venerdì 24 aprile 2020

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario - Esito Sondaggio di Gennaio

Cari amici dell'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario, eccomi ancora una volta a rivolgermi direttamente a voi, nell'arco dello stesso mese, in un'occasione particolare. Stavolta, infatti, non sono qui per consigliarvi nuove letture oppure per aggiornarvi sulle uscite letterarie, da edicola o da libreria, delle ultime settimane; ma per svelare quali sono stati i risultati del sondaggio che avevo proposto all'inizio dell'anno, all'interno dell'Angolo dell'Approvvigionatore di Gennaio. In quell'occasione, infatti, se ben ricordate, vi avevo lanciato una provocazione: stabilire quale, secondo voi, fosse il romanzo giallo più meritevole di una ristampa in tempi brevi, in lingua inglese oppure in quella italiana. Chiunque poteva partecipare, fosse un lettore occasionale, uno studioso, un critico o un appassionato; bastava indicare il titolo nei commenti del post oppure commentare sui miei social network, in modo che poi io riuscissi a raccogliere agevolmente ogni nomination e stilare una lista ordinata in base al loro numero. E devo dire di essere stato piacevolmente stupito dalla quantità di risposte che ho ricevuto, oltretutto spesso e volentieri da persone che ammiro. Ancora grazie per aver partecipato! Forse ripeterò l'esperienza più avanti, chi lo sa. Ma bando agli indugi e andiamo a scoprire quali sono stati i risultati.

Iniziamo con i titoli richiesti per una futura ristampa in lingua inglese, i cui voti sono in minor numero e, curiosamente, tutti contano 1 nomination. Sono stati scelti:
  • "Murder in Hospital" di Josephine Bell; un romanzo giallo che, oltre al mistero, offre interessanti commenti sul tema del razzismo e del sessismo);
  • "Mind Your Own Murder" di Yolanda Foldes (pseudonimo di Jolán Földes, autrice ungherese il cui romanzo "Golden Earrings" è diventato un celebre film con Marlene Dietrich e Ray Milland), mystery particolarissimo nel quale un ricco signore sfida i suoi quattro nipoti ad ucciderlo prima del tumore, mettendo in palio un milione di sterline;
  • "She Wouldn't Say Who" di Delano Ames, corredato di un allegro gruppo di attori intenti a scontrarsi e sopraffarsi l'uno contro l'altro;
  • "The Robthorne Mystery" di John Rhode, il quale tratta della misteriosa morte di un uomo chiuso in una serra;
  • "Rope's End, Rogue's End" di E.C.R. Lorac, un raffinato esempio di delitto della camera chiusa da parte di una delle ultime scoperte della British Library Crime Classics;
  • "Suishou No Pyramid" di Shimada Soji, uno dei migliori esempi di come il giallo giapponese sia diventato l'erede della crime story tradizionale;
  • "The Death of Lawrence Vining" di Alan Thomas, leggendario romanzo sull'uccisione di un affermato criminologo, all'interno di un ascensore della stazione della metropolitana di Hyde Park;
  • L'opera omnia del duo francese Pierre Boileau-Thomas Narcejac;
  • L'opera omnia di Noel Vindry;
  • L'opera omnia di Gaston Boca;
  • L'opera omnia di Brian Flynn (in parte ripubblicata da Dean Street Press);
  • L'opera omnia di Virgil Markham.
Tutte queste opere, dunque, sono risultate allo stesso livello della classifica, meritando evidentemente di essere considerate sullo stesso piano di importanza, in fatto di ristampa. Bisogna sottolineare, inoltre, che il romanzo di Alan Thomas risulta disponibile in lingua italiana; per una volta, nel nostro Paese siamo stati più fortunati dei nostri amici oltremanica. Per quanto riguarda i gialli nominati come auspicabili dai lettori per una prossima riproposizione in Italia, invece, la situazione è risultata più complicata.

Copertina di "Morte in Ascensore" pubblicato
dalla Polillo Editore
Con 1 nomination, sono stati scelti:
  • I corti di John Dickson Carr (ovvero tutti gli scritti che possiamo comprendere in racconti, radiodrammi, ecc...)
  • La biografia autorizzata dello stesso Carr, "John Dickson Carr: The Man Who Explained Miracles" di Douglas G. Greene. In Italia, i volumi di saggistica scarseggiano come non mai, se consideriamo che la sola pubblicazione in tale senso è stato il primo volume della coppia firmata da John Curran, "I Quaderni Segreti di Agatha Christie"; quindi mi sento autorizzato a mettere in risalto questo voto, chiedendo che anche da noi venga tradotto questo tipo di libri.
  • "Speak of the Devil" di John Dickson Carr, radiodramma giallo-storico incluso nella ristretta cerchia di opere dell'autore ancora inedite nel nostro Paese;
  • "Sudden Death" di Freeman Wills Crofts, una delle poche camere chiuse ideate dal celebre giallista appassionato di ferrovie e di alibi indistruttibili;
  • "Trial and Error" di Anthony Berkeley, surreale storia di un uomo che, scoperto di avere ancora pochissimo da vivere, decide di uccidere qualcuno per impegnare il tempo che gli resta. Sceglie una famme fatale sacrificabile, porta a termine il proprio compito e, quando un altro viene accusato dell'omicidio, confessa il delitto scoprendo di non essere creduto da nessuno;
  • "La Mort Vient de Nulle Part" di Gensoul & Grenier, mitologico giallo del quale si sa pochissimo;
  • "The Woman in the Wardrobe" di Peter Anthony, camera chiusa rarissima in quanto uno degli autori che lo firmarono ha sempre ostacolato una ripubblicazione dell'opera (ma...);
  • Tre tra i romanzi gialli scritti da Stuart Palmer ("Hildegarde Makes the Scene", "Rook Takes Knight" e "Murder on Wheels";
  • "The Viaduct Murder" di Ronald A. Knox, unica prova letteraria del redattore del Decalogo del giallista senza il suo investigatore seriale Miles Brandon;
  • "Hoodwink" di Bill Pronzini, altra camera chiusa molto celebrata;
  • Opere inedite di Seishi Yokomizo;
  • Opere inedite di Rintaro Norizuki;
  • L'opera omnia di Noel Vindry;
  • L'opera omnia di Norman Berrow;
  • Opere inedite di Stanislas-André Steeman;
  • Opere inedite di Pierre Boileau;
  • Opere inedite di Eizabeth Ferrars;
  • Opere inedite di Helen McCloy;
  • Opere inedite di Philip MacDonald.

Copertina di "Gaudy Night" pubblicato
da Hodder & Stoughton
Con 2 nomination sono stati scelti:
  • La ristampa integrale e ben fatta di "Il Mostro del Plenilunio" di John Dickson Carr;
  • "Gaudy Night" di Dorothy L. Sayers, l'unico inedito della grande creatrice di Lord Peter Wimsey, ambientato ad Oxford e considerato come uno dei suoi capolavori;
  • "The Curious Mr. Tarrant" di Charles Daly King, raccolta di racconti brevi ma straordinari dell'autore di "Delitto in Cielo" e "Un Cadavere Senza Importanza";
  • Opere inedite di John Rhode.
Con 3 nomination è stata scelta la saga di Owen Burns, ambientata nell'Inghilterra edoardiana e scritta da Paul Halter.

Il vincitore della classifica, con 4 voti, è stato tuttavia "Murder in the Crooked House" di Shimada Soji, celebrata opera del maestro del delitto classico giapponese.

Copertina di "Murder in the Crooked
House" pubblicato da Pushkin Vertigo
Ecco, questo è tutto. Desidero ringraziare ancora tutte le persone che hanno votato e suggerito titoli da riscoprire. La mia speranza (abbastanza misera, visto quanto ancora di nicchia sia Three-a-Penny) è che qualche editore possa capitare da queste parti e decidere di accogliere una o più richieste tra quelle che ho riportato qui sopra. Speriamo sarà così. Nel frattempo, continuerò a recensire e a consigliarvi nuovi romanzi gialli. Al prossimo appuntamento con l'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario.

Link all'edizione italiana di Morte in ascensore di Alan Thomas, su IBS;

Link all'edizione italiana di Morte in ascensore di Alan Thomas, su Libraccio;

Link all'edizione italiana di Morte in ascensore di Alan Thomas, su Amazon.

venerdì 17 aprile 2020

30 - "Qualcuno ti Osserva/La Scala a Chiocciola" ("Some Must Watch", 1933) di Ethel Lina White

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Polillo Editore
Nell'arco dell'ultimo mese e mezzo, con l'incursione in alcuni titoli selezionati della classica crime story, abbiamo visto come esistano tanti tipi di romanzo giallo in riferimento all'isolamento che l'essere umano si auto-impone oppure subisce dal prossimo; soprattutto se inteso dal punto di vista della sua mente. I personaggi di "Morte al Telefono" oppure di "Una Torre per il Profeta", infatti, hanno illustrato al meglio come l'individuo finisce per imprigionare e chiudere la propria personalità al resto del mondo, cadendo in preda alla pazzia e alla paranoia (sentimenti in parte condivisi e riflessi dalla condizione in cui noi stessi ci troviamo, in questo periodo di frustrante semi-isolamento che stiamo vivendo, da quando è scoppiata la pandemia di Coronavirus). Essi sono stati espressione dell'incerta realtà del tempo vissuta dal mondo di metà Novecento, segnata dalla profonda analisi della psiche della persona, dallo straniamento e dalle sue sensazioni e ossessioni nascoste, della quale il mystery fu l'interprete e la chiave di lettura che con più risultati riuscì a comprendere e diffondere la richiesta d'aiuto (in quel momento come al giorno d'oggi, poiché la frustrazione gioca un ruolo importante nella vita della gente). Eppure, benché questo tipo di narrativa del mistero, giocato sulla maggiore importanza data alla psicologia rispetto all'azione e propria non solo della scuola hard-boiled (col racconto dei fatti nudi e crudi della realtà di ogni giorno), ma pure del giallo all'inglese (fatto perlopiù di rilevamenti di indizi materiali sulla scena del crimine) sia molto popolare tra i lettori appassionati di questo genere letterario, non bisogna dimenticare che questa sensazione di prigionia ed isolamento dell'uomo può essere interpretata anche in un modo un po' diverso, dal quale si sono sviluppate trame altrettanto intriganti e originali. Sto parlando del caso in cui i personaggi si ritrovano ad essere confinati in luoghi chiusi o lontani dalla civiltà in senso "materiale", all'interno di castelli o avite dimore arroccate su picchi inaccessibili. Forse non sembra, ma pure così ci troviamo di fronte a una sorta di quarantena dalla società, a volte addirittura più pericolosa di quella attinente alla sola psicologia che ho sintetizzato sopra. In quest'ultimo caso, infatti, oltre ad essere costretto a combattere contro lo stesso nemico invisibile dei tipici romanzi psicologici della metà del Novecento (il proprio Carattere che è Destino), l'eroe o l'eroina si ritrova a giocare una partita rischiosa a causa dell'ambiente circostante ostile, il quale accentua la sensazione di claustrofobia già esacerbata dalla precedente condizione "mentale". La "giustizia parallela" a quella del resto del mondo (incarnata molto spesso dal padrone di casa) instaura un regime non meno temibile di quello esercitato dal Fato avverso, e la gerarchia sociale della casa il più delle volte non privilegia l'importanza dell'individuo agli occhi del grado che egli possiede, ma piuttosto è il ruolo incarnato da esso all'interno del gruppo a definire la sua posizione di vantaggio o svantaggio.

Quindi, il pericolo diventa doppio a causa della sensazione di angoscia suscitata dall'unione di disagio psicologico e fisico, e ciò aumenta la tensione complessiva all'interno di queste storie di famiglie o gruppi di persone costretti a vivere in luoghi ristretti e a contatto l'uno con l'altro, mentre le correnti sotterranee dei loro sentimenti e delle loro gelosie si scatenano e danno vita a intrecci di grande effetto, sullo sfondo di un'ambientazione suggestiva e d'atmosfera che infonde un tocco in più di fascino alla faccenda. Personalmente, a me piace molto questo tipo di romanzo giallo. Possiedo quello che si potrebbe definire "un animo melodrammatico", quindi non posso evitare di apprezzare i misteri claustrofobici, pieni di individui teatrali, impulsivi, vicini eppure lontani, e capaci di trasmettere un fortissimo senso di inquietudine e di suspense; benché sia consapevole che non a tutti essi vanno a genio. Così, cogliendo l'occasione di inserire una variante del "delitto della prigionia" per la mia rassegna ai tempi dell'isolamento da Coronavirus, non ho potuto esimermi dallo scegliere per la recensione di oggi la crime novel appartenente a questa categoria che preferisco in assoluto: "Qualcuno ti Osserva" di Ethel Lina White (Polillo Editore, 2017). Pubblicato anche col titolo di "La Scala a Chiocciola" (Mondadori), esso è un libro pieno di oscurità (in senso letterale e non), dove la tensione si taglia con il coltello, la suspense non scende mai sotto alti livelli e le emozioni e i sentimenti occupano uno spazio ingente della trama. Il suo stile elegante e d'impatto, capace di raffigurare al meglio i contrasti che possono nascere alla presenza del Male, suscita spettri gotici all'interno di un enigma giocato sui colpi di scena e sul continuo stimolo della sensazione di terrore; e sebbene quest'ultimo sia forse poco attinente al fair play, le vicende riescono comunque a regalare tutti i brividi che il lettore di gialli desidera.

Corn Stooks and Farmsteads of Hill Farm, Capel-yffin (Wales),
Eric Ravilious, 1935, raffigurante il tipico paesaggio selvaggio
del Galles, simile a quello della tenuta di Summit
L'intera storia si svolge nei dintorni e all'interno della tenuta di Summit, un'isolata dimora in stile vittoriano sita al confine tra Galles ed Inghilterra. Laggiù vive un ristretto gruppo di persone, composto dalla famiglia Warren, da un paio di domestici di vecchia data e dalla giovane Helen Capel, la protagonista del romanzo. Quest'ultima è una ragazza alla pari, una di quelle giovani che spesso vengono impiegate nelle case signorili per svolgere piccoli lavoretti oppure per badare ai bambini, così da fare esperienza e imparare un mestiere utile per il futuro. Minuscola, con un sacco di capelli rossi e una spiccata immaginazione che le permette di svagarsi, nonostante abbia un impiego piuttosto monotono, Helen è soddisfatta della propria posizione: le è permesso mangiare allo stesso tavolo dei suoi datori di lavoro, viene pagata con un salario dignitoso (soprattutto se si tiene conto della difficile situazione che l'Inghilterra vive in seguito alla guerra, quando tanti uomini e donne non se la passano bene) e un pomeriggio alla settimana può andare a passeggiare nei dintorni della tenuta, in mezzo alla natura selvatica del posto, immaginando di vivere avventure straordinarie. Tuttavia, da qualche tempo una minaccia offusca i suoi momenti di libertà: infatti, un maniaco omicida ha già ucciso ben quattro ragazze, avvicinandosi sempre più a Summit e incutendo timore non solo in lei ma pure negli altri abitanti di Summit, apparentemente più che decisi a tenerla al sicuro. In ogni caso, Helen è convinta che tragedie come l'essere strangolata non potrebbero mai accadere a una ragazza insignificante come lei; e anche quando rientra dalla consueta passeggiata e scorge un'ombra nascosta dietro a un albero, non dà peso alla cosa e liquida la faccenda come l'ennesimo frutto della sua immaginazione. Perché l'assassino dovrebbe prendere di mira proprio lei, che non si allontana quasi mai dal suo luogo di lavoro? Sarebbe una fatica inutile sforzarsi di attirarla in trappola o fuori da una fortezza impenetrabile come Summit; tanto più che lei ha dalla sua parte più di un amico.

Il professor Sebastian Warren e sua sorella Blanche (i padroni di casa), benché scienziati alteri e privi di calore umano, hanno tutte le ragioni per non lasciarsi sfuggire i suoi preziosi servigi; il triangolo amoroso composto dallo studente Stephen Rice, da Newton (il figlio del professore) e dalla sua focosa moglie Simone, non si cura di Helen in condizioni normali, figurarsi complottare per eliminarla; il signor Oates e la sua signora, rispettivamente autista e cuoca della casa, dimostrano un affetto nei suoi confronti fin troppo evidente, per dare adito a gelosie segrete. Forse soltanto la fumantina Lady Warren, l'anziana matriarca della famiglia, con la sua indole istintiva e sarcastica e la reputazione di aver assassinato il marito, potrebbe costituire una minaccia per Helen (tanto più che la ragazza nutre un'irresistibile curiosità nei suoi confronti e intende fare di tutto per conoscerla). Eppure, quando scoppia un improvviso temporale e Summit (dopo il ritorno di Oates in compagnia della nuova infermiera) si ritrova isolata dal resto del mondo, in balia delle passioni ed emozioni che si stanno scatenando nel gruppo che ospita, Helen inizia a sospettare che nelle ore della notte qualcosa andrà storto. In breve tempo, infatti, tutti i componenti del gruppo iniziano a comportarsi in modo strano e a scontrarsi tra loro, mentre nei bui corridoi della casa si sentono passi furtivi e scricchiolii inquietanti; soprattutto lungo la stretta scala a chiocciola che collega il seminterrato e la cucina con i piani più alti di Summit. Possibile che qualcuno si sia introdotto in casa prima che iniziasse a piovere e si sia nascosto da qualche parte, in attesa di sferrare l'attacco mortale nei confronti di Helen? La ragazza se ne convince sempre più, fino a diventare consapevole che il pericolo si trova proprio accanto a lei, nascosto negli anfratti oscuri della notte: non è affatto al sicuro, e dovrà combattere contro l'occhio che la sta osservando insistentemente per poter sperare di rivedere il giorno.

Immagine tratta dal film "La Scala a Chiocciola"
diretto da Robert Siodmak, 1946
Come ho già avuto occasione di rivelare, il romanzo giallo che preferisco in assoluto è "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers. Non credo ci sia niente di tanto umano e terribile e spensierato e complesso come la storia che esso racconta, benché questo non significhi che non apprezzi grandemente anche altri indiscussi capolavori della classica crime story. Tuttavia, se mi venisse chiesto quale libro del mistero rappresenta al meglio la mia idea di "storia criminale" (intesa come quella che vorrei aver scritto io, se soltanto fossi capace di farlo), ebbene io sceglierei proprio "Qualcuno ti Osserva". Fin da bambino, infatti, sono sempre stato affascinato dall'idea dell'eroe chiuso in una casa misteriosa, mentre fuori imperversa la tempesta e un pericolo senza nome si staglia su tutto l'insieme. Lui guarda da una finestra la pioggia che cade, i lampi che strappano il cielo nero e il tuono che brontola in lontananza, rimbombando sopra di lui; è al sicuro, ma non si sa mai cosa può accadere in una notte del genere. Da qui lasciavo a briglia sciolta la mia immaginazione, simile a quella di Helen, mentre aggiungevo un dettaglio dopo l'altro alle vicende: magari qualcuno bussava al portone (amico o nemico?), oppure dalla cima delle scale si sentiva un rumore che nessuno poteva aver prodotto (non c'era anima viva lassù). Sono andato avanti per anni a trastullarmi con questo concetto non molto originale, adesso me ne rendo conto, ma che non riusciva mai ad andarsene definitivamente dalla mia testa; finché, quando già avevo iniziato a leggere romanzi gialli da diverso tempo, mi sono imbattuto in questo romanzo di Ethel Lina White. La prima volta che l'ho iniziato, non riuscivo a credere che esso raccontasse proprio di un mistero così simile a quello che era nato nella mia mente eccitabile di bambino: la casa isolata, la tempesta che si abbatteva su di essa e impediva ai suoi abitanti e alle poche persone del circondario di entrare in contatto tra loro, la presenza di rumori sinistri lungo i corridoi bui; tutto questo veniva sfruttato per dare vita al "caso perfetto", quello che si basava sulle mie fantasie. Inutile dire che questo fatto mi ha reso felicissimo e mi ha indotto ad innamorarmi subito di questo libro più volte giudicato come imperfetto, ma che per me riesce a mettere in scena una vicenda straordinaria, dominata da uno spiccato tono teatrale e piena zeppa di contrasti.

Questa convivenza di elementi che entrano in conflitto tra loro è forse la caratteristica più prepotente dell'opera letteraria di White: a partire dalla commistione di thriller e giallo tradizionale, infatti, in essa ritroviamo una narrazione duplice nei confronti di molti tra i suoi aspetti. Come era avvenuto in "Svanita nel Nulla", infatti, pure in "Qualcuno ti Osserva" l'autrice si impegna a costruire una vicenda in cui vengano unite la suspense caratteristica dei libri delle women in jeopardy e un tipo di indagine improntata sul classico giallo della Golden Age inglese (benché con risultati più grezzi di quelli ottenuti da Christie e colleghi). Mentre il brivido resta la sua cifra distintiva, di volta in volta ciò le ha permesso di cimentarsi nel "mistero-da-villaggio-di-campagna" (con "Fear Stalks the Village"), in quello universitario (con "The Third Eye") oppure in una variante del giallo con serial killer proprio con "Qualcuno ti Osserva", senza per questo rinunciare ad elementi gotici quali infermiere, scene notturne e luoghi solitari, i quali ne hanno fatto un'insolita discepola della scuola della Rinehart. È riuscita a creare una sorta di "equilibrio" in cui i contenuti e gli elementi strutturali dei suoi romanzi gialli si sostengono (quasi) alla perfezione gli uni con gli altri, come se il suo modo di raccontare si potesse paragonare a un castello di carte, in cui ogni aspetto possiede la caratteristica di essere all'incirca complementare all'altro. Prendiamo, ad esempio, le ambientazioni in cui il lettore si trova immerso in "Qualcuno ti Osserva": non solo il parco di Summit (pp. 7-8, 10-14), con la sua magnificenza in quanto a numero di piante e grandezza, ma anche la casa stessa (pp. 25-26, 30-32, 47-48, 61, 66, 84, 198), labirintica e lussuosa, serba in sé uno scontro interiore perfetto, poiché alla luce del giorno entrambi appaiono sotto una veste amichevole e, alla notte, assumono i contorni di luoghi infestati, selvatici e ostili. Le camere (compresa quella della quarta vittima del maniaco), da stanze intime e confortanti, dove trascorrere del tempo libero in pace, si tramutano in posti dove ci si trova da soli a combattere, in balia del pericolo e dell'ansia montata dalla solitudine. Il giardino, dove di solito ci si reca per prendere una salutare boccata d'aria e scaldarsi sotto qualche raggio di sole, diventa il campo di caccia di spietati assassini, intrico arboreo che offre al predatore innumerevoli nascondigli, dove gli alberi si muovono ed aggrediscono gli ignari passanti. Addirittura la cucina, focolare domestico che costituisce il cuore pulsante della casa e della famiglia, assume contorni inquietanti se le togliamo la stufa accesa, la massaia intenta a tagliare le verdure per la cena, le chiacchiere quotidiane.

Questo conflitto equilibrato tra luce e buio, inoltre, viene sottolineato anche dallo scontro tra l'esterno di Summit, tormentato dalla bufera e simbolo del mondo terrorizzante abitato da spettri e da mostri partoriti dalla pazzia, e l'interno illuminato (sempre meno, mentre il pericolo si fa più pressante) dalle lampadine, pieno di voci amichevoli e individui vivi, capaci di darsi man forte in caso di necessità. Se mai dovesse trovarsi in difficoltà, Helen è sicura che ci sarebbe sempre qualcuno disposto a proteggerla (la faccenda viene ribadita più volte all'interno della storia); tuttavia, come scopriamo man mano che andiamo avanti a leggere, la realtà si rivelerà ben diversa, dal momento che ognuno dei personaggi dimentica la promessa fatta, in favore del proprio tornaconto personale, dando vita all'ennesimo conflitto complementare del romanzo. Ognuno di questi individui complessi, teatrali, lunatici e soggetti a una vasta gamma di emozioni (pp. 7-8, 17, 20-22, 33, 47, cap. 5, 60-61, 74-75, 89-90, 131, 147-149, 152, 155-157, 171-172, 189, 200-201, 206, 212, 219, 226, 254), spesso contrastanti tra loro e definibili per cliché (la vecchia inquietante, l'infermiera equivoca, la cuoca amabile), mostra una faccia all'apparenza amichevole ed equilibrata, privo di difetti e ossessioni; ma ben presto il lettore si accorge che le cose non stanno come sembrano e che i veri volti dei protagonisti sono differenti da come appaiono. Alcuni di loro risulteranno degni di pietà, altri di disappunto, altri ancora di benevolenza; perché ancora una volta ciò che appare stride contro ciò che è celato agli occhi, e i buoni si riveleranno egoisti e cinici, mentre i cattivi potranno forse sperare in una redenzione finale.

L'apparenza e la sostanza sono i concetti base su cui si fonda la crime story in generale; anche in "Qualcuno ti Osserva", ciò che sembra e ciò che è, i tentativi di nascondere la propria natura e le maschere che le persone indossano appaiono importantissimi, benché essi non riescano del tutto a celare i loro impulsi. Infatti, le passioni (capp. 8, 16, pp. 18, 93, 95, 107, 211) e l'amore in primis dominano all'interno di questo romanzo in un perfetto gioco di ruoli: la frustrazione del triangolo Simone-Newton.Stephen, la delusione e gelosia dell'infermiera Barker, l'idillio tra Helen e il dottor Parry muovono in sincrono alcune delle pedine sulla scacchiera dell'assassino; assieme ai vizi e alle paure innate dell'onesta Mrs. Oates, dei signori Warren e dell'anziana Lady bloccata nella camera azzurra. A questo proposito, sono convinto che non sia un caso che la stanza della matriarca sia stata chiamata così: se ci facciamo caso, è proprio lassù, in quel luogo pieno di terrore e pericolo (capp. 29-31) che stride con l'immagine suscitata dal suo nome, che si risolverà definitivamente il caso, mentre fuori dalla finestra imperversa inesorabile la tempesta. Come vedete, i contrasti sono sempre al centro della scena, perfettamente orchestrati per costruire il mistero: nelle ambientazioni, nei personaggi, nel meteo, nei sentimenti e, addirittura, nell'enigma (cap. 13), dove l'impianto strutturale appare simile a quello del giallo tradizionale declinato nel sottogenere del "delitto del serial killer", ma allo stesso tempo immerso nelle atmosfere tipiche del romanzo americano delle women in jeopardy. L'aura tormentata, enfatizzata dall'uso della luce, della natura e dell'immagine delle finestre aperte sulla notte e il vento, che pervade la lettura dall'inizio alla fine (pp. 33-35, 42, 57, 63-64, 110-112, 144, 176-178, 203-210, 213, 221), funziona alla grande per far montare la tensione, fino alla conclusone concitata e frenetica, ed evoca scenari appartenenti al mondo vittoriano, alle camere in cui si mosse Jane Eyre, descrivendo enormi saloni lussuosi e pareti drappeggiate e illuminate da lampade fioche, care alle storie in cui conta più il fattore psicologico rispetto alla logica e al rigore scientifico. Una pesante solennità, farcita di citazioni cinematografiche e letterarie (come non pensare agli alberi che avanzano e al Macbeth, leggendo le pp. 83-84?) e a volte inframmezzata da piacevoli intermezzi ironici (soprattutto quando è presente sul palcoscenico Mrs. Oates o ci viene presentato il capitano Bean), conferisce una certa irrealtà ai fatti raccontati; White ha provato ad equilibrare ancora una volta il pragmatismo del giallo all'inglese con la suggestione, ma stavolta non ci è riuscita in pieno: i fantasmi, infatti, non vengono mai scacciati del tutto, sebbene questo non abbia impedito a "Qualcuno ti Osserva" di diventare la materia perfetta per un film divenuto celeberrimo, "La Scala a Chiocciola" di Robert Siodmak, in cui (qui sì!) la detection e la suspense convivono all'unisono, sopperendo all'unico difetto del romanzo.

Per chiudere questa riflessione, mi soffermo su un altro paio di aspetti che rispecchiano l'equilibrio su cui giocano, al punto giusto, i conflitti dentro "Qualcuno ti Osserva". Innanzitutto, lo stile è molto simile a quello ambiguo impiegato dalle Regine del Brivido, con numerosi momenti a effetto e finali di capitoli in cui il lettore si trova a trattenere il fiato; pur risentendo della tradizione solida e caratteristica del romanzo vittoriano, dove il dettaglio e l'aderenza alla realtà erano molto spiccati. In secondo luogo, però, voglio sottolineare soprattutto come la duplicità di ambientazione, azioni dei personaggi e quanto altro, sia perfettamente rispecchiata anche nei temi trattati. Quello della disoccupazione e dell'impiego delle donne come manodopera al posto degli uomini, costretti a rinunciare a lavorare a causa del gentil sesso, si rivela dannoso per Helen, invece di essere un'opportunità per lei (pp. 7-8, 13, 20, 71-72, 250); quello del travestitismo (tematica scottante ancora ai giorni nostri, punto focale pure del racconto "The Unlocked Window"), costituisce un paradosso simile a un caleidoscopio, tanto esso prima suscita e poi placa i nostri sospetti sull'infermiera Barker (è un essere infelice oppure un'aguzzina?); quello del dualismo scienza contro fede (cap. 11, pp. 155-157) e della battaglia tra il punto di vista spirituale di Helen, attaccata al suo crocifisso in legno e convinta di essere protetta dalla Provvidenza, e quello materiale della famiglia Warren, cinica e disillusa. Entrambe queste convinzioni portano avanti una tesi suffragata da prove, e non stupisce come ancora una volta il conflitto tra esse non si risolva con una vittoria netta: se da una parte, infatti, le convinzioni del nucleo famigliare vedono una realizzazione nel piano dell'assassino, convinto di riuscire a manipolare i propri simili grazie agli impulsi biologici e chimici cui essi sono soggetti (pp. 103, 108, 161-162, 173-174, 184, 231, 248-250), dall'altra quegli stessi impulsi finiscono per decretare la sua sconfitta. Una perenne lotta, ecco cosa mette in scena "Qualcuno ti Osserva" e in generale l'opera di Ethel Lina White; forse un po' troppo forzata per riuscire a resistere alla prova del tempo, ma sicuramente utile per permetterle di variare e sperimentare, pur restando ancorata ad aspetti comuni nelle sue trame.

Ethel Lina White, nata nel 1876 e
morta nel 1944
Pur avendo goduto di un certo successo mentre era in vita, al giorno d'oggi non sappiamo granché sul conto di Ethel Lina White. Come ha osservato Mauro Boncompagni in un'introduzione a uno Speciale del Giallo Mondadori, su di lei esistono solo alcune menzioni sparse qua e là, citazioni stringate e un saggio molto breve in "20th Century Crime and Mystery Writers" (poi tolto dalle edizioni successive a quella del 1980). Per qualche tempo, addirittura, si è stati indecisi sulla sua vera data di nascita, la quale venne poi stabilita dal critico Jack Adrian all'anno 1876. Non stupisce, quindi, che tanti particolari sulla sua esistenza siano rimasti avvolti dal mistero. Di certo, White nacque ad Abergavenny, una cittadina antichissima del Galles meridionale, figlia di un inventore e della sua seconda moglie; visse prima in una casa a Frogmore Street (dove in seguito venne posta un targa commemorativa) e in seguito a Londra, e lavorò in città per qualche tempo al Ministero delle Pensioni; impiego che lasciò solo negli anni Venti, per dedicarsi completamente alla scrittura fino alla morte, avvenuta nel 1944. L'unico altro particolare sicuro sulla vita di Ethel Lina White, oltre ai romanzi di genere giallo e non che scrisse, è dato dal suo testamento: redatto in modo da lasciare alla sorella nubile (unica parente di cui si abbia conoscenza) tutto quanto possedeva, esso specificava una condizione davvero insolita affinché ella potesse acquisire i suoi averi; ovvero, che chiamasse un medico e gli ordinasse di trafiggere con un punteruolo il cuore della sua salma, per accertarsi che non ci fossero più tracce di vitalità. Una circostanza un po' macabra e agghiacciante, simile a quelle descritte nei suoi libri (a partire da "La Vittima è Presente") i quali, come abbiamo visto, pur forniti di elementi da detective novel si possono iscrivere al genere suspense e delle women in jeopardy.

Da essi possiamo ricavare altre informazioni sulla sua personalità; soprattutto se analizziamo i personaggi femminili, che risultano essere sempre molto ben sviluppati e di maggior peso rispetto alla controparte maschile del gruppo (cap. 1, pp. 92, 95, 130). Lady Warren è una donna impetuosa, inquietante ma franca, la quale domina dall'alto della sua stanza i piccoli uomini che si scontrano tra loro; Simone la tipica famme fatale viziata e capricciosa, ma dotata di determinazione e di una passione travolgente; Mrs. Oates è invece la matrona amorevole, la domestica perfetta che incarna l'ideale della cuoca di ogni romanzo, con l'ironica schiettezza e i piccoli vizi rappresentativi; la Barker un'individuo geloso, freddo e competente come ci si aspetterebbe da ogni infermiera diplomata. Helen Capel, infine, può essere considerata un alter ego dell'autrice, con la sua grande capacità inventiva (non solo dal punto di vista dell'immaginazione, ma anche da quello pratico) e una latente dedizione al dramma che ne avrebbe fatto un'ottima scrittrice; è spesso raffigurata come energica, pur in costante pericolo (ancora la duplicità cui accennavo sopra); è una persona che si impegna per guadagnarsi da vivere, che si oppone agli ostacoli che incontra e agli individui che tentano di metterla in difficoltà facendo affidamento sulle proprie risorse, in modo simile alla maestra di "The Third Eye", alla giornalista di "Delitto al Museo delle Cere", alla governante di "La Signora Scompare" e alla Viola di "Svanita nel Nulla". La stessa White probabilmente dovette far fronte alla necessità di sopravvivere con le sue sole forze: il censimento inglese del 1921 mostrava come le donne fossero un milione e tre quarti più degli uomini dopo la Grande Guerra, e questo fatto impediva loro di pensare a un futuro fatto di sicurezza finanziaria e matrimonio; quindi esse erano costrette a diventare infermiere o segretarie pur di sopravvivere. Ecco, anche Helen (come la stessa Ethel Lina) si trovò in una situazione simile, costretta a svolgere un'occupazione tediosa o precaria, a cui andavano aggiunti gli effetti nefasti della Depressione e, a volte, il dovere di sostenere congiunti di ogni tipo.

Questa simpatia che White nutrì verso i suoi personaggi femminili (spesso innamorati, ma non tratteggiati in modo troppo sdolcinato o con rapporti sentimentali invadenti) la rese una scrittrice apprezzata e avanti sui tempi, tanto più che così si dimostrava molto tollerante verso i costumi dell'epoca, i quali vedevano la figura della donna ancora come marginale all'interno della società e la figura dell'investigatore come un essere umano privo di particolari emozioni (ne sono un esempio "È Scomparso un Caro Ometto", storia di un uomo che finge la propria morte per truffare l'assicurazione, e "The Elephant Never Forgets", una sorta di spy story ambientata in Unione Sovietica). Lo sviluppo della relazione tra eroina e innamorato risulta tra gli elementi più ricorrenti nella sua opera, insieme al taglio cinematografico che ella seppe dare ad ognuno dei suoi libri. Non a caso, da "La Signora Scompare" e "Qualcuno ti Osserva" sono stati realizzati due film di successo, diretti rispettivamente che da Alfred Hitchcock (con titolo omonimo) e da Robert Siodmak (col titolo "La Scala a Chiocciola"); mentre dal suo "La Casa dell'Oscurità" fu scritta una co-sceneggiatura da Raymond Chandler e dal racconto "An Unlocked Window" furono tratte le basi per uno dei più memorabili episodi della serie "L'Ora di Hitchcock". Proprio quest'ultimo, grazie alla presenza di due infermiere, una finestra che non viene chiusa per la notte e una gran dose di brivido, può essere considerato come un tipico esempio della concezione di crime story che aveva questa insolita scrittrice, per la quale nutro una grande ammirazione ed affetto. Soprattutto con "Qualcuno ti Osserva", a mio parere White è riuscita a costruire una trama intrigante, farcita di colpi di scena dosati e di una tensione ipnotica. L'ambientazione è il punto più intrigante del romanzo, con la natura che sembra possedere vita propria e un'atmosfera da brividi. Anche se non ci troviamo di fronte a un vero giallo deduttivo, poiché i pochi indizi presentati non vengono poi sviluppati in modo da poter arrivare da soli alla soluzione, questa resta un'opera davvero notevole, che merita di essere conosciuta e di avere grande fortuna. Christine Poulson ha osservato che "se c'è qualcosa che Ethel Lina White conosceva, quello è la suspense"; io non posso che essere d'accordo con le sue parole, e sono convinto che la sua decisione di mettere insieme il tradizionale giallo all'inglese con la corrente delle women in jeopardy le abbia assicurato un posto di tutto rispetto all'interno della narrativa di genere. Forse le sue storie non sono perfetti meccanismi ad orologeria, ma di sicuro regalano il giusto brivido a chi voglia lasciarsi suggestionare, magari durante una notte di tempesta trascorsa alla luce fioca della lampada da lettura.

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venerdì 10 aprile 2020

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Aprile 2020)

Salve a tutti, amici dell'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario. Come state? Spero vada tutto bene dalle vostre parti. Lo so, la situazione in generale non è cambiata molto, rispetto al mese scorso: il Coronavirus sta lentamente allentando la morsa con cui ci ha improvvisamente afferrato a partire da febbraio, ma la speranza di vederlo del tutto debellato resta per il momento una meta ancora lontana. In ogni caso, però, sembra proprio che a partire da maggio le cose si sbloccheranno in qualche modo, poiché è prevista una parziale ripresa delle attività lavorative; chissà che questo possa essere un segnale positivo, e non un'occasione per lasciarsi andare e gettare al vento queste lunghe settimane di reclusione tediosa che ci è toccato vivere. Da parte mia, voglio sperare nel meglio e proseguire secondo i piani che avevo fatto, consigliandovi ancora una volta alcuni romanzi gialli classici in fase di pubblicazione ad aprile. Ed inizierei con una precisazione: infatti, qualche tempo fa vi avevo anticipato che in questo periodo era prevista l'uscita del nuovo volume dedicato alla figura di Abercrombie Lewker, da parte dei tipi di Mulatero: "Sangue sul Monte Bianco" di Glyn Carr. Ancora una volta, tuttavia, devo fare una rettifica e annunciare che, purtroppo, mi è stato comunicato uno slittamento in tale senso, e che non rivedremo in libreria il nostro Filthy prima delle feste di Natale. Un vero peccato, visto che si tratta di avventure simpatiche e che ben si prestano a dare qualche momento di svago, senza risultare troppo cerebrali. Pazienza; ce ne faremo una ragione e ci armeremo di pazienza. E adesso, come di consueto in questi mesi di blocco dell'editoria italiana, passiamo ai titoli in uscita in lingua inglese.

Copertina di "Malice Aforethought"
pubblicato da Orion
Per prima cosa, vi voglio segnalare la pubblicazione di una nuova edizione di "Malice Aforethought" di Francis Iles, prevista per il 2 Aprile, per i tipi di Orion. Si tratta della traduzione in lingua inglese di "L'Omicidio è un Affare Serio", del quale ho pubblicato una recensione proprio alcune settimane fa. Ormai conosciamo la storia agghiacciante del dottor Bickleigh, lo spietato dottore che decide di uccidere l'odiata moglie che lo fa sentire inferiore e lo bistratta, dei suoi piani per sfuggire alla giusta punizione e di come si ingegni per far quadrare tutto e incolpare altri delle sue azioni riprovevoli. Comunque, questa può essere una buona occasione per procurarsi una copia dell'edizione in lingua originale, magari da leggere in accostamento a quella della Polillo Editore per confrontarne le differenze linguistiche. Oppure, se non l'avete ancora fatto, per colmare una lacuna enorme all'interno della classica crime story. Con questo romanzo giallo, infatti, Iles (pseudonimo di Anthony Berkeley) ha rovesciato le regole che durante la Golden Age andavano per la maggiore, proiettando il lettore direttamente dentro la mente dell'assassino e riuscendo a dare l'idea della perversione e della corruzione morale che in essa alberga. Sul serio, se non lo conoscete affrettatevi a recuperarlo.

Copertina di "Crossed Skis"
pubblicato dalla British Library Crime
Classics
In secondo luogo, nella serie della British Library Crime Classics questo mese è stato pubblicato "Crossed Skis" di Carol Carnac. Se questo nome non vi dice niente, sappiate che si tratta di uno degli pseudonimi adottati da Edith Caroline Rivett Lorac, meglio conosciuta come E.C.R. Lorac e prolifica autrice di gialli classici. Questo libro, in particolare, fu pubblicato nel 1952 e, come ci racconta Martin Edwards nel suo blog, venne dedicato dall'autrice ai suoi compagni di uno ski-ing party che si tenne tra l'Inghilterra e la città di Lech in Austria. Esso racconta una storia curiosa, suddivisa in due filoni distinti: nel primo viene raccontato lo svolgersi dello ski-ing party ed introduce i numerosi protagonisti della vicenda; il secondo, invece, vede lo scoppio improvviso di un incendio all'interno di una casa di Londra. Si tratta di un incidente o di qualcosa di peggio? Per accertare le cause reali di questo evento, l'ispettore Rivers viene incaricato del caso e ben presto si ritrova sulle tracce di un assassino, mentre la tensione sale e le complicazioni si moltiplicano. Personalmente, trovo molto intrigante tutta la faccenda, benché non sia un grande appassionato di sci e di sport da alta montagna. Ho apprezzato moltissimo l'opera di Glyn Carr, il quale ha ambientato i suoi romanzi sulle vette di tutto il mondo; quindi, penso che proverò a dare un'occhiata anche al libro di Carol Carnac (sperando che Mulatero possa portare a breve in Italia una sua traduzione adeguata!).

Copertina di "Mortmain Hall" pubblicato
da Head of Zeus
Infine, voglio concludere i consigli di questo mese senza allontanarmi troppo dalla British Library Crime Classics, e presentandovi l'ultima fatica del curatore della collana: "Mortmain Hall" di Martin Edwards, pubblicato da Head of Zeus. Si tratta del seguito di "Gallows Court", la prima incursione dell'autore nel giallo classico (infatti Edwards vanta all'attivo due serie che appartengono al moderno thriller, benché contaminato da alcuni aspetti della tradizionale crime story britannica). La storia si apre con la familiare ma suggestiva immagine di quella che assomiglia a una vedova, in procinto di salire su una carrozza ferroviaria alla London's Necropolis Railway. Rachel Savernake, però, sta solo agendo sotto copertura: quale investigatrice, infatti, segue un uomo che sta recandosi al funerale della madre; un uomo che ha finto di essere morto e che sta rischiando molto. Rachel ha tutte le intenzioni di scoraggiare qualunque pericolo per lui, ma potrà contare sulla sua collaborazione? Infatti, poco dopo, qualcuno muore sul binario e Rachel nota alcune curiose somiglianze tra il delitto di cui è stata testimone e alcuni casi misteriosi e recenti, come la morte di un uomo all'interno di un'auto data alle fiamme, l'uccisione di una persona in un bungalow sulla riva del mare e un tragico annegamento in un lago ghiacciato. Possibile che siano tutti collegati tra loro? E se è così, quale può essere l'agente comune? Per trovare le risposte che le servono, Rachel decide di partecipare a una festa nella sontuosa Mortmain Hall, un'enorme villa di campagna sita sulla misteriosa costa del North Yorkshire. Laggiù, le sue domande troveranno una risposta, ma i pericoli si moltiplicano e ben presto le servirà l'aiuto del giornalista Jacob Flint per scoprire la verità. Sapiente miscuglio di giallo classico e moderno, dal ritmo serrato e dalla materia varia, "Mortmain Hall" si preannuncia essere un romanzo straordinario. Dopotutto, dal presidente in carica del Detection Club non mi sarei aspettato niente di meno. Se anche in Italia qualche editore si rendesse conto di quanto questi libri siano intriganti, sono sicuro che sarebbe una gioia per tutti i lettori appassionati di romanzi del mistero; chissà che prima o poi arrivi una traduzione.

Bene, anche per questo mese è tutto. Ci leggiamo a maggio per i prossimi consigli di lettura, sperando che la situazione del Coronavirus sia un po' migliorata. Nel frattempo, leggete e mantenetevi sereni. Un caro saluto, e a presto.

Link ai titoli consigliati su Amazon:
"Malice Aforethought" di Francis Iles;
"Crossed Skis" di Carol Carnac;
"Mortmain Hall" di Martin Edwards.

venerdì 3 aprile 2020

29 - "Una Torre per il Profeta" ("How Like an Angel", 1962) di Margaret Millar

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 656
Nella recensione di "Morte al Telefono" di Elizabeth Daly, pubblicata alcune settimane fa, abbiamo visto come la situazione della società del tempo e l'importanza della psicologia e della condizione della mente umana, siano stati gli aspetti fondamentali su cui si è sviluppato il classico romanzo giallo americano, il quale ha raggiunto il proprio apice intorno alla metà del Novecento dall'altra parte dell'Atlantico. La paranoia e le ossessioni che tenevano sotto scacco i cittadini, avviluppandoli in una sorta di limbo angoscioso che li minacciava e schiacciava, ben si adattavano al genere letterario che era nato con le storie di suspense, nella tradizione di quelle delle women in jeopardy di Mary Roberts Rinehart, e che stava seducendo sempre più lettori appassionati, oltre ad autori determinati a dimostrare il proprio punto di vista sulla situazione e ad esplorare gli angoli più oscuri della psiche dell'individuo. Immaginate: la crisi del 1929 aveva lasciato dolorosi strascichi e sferrato duri colpi all'economia, travolgendo gli esponenti di qualunque classe sociale; l'incertezza per il futuro si faceva ogni giorno più pressante ed influenzava l'umore delle persone nella vita di tutti i giorni, sempre uguale e sempre deprimente; nulla pareva capace di sanare le conseguenze degli scontri tra i grandi Paesi del mondo, e le notizie che giungevano dal fronte, sulla salute dei soldati colpiti da PPT (Psicosi Post-Traumatica) e sul numero enorme dei morti, avvilivano una società costituita perlopiù da gente affetta da disoccupazione e condizioni di vita misere. Era impossibile che la letteratura non si facesse influenzare da tutti questi fattori mescolati all'angoscia sempre più dilagante e insopportabile; e il giallo incarnava il genere che meglio si adattava a declinare come essi agissero sui cittadini, logorando i rapporti sociali ed avvelenandone gli equilibri, fino ad esasperare i timori di ognuno.

In questo modo, dunque, alcuni scrittori si ritrovarono ad interpretare un malcontento comune, in cui spettri inquietanti e terribili venivano evocati ed infestavano le conversazioni ogni giorno, il desiderio di trovare pace si trasformava in frustrazione e l'egoismo diventava la cosa più importante da perseguire; più del rispetto delle leggi e del prossimo, tanto ognuno si preoccupava che nessuno sconvolgesse i fragili piani che era andato costruendo con fatica. Questi autori adottarono metodi diversi per interpretare il fatalismo e questi segni del tempo e della società in cui vivevano: alcuni decisero di raccontare la vita attraverso toni duri e violenti, dando meno precedenza all'analisi della psicologia e all'enigma, così da restituire ai lettori una storia che si avvicinasse alla realtà dei fatti nudi e crudi della cosiddetta scuola hard-boiled; altri, invece, sfruttarono la paranoia dilagante per ideare storie agghiaccianti di pazzia e disillusione, in cui lo straniamento dei personaggi e il loro cinismo suscita riflessioni profonde sull'animo dell'essere umano e sulla sua natura intrinseca. Anche in questo secondo caso, come nel primo, le vicende si rifanno ad episodi che con tutta probabilità avremmo potuto vedere dal vivo, se solo fossimo vissuti intorno agli anni '50 del secolo scorso; tuttavia, il fatto di riuscire a calarci nei panni degli sconfitti e dei derelitti protagonisti di questo tipo di romanzo, di poter analizzare le loro azioni e le ragioni che li hanno spinti a compiere un determinato atto, a mio parere riesce a coinvolgere meglio il lettore e a restituire un resoconto più preciso della società e della condizione psicologica in cui versava l'America in quel momento.

Per rendersene conto, basta leggere le storie di alcune scrittrici vissute in quegli anni per comprendere quanto fosse manifesto il lato oscuro dell'animo umano, quello che emergeva dal contatto quotidiano, fatto di rancori ed invidie: i romanzi di Elizabeth Daly, come il sopracitato "Morte al Telefono", oppure quelli di Helen McCloy, come "Come in uno Specchio". Tuttavia, se mai ci fu qualcuno capace di ritrarre, con stile affilato e brutalità irripetibile, il Male e la Pazzia dei tempi turbolenti tra le due guerre mondiali, quella fu di sicuro Margaret Millar. Lo dimostra il suo romanzo che recensisco oggi, "Una Torre per il Profeta" (Classici del Giallo Mondadori n. 656, 1992), il quale tratta una vicenda in cui i personaggi incarnano la Malvagità e la Colpa li perseguita instancabile; dove la desolazione non si limita ad essere rappresentata dai brulli paesaggi che incontriamo, ma si manifesta in mille altri modi; dove l'enigma riflette l'ineluttabile sconfitta dell'individuo contro il Caso e il fatalismo regna incontrastato; dove la malvagità si annida negli angoli più oscuri della psiche e non esistono redenzione e riscatto, ma soltanto insoddisfazione, dolore e disperazione.

Scorcio sul Lago Cachuma e sul territorio circostante, scenario
principale di "Una Torre per il Profeta"
Il racconto si apre con l'immagine di un auto, che percorre una strada in mezzo al deserto e alle montagne della California del Sud, nei pressi di quella che oggi è Santa Ynez. Al suo interno, viaggiano da un paio di giorni il signor Newhouser, di ritorno al ranch in cui vive e lavora, e l'ex-bodyguard e investigatore privato Joe Quinn. Quest'ultimo è in fuga dai debiti accumulati nei casinò di Reno e da una relazione precaria e passeggera, e ha chiesto un passaggio al suo amico con l'intenzione di tentare la fortuna a San Felice e trovarsi un lavoro onesto. All'improvviso, tuttavia, Newhouser rivela di non avere alcuna intenzione di arrivare fino alla destinazione di Quinn, poiché la moglie lo sta aspettando a casa e sarebbe costretto a fare un pezzo di strada in più; quindi l'investigatore si vede costretto a scendere dall'auto nel pieno del deserto californiano e a chiedere rifugio a una strana comunità di fanatici religiosi, i quali si sono radunati attorno a una costruzione che loro chiamano "La Torre". Come Quinn scoprirà ben presto, i componenti della setta sono perlopiù individui inoffensivi che hanno perso la bussola, i quali hanno rinunciato a tutto ciò che possedevano e hanno trovato una casa che li accolga per sfuggire dalla pazzia della società, desiderosi di riallacciare un contatto più fisico con la terra e di spazzare via tutte quelle comodità a cui li ha abituati il mondo moderno. Ci sono Sorella Benedizione, l'infermiera della comunità; Fratello Voce dei Profeti, il piccolo ometto che ama gli animali e non parla mai; Fratello Corona di Spine, il giovane estremista che si occupa dei campi assieme al robusto ed ottuso Fratello Luce dell'Infinito; Fratello del Sacro Cuore, il barbiere designato alla cura del corpo del gruppo; Sorella Contrizione, la cuoca, che ha abbandonato la vita di città assieme alla giovane figlia Sorella Karma e ad altri due bambini. Assieme alla manciata di altre persone della setta, tutti costoro costituiscono le cerchie attorno alle quali emanano il proprio potere i capi della setta, il Maestro e l'anziana Madre Purezza, e accolgono Quinn con moderato entusiasmo e curiosità, come si addice al fedele devoto, permettendogli di fermarsi per la notte e offrendogli un passaggio (forse fin troppo sollecito per non apparire come un tentativo di liberarsi di lui al più presto) fino a San Felice.

Mentre l'investigatore cena in solitudine, tuttavia, Sorella Benedizione decide di avvicinarlo e, tra una innocente confessione e l'altra, gli chiede in tutta segretezza di rintracciare un uomo di nome Patrick O'Gorman. Quinn si lascia incuriosire dalla strana richiesta della donna: quale può essere il motivo che la spinge a cercare qualcuno che non vede di sicuro da tanti anni? Forse la coscienza sporca? Sorella Benedizione, infatti, sembra avere molto a cuore l'integrità propria e quella dei suoi amici all'interno della setta. Oppure quel nome è solo il parto della mente di una persona instabile? In ogni caso, l'investigatore ha bisogno di soldi; e poiché l'anziana signora è riuscita a mettere da parte una discreta sommetta e intende pagarlo con quella, accetta l'incarico e il giorno seguente, arrivato a San Felice sul trattore dello scontroso Fratello Corona di Spine, si mette al lavoro e si dirige a Chicote a bordo dell'automobile di un amico. Dopo il suo arrivo nella città petrolifera, però, più passano le ore e più Quinn si rende conto di essere rimasto invischiato in un mistero fitto e tortuoso. Da quanto riesce ad apprendere dal direttore del giornale locale, John Rhonda, e da una telefonata alla moglie di O'Gorman, quello dell'elusivo Patrick non sarebbe un nome inventato, ma quello di un uomo morto in un incidente stradale, cadendo da un ponte durante una notte di tempesta e finendo inghiottito per sempre dalle acque tumultuose del fiume. Eppure, il suo cadavere non è mai stato recuperato. Può essere che Patrick O'Gorman sia ancora vivo? E se è così, dove si trova adesso? In un crescendo di interrogatori, Quinn apprende sempre più informazioni su di lui; a partire dal fatto che, poco prima della sua scomparsa, si era verificato un caso di appropriazione indebita, del quale era risultata colpevole Alberta Haywood, la sorella dell'ex-capo di O'Gorman, ora rinchiusa in prigione. Forse c'è un legame tra i due crimini perpetrati a Chicote; ma scoprire quale sia è un'impresa ardua. Infatti, sembra che tutti siano più che intenzionati a non risollevare alcuna questione appartenente  al passato: né Martha O'Gorman, la vedova; né George Haywood, il fratello di Alberta; e sua madre; né Willie King, l'amante di George. Deciso a non mollare, Quinn ritorna alla Torre per riferire le sue scoperte a Sorella Benedizione e scopre un nuovo tassello del mistero; prima di scoprire la terribile verità che si cela dietro la scomparsa di O'Gorman, tuttavia, dovrà imbattersi in più di un cadavere sul suo cammino e scendere nelle valli più oscure dell'anima, dove si annidano i desideri nascosti, la malvagità e la corruzione morale degli uomini.

Uomini e donne appartenenti a una setta religiosa, simile
a quella della comunità della Torre
Thriller, noir, romanzo di denuncia sociale e spirituale, simile a un urlo nella notte che squarcia i veli dell'ipocrisia, "Una Torre per il Profeta" è il perfetto esempio di come Margaret Millar interpretasse il mondo che la circondava. Alla pari delle sue colleghe del giallo psicologico americano, quali McCloy, Vera Caspary e Daly, ella diede voce ai problemi reali delle persone e alla paranoia e al fatalismo che dominavano in America tra gli anni '40 e '60, mettendo in luce come la realtà fosse critica già prima dell'avvento del nuovo millennio, nel quale noi viviamo. Con la sua narrativa pessimistica e caratterizzata dallo sconforto dilagante, in modo molto simile a quello adottato dal "Re del Noir" Cornell Woolrich, espresse attraverso le sue opere le difficoltà (così simili alle nostre) a cui le persone comuni andavano incontro ogni giorno, illustrando come la psiche dell'individuo fosse influenzata nel profondo da esse e lo straniamento e le sensazioni suscitate negli stessi personaggi e nel lettore trovassero una spiegazione "logica", a discapito dell'importanza data all'azione violenta e scomposta dagli esponenti della scuola hard-boiled. Dalle conseguenze della guerra, dalle reazioni nate dal contatto-contrasto tra gli individui e dalle ripercussioni generate dalle ossessioni nascoste o represse, Millar (come le altre sue colleghe) trasse ispirazione per sviluppare idee e trame intriganti, dove il pessimismo emerge in tutta la sua forza, la fiducia negli altri viene delusa e ognuno deve ingegnarsi ed arrangiarsi per sopravvivere: niente viene regalato, nelle storie di queste autrici straordinarie, e i protagonisti, spesso incarnati nelle figure di disgraziati sui quali la sfortuna si è accanita e in attori gettati su di un palco senza essere stati istruiti in precedenza, devono sperare di azzeccare la battuta giusta per poter continuare a vivere ancora un po' della loro vita grama.

La tensione generata da questa situazione, inoltre, metteva in moto nelle loro menti complessi mentali dannosi e dava vita a un forte senso di depressione e fatalismo che il lettore riusciva a percepire più o meno distintamente, in base alla capacità e al volere della scrittrice che li interpreta e filtra. Nel caso di Daly, ad esempio, abbiamo visto come il Male e la Pazzia fossero sì presenti all'interno delle sue storie; ma in fondo ritrovavamo in esse anche una certa speranza nel fatto che, col tempo, questi sentimenti sarebbero riusciti ad essere arginati e in qualche modo curati. In Millar (e similmente in McCloy), invece, questo non avverrà mai. La catarsi non proviene dalla guarigione dell'essere umano e dalla consapevolezza che esista una luce in fondo al tunnel; nella concezione dell'autrice, non c'è niente che possa lenire la desolazione dei personaggi, né riscatto né lieto fine. Per capirlo, basta leggere "Una Torre per il Profeta". La storia di Quinn, in fin dei conti, non è segnata da eventi particolarmente lieti: ha perso il lavoro, deve arrangiarsi a raggranellare i soldi che gli sono indispensabili per vivere alla giornata, si ritrova tutti contro e nel finale stringe un rapporto sentimentale che non sappiamo per certo se avrà sviluppi positivi. Nemmeno quella dei vari sospettati, il cui numero comprende i Fratelli e le Sorelle della Torre (disgraziati individui che hanno rinunciato a tutto in favore di poche sicurezze, le quali verranno loro sottratte per la felicità di un individuo crudele che non la merita), oltre ai cittadini di Chicote coinvolti nel caso O'Gorman (infelici e segnati dal proprio Carattere che è anche il loro Destino), trova uno scioglimento felice.

I personaggi incarnano il tipo di individuo insicuro, le cui ambizioni sono fallite e hanno scelto una sorta di solitudine o isolamento esistenziale, e l'unico tipo di ironia che fa capolino tra le righe della storia è quella nera, la quale si diverte come a prendere in giro le sue vittime, a metterle l'una contro l'altra in una battaglia in cui non c'è alcun vincitore, a tormentarle e torturarle finché esse non si arrendono alla sua forza. Anche l'amore presente in "Una Torre per il Profeta" non si rivela essere qualcosa di positivo, che allevia le pene dei personaggi, ma solo un bisogno istintivo irrazionale e malato, da cui vengono generati i presupposti di più di un crimine. Insomma, secondo Millar la realtà che ci circonda non è affatto benevola e piena di risvolti ottimistici; inoltre, l'essere umano stesso è nato malvagio, è costretto a vivere per scontare la propria colpa e deve morire dopo un'esistenza piena di dolore e di sforzi che si riveleranno infruttuosi, secondo un Destino che è stato tracciato molti anni addietro e al quale non si sfugge. Senza dubbio, si tratta di una visione desolante e pessimistica, nella quale nessuno trova scampo e in cui si riflettono riflessioni filosofiche che di rado si riscontrano all'interno di romanzi di intrattenimento o "letteratura popolare". Qualcuno può credere che affrontare tali temi sia fuori luogo in un libro come questo; eppure, uno dei meriti del giallo è proprio quello di riuscire a restituire al lettore disinteressato opinioni che, con tutta probabilità, non avrebbe mai conosciuto in altro modo, spingendolo a riflettere a fondo. Anche per questo "Una Torre per il Profeta" e gli altri romanzi di Margaret Millar sono, a mio parere, al livello dei più grandi esempi di crime story classica: poiché riescono ad andare oltre, ad affrontare argomenti "scomodi" usando un linguaggio comune ma mai banale.

Margaret Ellis Millar, nata nel 1915 e
morta nel 1994
Questa visione del tutto pessimistica della vita da parte di Margaret Ellis Millar fu probabilmente influenzata dalle numerose vicissitudini di cui la scrittrice fu protagonista. Nata nel 1915 nell'odierna Kitchener, in Canada, ella fu educata prima al Kitchener-Waterloo Collegiate Institute e in seguito all'Università di Toronto. Considerata in famiglia come un "vero genio", venne allevata fin da bambina a mettere alla prova le proprie capacità, tra le quali spiccò subito la passione per la scrittura (inizialmente di poesie, per poi passare alla prosa), che la accompagnò costantemente dal momento in cui terminò di studiare. Risalgono infatti agli anni Quaranta i primi tentativi di mettere insieme qualcosa di scritto che potesse fruttarle del denaro: già da piccola aveva avuto l'occasione, grazie ai due fratelli più grandi, di esplorare il mondo del pulp grazie alle riviste che loro erano soliti comprare e nascondere sotto i materassi, dove puntualmente venivano scovati dalla giovane Margaret e divorati; per cui non le erano estranee le storie dei detective americani dei primi anni del Novecento e quelle di Erle Stanley Gardner (di cui si professò una grande ammiratrice), a cui si ispirò per tracciare la trama di "The Invisible Worm", un libro "piuttosto leggero e con un mucchio di omicidi" come lei stessa l'ha definito. Quello fu un periodo felice solo in parte, comunque, poiché alcuni problemi di salute avevano già iniziato a presentarsi: in quegli anni, infatti, si ammalò di cuore e dovette trascorrere del tempo a letto, dove l'unica consolazione fu proprio la lettura. Oltre al fatto che i volumi le venivano portati dal suo Ken. Poco prima, infatti, si era sposata e si era trasferita dal Canada in America assieme a Kenneth Millar, lo scrittore divenuto famoso con lo pseudonimo di Ross Macdonald, col quale avrebbe avuto una bambina e avrebbe condiviso tanti anni felici e una lunga carriera in campo letterario.

Insieme, senza risultare l'uno troppo invadente nei confronti dell'altra, intrapresero così il lavoro di autore a tempo pieno; un'impresa significativa soprattutto per Margaret, la quale si trovò a rappresentare il sesso femminile in un mondo dove la violenza e l'azione maschile erano la regola. Eppure, lei non si scoraggiò mai; anzi, affermò di essersela goduta un mondo a scrivere in un momento in cui il suo tipo di romanzi non veniva affrontato da molte donne. Bisogna precisare che, in realtà, i libri di Millar appartengono a un genere un po' particolare, poiché non sono degli esempi tipici della letteratura delle women in jeopardy ma neppure della scuola hard-boiled: furono infatti dei thriller psicologici più moderni del loro tempo, simili a quelli a cui siamo abituati al giorno d'oggi, in cui l'elemento psicologico si affianca a temi importanti e a una profonda analisi della realtà del tempo e dei suoi mali. Libri "diversi" alla maniera di quelli di Agatha Christie, mai uguali l'uno all'altro nello svolgimento e negli argomenti trattati. Perfezionista, abituata a lavorare al mattino (mentre Ken lo faceva al pomeriggio), Margaret Millar innovò in questo modo un genere (quello del giallo americano tipico delle "signorine omicidi") che era rimasto a lungo ancorato a stereotipi sorpassati e un po' prevedibili, introducendo novità in ogni ambito ed eliminandone le rughe dell'età, al punto da diventare una delle più grandi scrittrici di suspense di sempre. Di tanto in tanto si spostava assieme a Ken, quando ne aveva bisogno lei (per una breve esperienza come sceneggiatrice per Hollywood, quando vendette quella del suo "Sapore di Paura" ed ebbe la fortuna di incontrare Ronald Reagan ed Errol Flynn) oppure quando era costretta a seguire lui (per un tedioso periodo trascorso nella città universitaria di Ann Arbor, dove ambientò "Il Segreto di Virginia" e imparò ad odiare lo snobismo delle donne del campus); ma la base della coppia restò a lungo Santa Barbara, dove ambientò alcuni dei suoi gialli più belli.come "Cercatemi Domani, Sarò Morto" e "Una Torre per il Profeta".

Laggiù trascorsero i giorni migliori, ma anche i peggiori: dopo essersi ammalata di tumore ed essere guarita, infatti, in seguito Margaret iniziò a perdere la vista e dovette faticare molto per continuare a scrivere con gli stessi ritmi di sempre. Soprattutto, però, fu la catastrofe della malattia di Ken a minare le loro vite. Egli si ammalò di Alzheimer e, nell'arco di qualche anno, dovette essere tenuto d'occhio giorno e notte, con l'inevitabile conseguenza di essere infine rinchiuso in una casa di cura, fino alla morte. Margaret, stremata nonostante l'aiuto di un infermiere ma decisa più che mai a non cedere al lusso di una segretaria, continuò personalmente nella stesura dei suoi romanzi (che non considerava affatto inferiori ai cosiddetti "libri seri") e nell'attivismo politico, a cui aveva preso parte fin da giovane, affiancata da numerosi cani e affrontando temi e argomenti sempre più spinosi che trattava grazie anche ai suoi peculiari personaggi, mentre il tumore tornava e le portava via un intero polmone. Tra la pubblicazione di un nuovo giallo (a volte sotto gli pseudonimi "San Felice" o "Santa Felicia") e un'intervista arguta, un ricordo di Ken e la crescita della figlia, tirò avanti fino al 1994, quando alla fine morì, portandosi via una vittoria più che meritata per l'Edgar nel 1956, con "La Porta Stretta", e lasciando dietro di sé tantissimi romanzi (oltre a quelli già menzionati, va ricordato "Uno Sconosciuto nella Mia Tomba", forse il suo capolavoro) e una fama che al giorno d'oggi le permette di essere ancora pubblicata in America. Margaret Millar resta una delle più grandi gialliste d'oltreoceano che siano vissute, capace di raccontare l'evoluzione (nel bene e nel male) del ruolo della donna nella società e di consegnarci personaggi e scenari indimenticabili. Quando, in un'intervista, "Una Torre per il Profeta" venne definito come "il suo libro che la maggior parte della gente predilige" e le fu chiesto quale fosse, secondo lei, il motivo del successo di quest'ultimo presso i lettori, Millar rispose che probabilmente ciò era dovuto al fatto che esso era stato ambientato in luoghi reali. Raccontò che, una volta, un amico aveva caricato lei e Ken in macchina e li aveva portati a vedere questo posto "assolutamente incredibile che dava sul mare da un lato e sul lago [Cachuma] dall'altro. Con quella torre che sorgeva lì in mezzo". Si trattava di un sito abbandonato, pieno di rifiuti e lasciato andare in rovina, il quale colpì subito la sua immaginazione e la indusse a trasformarlo in un luogo ideale per dare vita alla sua "personale" setta. In quel periodo, il proliferare delle comunità sullo stile di Scientology non aveva ancora preso del tutto piede, ma entro un paio d'anni proprio il Sud della California si sarebbe riempito di sedicenti santoni e di adepti bramosi di conoscere la loro Verità; forse questo anticipare i tempi fu un altro motivo che contribuì a imprimere nella memoria dei lettori questo straordinario romanzo giallo e ad accrescere la fama della sua autrice. Eppure, secondo me la grandezza di "Una Torre per il Profeta" non si riduce solamente a quest'aderenza alla realtà in fatto di ambientazioni, studiate fin nei più piccoli dettagli e ritratte con occhi critico.

Certo, leggendo le descrizioni della Torre, con i suoi asettici e ricchi piani strutturali che stridono con la povertà e il sudiciume degli edifici comuni per i Fratelli e le Sorelle; quelle delle strade polverose, brulle e desolate che attraversano i deserti aridi e che si possono ancora percorrere nei dintorni di Santa Barbara; quelle degli alberghi e delle case private di Chicote, oppure quelle di San Felice, dove al lusso si affiancano le misere abitazioni degli operai, non possiamo fare a meno di sentirci ancor più immersi all'interno della storia. Però ci sono tante altre cose in essa che si potrebbero esaltare, prima tra tutte l'essere una storia originale e diversa dalle altre, pur con i toni caratteristici di Millar. In questo caso, sono la religione, la condizione delle carceri e la relazione matrimoniale ad essere sottoposte ad analisi: quando andiamo ad incontrare Alberta in prigione, ad esempio, ci viene mostrato come esse non siano luoghi in cui i carcerati effettuano una redenzione, ma posti desolati dove i criminali vivono nella frustrazione e covano vendetta; la descrizione della setta della Torre, invece, mette in luce come questi gruppi siano manipolabili e pericolosi, benché spesso siano gli stessi adepti quelli che si ritrovano nei guai; infine, i rapporti sentimentali e omosessuali (tema più che scottante) che ci vengono descritti assumono la forma di prigioni da cui gli individui tentano di fuggire. Ognuno di questi elementi rappresenta una struttura che l'uomo ha costruito intorno a sé, dalla quale brama di allontanarsi e liberarsi, la quale rispecchia perfettamente l'idea di Millar della realtà in cui viveva e del rapporto esistente tra gli esseri umani. Come una discepola di Flannery O'Connor, ella tratteggia non solo il fanatismo religioso, i conflitti razziali e la violenza del sud degli Stati Uniti attraverso una particolare sensibilità, con l'obiettivo di agitare le coscienze e scuotere i lettori dal loro torpore fino a turbarli; ma si impegna a descrivere come l'uomo sia pervaso fin nel profondo da un'intrinseca malvagità. Eppure, Millar non rinuncia all'ironia per sottolineare la corruzione della società: se dicessimo che in questo romanzo essa non c'è, commetteremmo un errore. Si tratta però di un tipo di ironia che si avvicina al nichilismo, dove sono la messa in ridicolo di individui pomposi (come il capitano Connelly che odia la moglie al mattino e la ama alla sera, o Rhonda) oppure di poveri disgraziati a dominare la scena. Tutto questo mostra come l'ipocrisia sia presente in ogni elemento della realtà che ci circonda: il Diverso, che da una parte viene compatito e dall'altra deriso per la sua miseria, viene incarnato in tutti i personaggi, tragicomici attori incapaci di rendersi conto della vacuità della propria vita (oppure ostinati a non farlo per evitare di infrangere le illusioni di cui si sono circondati). Quinn è un uomo disilluso e consapevole delle proprie debolezze che le combatte a suon di battute, Martha O'Gorman convive con il senso di colpa dietro una facciata di praticità, John Rhonda è disposto addirittura a tradire gli amici pur di "fare notizia", il Maestro è avido di denaro ma si atteggia a figura spirituale interessata al benessere dei suoi compagni, Alberta Haywood e Patrick O'Gorman hanno nascosto dietro le apparenze desideri egoistici, la signora Haywood predica la disponibilità verso il prossimo ma in realtà è un'egoista, i Fratelli e le Sorelle si atteggiano a virtuosi esempi di onestà ma celano pericolosi segreti e ossessioni. Proprio questi ultimi costituiscono l'esempio migliore per tratteggiare il prototipo del personaggio di Millar: individui fuori dagli schemi, considerati alla stregua dei pazzi e costretti a vivere ai margini della buona società per non sfigurare, delineati attraverso le preoccupazioni e le emozioni attinenti alla gente comune e reale che incontriamo ogni giorno per strada.

La loro psicologia costituisce una parte importantissima all'interno delle vicende, come accade sempre nei libri di Millar (tanto che essi divennero oggetti di studio da parte di riviste specializzate sulla psichiatria), e viene esaltata dai nomi con cui essi vengono chiamati: Voce dei Profeti, Corona di Spine, Luce dell'Infinito, Contrizione, Benedizione, Karma... Ognuno di essi illumina meglio di un marchio il ruolo che i protagonisti avranno all'interno della storia, le sottigliezze dell'interazione umana e i ricchi dettagli psicologici che si celano dietro le maschere. Si tratta di eroi o di antagonisti? A questa domanda non sono ancora riuscito a rispondere. Quello che so, però, è che spesso nei libri di Margaret Millar le vittime non sono quelle effettive, i cadaveri che ci vengono presentati di volta in volta, ma piuttosto chi resta indietro e deve far fronte al vuoto lasciato dai morti. "È tragico quello che capita a tutti" era solita ripetere, oltre al fatto che "la vita è molto, molto crudele". Forse ciò è legato alla sua esperienza con la malattia di Ken. In ogni caso, la visione totale del mondo che emerge dai suoi romanzi è quella di un agglomerato di paranoici bugiardi e sull'orlo della pazzia, nel quale non esiste redenzione e dove le forze governanti sono il male e la pazzia che si annidano nell'oscurità. Gli stessi stile ed enigma di "Una Torre per il Profeta" ne sono una prova: il primo è evocativo, basato su più punti di vista e ci permette letteralmente di entrare nella testa dei personaggi (cap. 23, 25) e di sondare i loro istinti e le emozioni confuse, in modo da costruire un mondo intorno; il secondo, benché all'apparenza un po' prolisso e dispersivo, riflette l'astrusità e l'ostilità della realtà in cui viviamo tutti quanti; quelle stesse che si ritrovano in altre opere classiche, a partire da "Amleto" di Shakespeare (dal quale, tra l'altro, Millar prese ispirazione per il titolo di questo libro). Ma non per questo bisogna considerare Margaret Millar come una persona cinica. Piuttosto, amava definirsi "realistica", poiché il cinico è uno che dà il prezzo ad ogni cosa ma non ne riesce a cogliere il valore; mente lei sapeva apprezzare la bontà delle persone. Solo che alla fine la cattiveria umana riusciva spesso ad avere la meglio e ad imporsi, come è accaduto pure in "Una Torre per il Profeta", la storia poliziesca "coi personaggi più scombinati e strani che avessi mai letto" secondo il giudizio di Raymond Chandler. Strani, certo, ma talmente veri da apparire inquietanti.

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