtà e affascinante di quale dovesse essere il clima nelle campagne dell'Inghilterra, durante i numerosi Blitz della Luftwaffe. Anche John Dickson Carr dedicò più di un suo mystery al giallo del Fronte Interno, prima con "Saper Morire" e poi con "Fantasma in Mare", dove in quest'ultimo caso ambienta le vicende a bordo di una nave passeggeri che deve attraversare la temibile zona degli U-Boot, i sottomarini tedeschi che affondavano le navi che portavano rifornimenti all'assediata Albione.

Ai libri di questo genere, tuttavia, oggi ne aggiungo uno che ha a che fare con il tema del mese (i colori nel romanzo del mistero, ricordate?), ma in senso figurato: infatti qui, a differenza delle volte passate, la tinta non viene intesa come pratica, fisica. In "L'Inquilino del Piano di Sopra" di Harriet Rutland (Polillo Editore, 2017), il riferimento è contenuto nel suo titolo inglese, "Blue Murder", ad indicare sia il senso di desolazione che percorre tutta la sua storia, sia i rumori e i frastuoni insopportabili delle bombe che cadevano sul Paese. Le vicende raccontate in esso ci descrivono una situazione sgradevole, in cui i personaggi si muovo e agiscono in un clima di odio e gelosia repressa e si verificano eventi sempre più agghiaccianti, man mano che le pagine scorrono. La bestialità trasuda dalle parole che leggiamo, assieme alla sensazione di dirigerci verso un finale che (come scopriremo) ci lascerà con il fiato sospeso fino all'ultima riga; non pensavo che un delitto del villaggio di campagna potesse diventare tanto oscuro, eppure sono stato piacevolmente stupito.

Searchlight at Dusk (Newhaven, Sussex), 1941, Eric
Ravilious, raffigurante un avamposto inglese durante la guerra
simile a quelli di Nether Naughton
La prima scena a cui assistiamo, iniziando a leggere il romanzo, è ambientata nello studio di uno tra protagonisti delle tristi vicende che si andranno a svelare davanti ai nostri occhi. Seduti nelle poltrone davanti al fuoco, sono presenti Mr Hardstaffe, il preside della scuola pubblica di Nether Naughton (microscopico villaggio della campagna inglese), un ometto borioso, iracondo, arrogante e, come se questo non bastasse, pure lascivo; e una delle insegnanti dell'istituto, Charity Fuller, giovane ragazza trasferitasi nel paesino da pochi mesi, alla ricerca di approvazione e comprensione. La frustrazione, accumulata negli anni e sommata a un carattere tirannico e suscettibile, ha reso Hardstaffe un individuo odioso alla maggior parte degli abitanti delle vicinanze; ma non a Charity, la quale si è lasciata andare e ha intrecciato una relazione clandestina col vecchio arpagone. Tuttavia, da qualche tempo la ragazza ha l'impressione di essere diventata l'oggetto di malevole voci di corridoio, non solo all'interno della scuola, ma addirittura per le strade del villaggio, e adesso ha deciso di troncare il rapporto intimo che la lega ad Hardstaffe, annunciando davanti al fuoco del caminetto le sue intenzioni. Una scelta, la sua, che non può essere accettata dal preside, il quale ha tutte le intenzioni di mantenere quel minuscolo bagliore di felicità all'interno della propria vita. Per Giove, si dice Hardstaffe, farei qualunque cosa per poterla sposare!... Peccato che egli sia già sposato con lei. A Nether Naughton, infatti, esiste già una Mrs Hardstaffe, una donna lamentosa e ipocondriaca che rende la vita infernale a lui e a Leda, la loro figlia, e che non intende certo mettersi da parte. Inoltre, il preside non è un uomo ricco e rischierebbe per giunta di vedere il proprio nome legarsi a una vicenda scandalosa (come se non si fosse già sporcato abbastanza con la relazione illecita con Charity). Come fare per risolvere la situazione una volta per tutte, accaparrandosi di ché vivere e l'agognata soddisfazione? Tutto sembrerebbe dover prendere una piega sinistra... E infatti, ben presto, nella casa degli Hardstaffe si verifica un decesso violento.

Tutto fa credere che il colpevole possa essere soltanto uno, ma le apparenze a volte possono ingannare. In realtà, ognuno dei personaggi dimostra di possedere quello che si definisce "un carattere sospetto": abbiamo la tipica famiglia disfunzionale da romanzo giallo, con il depravato preside, una consorte bugiarda che gode nel creare guai e una ragazza nubile fin troppo schietta e determinata, la cui giovinezza sta sfiorendo e attaccata solo ai cani di cui si occupa; un corredo di domestici composto da una cuoca esperta, una cameriera efficiente e una sguattera ebrea, rifugiatasi in Inghilterra per sfuggire agli orrori di cui si sta macchiando il regime del suo paese natale e mezza impazzita; e infine un inquilino sfollato dalla grande città, Arnold Smith, il quale fa il romanziere e deve per forza scrivere un nuovo libro, per non rischiare di finire in mezzo a una strada. Quest'ultimo, pian piano, assume il ruolo di personaggio centrale grazie ai discorsi che intavola con uno o l'altro degli attori del dramma: deve scrivere un mystery, e non può esimersi dal tentare la fortuna e catturare ogni sensazione generata dagli attriti tra i suoi affittuari (a costo di suscitarli egli stesso?). Eppure, senza che egli riesca a dominare la situazione, la tensione inizia a salire sempre più fino a culminare in un nuovo decesso violento, tanto che la polizia locale decide di far intervenire Scotland Yard. Riuscirà il poliziotto incaricato del caso, affiancato dal sergente subalterno, a risolvere il duplice omicidio, oppure ci sarà un altro morto prima che la storia sia finita? In una narrazione brutale, caratterizzata da un ritratto spietato della vita quotidiana del Paese nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la sfida per l'ispettore Driver è aperta.

Coastal Defences (Newhaven, Sussex), Eric Ravilious,
 1941, raffigurante un altro avamposto inglese durante la
guerra, simile a quelli di Nether Naughton
Come dicevo, "L'Inquilino del Piano di Sopra" è stato uno tra i romanzi gialli che più sono riusciti a trasmettermi una forte sensazione o emozione. Tempo fa, avevo già provato ad affrontare un mystery tutto sommato classico, in cui il tema della guerra era molto sentito: "Il Mondo dopo la Notte" del contemporaneo Charles Todd. In quel caso, ricordo distintamente come l'elemento dominante di tutta la storia (caratterizzata, tra l'altro, da un mistero che si poteva risolvere grazie ad alcuni indizi disseminati tra le righe) fosse stato il forte senso di disperazione e smarrimento che tutti i personaggi si trovavano a fronteggiare e a combattere, per non cadere nello smarrimento di sé e nell'angoscia strisciante che era risultata dai contraccolpi del conflitto sulle coscienze della gente comune. Prima di iniziare a leggere il libro di Rutland, quindi, mi aspettavo più o meno di ritrovarmi a provare quelle stesse sensazioni e di empatizzare con i protagonisti delle vicende; e invece, mi sono trovato davanti a qualcosa di totalmente differente. Forse il titolo originale avrebbe dovuto mettermi in guardia sulla materia prima con cui viene plasmata la storia degli omicidi di Nether Naughton. "Blue Murder", infatti, può sottintendere un discorso incentrato sul colore blu, spesso associato a sentimenti come la tristezza e la depressione, e pertanto indicare come la trama del romanzo sia focalizzata su tali emozioni; ma non bisogna trascurare il fatto che (come ho scoperto alla fine della lettura) la locuzione di cui sopra abbia pure un preciso significato nella lingua inglese, che corrisponde a un "grande clamore, rumore o frastuono orribile", prodotto in circostanze improvvise oppure quando qualcuno si lamenta per qualcosa che non gli piace. In queste poche righe, è racchiusa tutta quanta la sostanza di "L'Inquilino del Piano di Sopra".

Infatti, come scopriamo ben presto, gli elementi su cui si fonda la sua storia sono contrastanti come l'assordante urlo del gessetto sulla lavagna poiché, a un'ambientazione all'apparenza idilliaca (pp. 7, 13, 16, 18-19, 24, 26, 44-47, 53-54...), troviamo spiacevoli trattazioni del tema della guerra, vista come una "spada di Damocle" che pende sulla testa di tutti i cittadini e può scatenarsi da un momento all'altro, causando disastri ingenti (pp. 19-22, 25-26, 28-29, 31, 37-39, 49, 53-54...); dell'ostilità dei personaggi verso il prossimo e dell'insofferenza che essi provano senza riuscire a (o voler) nascondere; delle gelosie, i segreti depravati e le ambizioni che ognuno di essi cova e accarezza, senza curarsi del malessere che quegli possono in questo modo suscitare; del terrore di non essere in grado di raggiungere la meta prefissata. Nel corso delle vicende, ci vengono descritte con amara e sconcertante franchezza le insicurezze della società inglese al tempo della guerra, tra voglia di resistenza e un profondo senso di sospetto e paura. Nei protagonisti, viene calcata la mano sul lato sgradevole e violento delle loro personalità, dipingendoceli come preda delle pulsioni selvagge e di un esaurimento nervoso portato ai propri estremi. A differenza di quanto accade in "Il Mondo dopo la Notte", dove gli esseri umani vengono dipinti come bisognosi di tranquillità e di un ricovero dagli orrori del conflitto appena conclusosi, qui la guerra sembra mettere a nudo il cuore crudele degli uomini e delle donne, fa cadere i freni inibitori che dovrebbero mascherare la follia nascosta nelle profondità della psiche, e mette in mostra il trionfo dell'egoismo più puro e agghiacciante, restituendoci personaggi per i quali fatichiamo a provare pietà. Ecco, è la ferocia ciò che emerge da ogni pagina di "L'Inquilino del Piano di Sopra": dal punto di vista della guerra, che priva gli individui di qualunque tipo di sicurezza (finanziaria, emotiva, quotidiana) e li sottopone a dure prove da affrontare; dal punto di vista della gente del villaggio, la quale disperde nell'aria una sorta di miasma velenoso, fatto di gelosie, malcontento, bisbigli e pettegolezzi della peggior specie; dal punto di vista dei protagonisti, incapaci di provare affetto e comprensione gli uni verso gli altri e risucchiati in un vortice di odio palese.

Nel mistero tracciato da Rutland, sono questi ultimi gli strumenti di cui ci dovremmo servire per comprendere i moventi che hanno portato al duplice delitto di casa Hardstaffe. Grazie alle schermaglie per nulla filtrate tra Mr e Mrs Hardstaffe, riusciamo a farci un'idea del concetto di matrimonio che l'autrice stava sviluppando (sappiamo che, nel momento in cui scrisse "L'Inquilino del Piano di Sopra", ella si trovava sfollata come Arnold Smith, con la sola compagnia del figlio piccolo, e che pochi anni dopo avrebbe divorziato dal marito); siamo in grado di comprendere come il ruolo della donna stesse cambiando, da semplice angelo del focolare a individuo attivo socialmente e da impiegare nell'economia del Paese, osservando con sgomento la determinazione di Leda nell'adottare un piglio fin troppo militaresco nel dominare il ménage familiare e le riunioni delle associazioni locali, oltre all'addestramento dei suoi cani; assistiamo sconcertati all'atteggiamento snobista e razzista adottato dagli Hardstaffe nei confronti della sfrenata rifugiata Frieda, accolta in famiglia "perché non c'è alcuna alternativa", bistrattata con appellativi offensivi e frustrata al punto da farla quasi impazzire; solo perché forestiera, ci viene presentata un'immagine terribile di Charity, tratteggiata da una "signora" (per così dire) di Nether Naughton con un'acredine tanto assurda da superare i limiti di quanto ci aspetteremmo da una pettegola da villaggio di campagna; conosciamo il giovane Stanton grazie alla sua indole ambigua e al puritanesimo di facciata (tramandato dai genitori) che esibisce agli estranei, simile a una copertura per mascherare la sua oscena vacuità. Ognuno di questi aspetti viene trattato attraverso una spaventosa esibizione di violenza mozzafiato (pp. 40-42, 51-52, 66, 87, 99-100, 108-110, 117-118, 126-127, 132-134, 137, 145, 169-170, 225, 251-256, 275-284), la quale è accresciuta dalla sottile descrizione che di essi viene fatta (non c'è una volgare esposizione dei fatti, quanto un soffermarsi sugli aspetti più ripugnanti del caso con candore sagace e agghiacciante). La forza di "L'inquilino del Piano di Sopra" sta proprio in quest'esposizione dei fatti senza filtrarli, in un racconto innovativo e crudo che dà vita a un romanzo di transizione, ricco di acume psicologico e diabolicamente oscuro, dove l'enigma gioca un ruolo di importanza centrale nelle vicende ma, allo stesso tempo, gli indizi non sono più quelli relegati alla scena del delitto e che si possono cogliere da impronte e capelli lasciati dietro di sé dall'assassino (infatti non ci sono prove materiali da catalogare, per Driver e il sergente Lovely), quanto piuttosto un'indagine concentrata sui caratteri dei sospettati e sui rapporti di incontro/scontro nelle correnti sotterranee tra loro.

Copertina dell'edizione inglese,
pubblicata da Dean Street Press

Proprio per merito di questa particolare attenzione alla psicologia che ella dava alle sue storie, Harriet Rutland (pseudonimo di Olive Seers) viene considerata dai più, assieme a Christianna Brand, Dorothy Bowers ed Elizabeth Ferrars, come una tra le ultime brillanti esponenti della Golden Age del giallo classico. Nata nel 1901 a Birmingham e figlia di un imprenditore edile, della sua vita si conosce poco altro. Sappiamo che nel 1926 sposò John Shimwell, un microbiologo e biochimico della sua stessa città, e che nel 1931 la coppia si spostò nei pressi di Cork, in Irlanda, dove lui lavorava presso la fabbrica di birra Beamish and Crawford. La cittadina in cui abitavano era St. Ann's Hill, sede di uno stabilimento idroterapico dalla storia importante, e fu proprio grazie ad esso se Seers, adottando uno pseudonimo, decise di dedicarsi alla stesura di un romanzo del mistero. Infatti l'esordio di Rutland, "Knock, Murderer, Knock!" del 1938, è ambientato in una struttura in tutto e per tutto simile a quella di St. Ann's Hill, alla quale tuttavia l'autrice cambiò nome per non incorrere in problemi con i clienti e il personale dello stabilimento. Mystery satirico e impregnato di black humor, a questo romanzo fece seguito due anni dopo un secondo giallo, intitolato "Bleeding Hooks", in cui l'azione si svolge in un altro ambiente circoscritto, costituito da un albergo per appassionati di pesca sito in un villaggio del Galles. Come nel precedente, l'indagine e la risoluzione dell'enigma sono affidate a Mr. Winkley, un oscuro impiegato di Scotland Yard dalle mansioni non meglio precisate, ma che riesce a trovare il bandolo della matassa con abilità. Entrambi i libri, debitori nei confronti della tradizione ma comunque orientati verso l'analisi della psicologia dei personaggi, furono molto ben accolti da pubblico e critica in Inghilterra e America, tanto che Rutland venne salutata come un astro nascente della letteratura di genere e il critico Howard Haycraft, all'interno del suo saggio "Murder for Pleasure", la inserì fra gli esordienti particolarmente promettenti. Sfortunatamente, tuttavia, il destino dell'autrice non doveva comprendere altre numerose prove d'abilità in campo letterario. Nel 1939, infatti, gli Shimwell si erano trasferiti a Londra, dove era nato il loro primo figlio, e nell'arco di pochi mesi la città si era ritrovata assediata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Blitz provocò lo sfollamento di tantissime persone, tra cui probabilmente ci furono Rutland e il bambino, e ciò comportò quello che pareva soltanto uno slittamento nella pubblicazione del terzo romanzo giallo, "L'Inquilino del Piano di Sopra", il quale arrivò nel 1942 e si adattava al clima del momento, in quanto a tono.

Eppure, dare alle stampe l'avventura di Arnold Smith e dell'ispettore Driver non servì comunque a conferire la spinta necessaria all'autrice per la pubblicazione di altri libri. Di lì a pochi anni, ella si separò dal marito per risposarsi nel 1948, e si trasferì a Newton Abbot, dove nel 1962 morì. Al giorno d'oggi, forse a causa del loro esiguo numero, le opere di Rutland non vengono celebrate a dovere; eppure dovrebbero essere tenute in considerazione per l'importanza che diedero al genere giallo. Soprattutto con "L'Inquilino del Piano di Sopra", nonostante esso sia più un giallo psicologico che classico ad enigma e si possa leggere anche solo per la trama e i personaggi, l'autrice riuscì con sottigliezza e intelligenza a inserire temi importanti per il periodo storico in cui esso venne pubblicato e a ritrarre il frangente storico in cui esso è ambientato in modo da dare al testo un altro livello di interpretazione. Abbiamo un'ambientazione essenziale, che rappresenta il villaggio di campagna tradizionale, ma vista attraverso gli occhi timorosi della gente in guerra: il clima è tratteggiato in modo ottimo, descrivendo l'aria che si respirava nelle difficoltà, il razionamento e la sfida per procurarsi i viveri grazie alle tessere annonarie, la scarsità di aiuto domestico e la comparsa dei rifugiati dal continente, sebbene gli eventi bellici in sé siano sfiorati in modo marginale (abbiamo solo la scena-lampo del bombardamento a Londra). Tutto ciò mette a dura prova la sensibilità del popolo britannico, il quale si sforza di essere solidale ma non può esimersi dal mettere in mostra un certo provincialismo e dimostrare come il ruolo di tutti quanti stia subendo un capovolgimento. Soprattutto il cambiamento del ruolo della donna nella società anglosassone (p. 205) viene sottolineato in questo romanzo: Frieda è una ragazza focosa, a differenza delle "solite" sguattere che troviamo nei gialli classici, nutre profonde emozioni e non intende farsi mettere i piedi in testa da nessuno; Charity Fuller, da amante che subisce le angherie di Hardstaffe, diventa consapevole di sé e desidera ottenere ciò che merita; Leda vuole prendere in mano la propria vita e allontanarsi dall'idea vetusta della donna "tutta casa e chiesa", iniziando a manifestare la necessità di avere una certa indipendenza, un proprio spazio, e a guardarsi intorno alla ricerca di un buon partito. Tuttavia, non sempre la novità comporta esiti positivi. Il modo di parlare di Leda, spesso atteggiato a tono da propaganda a dimostrazione della sua volontà di aiutare il paese e di cambiare, purtroppo si scontra con la sua insofferenza nei confronti della rifugiata Frieda. Il tema dell'antisemitismo (pp. 25-28, 84, 92-93, 104, 107-111, 123, 130-132, 142, 166) si lega dunque a quello del conflitto visto dagli occhi della gente inglese: tutti appaiono desiderosi di dare una mano, ma in realtà sfogano il proprio risentimento sui poveretti che sono scappati dai campi di battaglia. Gli Hardstaffe, in particolare, vengono dipinti come individui incapaci di compatire la sguattera, poiché la trattano usando epiteti sgradevoli e toni insopportabili, e rappresentano un campionario umano di gran parte del popolo britannico (Smith, ad esempio, è più comprensivo con Frieda).

In questo modo, Rutland ci mostra quale dovesse essere la situazione dei rifugiati e la sofferenza ebraica in quel periodo, e riesce a consegnarci un ritratto tutt'altro che gradevole di alcuni personaggi coinvolti nelle vicende descritte nel suo libro, ma preciso nelle peculiarità di ognuno. Gli Hardstaffe, nella rappresentazione del loro matrimonio allo sfascio e di una vita quotidiana scandita da grossi problemi (curioso come l'autrice abbia colto la stessa ispirazione di Agatha Christie in "Il Mistero del Treno Azzurro", per dipingere il proprio fallimento matrimoniale), appaiono come esseri nauseanti, caratterizzati nel dettaglio da gelosie e odi impetuosi, i cui rapporti interni sono tutt'altro che idilliaci, e desiderosi di mostrare la propria superiorità al resto del mondo con un atteggiamento vittoriano (pp. 9-10, 13, 15, 18, 20, 23-24, 27, 37-38, 57, 194), senza essere capaci di rendersi conto che si stanno rendendo ridicoli. Smith, nella costruzione del suo romanzo giallo (pp. 31-35, 43, 50-51, 57-58, 62-63, 96, 99, 159-163, 189-192, cap. 41) e nella percezione degli eventi filtrata attraverso di essa, oltre a dare una nota sarcastica e divertente col paragone tra sé e il fittizio Noel Delare, a permetterci di osservare come lavora un giallista e a sottolineare i sospetti verso ogni personaggio mentre "indaga" e a suggerire moventi, analizza a fondo le caratteristiche di ognuno e ci consegna precise descrizioni dei loro modi di essere: il preside è un depravato, sua moglie una lamentosa ipocondriaca bugiarda, il figlio un avido puritano e la figlia un generale in gonnella che si diverte a rivalersi sui sottoposti. Pure Charity Fuller e Arnold Smith, attirati nel loro gioco perverso col rischio di non riuscire più ad allontanarsene, costituiscono esempi di personaggi realistici e profondi; il tratteggio di pochi protagonisti, che punta all'esplorazione delle loro dinamiche interpersonali e acuisce l'oscurità attorno a loro, permettendoci ci entrare nel loro profondo e di scorgere le ombre oscene che si celano nelle loro anime, è forse la caratteristica migliore della narrativa di Rutland; quella che la avvicina pericolosamente alla visione diabolica e magistrale di Francis Iles. Insomma, se uniamo questa visione "maledetta" dell'ambientazione e dei personaggi, raffigurati come demoni sulla terra, alla violenza spesso gratuita di cui essi si rendono colpevoli (frustate, bastonate, aggressioni fisiche), a uno stile crudo fatto di umorismo cupo e sardonico (pp. 32-33, 68, 79-80, 82-86) e agli scioccanti colpi di scena disseminati nella trama, duri come pugni in faccia, ci accorgiamo di trovarci di fronte a un romanzo giallo psicologico innovativo e strabiliante, tutt'altro che banale pur non rappresentando il tipico mystery "alla Agatha Christie". Questo libro osa diventare oscuro, col suo finale fulminante e sconcertante, altamente drammatico e d'effetto, che non ti aspetteresti in un enigma ideato nel 1942. Spero che molte persone possano decidere di leggere questa storia e restare colpite dalla sua ferocia e dalla sua conclusione scioccante.


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venerdì 19 giugno 2020

36 - "Il Cadavere in Pantofole Rosse" ("The Corpse in the Crimson Slippers", 1936) di R.A.J. Walling

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Chi è appassionato di classica crime story lo sa bene: i romanzi che appartengono a questo genere letterario non si possono sempre considerare capolavori in grado di introdurre innovazioni ed elementi inusitati. Lo abbiamo visto nella recensione di "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes, un'autrice inglese portata nel nostro Paese da Elliot Edizioni e da Le Assassine, dove ho spiegato come, a mio parere, la lettura di quel romanzo giallo fosse da prendere come ancora legata a una tradizione "classica" che faticava ad affrancarsi dagli stereotipi del tempo. La storia raccontata in "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?", infatti, non affronta particolari argomenti o temi scomodi per l'epoca in cui venne ideata, non mette in dubbio la natura e l'identità della società che descrive, né intende compiere chissà quale profonda analisi dei personaggi e delle loro anime tormentate. Essa si è limitata ad assorbire l'essenza del mondo del primo Novecento, alla stregua di quello descritto in "Sotto la Neve" da J. Jefferson Farjeon, e a riportarlo tale e quale fino ai nostri giorni, senza pretendere di rivoluzionarne l'immagine (e la stessa crime story), né plasmando il genere man mano che avvenivano cambiamenti di carattere storico e politico; ma consegnandoci un racconto del mistero convenzionale a quanto ci si aspettasse nel momento in cui esso venne pubblicato. Non che questo sia necessariamente un male, intendiamoci. Un'enorme fetta dei libri che appartengono al genere giallo, infatti, reca un'impronta nella quale prevalgono stereotipi e convenzioni di un'epoca ormai passata, dove l'aristocrazia gioca un ruolo dominante sul popolo borghese e proletario e la "scalata in società" viene vista come un'azione spregiudicata. Si tratta di storie che spesso non brillano per una spiccata originalità di trama, per la profondità psicologica dei protagonisti oppure per aver toccato chissà quale tematica scottante, e che spesso non sono riuscite a resistere alla prova del tempo come è avvenuto per altri gialli della stessa epoca, considerati appunto come capolavori grazie alle innovazioni che hanno introdotto.

Eppure, il fatto di calcare la mano sul loro lato più tradizionale non vuole sottintendere che storie come quella di Haynes siano insipide, prevedibili e sciocche; anzi, tutto il contrario. Classico non è sinonimo di scandente, poiché bastano pochi ingredienti (come personaggi rappresentati in modo ironico e affettuoso dall'autore, oppure un mistero raccontato in modo non banale per chi si troverà a tentare di districarlo) per conferire a un romanzo giallo un motivo valido per cui esso debba essere letto. Ancora una volta, vale il discorso sui gusti dei lettori: moltissimi possono essere convinti che la cosa più importante, in un mystery, sia la perfezione del meccanismo delittuoso e il suo scioglimento, ma non bisogna dimenticare che altrettante persone desiderano soltanto trascorrere qualche ora a lasciarsi intrattenere da un piacevole mistero, senza pretendere chissà quale intreccio. Pertanto, ho imparato a non essere troppo duro con questi libri più leggeri, che si leggono volentieri e in cui traspare la vera anima della detective novel del periodo tra le due guerre, con vicende che intrigano senza calcare troppo la mano sull'efferatezza del delitto e che hanno il fine di far trascorrere a chi legge qualche ora di spensieratezza e divertimento, tra la descrizione di un tè all'aperto, magari nel mezzo di una compagnia allegra, e una gita in automobile. A questo numero di romanzi gialli un po' antiquati e perfettibili, per restare in tema con l'argomento del mese, oggi aggiungo un nuovo titolo: "Il Cadavere in Pantofole Rosse" di R.A.J. Walling (Polillo Editore, 2016). Esso tratta di una storia che mescola insieme un sacco di cose (forse troppe): un mistero in casa di campagna, con tutto ciò che ne deriva; un'avventura in un casolare isolato, con tanto di scontro con una banda di criminali; una vena spionistica che comprende un crittogramma da decifrare per poter correre in soccorso di un agente dei Servizi Segreti in grave pericolo. Tutto questo, inevitabilmente, dà vita a una vicenda complessa come poche altre, nella quale non sempre riusciamo a districarci con chiarezza; tuttavia, la capacità dell'autore di coinvolgerci nel dipanarsi delle varie situazioni salva, in parte, un romanzo perfetto per chiunque voglia dedicarsi a un rompicapo straordinario, vivace e capace di intrattenere, aggiungendo qualcosa in più alla leggerezza della storia di Haynes.

Buscot Park (Faringdon, Oxfordshire), Eric Ravilious, 1938,
simile alla Old Hallerdon di proprietà di Sir Grymer
La trama prende avvio da una scena che si svolge alla stazione di Paddington. Laggiù, nelle prime ore del mattino, un uomo che viene identificato come Mr Arthur si ritrova a dover sgattaiolare fuori dal treno che l'ha condotto fino a Londra grazie all'aiuto del suo autista, tale Morris, per poi recarsi fino a un'indirizzo di John Street in tutta segretezza. Queste premesse ci fanno capire ben presto che l'uomo e il suo compagno stanno dedicandosi a qualche affare oscuro; tanto più che, di lì a poco, all'indirizzo di Mr Arthur viene recapitata una strana lettera che, all'apparenza, non ha alcun significato. Tutto ciò non sarebbe poi così grave; in fondo, Mr Arthur deve essere un individuo addestrato a spezzare i codici segreti. Tuttavia, egli deve partire immediatamente per Lisbona e non ha il tempo necessario per sciogliere l'enigma presentato dalla lettera. Pertanto, ricordando il consiglio di un amico, decide di spedire la misteriosa missiva all'agente assicurativo Philip Tolefree, investigatore dilettante che già in altre occasioni si è rivelato utile per i suoi clienti, per mano del famoso esploratore Ronald Hudson. Tolefree, in realtà, non vorrebbe accettare l'incarico che gli viene proposto; eppure, il fatto che Hudson si sia presentato alla sua porta dotato di barba finta lo incuriosisce al punto da farlo cedere e accettare di condurre una discreta inchiesta. Una volta congedato il celebre scrittore, però, Tolefree si rende conto che quest'ultimo ha abbandonato il suo biglietto da visita sul tavolino, e che sul retro del foglietto sono state segnate alcune iniziali. Nella sigla J.Q.F., l'agente assicurativo ravvisa il nome del suo amico James Quilter Felderman, un avvocato specializzato in brevetti ingegneristici che, come egli scoprirà a breve, si trova ospite dell'industriale Sir Thomas Grymer ad Old Hallerdon, la tenuta di campagna di quest'ultimo, assieme a un nutrito e vario gruppo di ospiti.

Ispirato dalla scoperta e deciso più che mai a liberarsi dell'incarico al più presto, Tolefree telefona a Felderman per tentare di scovare qualche elemento che possa aiutarlo a decifrare il misterioso codice di Hudson... scoprendo che a Old Hallerdon, nella notte, si è verificato un decesso sconcertante e spaventoso. Felderman, cogliendo la palla al balzo, organizza tutto in modo che il suo amico possa recarsi subito alla casa di Grymer per indagare sul suicidio del ricercatore chimico Peter Lewisson; del quale oltretutto non è per niente convinto. Istigato dai sospetti di Felderman e di altri ospiti della villa, tra cui una bella ragazza di nome Florence Merafield e un giovanotto che le fa la corte, Tolefree inizia a domandarsi se esista un legame tra il codice che ha ricevuto in mattinata e la morte di un'oscuro individuo nel bel mezzo del Devon, e decide di accettare la richiesta d'aiuto di Felderman. Raggiunta Old Hallerdon, l'agente assicurativo si ritrova a sospettare di essere nel giusto a credere che gli ospiti nascondano ognuno un segreto: oltre a Felderman, alla citata Miss Merafield e all'Onorevole Robert Bigbury, infatti, sono lì riuniti un sacerdote, zio della ragazza, il novello finanziere George Lyneham e uno strano francese che risponde al nome di Hippolyte Thibaud. Inoltre (cosa strana) Tolefree viene a sapere che la persona che ha scoperto il cadavere di Lewisson, un esperto d'arte di nome Borthwick, è stata lasciata andare via dalla casa e adesso risulta irreperibile. Eppure, egli si ritrova davanti all'impossibilità fisica del fatto che sia stato commesso un omicidio, dal momento che nessuno avrebbe avuto la possibilità di fuggire dalla stanza della vittima senza essere visto e Lewisson è stato trovato con la pistola stretta in pugno. Cosa nascondono, in realtà, le mura di Old Hallerdon? Forse non un solo crimine, ma numerosi e legati tra loro in una matassa ingarbugliata? Toccherà a Tolefree, affiancato da Felderman e dai giovani Merafield e Bigbury, trovare una spiegazione razionale al mistero del cadavere con le pantofole rosse e al messaggio che l'elusivo Mr Arthur gli ha fatto recapitare attraverso Hudson.

Piantine del primo e del secondo piano di Old
Hallerdon
Come dicevo, quella raccontata in questo libro è una vicenda classica in tutto e per tutto; un esempio talmente tradizionale di "delitto-nella-casa-di-campagna" che potrebbe sembrare fin troppo standard, se l'autore non avesse introdotto alcuni elementi che differenziano la trama dalla consuetudine. Infatti, "Il Cadavere in Pantofole Rosse" assomiglia sotto molti aspetti a "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?", sebbene a prima vista le apparenze non lo diano a vedere. Troviamo, tra le altre cose che risaltano fin da subito, la netta presenza di una gerarchia e stratificazione nella società, con tanto di aristocratici (Sir Thomas Grymer e Lady Grymer) affiancati a figure più semplici come quella del canonico Merafield, oppure di individui appartenenti alla cerchia finanziaria, elevati rispetto alla gente comune ma pur sempre inferiori ai signori di Old Hallerdon, come Felderman e Lyneham. Per non parlare di Lewisson, considerato alla stregua di un dipendente anonimo, e dello stesso Tolefree, agente assicurativo che si guadagna da vivere di giorno in giorno. Non mancano, inoltre, altri riferimenti a stereotipi in voga, nella rappresentazione degli stessi ruoli di ogni personaggio (Lyneham appare come un cinico finanziere; Thibaud simile al francese da commedia e operetta, tutto parole arzigogolate e atteggiamenti effeminati; Bigbury il tipico giovane inglese dal temperamento bollente sotto la facciata di perbenismo) e nell'inserimento nel caso di un'enorme quantità di elementi del mistero e della trama che già alla fine degli anni '40 del Novecento dovevano apparire come usurati: gli incontri notturni in stanze e corridoi oscuri, i tè all'aperto, liti sospette tra personaggi ambigui, travestimenti, coinvolgimenti di bande criminali organizzate... Insomma, dentro a "Il Cadavere in Pantofole Rosse" sono stati riuniti dall'autore la maggior parte dei cliché che al giorno d'oggi vengono ancora collegati al romanzo giallo; tutte quelle cose che possono sembrare un po' superate al lettore moderno e che minano la plausibilità dell'enigma, facendo storcere il naso a chi legge.

Eppure, c'è qualcosa di cui bisogna tenere in considerazione, quando si fanno accostamenti tra opere di autori diversi; ovvero, il loro approccio al genere. Haynes, ad esempio, era molto interessata a descrivere il rapporto tra i suoi personaggi, pur non ambendo a raggiungere le vette di analisi psicologica di Christie e Sayers; si accontentava di tracciare storie che avessero al loro interno enigmi senza infamia e senza lode, capaci di intrattenere ma senza costringere i lettori a farsi venire un mal di testa per risolvere in anticipo sull'investigatore di turno il caso che gli era stato affidato. Dal canto suo Walling, invece, intendeva fondare proprio sulla solidità dell'enigma tutta l'essenza dei suoi mysteries, dando grandissimo risalto all'indagine e lasciando (quasi sempre) sullo sfondo qualunque distrazione potesse rischiare di spostare il fulcro dell'azione dal caso investigativo. In questo modo, pur affrontando la questione da punti di vista differenti, sia Haynes sia Walling sono riusciti a dare vita a romanzi del mistero meno "complicati" di opere di autori celebrati per la loro complessa inventiva; ma non per questo scadenti, se presi come racconti fini a se stessi o, nel caso di "Il Cadavere in Pantofole Rosse", come "un nuovo bel giallo [...] uno splendido rompicapo, con qualche brivido, una storia ben definita e ideata" ("The Engineer's Bookshelf", Wilson R. Dumble). In sintesi, i loro libri non sono affatto così male come si può pensare, nonostante l'inserimento degli aspetti fin troppo convenzionali che ho elencato sopra; e il motivo di ciò si può riscontrare proprio nel loro essere "classici" in maniera tanto spiccata: pur non volendo produrre chissà quale capolavoro privo di cliché, questi autori hanno accontentato chi cercava trame spensierate seppur condite di omicidi (ed erano davvero in tanti, nel periodo tra le due guerre mondiali a cui i libri di Haynes e Walling risalgono), ottenendo addirittura lo status di essere accostati a figure ben più grandi in quanto a spirito e ingegnosità: Haynes con Christie, e Walling con gli esponenti del gruppo degli Humdrum. Questi ultimi, in particolare, furono probabilmente i giallisti che più di tutti gli altri (pure di Haynes e delle sue colleghe) si dedicarono alla trattazione del romanzo giallo come puro enigma. Il loro nome deriva dall'espressione con cui il critico inglese Julian Symons definì John Rhode pochi anni dopo la morte di Freeman Wills Crofts, un altro membro del gruppo incriminato: master of the humdrum, intesa come critica al fatto che egli, allo stesso modo dei suoi compari, si focalizzasse soltanto sulla tediosa e costruzione di meri rompicapi, tralasciando l'esplorazione di temi importanti e caratterizzazione dei personaggi.

Era questa la crime story incarnata dalla maggior parte dei membri del Detection Club, i quali si erano assunti lo scopo di rappresentare la vita reale, con tutte le sue sfaccettature positive e negative, e criticare la società del tempo. Ma, cosa che non viene sottolineata abbastanza spesso, non è questa l'unica concezione di genere crime che possa esistere; e infatti così non è. Infatti Rhode, benché membro del Club, considerava il romanzo giallo come una sorta di "cruciverba letterario", che doveva assumere il ruolo di strumento per stimolare la mente dei lettori e spingerli a ragionare sulla meccanica del delitto. In questo modo, adottò una visione del genere che si discostava da quella della maggior parte del gruppo, e diede vita a numerosissime detective novels incentrate soprattutto sullo svolgimento delle indagini della polizia e dell'investigatore, all'interno di storie dichiaratamente fittizie. Senza dubbio, questo modo di vedere veniva considerato "classico" già negli anni '40 del Novecento e non dovette convincere i lettori assetati di storie impegnate; eppure, fu ugualmente apprezzato da moltissimi proprio per quella sua stessa caratteristica (non per niente, egli pubblicò quasi centocinquanta libri nel corso della sua carriera). Ad esso Walling si ispirò per delineare le proprie trame, e non vedo il motivo per cui bisognerebbe colpevolizzarlo: sfruttò le stesse premesse del master of the humdrum, oltre a quegli stessi stereotipi che avrebbero inciso sulla riuscita complessiva e la credibilità dell'indagine, per dare vita a romanzi che si differenziavano dalla massa (nel bene o nel male, secondo il punto di vista di cosa ognuno cercava in un romanzo del mistero) e per crearsi un proprio posto all'interno del genere; accontentando così puristi del giallo ad enigma che, anche nel 1936, desideravano continuare a leggere mysteries focalizzati soprattutto su enigmi complicati come meccanismi ad orologeria.

Robert Alfred John Walling, nato nel 1869 e morto nel 1949
La convinzione che i libri di Robert Alfred John Walling siano un po' antiquati può forse essere dovuta anche al fatto che egli si trovò ad intraprendere molto tardi la carriera dello scrittore di narrativa, in un momento lontano dagli anni della giovinezza in epoca vittoriana. Nato nel 1869 a Exeter e contemporaneo di altri giallisti ormai considerati datati, come la stessa Haynes e Richard Austin Freeman, Walling iniziò infatti a lavorare come giornalista al "Western Indipendent" di Plymouth, seguendo le orme del padre, e dedicandosi a dirigere quello stesso giornale per gran parte della sua vita, prima di pubblicare una biografia su Sir John Hawkins e iniziare ad interessarsi al mondo del crimine, quando venne nominato giudice onorario in quella stessa cittadina. Sposato con Florence Greet e padre di quattro figli, solo nel 1927 diede alle stampe il suo primo romanzo di genere, "Dinner-Party at Bardolph's", e la buona accoglienza del volume (scritto perlopiù per divertimento) lo indusse a continuare su quel campo arrivando a pubblicare, in tutto, una trentina di gialli nella sua carriera, fino al momento della sua morte nel 1949. Nella maggior parte di questi, il protagonista è l'agente assicurativo Philip Tolefree, il quale agisce come investigatore in incognito e appare per la prima volta in "I Fatali 5 Minuti" del 1932. Oltre a questo romanzo, Tolefree appare anche in altri famosi romanzi come "Murder at the Keyhole", "The Cat and the Corpse", "The Mystery of Mr. Mock", "The Coroner Doubts" e, ovviamente, "Il Cadavere in Pantofole Rosse", settimo nella serie. Da molti considerato il suo vero capolavoro (anche più del celebrato "I Fatali 5 Minuti" inserito nella classifica delle pietre miliari del genere di Ellery Queen e Howard Haycraft), questo romanzo rappresenta pienamente le caratteristiche della narrativa di Walling.

In esso troviamo numerosi e diversi elementi del giallo classico, che irritano i critici e deliziano il pubblico: il mistero costituito dal crittogramma (pp. 16-19, 24-25, 189-196), il delitto nella casa di campagna, una coppia che si diverte ad indagare su un caso come se fosse un gioco, incontri notturni in stanze e corridoi bui, i tè all'aperto, una scena d'inchiesta nella migliore tradizione (pp. 49-59), figure di scienziati misteriosi (pp. 63-68, 166-172, 202-203) e loschi individui, la presenza di piantine, gente che va e viene dalla scena del crimine, furti e ladruncoli, indizi materiali accostati a ragionamenti mentali, esami di laboratorio, travestimenti; tutto ciò viene inserito da Walling in "Il Cadavere in Pantofole Rosse" (come in altre sue opere) per dare vita a un'indagine che per questo motivo può risultare fin troppo complessa e stereotipata, a un giudizio complessivo. Tuttavia, allo stesso tempo, questi aspetti non permettono mai al lettore di annoiarsi; e complice uno stile solido e quasi pesante, non sempre chiaro ai fini di una piena descrizione dei personaggi e della risoluzione dell'indagine, il quale si adatta alla vicenda e permette di tratteggiare il colore locale a Old Hallerdon e a St Maure, così che noi possiamo immaginare a grandi linee gli scenari e le persone che in essi agiscono, quegli elementi del racconto riescono a calare nella storia chi legge e a ghermirlo. Perdonando alcune ingenuità dell'autore, il romanzo si legge meravigliosamente e riesce a intrattenere grazie alle moltissime sfaccettature e trovate del suo ideatore (non per niente egli veniva soprannominato "l'Ingegnoso" dai suoi editori), dando vota a un mistero della casa di campagna che si differenzia dal solito grazie a variazioni interessanti, seppur in parte poco felici, come l'inserimento di una vena avventurosa-spionistica (capp. 1, 2, 9) che dà vita a un complotto poco in sintonia con il giallo deduttivo. Insomma, l'enigma in sé è davvero ingegnoso e piacerà moltissimo agli appassionati di rompicapi; peccato solo che per metterlo in pratica si sia dovuti ricorrere all'uso della nefanda banda criminale, la quale inibisce in parte il mantenimento della tensione e della suspense sul finale (per fortuna tali "elementi di distrazione" restano contenuti e si dà prevalenza al caso di Old Hallerdon, il crittogramma costituisce soprattutto una scusa per avviare le indagini sulla morte di Lewisson). L'indagine, giocata su un intreccio tradizionale e sufficientemente sviluppato, costituisce il fulcro attorno al quale si snodano tutte le altre caratteristiche del romanzo: in mezzo ad indizi disseminati con abilità, ad indagini lunghe e circostanziate, sorrette dalle testimonianze dei sospettati, troviamo un'ambientazione che, pur non occupando mai un posto di primo piano rispetto al mistero, è ben descritta nella sua marginalità (soprattutto per quanto riguarda gli scenari della casa, della campagna e della tenuta, pp. 7-9, 35-36, 68-71, 90-92, 103-104, 144, 165, 170, 206-209, 211-212, 214, 219-220, 222, 225) e riesce a dare un'idea chiara dello scenario in cui si svolge l'azione e dei movimenti dei sospettati, oltre ad evocare la giusta atmosfera in un giallo (vedasi pp. 103-113).

A un certa aria retrò, di antichità con grazia "alla Freeman" (pp. 28-29, 34-35, 40-41, 44, 75-76, 80, 121, 137, 139, 142, 154-158, 253-254, 269-270), accentuata dallo stile legato a una tradizione passata ma pur sempre suggestiva nella sua solennità, vengono accostate le presentazioni dei personaggi, nei quali si scontrano le loro piccole manie e un'innata convenzionalità di facciata: non troviamo mai grandi descrizioni psicologiche, una spiccata profondità caratteriale in loro, ma teniamo d'occhio i loro movimenti e ci concentriamo su questi ultimi per decifrare le loro intenzioni e osserviamo le pantomime che mettono in atto (soprattutto Thibaud, il personaggio che più di tutti incarna uno stereotipo ironico). All'ironia, inoltre, tocca gran parte del lavoro di alleggerimento (pp. 80, 133-139, 142-143, 155, 197-199, 245-246, 271), sfruttando i rapporti tra alcuni protagonisti come Bigbury e Florence, legati da una tipica relazione amorosa e intenzionati a considerare l'indagine di Tolefree come se fosse un gioco (pp. 42-43, 62-63, 79-90, 103-120, 130-131, 139, 154-158, 164-172, 197-202, 267): essi permettono ai lettori in identificarsi e mettono in luce gli aspetti divertenti del caso, con quell'ingenuità che era stata incarnata pure da Bill Beverley in "Il Dramma di Corte Rossa", vivendo il tutto come un'avventura al fianco del più serioso agente assicurativo. Ecco, forse l'ironia risulta un po' calcata a volte (per tornare di nuovo su Thibaud); eppure riesce egregiamente a spezzare la tensione e a dare una nota di spensieratezza alla trama altrimenti troppo impostata sull'inchiesta. Infine, i personaggi agiscono più come burattini, mossi dalla necessità dell'autore di ideare un delitto simile a un meccanismo ad orologeria, che come persone reali (a questo proposito, sono da segnalare le molte riflessioni di Tolefree (pp. 21-24, 48-49, 60-61, 73-74, 107-108, 110-111, 129-132, 153, 189-196, 240), attraverso cui Walling tiene l'indagine al centro della scena, le quali non lasciano grande espressione agli altri protagonisti). Essi sono un po' vaghi, a volte poco caratterizzati come Lady Grymer, una figura algida e candida, la quale non viene mai davvero coinvolta nel caso e viene rappresentata come una donna molto lontana da eventi prosaici quali l'indagine dei poliziotti e l'assassinio. Lyneham è il tipico "affarista", quello che conquista i milioni senza farsi scrupoli di sorta; Thibaud, come abbiamo detto, il tipico francese un po' svitato e forestiero; Grymer il signorotto che alla domenica va in chiesa oppure tiene conferenze davanti alla gente del villaggio. Lo stesso Tolefree costituisce una figura diversa da quella del tipico detective, impegnato a guadagnarsi da vivere e appartenente a una classe medio-alta, figura poco appariscente. Eppure, non è necessario che essi siano troppo delineati per poter giungere alla soluzione del caso: ciò che importa sono i loro movimenti fisici, durante la sera del delitto, per cui possiamo perdonare a Walling questa poca perfezione nella caratterizzazione. In conclusione, dunque, penso che "Il Cadavere in Pantofole Rosse" sia un delizioso esempio di giallo ad enigma, inteso come rompicapo matematico; uno di quei libri che rendono bene l'idea di come fosse la detective novel degli anni Venti del Novecento: quella capace di distrarre le persone dai tristi pensieri legati alla guerra, alla disoccupazione, alla fame e alla crisi generale che si era abbattuta sul Paese in quel momento. Certo, il fatto che Walling continuasse a proporre questo tipo di giallo nel 1936 forse poteva essere considerato azzardato, visto che ormai i tempi stavano cambiando. In ogni caso, a parte il fatto di aver utilizzato l'espediente del complotto nazionale come parte dell'indagine per scoprire il colpevole del delitto di Old Hallerdon, non vedo il motivo per cui questo romanzo debba essere criticato troppo aspramente. Walling voleva consegnarci un mistero simile a un cruciverba, qualcosa che potesse intrattenerci, senza esagerare e trascendere in tematiche sociali e importanti, e sono convinto che ci sia riuscito splendidamente con questa storia in puro stile Golden Age.


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venerdì 12 giugno 2020

35 - "La Dama in Rosso" ("The Holbein Mystery"/"The Red Lady", 1935) di Anthony Wynne

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
All'interno della crime story, soprattutto quella di stampo classico e appartenente all'epoca della Golden Age, il colore assume da sempre un ruolo di considerevole importanza. Non che questa sia una caratteristica esclusiva del genere, visto che anche ad altre tipologie narrative vengono spesso associate le tonalità più disparate (ad esempio, al romanzo gotico vengono spesso affiancati il nero e il grigio, come a sottolineare le atmosfere oscure, cupe e inquietanti che esso evoca). Eppure, per quanto riguarda il romanzo giallo non possiamo ignorare il fatto che il colore, riferito ad esso, sia diventato un vero e proprio simbolo, tanto da entrare nel gergo comune. Infatti, tra le altre cose, quando in Italia parliamo di mystery usiamo l'espressione che io stesso ho impiegato poco fa, "romanzo giallo". Questo curioso modo di esprimersi è dovuto a due motivazioni: la prima è dovuta al fatto che in America, agli inizi dell'Ottocento, le notizie di cronaca venivano pubblicate su fogli di carta poco raffinata e quindi di tonalità più scura rispetto al solito bianco, in una sorta di giallognolo sporco; con la conseguenza che la gente imparò ad associare a queste "pagine gialle" occasioni come uccisioni e delitti. La seconda e più importante dal nostro punto di vista, invece, va fatta risalire alle prime pubblicazioni di romanzi del mistero nel nostro Paese: a quegli innovativi e magnetici "Gialli Mondadori" dell'estate del 1929, con le loro copertine luminose come il sole, i quali diedero il via all'epopea della crime novel in Italia e ad oggi, tra alti e bassi, continuano ad appassionare i lettori ogni mese dell'anno. Ma non solo il colore in senso estetico gioca un ruolo di primo piano nel romanzo giallo. Infatti, se andiamo a controllare i titoli che vengono fatti rientrare in questo genere letterario, a ben guardare ci accorgiamo che questi stessi giocano spesso su contrasti cromatici e su immagini dominate da tinte che risaltano sullo sfondo. Ad esempio, per rimanere sulla tonalità da cui in Italia tutto ha avuto inizio, abbiamo "Il Mistero della Camera Gialla" di Gaston Leroux, uno dei padri fondatori del romanzo del mistero: in questo libro, il delitto avviene all'interno di una stanza colorata della tonalità del titolo, dalla quale nessuno può essere uscito ma in cui si trova soltanto la vittima. Oppure, per cambiare colore, ci sono "Il Dramma di Corte Rossa" di A.A. Milne, "La Rossa Mano Destra" di Joel Townsley Rogers, "Il Cerchio Rosso" di Edgar Wallace e "I Delitti delle Vedova Rossa" di Carter Dickson alias John Dickson Carr; tutti accomunati dalla tinta che richiama il colore del sangue e, quindi, è strettamente legata al tema delle uccisioni trattato in questi libri.

Altre volte, il nero costituisce una sorta di rappresentazione del muro contro cui si scontra l'indagine dell'investigatore e della fitta oscurità in cui egli si trova immerso ("Occhiali Neri" di John Dickson Carr); oppure il bianco rappresenta il timore che fa sbiancare i volti dei sospettati e delle facce che emergono dalla notte come fantasmi ("Maschera Bianca" di Edgar Wallace). Senza dimenticare il blu, inteso come sinonimo di malinconia e abbattimento in seguito a qualche disgrazia, come in "L'Inquilino del Piano di Sopra" di Harriet Rutland (il cui titoli inglese è "Blue Murder"). Anche nel cinema, declinato al genere del thriller, il colore rappresenta un elemento di grande importanza: basti pensare a film come "Marnie" di Alfred Hitchcock, in cui la protagonista ha subìto un trauma legato al colore rosso e reagisce in malo modo quando esso viene accostato al bianco, oppure al capolavoro italiano "Profondo Rosso" del maestro Dario Argento, dove questa tinta ritorna ciclicamente ad ossessionare lo spettatore e il protagonista. Ma Three-a-Penny è pur sempre un blog sulla narrativa del mistero; quindi, concentrerò la mia attenzione sulle opere scritte. E questo mese, come vi avevo anticipato, ho deciso di dedicarmi ad alcune letture legate proprio al tema del colore (soprattutto rosso) nel romanzo giallo, esplorando opere poco conosciute dal lettore medio. Per iniziare, dunque, questa settimana mi soffermerò su un libro che non è stato quasi recensito su Internet, ma che merita maggiore attenzione: "La Dama in Rosso" di Anthony Wynne, conosciuto con i titoli inglesi "The Holbein Mystery" e "The Red Lady" (Polillo Editore, 2016). Si tratta di una storia molto complessa e articolata, in cui trovano spazio nientemeno che cinque delitti (degno del caso Crippen!), due dei quali perpetrati in un modo talmente ingegnoso da far sospettare che siano stati opera di fantasmi o di assassini invisibili. Alta finanza, politica, filosofia, medicina sono alcuni tra gli argomenti trattati all'interno del romanzo, tra momenti di attività mentale e altri di attività fisica per il dottor Hailey, il medico e investigatore dilettante protagonista della vicenda; preparatevi a mettere in moto il cervello e a seguire quest'uomo ingegnoso alla scoperta della verità, in mezzo a personaggi sospetti e a pericoli di ogni tipo.

Farm House and Field (Ironbridge Farm, Shalford, Essex),
1941, di Eric Ravilious, raffigurante una tenuta simile ai
Kennels di Bob Budley
Tutto ha inizio nella casa di Eustace Hailey, dove il medico ha fatto accomodare un suo vecchio amico, il colonnello Wickham di Scotland Yard. Quest'ultimo si è presentato dal dottore per proporgli una collaborazione ufficiosa, nei confronti di un caso spinoso al quale egli è stato sollecitato di prendere parte: ai Kennels, la sontuosa tenuta di campagna dell'azionista ed esponente politico Bob Budley, si è verificato un decesso violento che potrebbe sconvolgere l'opinione pubblica fin dalle sue fondamenta. Infatti Sir Mark Fleet, un noto parlamentare inglese e grande speculatore in azioni di alta finanza, è stato apparentemente assassinato da un fantasma, mentre si trovava nella casa del suo socio in affari per tenere un discorso davanti al comitato elettorale. Un momento prima stava mangiando a tavola con gli altri commensali ed ospiti di Budley, ridendo e scherzando prima di salire sul palco che era stato approntato per la sua conferenza; e quello seguente era stramazzato sul tavolo approntato nel salotto per sua comodità, sotto i riflettori puntati sulla sua figura e davanti al pubblico incredulo e sconcertato, con il manico di un coltello che gli spuntava dalla schiena, mentre sulla parete dietro di lui il quadro "La Dama in Rosso" di Holbein osservava stoico la scena. La particolarità del caso, dunque, non sta tanto nel fatto che egli sia stato ammazzato, quanto sulla modalità utilizzata per assassinarlo: dalle testimonianze di una cinquantina di persone, infatti, tutto lascia intendere che nessuno si sia avvicinato alla vittima dal momento in cui egli aveva iniziato a parlare. Certo, il pianoforte sulla destra e alcuni ostacoli a sinistra potevano nascondere la scena agli occhi di qualcuno tra il pubblico; ma non certo un omicida, un uomo o una donna in piedi alle spalle del deputato. Solo "La Dama in Rosso" era presente sul palco, oltre a Fleet. Incuriosito dalle caratteristiche insolite del caso, Hailey si lascia convincere a prendere parte alle indagini e, il giorno seguente, si dirige a Rutton assieme a Wickham per un sopralluogo scrupoloso della scena del crimine.

Arrivati laggiù, tuttavia, i due scoprono che il poliziotto a capo del caso non ha ancora fatto eseguire un attento esame della stanza del delitto e, poco dopo, vengono a sapere che "La Dama in Rosso" è stata trafugata. Che si tratti di una semplice coincidenza, oppure il furto del quadro ha a che fare con la morte di Mark Fleet? Il caso si ingarbuglia ancor di più quando, giunti sul palco del salotto, Hailey e Wickham si accorgono che i dipinti di Budley hanno tutti una speciale cornice, dietro la quale un uomo può comodamente nascondersi. Alle spalle di quella della Dama, tra l'altro, sono presenti inequivocabili tracce di una recente pulizia del pavimento dalla polvere, come se qualcuno avesse tentato di cancellare ipotetiche impronte lasciate al momento dell'aggressione a Fleet. Forse l'omicida ha provato a pararsi le spalle; ma si tratterebbe comunque di un tentativo piuttosto goffo. Ben presto, però, al dottor Hailey appare chiaro che l'avversario suo e di Wickham non è affatto uno sprovveduto: un misterioso individuo, infatti, sottrae nottetempo alla custodia della polizia il cadavere di Fleet, in attesa dell'autopsia ufficiale; lo fa a pezzi e, come se questo non bastasse, lo dà alle fiamme in un pagliaio poco distante dalla casa di Budley. Hailey inizia a temere di trovarsi davanti a un pericoloso omicida, disposto a tutto pur di cancellare le proprie tracce e ormai in preda al panico; e la scomparsa di un celebre banchiere della City e gli assassinii spregiudicati di una medium dell'alta borghesia e di uno stimato colonnello confermano le sue paure. Chi è il colpevole che si trovava ai Kennels la sera del primo omicidio e, più avanti, aveva seguito le sue prede a Londra? Si tratta forse del padrone di casa, Bob Budley? Oppure delle eredi di Fleet, la moglie Lady Patience o la giovane Miss Gay, la quale conosceva a malapena la vittima ma si ritrova con tre quarti di milione in più nelle tasche? Anche il padre di lei, il colonnello Gay, è sospetto, allo stesso modo del poeta Rade-Rade e dei coniugi Faction, i quali paiono più che decisi ad indirizzare i sospetti contro Miss Gay. Hailey capisce di dover fare in fretta, prima che la lista delle vittime diventi troppo lunga e la scia di sangue che parte dalla drammatica scena della "Dama in Rosso" si allunghi fino a toccare lui stesso; perché di una cosa è certo: chi si avvicina troppo a Mark Fleet e ai segreti che costui si è portato nella tomba, rischia di fare una brutta fine.

Jane Seymour, Hans Holbein,
raffigurante una signora in rosso
simile alla donna del titolo

Se c'è qualcosa che riesce a sorprendermi ancora oggi, quando ormai è diventato quasi di moda essere annoiati di fronte a ciò che ci succede, quello è il romanzo giallo. Anche questo è uno dei motivi per cui sono immensamente affezionato alle storie che appartengono a questo genere letterario. Con la lettura di "La Dama in Rosso", ho avuto una conferma di questa straordinaria capacità della classica rime story di spiazzare i lettore. Dovete sapere, infatti, che nonostante le premesse e la trama in seconda di copertina (molto più stringata di quella che ho riportato io qui sopra, ma comunque intrigante) mi avessero fatto immaginare che la storia raccontata nel libro fosse molto interessante e affascinante, avevo più di una riserva nei confronti del suo autore, Anthony Wynne. Costui era un medico, oltre che scrittore, per il quale lo stile narrativo era caratterizzato da una scrittura alquanto asettica e fredda; un po' sul genere di quella di C.P. Snow e il suo "Morte a Vele Spiegate", dove erano chiaramente emerse le esperienze scientifiche di quest'ultimo e le influenze in tal senso. Nel caso specifico di Wynne, inoltre, avevo ancora più timore nell'affrontare un suo libro poiché, diversi anni fa, avevo deciso di provare un'altra sua opera, "Il Coltello nella Schiena" edito sempre da Polillo, il quale mi aveva lasciato con l'amaro in bocca a causa di diversi fattori, come una certa sgradevolezza dei personaggi e un contorno che aveva l'aria di essere stato composto in fretta e furia, senza un'adeguata revisione finale e con un mistero in cui il fair play era assente. Fino a una settimana fa, quindi, ero fortemente indeciso se rischiare di affrontare una nuova impresa di Wynne oppure rimandare la lettura di "La Dama in Rosso" a una data da destinarsi. Tuttavia, siccome avevo deciso da tempo di occuparmi di romanzi aventi a che fare con i colori, alla fine mi sono risolto a dare un'altra possibilità all'autore; e per fortuna l'ho fatto! Da questa esperienza, infatti, posso dire di aver rivalutato questo scrittore in positivo, con l'ulteriore conseguenza che quest'estate forse mi dedicherò a una rilettura di "Il Coltello nella Schiena" per capire davvero se in quel caso la mia fosse stata un'impressione dettata dall'inesperienza e dall'incapacità di vedere oltre, oppure un giudizio fondato, imparziale e purtroppo negativo.

Pertanto, in modo inaspettato, "La Dama in Rosso" si è rivelato un romanzo giallo più che sufficiente per i miei gusti; anzi, mi ha proprio entusiasmato grazie alle sue numerose caratteristiche che, se applicate singolarmente ad altri mysteries, potrebbero essere giudicate come perfettibili, ma in questo specifico caso a mio parere, messe tutte assieme, hanno dato un risultato soddisfacente. Alcuni amici, tuttavia, hanno giudicato questo libro come troppo approssimativo e fuori dai canoni del genere: i personaggi sono sembrati alquanto abbozzati e privi di personalità e spessore psicologici; i temi dell'alta finanza, della politica, della filosofia e della sua applicazione nella scienza pare siano stati trattati in modo "estremo" per un giallo d'evasione; l'ambientazione non resta sempre quella famosissima della classica casa di campagna inglese; la narrazione è stata troppo concentrata su un'indagine contorta e superficiale (nel senso che l'investigatore ha moltissimi ripensamenti nel corso della storia e non esiste fair play), a discapito del contesto in cui viene calata; sono presenti moltissime scene d'azione e, infine, il detective risulta antipatico. Insomma, sembrerebbe proprio che Wynne abbia compiuto un delitto anche scrivendo questo romanzo giallo, non solo inventando gli omicidi fittizi al suo interno. Eppure, io sono convinto che si debbano tenere a mente alcune condizioni, prima di dilungarsi in un giudizio affrettato. Innanzitutto, non bisogna dimenticare che l'autore del romanzo è considerato uno dei maestri riconosciuti di quella specialità del genere giallo che corrisponde al "delitto impossibile" (alcuni tra gli omicidi a cui assistiamo leggendo "La Dama in Rosso", tra l'altro, sono proprio di questo tipo). Wynne, infatti, viene spesso citato assieme a John Dickson Carr, Edmund Crispin, la coppia Winslow-Quirk, Ellery Queen e Norman Berrow nel numero dei giallisti che fecero la propria fortuna grazie alla sparizione di oggetti, persone e addirittura edifici e alla perpetrazione di crimini all'apparenza ad opera di spiriti maligni; la maggior parte dei quali, tranne poche eccezioni, non sono certo ricordati per i salti mortali stilistici, ma proprio per l'eccezionale complessità dei misteri che hanno tratteggiato. In parole povere, a Wynne e a questi altri autori interessava soprattutto l'enigma, e non quanto stava intorno ad esso; quindi, non bisogna stupirsi troppo se ci si trova di fronte a un modo di raccontare che si discosta da quello di scrittori più interessati al racconto puro (come abbiamo visto, ad esempio, con Milne e il suo "Il Dramma di Corte Rossa").

In secondo luogo, trovo che le critiche riportate sopra non siano del tutto veritiere. Voglio dire, sono d'accordo che alcuni personaggi non vengano più tenuti in considerazione, dopo essere stati presentati al lettore in un primo momento e interrogati (due tra tutti, Lady Patience e il giornalista Donne); però è pur vero che, al contrario, altri sono approfonditi attraverso ulteriori incontri con il protagonista oppure grazie a descrizioni fatte da terzi che riescono a gettare un po' di luce in più sulle loro personalità. Un caso, per esempio, è quello del colonnello Gay, il quale non viene mai presentato a noi ma, attraverso le parole di Rade-Rade e della figlia, impariamo a conoscere. Anche sull'antipatia dei protagonisti sono d'accordo fino a un certo punto. Wickham, soprattutto nei primi capitoli, assume toni alquanto sgradevoli nei confronti del suo sottoposto Bellamy e agisce in modo molto burbero, tanto che sono stato felice di vederlo messo da parte quando Hailey si è allontanato dai Kennels; quindi, capisco benissimo chi si dice scocciato dal suo comportamento. Tuttavia, non ho avuto nulla da ridire su quello assunto dagli altri: Rade-Rade mi è parso un po' fatuo, certo; ma non antipatico. Madame Sévigné è stata un personaggio affascinante; i vari direttori di banca, appassionati di spiritismo, tipografi, portieri sono stati piuttosto divertenti nella loro pomposità. Per non parlare di Hailey, il quale ha assunto un comportamento più "umano" di quanto ricordassi in "Il Coltello nella Schiena". Sull'ambientazione che cambia, stesso discorso: capisco chi potesse desiderare un'indagine in pianta stabile si Kennels, con i suoi campi sterminati, le colline verdi e la casa enorme e misteriosa; ma questo non esclude che anche Londra, con i suoi appartamenti un po' vissuti, gli edifici decadenti e le strade notturne sappia esercitare un certo fascino. Da parte mia, mi sono molto piaciute le scene della seduta spiritica in casa di Madame Sévigné (suggestiva e misteriosa), quella della corsa nella notte di Hailey e Miss Gay verso la casa della zia di quest'ultima (pregna di minacce), e quella tra il dottore e il professor Nicholas, l'anziano appassionato di esoterismo (divertente e giocata sul limite tra l'ironia e la serietà degli argomenti affrontati). Infine, non ho percepito l'indagine condotta da Hailey come troppo approssimativa e incentrata sull'azione: dopotutto, Anthony Berkeley aveva già inventato il suo Roger Sheringham, dedito a continui cambi d'idea e di sospetti nel corso del caso di cui si occupa, e il dosaggio tra attività mentale e attività fisica dell'investigatore mi è parsa ben equilibrata, quindi non c'è niente di nuovo che possa far storcere il naso.

Insomma, per concludere, penso che le critiche che sono state rivolte a "La Dama in Rosso" siano da avvalorare solo in parte e siano dettate soprattutto dal gusto personale, nonostante le piccole imperfezioni che ho messo in luce qui sopra. Io stesso, nel caso di "Un Coltello nella Schiena" (citato tra l'altro in questo romanzo, a p. 148), avevo rivolto più o meno quelle stesse a Wynne; tuttavia, in questo caso, l'insieme degli elementi inseriti nel romanzo non mi è affatto dispiaciuto, nonostante esso contasse su uno stile alquanto scarno e su una quantità di temi difficili da digerire. Anche a questo proposito, infatti, non mi sento di condividere del tutto il discorso sull'inserimento di argomenti troppo difficili all'interno della storia: se da un lato è innegabile che termini come "holding", diritto di prelazione, negoziati, emissione di obbligazioni e buoni azionari non siano alla portata di tutti, dall'altro essi hanno permesso la costruzione di un enigma originale e assolutamente stupefacente, molto complesso e straordinario nella sua eccezionalità (e nel quale il colore, per tornare all'introduzione della recensione, gioca un ruolo importante ai fini della soluzione finale). L'idea di romanzo giallo di Wynne può benissimo discostarsi dalla nostra, ma questo non significa che ciò che egli ha scritto non sia da considerare valido per qualcun altro: tutto sta in ciò che il lettore cerca in un romanzo giallo. Se uno ama leggere tantissime descrizioni sulla montagna, considererà "Un Cadavere al Campo Due" di Glyn Carr un libro stupendo, nonostante il suo enigma scadente; se un altro adora le atmosfere macabre, apprezzerà "Notti di Halloween" di Leo Bruce nonostante gli altri suoi difetti; infine, se un altro ancora non pretende altro che lasciarsi catturare da un mistero complesso e capace di stuzzicare la sua curiosità, nonostante i temi fuori dal comune che affronta, allora sarà soddisfatto come il sottoscritto da "La Dama in Rosso"

Robert McNair Wilson, alias
Anthony Wynne, nato nel 1882
e morto nel 1963

In ogni caso, in "La Dama in Rosso " non deve stupire l'inserimento di un tema insolito come quello dell'alta finanza, visto che quest'ultimo era uno degli argomenti preferiti di Anthony Wynne, pseudonimo di Robert McNair Wilson. Nato nel 1882, probabilmente in Scozia, della sua vita si sa molto poco. Una certezza è che aveva un fratello più giovane, William, e una sorella di nome Doris. Un'altra, il fatto che lui e William si laurearono entrambi in medicina alla Glasgow University; anche se il fratello iniziò a lavorare nel paese natio, mentre Robert si trasferì a Londra, dove sposò Winnifred Paynter (dal cui nomignolo, Winnie, forse prese ispirazione per la costruzione dello pseudonimo che avrebbe utilizzato per la scrittura dei suoi romanzi gialli). Infine, è assodato che, oltre ad essere stato amico di Ezra Pound, col suo vero nome egli collaborò a lungo col "Times" scrivendo articoli di medicina, diede alle stampe una biografia del celebre cardiologo scozzese Sir James MacKenzie ("The Beloved Physician" del 1926) e pubblicò alcuni saggi storici sull'epoca napoleonica, altra sua grande passione; mentre con lo pseudonimo di Anthony Wynne, ovviamente, diede alle stampe ben ventinove mysteries. Questi ultimi, tranne il primo intitolato "The Sign of Evil" del 1925, vennero tutti pubblicati a coppie fino agli anni Trenta, quando la sua produzione si ridusse a un volume l'anno per arrestarsi nel 1942, con "Murder in a Church". L'ultimo suo romanzo del mistero, tuttavia, fu "Death of a Shadow" del 1950 (pubblicato tredici anni prima della morte), dove fece la comparsa finale il protagonista di tutti i suoi libri di narrativa fittizia: il dottor Eustace Hailey, uno psichiatra che vive al n. 22 di Harley Street ed è soprannominato "Il Gigante" di quella stessa strada a causa della sua stazza. Oltre a "La Dama in Rosso", Hailey è presente in altri capolavori dell'autore come "The Dagger", "Morte al Castello", "Il Coltello nella Schiena" e "Murder in Thin Air", e indaga sugli omicidi seguendo un metodo analitico soprattutto per il piacere di analizzare la psicologia del criminale. Ad interessarlo, non è il maniaco omicida, l'assassino che uccide perché malato mentale, ma l'omicida occasionale, cioè quella persona che in circostanze normali avrebbe vissuto al sua vita senza colpa. La tragedia di questa persona e di quelle che gli stanno intorno, pertanto, "è che esse si sono imbattute in circostanze straordinarie. Forse a causa dei loro stessi errori, o forse per un caso fatale, la pressione esercitata dalla società è diventata improvvisamente superiore alla loro capacità di adattamento". È la società che, a suo parere, crea l'assassino; e questo è messo in luce proprio in "La Dama in Rosso".

La psicologia criminale (pp. 211, 214-215, 223, 278, 281-285) e dei personaggi principali, infatti, viene sondata a fondo e passata al setaccio, alla ricerca di ogni indizio utile per decifrare la mente che si nasconde dietro alle facciate e alle maschere che celano gli istinti e le emozioni. Hailey si pone domande sui comportamenti di Mark Fleet e, pur senza conoscerlo di persona, arriva a comprendere la sua continua sfida contro il tempo, l'egoismo e la premura che gli pesano sulle spalle e la sua grande voglia di vivere, oltre che di sopravvivere (pp. 57, 103, 149-152, 167-168, 170, 182-183, 191, 220, 237, 241, 254-255). Tra le parole pregne di melodramma di Rade-Rade, riesce a cogliere il suo affetto per Una Gay e il suo sentirsi inadeguato; negli incontri con Miss Gay, intuisce come la ragazza serbi un segreto nel suo cuore e sia tenuta sotto pressione dal giudizio che la gente può emettere da un momento all'altro contro di lei e suo padre; un uomo buono ma povero e, quindi, considerato inferiore agli occhi dei ricchi ospiti di Bob Budley. Lo stesso Budley, poi, lascia intendere di essere un personaggio complesso, intimorito dagli eventi che si sono scatenati nella sua casa ma, allo stesso tempo, deciso a non lasciarsi sopraffare da questi ultimi. Negli incontri con Wickham, poliziotto della vecchia guardia incapace di perdonare gli errori, e con gli altri personaggi minori (che appaiono e scompaiono nell'arco di brevi parentesi, senza essere approfonditi, ma capaci di svilupparsi nella nostra testa assieme alle loro particolari manie, vedasi il cap. 12), Hailey ricostruisce inoltre la figura dell'assassino, in modo che il lettore possa farsi un'idea della sua personalità deviata e provare ad applicare la sagoma evocata ad ogni sospettato. Attraverso l'uso di numerosi indizi materiali, ogni riga del romanzo, in accordo con la tipologia di racconto che ci si aspetterebbe da un giallista votato al delitto impossibile, contribuisce a rafforzare il far chiarezza sull'elusiva figura dell'assassino e sul mistero ideato dall'autore, così da facilitare il procedimento di analisi e scoperta del colpevole; che a volte può portare su un sentiero errato, ma non per questo si deve smettere di porre rimedio agli sbagli commessi e correggerli in corsa. Eppure, una volta tanto, Wynne riesce a dare spessore anche a ciò che sta intorno all'enigma. In "La Dama in Rosso" è presente una grande senso dell'ambientazione, tratteggiata spesso per immagini che non si dilungano in pesanti descrizioni ma comunque capaci di restituire uno scenario visibile con gli occhi della mente, ad effetto, in grado di trasmettere a chi legge le sensazioni di terrore e inquietudine suscitate nel dottore (pp. 19-20, 53, 71-73, 75-78, 90-92, 111-112, 135-136, 140-141, 145, 205, 225-226, 249-252, 257-258).

A dare man forte a questi rapidi ritratti emozionali e un po' suggestivi, inoltre, Wynne aggiunge un linguaggio complesso e denso (pp. 60-62, 97-101, 117-122, 185-195, 239-244, 262-279) il quale, accostato a un ritmo in cui si alternano e scandiscono alla perfezione attività mentale e attività fisica, riesce ad equilibrare il romanticismo intrinseco degli ampi prati della tenuta dei Kennels e delle strade affollate della metropoli con la serietà dei toni con cui viene messa in scena l'indagine (non per niente, il gergo finanziario non viene mai utilizzato a sproposito, a dimostrazione della dimestichezza dell'autore nell'argomento trattato). L'alta finanza, la politica, la scienza (pp. 97-101, 199-200, 227-229, 232) e la sua applicazione in un modo che osserva i cambiamenti moderni come poco affidabili, lo spiritismo (cap. 15, pp. 163, 207) e la filosofia sono temi che entrano in conflitto tra loro a causa della loro natura contrastante: da una parte, abbiamo le leggi matematiche che, grazie a discorsi elaborati, regolano la vita di tutti i giorni; dall'altro, il mondo degli spiriti che tenta di influenzare quella parte della società in cui gli individui sono superstiziosi. Particolari macabri e arcani sembrano assediare la costruzione di un enigma schematico e agile, sorretto da dialoghi serrati e veloci ma nel quale l’atmosfera gelida della stanza, la medium in trance, la risata di un bambino, clangori, strilli odiosi, tonfi e gemiti nel buio provocano un forte effetto e suscitano il timore che gli spettri abbiano attraversato il confine tra la finzione e la realtà. Può la ragione spiegare qualunque cosa? A questa domanda, gli autori di delitti impossibili provano a rispondere quando costruiscono le loro storie cariche di funesti presagi e fantasmi, ma fortunatamente sempre spiegate grazie alla logica. Il contorno del mistero di "La Dama in Rosso", quindi, aiuta a sostenere l'enigma senza mai prendere il sopravvento su quest'ultimo e gli conferisce plausibilità, nonostante la indagini specifiche su ogni delitti vengano lasciate un po' andare: soprattutto il riferimento al teatro (pp. 112-113, 237, 247-248, 256) giocherà un ruolo fondamentale nella soluzione finale, ma pure i brevi cenni che vengono fatti a corollario delle ipotesi sulla psicologia dei personaggi e dei riferimenti medici non sono da trascurare (pp. 56-57, 65-66, 97-99, 102-104, 113, 125-126, 136-137, 140, 149-152, 154-155, 165-166, 171, 173-174, 249-252, 289-290). Il risultato di tutti questi elementi messi insieme, in conclusione, dà vita a un romanzo che presenta un ritmo più veloce rispetto al resto dell'opera di Wynne, in cui il linguaggio non sempre chiaro a una rapida lettura viene accostato a un mistero sorprendente e plausibile nella sua soluzione, contornato da temi insoliti e da un'atmosfera da brivido. Come dicevo sopra, entro la fine dell'estate rileggerò "Il Coltello nella Schiena" per capire se "La Dama in Rosso" sia un'eccezione all'interno della produzione di Anthony Wynne, oppure se abbia dato un giudizio troppo affrettato. In ogni caso, consiglio caldamente la lettura di questo romanzo giallo, suggerendovi di metterla in pratica in un momento in cui abbiate la possibilità di concentrarvi al meglio per cogliere tutte le sue sfumature.

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