venerdì 3 aprile 2020

29 - "Una Torre per il Profeta" ("How Like an Angel", 1962) di Margaret Millar

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 656
Nella recensione di "Morte al Telefono" di Elizabeth Daly, pubblicata alcune settimane fa, abbiamo visto come la situazione della società del tempo e l'importanza della psicologia e della condizione della mente umana, siano stati gli aspetti fondamentali su cui si è sviluppato il classico romanzo giallo americano, il quale ha raggiunto il proprio apice intorno alla metà del Novecento dall'altra parte dell'Atlantico. La paranoia e le ossessioni che tenevano sotto scacco i cittadini, avviluppandoli in una sorta di limbo angoscioso che li minacciava e schiacciava, ben si adattavano al genere letterario che era nato con le storie di suspense, nella tradizione di quelle delle women in jeopardy di Mary Roberts Rinehart, e che stava seducendo sempre più lettori appassionati, oltre ad autori determinati a dimostrare il proprio punto di vista sulla situazione e ad esplorare gli angoli più oscuri della psiche dell'individuo. Immaginate: la crisi del 1929 aveva lasciato dolorosi strascichi e sferrato duri colpi all'economia, travolgendo gli esponenti di qualunque classe sociale; l'incertezza per il futuro si faceva ogni giorno più pressante ed influenzava l'umore delle persone nella vita di tutti i giorni, sempre uguale e sempre deprimente; nulla pareva capace di sanare le conseguenze degli scontri tra i grandi Paesi del mondo, e le notizie che giungevano dal fronte, sulla salute dei soldati colpiti da PPT (Psicosi Post-Traumatica) e sul numero enorme dei morti, avvilivano una società costituita perlopiù da gente affetta da disoccupazione e condizioni di vita misere. Era impossibile che la letteratura non si facesse influenzare da tutti questi fattori mescolati all'angoscia sempre più dilagante e insopportabile; e il giallo incarnava il genere che meglio si adattava a declinare come essi agissero sui cittadini, logorando i rapporti sociali ed avvelenandone gli equilibri, fino ad esasperare i timori di ognuno.

In questo modo, dunque, alcuni scrittori si ritrovarono ad interpretare un malcontento comune, in cui spettri inquietanti e terribili venivano evocati ed infestavano le conversazioni ogni giorno, il desiderio di trovare pace si trasformava in frustrazione e l'egoismo diventava la cosa più importante da perseguire; più del rispetto delle leggi e del prossimo, tanto ognuno si preoccupava che nessuno sconvolgesse i fragili piani che era andato costruendo con fatica. Questi autori adottarono metodi diversi per interpretare il fatalismo e questi segni del tempo e della società in cui vivevano: alcuni decisero di raccontare la vita attraverso toni duri e violenti, dando meno precedenza all'analisi della psicologia e all'enigma, così da restituire ai lettori una storia che si avvicinasse alla realtà dei fatti nudi e crudi della cosiddetta scuola hard-boiled; altri, invece, sfruttarono la paranoia dilagante per ideare storie agghiaccianti di pazzia e disillusione, in cui lo straniamento dei personaggi e il loro cinismo suscita riflessioni profonde sull'animo dell'essere umano e sulla sua natura intrinseca. Anche in questo secondo caso, come nel primo, le vicende si rifanno ad episodi che con tutta probabilità avremmo potuto vedere dal vivo, se solo fossimo vissuti intorno agli anni '50 del secolo scorso; tuttavia, il fatto di riuscire a calarci nei panni degli sconfitti e dei derelitti protagonisti di questo tipo di romanzo, di poter analizzare le loro azioni e le ragioni che li hanno spinti a compiere un determinato atto, a mio parere riesce a coinvolgere meglio il lettore e a restituire un resoconto più preciso della società e della condizione psicologica in cui versava l'America in quel momento.

Per rendersene conto, basta leggere le storie di alcune scrittrici vissute in quegli anni per comprendere quanto fosse manifesto il lato oscuro dell'animo umano, quello che emergeva dal contatto quotidiano, fatto di rancori ed invidie: i romanzi di Elizabeth Daly, come il sopracitato "Morte al Telefono", oppure quelli di Helen McCloy, come "Come in uno Specchio". Tuttavia, se mai ci fu qualcuno capace di ritrarre, con stile affilato e brutalità irripetibile, il Male e la Pazzia dei tempi turbolenti tra le due guerre mondiali, quella fu di sicuro Margaret Millar. Lo dimostra il suo romanzo che recensisco oggi, "Una Torre per il Profeta" (Classici del Giallo Mondadori n. 656, 1992), il quale tratta una vicenda in cui i personaggi incarnano la Malvagità e la Colpa li perseguita instancabile; dove la desolazione non si limita ad essere rappresentata dai brulli paesaggi che incontriamo, ma si manifesta in mille altri modi; dove l'enigma riflette l'ineluttabile sconfitta dell'individuo contro il Caso e il fatalismo regna incontrastato; dove la malvagità si annida negli angoli più oscuri della psiche e non esistono redenzione e riscatto, ma soltanto insoddisfazione, dolore e disperazione.

Scorcio sul Lago Cachuma e sul territorio circostante, scenario
principale di "Una Torre per il Profeta"
Il racconto si apre con l'immagine di un auto, che percorre una strada in mezzo al deserto e alle montagne della California del Sud, nei pressi di quella che oggi è Santa Ynez. Al suo interno, viaggiano da un paio di giorni il signor Newhouser, di ritorno al ranch in cui vive e lavora, e l'ex-bodyguard e investigatore privato Joe Quinn. Quest'ultimo è in fuga dai debiti accumulati nei casinò di Reno e da una relazione precaria e passeggera, e ha chiesto un passaggio al suo amico con l'intenzione di tentare la fortuna a San Felice e trovarsi un lavoro onesto. All'improvviso, tuttavia, Newhouser rivela di non avere alcuna intenzione di arrivare fino alla destinazione di Quinn, poiché la moglie lo sta aspettando a casa e sarebbe costretto a fare un pezzo di strada in più; quindi l'investigatore si vede costretto a scendere dall'auto nel pieno del deserto californiano e a chiedere rifugio a una strana comunità di fanatici religiosi, i quali si sono radunati attorno a una costruzione che loro chiamano "La Torre". Come Quinn scoprirà ben presto, i componenti della setta sono perlopiù individui inoffensivi che hanno perso la bussola, i quali hanno rinunciato a tutto ciò che possedevano e hanno trovato una casa che li accolga per sfuggire dalla pazzia della società, desiderosi di riallacciare un contatto più fisico con la terra e di spazzare via tutte quelle comodità a cui li ha abituati il mondo moderno. Ci sono Sorella Benedizione, l'infermiera della comunità; Fratello Voce dei Profeti, il piccolo ometto che ama gli animali e non parla mai; Fratello Corona di Spine, il giovane estremista che si occupa dei campi assieme al robusto ed ottuso Fratello Luce dell'Infinito; Fratello del Sacro Cuore, il barbiere designato alla cura del corpo del gruppo; Sorella Contrizione, la cuoca, che ha abbandonato la vita di città assieme alla giovane figlia Sorella Karma e ad altri due bambini. Assieme alla manciata di altre persone della setta, tutti costoro costituiscono le cerchie attorno alle quali emanano il proprio potere i capi della setta, il Maestro e l'anziana Madre Purezza, e accolgono Quinn con moderato entusiasmo e curiosità, come si addice al fedele devoto, permettendogli di fermarsi per la notte e offrendogli un passaggio (forse fin troppo sollecito per non apparire come un tentativo di liberarsi di lui al più presto) fino a San Felice.

Mentre l'investigatore cena in solitudine, tuttavia, Sorella Benedizione decide di avvicinarlo e, tra una innocente confessione e l'altra, gli chiede in tutta segretezza di rintracciare un uomo di nome Patrick O'Gorman. Quinn si lascia incuriosire dalla strana richiesta della donna: quale può essere il motivo che la spinge a cercare qualcuno che non vede di sicuro da tanti anni? Forse la coscienza sporca? Sorella Benedizione, infatti, sembra avere molto a cuore l'integrità propria e quella dei suoi amici all'interno della setta. Oppure quel nome è solo il parto della mente di una persona instabile? In ogni caso, l'investigatore ha bisogno di soldi; e poiché l'anziana signora è riuscita a mettere da parte una discreta sommetta e intende pagarlo con quella, accetta l'incarico e il giorno seguente, arrivato a San Felice sul trattore dello scontroso Fratello Corona di Spine, si mette al lavoro e si dirige a Chicote a bordo dell'automobile di un amico. Dopo il suo arrivo nella città petrolifera, però, più passano le ore e più Quinn si rende conto di essere rimasto invischiato in un mistero fitto e tortuoso. Da quanto riesce ad apprendere dal direttore del giornale locale, John Rhonda, e da una telefonata alla moglie di O'Gorman, quello dell'elusivo Patrick non sarebbe un nome inventato, ma quello di un uomo morto in un incidente stradale, cadendo da un ponte durante una notte di tempesta e finendo inghiottito per sempre dalle acque tumultuose del fiume. Eppure, il suo cadavere non è mai stato recuperato. Può essere che Patrick O'Gorman sia ancora vivo? E se è così, dove si trova adesso? In un crescendo di interrogatori, Quinn apprende sempre più informazioni su di lui; a partire dal fatto che, poco prima della sua scomparsa, si era verificato un caso di appropriazione indebita, del quale era risultata colpevole Alberta Haywood, la sorella dell'ex-capo di O'Gorman, ora rinchiusa in prigione. Forse c'è un legame tra i due crimini perpetrati a Chicote; ma scoprire quale sia è un'impresa ardua. Infatti, sembra che tutti siano più che intenzionati a non risollevare alcuna questione appartenente  al passato: né Martha O'Gorman, la vedova; né George Haywood, il fratello di Alberta; e sua madre; né Willie King, l'amante di George. Deciso a non mollare, Quinn ritorna alla Torre per riferire le sue scoperte a Sorella Benedizione e scopre un nuovo tassello del mistero; prima di scoprire la terribile verità che si cela dietro la scomparsa di O'Gorman, tuttavia, dovrà imbattersi in più di un cadavere sul suo cammino e scendere nelle valli più oscure dell'anima, dove si annidano i desideri nascosti, la malvagità e la corruzione morale degli uomini.

Uomini e donne appartenenti a una setta religiosa, simile
a quella della comunità della Torre
Thriller, noir, romanzo di denuncia sociale e spirituale, simile a un urlo nella notte che squarcia i veli dell'ipocrisia, "Una Torre per il Profeta" è il perfetto esempio di come Margaret Millar interpretasse il mondo che la circondava. Alla pari delle sue colleghe del giallo psicologico americano, quali McCloy, Vera Caspary e Daly, ella diede voce ai problemi reali delle persone e alla paranoia e al fatalismo che dominavano in America tra gli anni '40 e '60, mettendo in luce come la realtà fosse critica già prima dell'avvento del nuovo millennio, nel quale noi viviamo. Con la sua narrativa pessimistica e caratterizzata dallo sconforto dilagante, in modo molto simile a quello adottato dal "Re del Noir" Cornell Woolrich, espresse attraverso le sue opere le difficoltà (così simili alle nostre) a cui le persone comuni andavano incontro ogni giorno, illustrando come la psiche dell'individuo fosse influenzata nel profondo da esse e lo straniamento e le sensazioni suscitate negli stessi personaggi e nel lettore trovassero una spiegazione "logica", a discapito dell'importanza data all'azione violenta e scomposta dagli esponenti della scuola hard-boiled. Dalle conseguenze della guerra, dalle reazioni nate dal contatto-contrasto tra gli individui e dalle ripercussioni generate dalle ossessioni nascoste o represse, Millar (come le altre sue colleghe) trasse ispirazione per sviluppare idee e trame intriganti, dove il pessimismo emerge in tutta la sua forza, la fiducia negli altri viene delusa e ognuno deve ingegnarsi ed arrangiarsi per sopravvivere: niente viene regalato, nelle storie di queste autrici straordinarie, e i protagonisti, spesso incarnati nelle figure di disgraziati sui quali la sfortuna si è accanita e in attori gettati su di un palco senza essere stati istruiti in precedenza, devono sperare di azzeccare la battuta giusta per poter continuare a vivere ancora un po' della loro vita grama.

La tensione generata da questa situazione, inoltre, metteva in moto nelle loro menti complessi mentali dannosi e dava vita a un forte senso di depressione e fatalismo che il lettore riusciva a percepire più o meno distintamente, in base alla capacità e al volere della scrittrice che li interpreta e filtra. Nel caso di Daly, ad esempio, abbiamo visto come il Male e la Pazzia fossero sì presenti all'interno delle sue storie; ma in fondo ritrovavamo in esse anche una certa speranza nel fatto che, col tempo, questi sentimenti sarebbero riusciti ad essere arginati e in qualche modo curati. In Millar (e similmente in McCloy), invece, questo non avverrà mai. La catarsi non proviene dalla guarigione dell'essere umano e dalla consapevolezza che esista una luce in fondo al tunnel; nella concezione dell'autrice, non c'è niente che possa lenire la desolazione dei personaggi, né riscatto né lieto fine. Per capirlo, basta leggere "Una Torre per il Profeta". La storia di Quinn, in fin dei conti, non è segnata da eventi particolarmente lieti: ha perso il lavoro, deve arrangiarsi a raggranellare i soldi che gli sono indispensabili per vivere alla giornata, si ritrova tutti contro e nel finale stringe un rapporto sentimentale che non sappiamo per certo se avrà sviluppi positivi. Nemmeno quella dei vari sospettati, il cui numero comprende i Fratelli e le Sorelle della Torre (disgraziati individui che hanno rinunciato a tutto in favore di poche sicurezze, le quali verranno loro sottratte per la felicità di un individuo crudele che non la merita), oltre ai cittadini di Chicote coinvolti nel caso O'Gorman (infelici e segnati dal proprio Carattere che è anche il loro Destino), trova uno scioglimento felice.

I personaggi incarnano il tipo di individuo insicuro, le cui ambizioni sono fallite e hanno scelto una sorta di solitudine o isolamento esistenziale, e l'unico tipo di ironia che fa capolino tra le righe della storia è quella nera, la quale si diverte come a prendere in giro le sue vittime, a metterle l'una contro l'altra in una battaglia in cui non c'è alcun vincitore, a tormentarle e torturarle finché esse non si arrendono alla sua forza. Anche l'amore presente in "Una Torre per il Profeta" non si rivela essere qualcosa di positivo, che allevia le pene dei personaggi, ma solo un bisogno istintivo irrazionale e malato, da cui vengono generati i presupposti di più di un crimine. Insomma, secondo Millar la realtà che ci circonda non è affatto benevola e piena di risvolti ottimistici; inoltre, l'essere umano stesso è nato malvagio, è costretto a vivere per scontare la propria colpa e deve morire dopo un'esistenza piena di dolore e di sforzi che si riveleranno infruttuosi, secondo un Destino che è stato tracciato molti anni addietro e al quale non si sfugge. Senza dubbio, si tratta di una visione desolante e pessimistica, nella quale nessuno trova scampo e in cui si riflettono riflessioni filosofiche che di rado si riscontrano all'interno di romanzi di intrattenimento o "letteratura popolare". Qualcuno può credere che affrontare tali temi sia fuori luogo in un libro come questo; eppure, uno dei meriti del giallo è proprio quello di riuscire a restituire al lettore disinteressato opinioni che, con tutta probabilità, non avrebbe mai conosciuto in altro modo, spingendolo a riflettere a fondo. Anche per questo "Una Torre per il Profeta" e gli altri romanzi di Margaret Millar sono, a mio parere, al livello dei più grandi esempi di crime story classica: poiché riescono ad andare oltre, ad affrontare argomenti "scomodi" usando un linguaggio comune ma mai banale.

Margaret Ellis Millar, nata nel 1915 e
morta nel 1994
Questa visione del tutto pessimistica della vita da parte di Margaret Ellis Millar fu probabilmente influenzata dalle numerose vicissitudini di cui la scrittrice fu protagonista. Nata nel 1915 nell'odierna Kitchener, in Canada, ella fu educata prima al Kitchener-Waterloo Collegiate Institute e in seguito all'Università di Toronto. Considerata in famiglia come un "vero genio", venne allevata fin da bambina a mettere alla prova le proprie capacità, tra le quali spiccò subito la passione per la scrittura (inizialmente di poesie, per poi passare alla prosa), che la accompagnò costantemente dal momento in cui terminò di studiare. Risalgono infatti agli anni Quaranta i primi tentativi di mettere insieme qualcosa di scritto che potesse fruttarle del denaro: già da piccola aveva avuto l'occasione, grazie ai due fratelli più grandi, di esplorare il mondo del pulp grazie alle riviste che loro erano soliti comprare e nascondere sotto i materassi, dove puntualmente venivano scovati dalla giovane Margaret e divorati; per cui non le erano estranee le storie dei detective americani dei primi anni del Novecento e quelle di Erle Stanley Gardner (di cui si professò una grande ammiratrice), a cui si ispirò per tracciare la trama di "The Invisible Worm", un libro "piuttosto leggero e con un mucchio di omicidi" come lei stessa l'ha definito. Quello fu un periodo felice solo in parte, comunque, poiché alcuni problemi di salute avevano già iniziato a presentarsi: in quegli anni, infatti, si ammalò di cuore e dovette trascorrere del tempo a letto, dove l'unica consolazione fu proprio la lettura. Oltre al fatto che i volumi le venivano portati dal suo Ken. Poco prima, infatti, si era sposata e si era trasferita dal Canada in America assieme a Kenneth Millar, lo scrittore divenuto famoso con lo pseudonimo di Ross Macdonald, col quale avrebbe avuto una bambina e avrebbe condiviso tanti anni felici e una lunga carriera in campo letterario.

Insieme, senza risultare l'uno troppo invadente nei confronti dell'altra, intrapresero così il lavoro di autore a tempo pieno; un'impresa significativa soprattutto per Margaret, la quale si trovò a rappresentare il sesso femminile in un mondo dove la violenza e l'azione maschile erano la regola. Eppure, lei non si scoraggiò mai; anzi, affermò di essersela goduta un mondo a scrivere in un momento in cui il suo tipo di romanzi non veniva affrontato da molte donne. Bisogna precisare che, in realtà, i libri di Millar appartengono a un genere un po' particolare, poiché non sono degli esempi tipici della letteratura delle women in jeopardy ma neppure della scuola hard-boiled: furono infatti dei thriller psicologici più moderni del loro tempo, simili a quelli a cui siamo abituati al giorno d'oggi, in cui l'elemento psicologico si affianca a temi importanti e a una profonda analisi della realtà del tempo e dei suoi mali. Libri "diversi" alla maniera di quelli di Agatha Christie, mai uguali l'uno all'altro nello svolgimento e negli argomenti trattati. Perfezionista, abituata a lavorare al mattino (mentre Ken lo faceva al pomeriggio), Margaret Millar innovò in questo modo un genere (quello del giallo americano tipico delle "signorine omicidi") che era rimasto a lungo ancorato a stereotipi sorpassati e un po' prevedibili, introducendo novità in ogni ambito ed eliminandone le rughe dell'età, al punto da diventare una delle più grandi scrittrici di suspense di sempre. Di tanto in tanto si spostava assieme a Ken, quando ne aveva bisogno lei (per una breve esperienza come sceneggiatrice per Hollywood, quando vendette quella del suo "Sapore di Paura" ed ebbe la fortuna di incontrare Ronald Reagan ed Errol Flynn) oppure quando era costretta a seguire lui (per un tedioso periodo trascorso nella città universitaria di Ann Arbor, dove ambientò "Il Segreto di Virginia" e imparò ad odiare lo snobismo delle donne del campus); ma la base della coppia restò a lungo Santa Barbara, dove ambientò alcuni dei suoi gialli più belli.come "Cercatemi Domani, Sarò Morto" e "Una Torre per il Profeta".

Laggiù trascorsero i giorni migliori, ma anche i peggiori: dopo essersi ammalata di tumore ed essere guarita, infatti, in seguito Margaret iniziò a perdere la vista e dovette faticare molto per continuare a scrivere con gli stessi ritmi di sempre. Soprattutto, però, fu la catastrofe della malattia di Ken a minare le loro vite. Egli si ammalò di Alzheimer e, nell'arco di qualche anno, dovette essere tenuto d'occhio giorno e notte, con l'inevitabile conseguenza di essere infine rinchiuso in una casa di cura, fino alla morte. Margaret, stremata nonostante l'aiuto di un infermiere ma decisa più che mai a non cedere al lusso di una segretaria, continuò personalmente nella stesura dei suoi romanzi (che non considerava affatto inferiori ai cosiddetti "libri seri") e nell'attivismo politico, a cui aveva preso parte fin da giovane, affiancata da numerosi cani e affrontando temi e argomenti sempre più spinosi che trattava grazie anche ai suoi peculiari personaggi, mentre il tumore tornava e le portava via un intero polmone. Tra la pubblicazione di un nuovo giallo (a volte sotto gli pseudonimi "San Felice" o "Santa Felicia") e un'intervista arguta, un ricordo di Ken e la crescita della figlia, tirò avanti fino al 1994, quando alla fine morì, portandosi via una vittoria più che meritata per l'Edgar nel 1956, con "La Porta Stretta", e lasciando dietro di sé tantissimi romanzi (oltre a quelli già menzionati, va ricordato "Uno Sconosciuto nella Mia Tomba", forse il suo capolavoro) e una fama che al giorno d'oggi le permette di essere ancora pubblicata in America. Margaret Millar resta una delle più grandi gialliste d'oltreoceano che siano vissute, capace di raccontare l'evoluzione (nel bene e nel male) del ruolo della donna nella società e di consegnarci personaggi e scenari indimenticabili. Quando, in un'intervista, "Una Torre per il Profeta" venne definito come "il suo libro che la maggior parte della gente predilige" e le fu chiesto quale fosse, secondo lei, il motivo del successo di quest'ultimo presso i lettori, Millar rispose che probabilmente ciò era dovuto al fatto che esso era stato ambientato in luoghi reali. Raccontò che, una volta, un amico aveva caricato lei e Ken in macchina e li aveva portati a vedere questo posto "assolutamente incredibile che dava sul mare da un lato e sul lago [Cachuma] dall'altro. Con quella torre che sorgeva lì in mezzo". Si trattava di un sito abbandonato, pieno di rifiuti e lasciato andare in rovina, il quale colpì subito la sua immaginazione e la indusse a trasformarlo in un luogo ideale per dare vita alla sua "personale" setta. In quel periodo, il proliferare delle comunità sullo stile di Scientology non aveva ancora preso del tutto piede, ma entro un paio d'anni proprio il Sud della California si sarebbe riempito di sedicenti santoni e di adepti bramosi di conoscere la loro Verità; forse questo anticipare i tempi fu un altro motivo che contribuì a imprimere nella memoria dei lettori questo straordinario romanzo giallo e ad accrescere la fama della sua autrice. Eppure, secondo me la grandezza di "Una Torre per il Profeta" non si riduce solamente a quest'aderenza alla realtà in fatto di ambientazioni, studiate fin nei più piccoli dettagli e ritratte con occhi critico.

Certo, leggendo le descrizioni della Torre, con i suoi asettici e ricchi piani strutturali che stridono con la povertà e il sudiciume degli edifici comuni per i Fratelli e le Sorelle; quelle delle strade polverose, brulle e desolate che attraversano i deserti aridi e che si possono ancora percorrere nei dintorni di Santa Barbara; quelle degli alberghi e delle case private di Chicote, oppure quelle di San Felice, dove al lusso si affiancano le misere abitazioni degli operai, non possiamo fare a meno di sentirci ancor più immersi all'interno della storia. Però ci sono tante altre cose in essa che si potrebbero esaltare, prima tra tutte l'essere una storia originale e diversa dalle altre, pur con i toni caratteristici di Millar. In questo caso, sono la religione, la condizione delle carceri e la relazione matrimoniale ad essere sottoposte ad analisi: quando andiamo ad incontrare Alberta in prigione, ad esempio, ci viene mostrato come esse non siano luoghi in cui i carcerati effettuano una redenzione, ma posti desolati dove i criminali vivono nella frustrazione e covano vendetta; la descrizione della setta della Torre, invece, mette in luce come questi gruppi siano manipolabili e pericolosi, benché spesso siano gli stessi adepti quelli che si ritrovano nei guai; infine, i rapporti sentimentali e omosessuali (tema più che scottante) che ci vengono descritti assumono la forma di prigioni da cui gli individui tentano di fuggire. Ognuno di questi elementi rappresenta una struttura che l'uomo ha costruito intorno a sé, dalla quale brama di allontanarsi e liberarsi, la quale rispecchia perfettamente l'idea di Millar della realtà in cui viveva e del rapporto esistente tra gli esseri umani. Come una discepola di Flannery O'Connor, ella tratteggia non solo il fanatismo religioso, i conflitti razziali e la violenza del sud degli Stati Uniti attraverso una particolare sensibilità, con l'obiettivo di agitare le coscienze e scuotere i lettori dal loro torpore fino a turbarli; ma si impegna a descrivere come l'uomo sia pervaso fin nel profondo da un'intrinseca malvagità. Eppure, Millar non rinuncia all'ironia per sottolineare la corruzione della società: se dicessimo che in questo romanzo essa non c'è, commetteremmo un errore. Si tratta però di un tipo di ironia che si avvicina al nichilismo, dove sono la messa in ridicolo di individui pomposi (come il capitano Connelly che odia la moglie al mattino e la ama alla sera, o Rhonda) oppure di poveri disgraziati a dominare la scena. Tutto questo mostra come l'ipocrisia sia presente in ogni elemento della realtà che ci circonda: il Diverso, che da una parte viene compatito e dall'altra deriso per la sua miseria, viene incarnato in tutti i personaggi, tragicomici attori incapaci di rendersi conto della vacuità della propria vita (oppure ostinati a non farlo per evitare di infrangere le illusioni di cui si sono circondati). Quinn è un uomo disilluso e consapevole delle proprie debolezze che le combatte a suon di battute, Martha O'Gorman convive con il senso di colpa dietro una facciata di praticità, John Rhonda è disposto addirittura a tradire gli amici pur di "fare notizia", il Maestro è avido di denaro ma si atteggia a figura spirituale interessata al benessere dei suoi compagni, Alberta Haywood e Patrick O'Gorman hanno nascosto dietro le apparenze desideri egoistici, la signora Haywood predica la disponibilità verso il prossimo ma in realtà è un'egoista, i Fratelli e le Sorelle si atteggiano a virtuosi esempi di onestà ma celano pericolosi segreti e ossessioni. Proprio questi ultimi costituiscono l'esempio migliore per tratteggiare il prototipo del personaggio di Millar: individui fuori dagli schemi, considerati alla stregua dei pazzi e costretti a vivere ai margini della buona società per non sfigurare, delineati attraverso le preoccupazioni e le emozioni attinenti alla gente comune e reale che incontriamo ogni giorno per strada.

La loro psicologia costituisce una parte importantissima all'interno delle vicende, come accade sempre nei libri di Millar (tanto che essi divennero oggetti di studio da parte di riviste specializzate sulla psichiatria), e viene esaltata dai nomi con cui essi vengono chiamati: Voce dei Profeti, Corona di Spine, Luce dell'Infinito, Contrizione, Benedizione, Karma... Ognuno di essi illumina meglio di un marchio il ruolo che i protagonisti avranno all'interno della storia, le sottigliezze dell'interazione umana e i ricchi dettagli psicologici che si celano dietro le maschere. Si tratta di eroi o di antagonisti? A questa domanda non sono ancora riuscito a rispondere. Quello che so, però, è che spesso nei libri di Margaret Millar le vittime non sono quelle effettive, i cadaveri che ci vengono presentati di volta in volta, ma piuttosto chi resta indietro e deve far fronte al vuoto lasciato dai morti. "È tragico quello che capita a tutti" era solita ripetere, oltre al fatto che "la vita è molto, molto crudele". Forse ciò è legato alla sua esperienza con la malattia di Ken. In ogni caso, la visione totale del mondo che emerge dai suoi romanzi è quella di un agglomerato di paranoici bugiardi e sull'orlo della pazzia, nel quale non esiste redenzione e dove le forze governanti sono il male e la pazzia che si annidano nell'oscurità. Gli stessi stile ed enigma di "Una Torre per il Profeta" ne sono una prova: il primo è evocativo, basato su più punti di vista e ci permette letteralmente di entrare nella testa dei personaggi (cap. 23, 25) e di sondare i loro istinti e le emozioni confuse, in modo da costruire un mondo intorno; il secondo, benché all'apparenza un po' prolisso e dispersivo, riflette l'astrusità e l'ostilità della realtà in cui viviamo tutti quanti; quelle stesse che si ritrovano in altre opere classiche, a partire da "Amleto" di Shakespeare (dal quale, tra l'altro, Millar prese ispirazione per il titolo di questo libro). Ma non per questo bisogna considerare Margaret Millar come una persona cinica. Piuttosto, amava definirsi "realistica", poiché il cinico è uno che dà il prezzo ad ogni cosa ma non ne riesce a cogliere il valore; mente lei sapeva apprezzare la bontà delle persone. Solo che alla fine la cattiveria umana riusciva spesso ad avere la meglio e ad imporsi, come è accaduto pure in "Una Torre per il Profeta", la storia poliziesca "coi personaggi più scombinati e strani che avessi mai letto" secondo il giudizio di Raymond Chandler. Strani, certo, ma talmente veri da apparire inquietanti.

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