venerdì 19 giugno 2020

36 - "Il Cadavere in Pantofole Rosse" ("The Corpse in the Crimson Slippers", 1936) di R.A.J. Walling

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Chi è appassionato di classica crime story lo sa bene: i romanzi che appartengono a questo genere letterario non si possono sempre considerare capolavori in grado di introdurre innovazioni ed elementi inusitati. Lo abbiamo visto nella recensione di "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes, un'autrice inglese portata nel nostro Paese da Elliot Edizioni e da Le Assassine, dove ho spiegato come, a mio parere, la lettura di quel romanzo giallo fosse da prendere come ancora legata a una tradizione "classica" che faticava ad affrancarsi dagli stereotipi del tempo. La storia raccontata in "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?", infatti, non affronta particolari argomenti o temi scomodi per l'epoca in cui venne ideata, non mette in dubbio la natura e l'identità della società che descrive, né intende compiere chissà quale profonda analisi dei personaggi e delle loro anime tormentate. Essa si è limitata ad assorbire l'essenza del mondo del primo Novecento, alla stregua di quello descritto in "Sotto la Neve" da J. Jefferson Farjeon, e a riportarlo tale e quale fino ai nostri giorni, senza pretendere di rivoluzionarne l'immagine (e la stessa crime story), né plasmando il genere man mano che avvenivano cambiamenti di carattere storico e politico; ma consegnandoci un racconto del mistero convenzionale a quanto ci si aspettasse nel momento in cui esso venne pubblicato. Non che questo sia necessariamente un male, intendiamoci. Un'enorme fetta dei libri che appartengono al genere giallo, infatti, reca un'impronta nella quale prevalgono stereotipi e convenzioni di un'epoca ormai passata, dove l'aristocrazia gioca un ruolo dominante sul popolo borghese e proletario e la "scalata in società" viene vista come un'azione spregiudicata. Si tratta di storie che spesso non brillano per una spiccata originalità di trama, per la profondità psicologica dei protagonisti oppure per aver toccato chissà quale tematica scottante, e che spesso non sono riuscite a resistere alla prova del tempo come è avvenuto per altri gialli della stessa epoca, considerati appunto come capolavori grazie alle innovazioni che hanno introdotto.

Eppure, il fatto di calcare la mano sul loro lato più tradizionale non vuole sottintendere che storie come quella di Haynes siano insipide, prevedibili e sciocche; anzi, tutto il contrario. Classico non è sinonimo di scandente, poiché bastano pochi ingredienti (come personaggi rappresentati in modo ironico e affettuoso dall'autore, oppure un mistero raccontato in modo non banale per chi si troverà a tentare di districarlo) per conferire a un romanzo giallo un motivo valido per cui esso debba essere letto. Ancora una volta, vale il discorso sui gusti dei lettori: moltissimi possono essere convinti che la cosa più importante, in un mystery, sia la perfezione del meccanismo delittuoso e il suo scioglimento, ma non bisogna dimenticare che altrettante persone desiderano soltanto trascorrere qualche ora a lasciarsi intrattenere da un piacevole mistero, senza pretendere chissà quale intreccio. Pertanto, ho imparato a non essere troppo duro con questi libri più leggeri, che si leggono volentieri e in cui traspare la vera anima della detective novel del periodo tra le due guerre, con vicende che intrigano senza calcare troppo la mano sull'efferatezza del delitto e che hanno il fine di far trascorrere a chi legge qualche ora di spensieratezza e divertimento, tra la descrizione di un tè all'aperto, magari nel mezzo di una compagnia allegra, e una gita in automobile. A questo numero di romanzi gialli un po' antiquati e perfettibili, per restare in tema con l'argomento del mese, oggi aggiungo un nuovo titolo: "Il Cadavere in Pantofole Rosse" di R.A.J. Walling (Polillo Editore, 2016). Esso tratta di una storia che mescola insieme un sacco di cose (forse troppe): un mistero in casa di campagna, con tutto ciò che ne deriva; un'avventura in un casolare isolato, con tanto di scontro con una banda di criminali; una vena spionistica che comprende un crittogramma da decifrare per poter correre in soccorso di un agente dei Servizi Segreti in grave pericolo. Tutto questo, inevitabilmente, dà vita a una vicenda complessa come poche altre, nella quale non sempre riusciamo a districarci con chiarezza; tuttavia, la capacità dell'autore di coinvolgerci nel dipanarsi delle varie situazioni salva, in parte, un romanzo perfetto per chiunque voglia dedicarsi a un rompicapo straordinario, vivace e capace di intrattenere, aggiungendo qualcosa in più alla leggerezza della storia di Haynes.

Buscot Park (Faringdon, Oxfordshire), Eric Ravilious, 1938,
simile alla Old Hallerdon di proprietà di Sir Grymer
La trama prende avvio da una scena che si svolge alla stazione di Paddington. Laggiù, nelle prime ore del mattino, un uomo che viene identificato come Mr Arthur si ritrova a dover sgattaiolare fuori dal treno che l'ha condotto fino a Londra grazie all'aiuto del suo autista, tale Morris, per poi recarsi fino a un'indirizzo di John Street in tutta segretezza. Queste premesse ci fanno capire ben presto che l'uomo e il suo compagno stanno dedicandosi a qualche affare oscuro; tanto più che, di lì a poco, all'indirizzo di Mr Arthur viene recapitata una strana lettera che, all'apparenza, non ha alcun significato. Tutto ciò non sarebbe poi così grave; in fondo, Mr Arthur deve essere un individuo addestrato a spezzare i codici segreti. Tuttavia, egli deve partire immediatamente per Lisbona e non ha il tempo necessario per sciogliere l'enigma presentato dalla lettera. Pertanto, ricordando il consiglio di un amico, decide di spedire la misteriosa missiva all'agente assicurativo Philip Tolefree, investigatore dilettante che già in altre occasioni si è rivelato utile per i suoi clienti, per mano del famoso esploratore Ronald Hudson. Tolefree, in realtà, non vorrebbe accettare l'incarico che gli viene proposto; eppure, il fatto che Hudson si sia presentato alla sua porta dotato di barba finta lo incuriosisce al punto da farlo cedere e accettare di condurre una discreta inchiesta. Una volta congedato il celebre scrittore, però, Tolefree si rende conto che quest'ultimo ha abbandonato il suo biglietto da visita sul tavolino, e che sul retro del foglietto sono state segnate alcune iniziali. Nella sigla J.Q.F., l'agente assicurativo ravvisa il nome del suo amico James Quilter Felderman, un avvocato specializzato in brevetti ingegneristici che, come egli scoprirà a breve, si trova ospite dell'industriale Sir Thomas Grymer ad Old Hallerdon, la tenuta di campagna di quest'ultimo, assieme a un nutrito e vario gruppo di ospiti.

Ispirato dalla scoperta e deciso più che mai a liberarsi dell'incarico al più presto, Tolefree telefona a Felderman per tentare di scovare qualche elemento che possa aiutarlo a decifrare il misterioso codice di Hudson... scoprendo che a Old Hallerdon, nella notte, si è verificato un decesso sconcertante e spaventoso. Felderman, cogliendo la palla al balzo, organizza tutto in modo che il suo amico possa recarsi subito alla casa di Grymer per indagare sul suicidio del ricercatore chimico Peter Lewisson; del quale oltretutto non è per niente convinto. Istigato dai sospetti di Felderman e di altri ospiti della villa, tra cui una bella ragazza di nome Florence Merafield e un giovanotto che le fa la corte, Tolefree inizia a domandarsi se esista un legame tra il codice che ha ricevuto in mattinata e la morte di un'oscuro individuo nel bel mezzo del Devon, e decide di accettare la richiesta d'aiuto di Felderman. Raggiunta Old Hallerdon, l'agente assicurativo si ritrova a sospettare di essere nel giusto a credere che gli ospiti nascondano ognuno un segreto: oltre a Felderman, alla citata Miss Merafield e all'Onorevole Robert Bigbury, infatti, sono lì riuniti un sacerdote, zio della ragazza, il novello finanziere George Lyneham e uno strano francese che risponde al nome di Hippolyte Thibaud. Inoltre (cosa strana) Tolefree viene a sapere che la persona che ha scoperto il cadavere di Lewisson, un esperto d'arte di nome Borthwick, è stata lasciata andare via dalla casa e adesso risulta irreperibile. Eppure, egli si ritrova davanti all'impossibilità fisica del fatto che sia stato commesso un omicidio, dal momento che nessuno avrebbe avuto la possibilità di fuggire dalla stanza della vittima senza essere visto e Lewisson è stato trovato con la pistola stretta in pugno. Cosa nascondono, in realtà, le mura di Old Hallerdon? Forse non un solo crimine, ma numerosi e legati tra loro in una matassa ingarbugliata? Toccherà a Tolefree, affiancato da Felderman e dai giovani Merafield e Bigbury, trovare una spiegazione razionale al mistero del cadavere con le pantofole rosse e al messaggio che l'elusivo Mr Arthur gli ha fatto recapitare attraverso Hudson.

Piantine del primo e del secondo piano di Old
Hallerdon
Come dicevo, quella raccontata in questo libro è una vicenda classica in tutto e per tutto; un esempio talmente tradizionale di "delitto-nella-casa-di-campagna" che potrebbe sembrare fin troppo standard, se l'autore non avesse introdotto alcuni elementi che differenziano la trama dalla consuetudine. Infatti, "Il Cadavere in Pantofole Rosse" assomiglia sotto molti aspetti a "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?", sebbene a prima vista le apparenze non lo diano a vedere. Troviamo, tra le altre cose che risaltano fin da subito, la netta presenza di una gerarchia e stratificazione nella società, con tanto di aristocratici (Sir Thomas Grymer e Lady Grymer) affiancati a figure più semplici come quella del canonico Merafield, oppure di individui appartenenti alla cerchia finanziaria, elevati rispetto alla gente comune ma pur sempre inferiori ai signori di Old Hallerdon, come Felderman e Lyneham. Per non parlare di Lewisson, considerato alla stregua di un dipendente anonimo, e dello stesso Tolefree, agente assicurativo che si guadagna da vivere di giorno in giorno. Non mancano, inoltre, altri riferimenti a stereotipi in voga, nella rappresentazione degli stessi ruoli di ogni personaggio (Lyneham appare come un cinico finanziere; Thibaud simile al francese da commedia e operetta, tutto parole arzigogolate e atteggiamenti effeminati; Bigbury il tipico giovane inglese dal temperamento bollente sotto la facciata di perbenismo) e nell'inserimento nel caso di un'enorme quantità di elementi del mistero e della trama che già alla fine degli anni '40 del Novecento dovevano apparire come usurati: gli incontri notturni in stanze e corridoi oscuri, i tè all'aperto, liti sospette tra personaggi ambigui, travestimenti, coinvolgimenti di bande criminali organizzate... Insomma, dentro a "Il Cadavere in Pantofole Rosse" sono stati riuniti dall'autore la maggior parte dei cliché che al giorno d'oggi vengono ancora collegati al romanzo giallo; tutte quelle cose che possono sembrare un po' superate al lettore moderno e che minano la plausibilità dell'enigma, facendo storcere il naso a chi legge.

Eppure, c'è qualcosa di cui bisogna tenere in considerazione, quando si fanno accostamenti tra opere di autori diversi; ovvero, il loro approccio al genere. Haynes, ad esempio, era molto interessata a descrivere il rapporto tra i suoi personaggi, pur non ambendo a raggiungere le vette di analisi psicologica di Christie e Sayers; si accontentava di tracciare storie che avessero al loro interno enigmi senza infamia e senza lode, capaci di intrattenere ma senza costringere i lettori a farsi venire un mal di testa per risolvere in anticipo sull'investigatore di turno il caso che gli era stato affidato. Dal canto suo Walling, invece, intendeva fondare proprio sulla solidità dell'enigma tutta l'essenza dei suoi mysteries, dando grandissimo risalto all'indagine e lasciando (quasi sempre) sullo sfondo qualunque distrazione potesse rischiare di spostare il fulcro dell'azione dal caso investigativo. In questo modo, pur affrontando la questione da punti di vista differenti, sia Haynes sia Walling sono riusciti a dare vita a romanzi del mistero meno "complicati" di opere di autori celebrati per la loro complessa inventiva; ma non per questo scadenti, se presi come racconti fini a se stessi o, nel caso di "Il Cadavere in Pantofole Rosse", come "un nuovo bel giallo [...] uno splendido rompicapo, con qualche brivido, una storia ben definita e ideata" ("The Engineer's Bookshelf", Wilson R. Dumble). In sintesi, i loro libri non sono affatto così male come si può pensare, nonostante l'inserimento degli aspetti fin troppo convenzionali che ho elencato sopra; e il motivo di ciò si può riscontrare proprio nel loro essere "classici" in maniera tanto spiccata: pur non volendo produrre chissà quale capolavoro privo di cliché, questi autori hanno accontentato chi cercava trame spensierate seppur condite di omicidi (ed erano davvero in tanti, nel periodo tra le due guerre mondiali a cui i libri di Haynes e Walling risalgono), ottenendo addirittura lo status di essere accostati a figure ben più grandi in quanto a spirito e ingegnosità: Haynes con Christie, e Walling con gli esponenti del gruppo degli Humdrum. Questi ultimi, in particolare, furono probabilmente i giallisti che più di tutti gli altri (pure di Haynes e delle sue colleghe) si dedicarono alla trattazione del romanzo giallo come puro enigma. Il loro nome deriva dall'espressione con cui il critico inglese Julian Symons definì John Rhode pochi anni dopo la morte di Freeman Wills Crofts, un altro membro del gruppo incriminato: master of the humdrum, intesa come critica al fatto che egli, allo stesso modo dei suoi compari, si focalizzasse soltanto sulla tediosa e costruzione di meri rompicapi, tralasciando l'esplorazione di temi importanti e caratterizzazione dei personaggi.

Era questa la crime story incarnata dalla maggior parte dei membri del Detection Club, i quali si erano assunti lo scopo di rappresentare la vita reale, con tutte le sue sfaccettature positive e negative, e criticare la società del tempo. Ma, cosa che non viene sottolineata abbastanza spesso, non è questa l'unica concezione di genere crime che possa esistere; e infatti così non è. Infatti Rhode, benché membro del Club, considerava il romanzo giallo come una sorta di "cruciverba letterario", che doveva assumere il ruolo di strumento per stimolare la mente dei lettori e spingerli a ragionare sulla meccanica del delitto. In questo modo, adottò una visione del genere che si discostava da quella della maggior parte del gruppo, e diede vita a numerosissime detective novels incentrate soprattutto sullo svolgimento delle indagini della polizia e dell'investigatore, all'interno di storie dichiaratamente fittizie. Senza dubbio, questo modo di vedere veniva considerato "classico" già negli anni '40 del Novecento e non dovette convincere i lettori assetati di storie impegnate; eppure, fu ugualmente apprezzato da moltissimi proprio per quella sua stessa caratteristica (non per niente, egli pubblicò quasi centocinquanta libri nel corso della sua carriera). Ad esso Walling si ispirò per delineare le proprie trame, e non vedo il motivo per cui bisognerebbe colpevolizzarlo: sfruttò le stesse premesse del master of the humdrum, oltre a quegli stessi stereotipi che avrebbero inciso sulla riuscita complessiva e la credibilità dell'indagine, per dare vita a romanzi che si differenziavano dalla massa (nel bene o nel male, secondo il punto di vista di cosa ognuno cercava in un romanzo del mistero) e per crearsi un proprio posto all'interno del genere; accontentando così puristi del giallo ad enigma che, anche nel 1936, desideravano continuare a leggere mysteries focalizzati soprattutto su enigmi complicati come meccanismi ad orologeria.

Robert Alfred John Walling, nato nel 1869 e morto nel 1949
La convinzione che i libri di Robert Alfred John Walling siano un po' antiquati può forse essere dovuta anche al fatto che egli si trovò ad intraprendere molto tardi la carriera dello scrittore di narrativa, in un momento lontano dagli anni della giovinezza in epoca vittoriana. Nato nel 1869 a Exeter e contemporaneo di altri giallisti ormai considerati datati, come la stessa Haynes e Richard Austin Freeman, Walling iniziò infatti a lavorare come giornalista al "Western Indipendent" di Plymouth, seguendo le orme del padre, e dedicandosi a dirigere quello stesso giornale per gran parte della sua vita, prima di pubblicare una biografia su Sir John Hawkins e iniziare ad interessarsi al mondo del crimine, quando venne nominato giudice onorario in quella stessa cittadina. Sposato con Florence Greet e padre di quattro figli, solo nel 1927 diede alle stampe il suo primo romanzo di genere, "Dinner-Party at Bardolph's", e la buona accoglienza del volume (scritto perlopiù per divertimento) lo indusse a continuare su quel campo arrivando a pubblicare, in tutto, una trentina di gialli nella sua carriera, fino al momento della sua morte nel 1949. Nella maggior parte di questi, il protagonista è l'agente assicurativo Philip Tolefree, il quale agisce come investigatore in incognito e appare per la prima volta in "I Fatali 5 Minuti" del 1932. Oltre a questo romanzo, Tolefree appare anche in altri famosi romanzi come "Murder at the Keyhole", "The Cat and the Corpse", "The Mystery of Mr. Mock", "The Coroner Doubts" e, ovviamente, "Il Cadavere in Pantofole Rosse", settimo nella serie. Da molti considerato il suo vero capolavoro (anche più del celebrato "I Fatali 5 Minuti" inserito nella classifica delle pietre miliari del genere di Ellery Queen e Howard Haycraft), questo romanzo rappresenta pienamente le caratteristiche della narrativa di Walling.

In esso troviamo numerosi e diversi elementi del giallo classico, che irritano i critici e deliziano il pubblico: il mistero costituito dal crittogramma (pp. 16-19, 24-25, 189-196), il delitto nella casa di campagna, una coppia che si diverte ad indagare su un caso come se fosse un gioco, incontri notturni in stanze e corridoi bui, i tè all'aperto, una scena d'inchiesta nella migliore tradizione (pp. 49-59), figure di scienziati misteriosi (pp. 63-68, 166-172, 202-203) e loschi individui, la presenza di piantine, gente che va e viene dalla scena del crimine, furti e ladruncoli, indizi materiali accostati a ragionamenti mentali, esami di laboratorio, travestimenti; tutto ciò viene inserito da Walling in "Il Cadavere in Pantofole Rosse" (come in altre sue opere) per dare vita a un'indagine che per questo motivo può risultare fin troppo complessa e stereotipata, a un giudizio complessivo. Tuttavia, allo stesso tempo, questi aspetti non permettono mai al lettore di annoiarsi; e complice uno stile solido e quasi pesante, non sempre chiaro ai fini di una piena descrizione dei personaggi e della risoluzione dell'indagine, il quale si adatta alla vicenda e permette di tratteggiare il colore locale a Old Hallerdon e a St Maure, così che noi possiamo immaginare a grandi linee gli scenari e le persone che in essi agiscono, quegli elementi del racconto riescono a calare nella storia chi legge e a ghermirlo. Perdonando alcune ingenuità dell'autore, il romanzo si legge meravigliosamente e riesce a intrattenere grazie alle moltissime sfaccettature e trovate del suo ideatore (non per niente egli veniva soprannominato "l'Ingegnoso" dai suoi editori), dando vota a un mistero della casa di campagna che si differenzia dal solito grazie a variazioni interessanti, seppur in parte poco felici, come l'inserimento di una vena avventurosa-spionistica (capp. 1, 2, 9) che dà vita a un complotto poco in sintonia con il giallo deduttivo. Insomma, l'enigma in sé è davvero ingegnoso e piacerà moltissimo agli appassionati di rompicapi; peccato solo che per metterlo in pratica si sia dovuti ricorrere all'uso della nefanda banda criminale, la quale inibisce in parte il mantenimento della tensione e della suspense sul finale (per fortuna tali "elementi di distrazione" restano contenuti e si dà prevalenza al caso di Old Hallerdon, il crittogramma costituisce soprattutto una scusa per avviare le indagini sulla morte di Lewisson). L'indagine, giocata su un intreccio tradizionale e sufficientemente sviluppato, costituisce il fulcro attorno al quale si snodano tutte le altre caratteristiche del romanzo: in mezzo ad indizi disseminati con abilità, ad indagini lunghe e circostanziate, sorrette dalle testimonianze dei sospettati, troviamo un'ambientazione che, pur non occupando mai un posto di primo piano rispetto al mistero, è ben descritta nella sua marginalità (soprattutto per quanto riguarda gli scenari della casa, della campagna e della tenuta, pp. 7-9, 35-36, 68-71, 90-92, 103-104, 144, 165, 170, 206-209, 211-212, 214, 219-220, 222, 225) e riesce a dare un'idea chiara dello scenario in cui si svolge l'azione e dei movimenti dei sospettati, oltre ad evocare la giusta atmosfera in un giallo (vedasi pp. 103-113).

A un certa aria retrò, di antichità con grazia "alla Freeman" (pp. 28-29, 34-35, 40-41, 44, 75-76, 80, 121, 137, 139, 142, 154-158, 253-254, 269-270), accentuata dallo stile legato a una tradizione passata ma pur sempre suggestiva nella sua solennità, vengono accostate le presentazioni dei personaggi, nei quali si scontrano le loro piccole manie e un'innata convenzionalità di facciata: non troviamo mai grandi descrizioni psicologiche, una spiccata profondità caratteriale in loro, ma teniamo d'occhio i loro movimenti e ci concentriamo su questi ultimi per decifrare le loro intenzioni e osserviamo le pantomime che mettono in atto (soprattutto Thibaud, il personaggio che più di tutti incarna uno stereotipo ironico). All'ironia, inoltre, tocca gran parte del lavoro di alleggerimento (pp. 80, 133-139, 142-143, 155, 197-199, 245-246, 271), sfruttando i rapporti tra alcuni protagonisti come Bigbury e Florence, legati da una tipica relazione amorosa e intenzionati a considerare l'indagine di Tolefree come se fosse un gioco (pp. 42-43, 62-63, 79-90, 103-120, 130-131, 139, 154-158, 164-172, 197-202, 267): essi permettono ai lettori in identificarsi e mettono in luce gli aspetti divertenti del caso, con quell'ingenuità che era stata incarnata pure da Bill Beverley in "Il Dramma di Corte Rossa", vivendo il tutto come un'avventura al fianco del più serioso agente assicurativo. Ecco, forse l'ironia risulta un po' calcata a volte (per tornare di nuovo su Thibaud); eppure riesce egregiamente a spezzare la tensione e a dare una nota di spensieratezza alla trama altrimenti troppo impostata sull'inchiesta. Infine, i personaggi agiscono più come burattini, mossi dalla necessità dell'autore di ideare un delitto simile a un meccanismo ad orologeria, che come persone reali (a questo proposito, sono da segnalare le molte riflessioni di Tolefree (pp. 21-24, 48-49, 60-61, 73-74, 107-108, 110-111, 129-132, 153, 189-196, 240), attraverso cui Walling tiene l'indagine al centro della scena, le quali non lasciano grande espressione agli altri protagonisti). Essi sono un po' vaghi, a volte poco caratterizzati come Lady Grymer, una figura algida e candida, la quale non viene mai davvero coinvolta nel caso e viene rappresentata come una donna molto lontana da eventi prosaici quali l'indagine dei poliziotti e l'assassinio. Lyneham è il tipico "affarista", quello che conquista i milioni senza farsi scrupoli di sorta; Thibaud, come abbiamo detto, il tipico francese un po' svitato e forestiero; Grymer il signorotto che alla domenica va in chiesa oppure tiene conferenze davanti alla gente del villaggio. Lo stesso Tolefree costituisce una figura diversa da quella del tipico detective, impegnato a guadagnarsi da vivere e appartenente a una classe medio-alta, figura poco appariscente. Eppure, non è necessario che essi siano troppo delineati per poter giungere alla soluzione del caso: ciò che importa sono i loro movimenti fisici, durante la sera del delitto, per cui possiamo perdonare a Walling questa poca perfezione nella caratterizzazione. In conclusione, dunque, penso che "Il Cadavere in Pantofole Rosse" sia un delizioso esempio di giallo ad enigma, inteso come rompicapo matematico; uno di quei libri che rendono bene l'idea di come fosse la detective novel degli anni Venti del Novecento: quella capace di distrarre le persone dai tristi pensieri legati alla guerra, alla disoccupazione, alla fame e alla crisi generale che si era abbattuta sul Paese in quel momento. Certo, il fatto che Walling continuasse a proporre questo tipo di giallo nel 1936 forse poteva essere considerato azzardato, visto che ormai i tempi stavano cambiando. In ogni caso, a parte il fatto di aver utilizzato l'espediente del complotto nazionale come parte dell'indagine per scoprire il colpevole del delitto di Old Hallerdon, non vedo il motivo per cui questo romanzo debba essere criticato troppo aspramente. Walling voleva consegnarci un mistero simile a un cruciverba, qualcosa che potesse intrattenerci, senza esagerare e trascendere in tematiche sociali e importanti, e sono convinto che ci sia riuscito splendidamente con questa storia in puro stile Golden Age.


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