Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Polillo ha ripubblicato questo titolo alcuni anni fa e Rusconi lo darà in ristampa entro l'anno, per cui magari più avanti potrei approfittarne per rileggerlo e recensirlo. Ma oggi ho preferito puntare a qualcosa di diverso, proprio per presentarvi Gideon Fell in tutta la sua astuzia diabolica e forma smagliante (almeno in senso figurato). Infatti, tra le altre opere di Carr disponibili in libreria si può trovare pure la decima avventura in ordine cronologico del mastodontico dottore: "Occhiali Neri" (Polillo Editore, 2005). Questo romanzo del mistero brilla per numerosi motivi, tra i quali figurano ovviamente l'enigma, come l'autore ci ha ben abituato nel corso della sua prolifica carriera, e l'atmosfera che egli riesce a creare e a mescolare con la tensione, fino a dare vita a un miscuglio che rasenta il filo che separa il terrore dall'inquietudine. Ciò per cui penso sia fondamentale "Occhiali Neri", tuttavia, riguarda qualcosa che ha a che fare col suo contenuto, con una serie di quesiti che la sua storia solleva e diversi temi che vengono affrontati. Infatti, come era solito fare Carr nell'ideazione di trame intricate e di delitti straordinari ed eclatanti, dentro questo romanzo del mistero viene in qualche modo analizzato uno tra i crimini (e criminali) più sinistri e spaventosi: l'avvelenamento. L'autore non si è limitato a ideare una trama liscia e scorrevole, piena di tensione e di mistero, oppure ad escogitare qualche trucco per ingannare anche il lettore più attento; in questo caso, ha tracciato ad uso e consumo di quest'ultimo un ritratto realistico e veritiero di quei criminali che dimostrano di possedere abbastanza sangue freddo da somministrare qualche sostanza letale alle proprie vittime e assistere al loro lento deperimento culminante con la morte. Ancora una volta, quindi, Carr ha dimostrato non solo di essere un inventore prolifico di modi per uccidere senza essere scoperti (o quasi), ma anche di possedere una vasta cultura in fatto di criminologia e di saper applicare quanto imparato e studiato all'occorrenza, nel caso in cui avesse bisogno di mettere in piedi una storia fittizia.
Vesuvius and Pompeii, Robert S. Duncanson, 1870 |
Se in un primo momento Harding appare sconcertato, Chesney si affretta a rassicurarlo: non deve aver alcun timore che qualsiasi persona possa accusare qualcuno di loro degli avvelenamenti. Lui, che si vanta di vedere cose che le altre persone trascurano per pigrizia e svogliatezza, ha un'idea di come debbano essere andate le cose nella faccenda dei cioccolatini: nessuno della famiglia è colpevole, e intende dimostrare quanto prima la propria teoria. Per questo motivo (e per il fatto che George si comporti in modo molto arrendevole nei suoi confronti), Marcus ha accettato di includere George nella famiglia e lo invita a riaccompagnarli in patria, per assistere a una rappresentazione della tesi che ha elaborato. Eppure, le cose non si risolveranno in modo tanto semplice. Dopo aver lasciato Pompei, i Chesney e l'ispettore Elliot si separano... per poi incontrarsi di nuovo proprio a Sodbury Cross, dove il poliziotto viene inviato per indagare sugli avvelenamenti. Ma non è tutto qui: infatti, la notte stessa in cui quest'ultimo giunge alla stazione di polizia, un allarmato Joe Chesney telefona in centrale per annunciare come il fratello sia stato ucciso davanti agli occhi di numerosi testimoni, proprio nel corso della famosa rappresentazione che doveva svelare il metodo attraverso il quale il misterioso avvelenatore avrebbe messo in pratica il proprio piano. E a coronare il tutto, il delitto è stato accuratamente registrato da una telecamera. Questo dovrebbe semplificare le cose, giusto? E invece le testimonianze degli spettatori della recita non coincidono, si confondono, ingarbugliano un caso che fin dall'inizio si presenta insolitamente caotico. Marcus è stato ucciso perché sapeva troppo? Oppure il movente è un altro? Muovendosi tra i Chesney e i loro amici (ma sono davvero tali?), Elliot dovrà fare del proprio meglio per non perdere la ragione davanti a un'indagine all'apparenza senza alcuna logica. Ma soprattutto starà al dottor Gideon Fell, di soggiorno nella vicina Bath per una cura delle acque, sbrogliare la matassa e trovare un senso logico alle pazzie che si sono verificate a Sodbury Cross e non hanno ancora trovato risposta.
Bolton Abbey, Wharfedale, Stanley Roy Badmin, 20th secolo |
Al di là dell'enigma, poi, questo romanzo giallo di Carr assume valore aggiunto per la ragione di cui ho parlato nell'introduzione: affrontare l'indagine non solo da un punto di vista "pratico", con l'investigatore fittizio che interpreta gli indizi e li sistema come in un mosaico per ristabilire l'armonia, ma pure da quello puramente teorico, utilizzando esempi tangibili per sostenere le tesi di Elliot e Fell e trasformare un racconto di finzione in un piccolo compendio della letale arte dell'avvelenatore (cap. 18). Carr, da membro del Detection Club e fervente sostenitore del valore del giallo tradizionale, ha quindi sfruttato la propria conoscenza di criminologia per illustrare al meglio a chi legge quanto i contenuti dei libri gialli siano superficiali soltanto fino a un certo punto: le storie possono essere inventate, ma in giro per il mondo reale sono esistiti e continueranno purtroppo ad esistere biechi individui, decisi ad ottenere ciò che desiderano utilizzando qualsiasi mezzo abbiano a disposizione, lecito o meno che esso sia. Pertanto, non ci stupiamo a ritrovare citati nientemeno che il sinistro H.H. Crippen, al quale l'autore curiosamente conferisce il beneficio del dubbio sul fatto che la morte di Belle Elmore sia stata o meno accidentale; i medici Palmer (che era lieto di offrire da bere agli amici intrugli letali), Pritchard (talmente desideroso di libertà da uccidere moglie e suocera che lo soffocavano troppo), Buchanan (omicida della moglie per mezzo di un mix di morfina e belladonna), Cream (antesignano del serial killer che contò vittime in Canada, America e Inghilterra) e Lamson (assassino del giovane nipote storpio con della torta avvelenata); il sacerdote Richeson che avvelenò la consorte per sposare una ragazza più giovane e ricca; l'artista Wainewright, il quale ammazzò innumerevoli persone per incassare il denaro della loro assicurazione; l'avvocato Armstrong, il quale si offendeva quando gli ospiti rifiutavano le tartine letali che offriva loro; il chimico Hoch che simile a Barbablù si liberò di diverse mogli grazie a una penna stilografica avvelenata; il dentista Waite, reo di aver tentato di ammazzare i suoceri con germi di difterite, tubercolosi, polmonite e influenza; l'inventore Vaquier, che voleva letteralmente la botte(ga) piena e la moglie dell'oste; lo studente di medicina Carlyle Harris. Tutti costoro non solo sono vissuti realmente, ma svolgono la funzione di arricchire il caso dei delitti di Sodbury Cross e ampliare il discorso sul delitto che Carr aveva sempre in mente, quando scriveva. In questo modo, "Occhiali Neri" non è soltanto un magistrale esempio di come si costruisca un mistero credibile e stupefacente, ma anche una sorta di studio sul temibile crimine dell'avvelenamento degno di un trattato di medicina. In una parola, straordinario.
John Dickson Carr, nato nel 1906 e morto nel 1977 |
Un'altra caratteristica dell'opera di Carr, infatti, è quella di affondare le proprie radici in miti e leggende molto antiche: ne sono un esempio le numerose citazioni che possiamo trovare all'interno di romanzi come "Il Terrore che Mormora", la cui trama ruota sul vampirismo, oppure dello stesso "Il Mostro del Plenilunio". Qui sono i lupi mannari, le bestie assetate di sangue e capaci di trasformarsi in uomini e donne pur mantenendo la loro anima selvaggia, ad occupare la trama e a fornire la base per i misteri del libro. Si tratta di argomenti che, proprio grazie alla loro aura di velato soprannaturale, si prestano ad essere interpretati e sfruttati in modo da fornire al lettore una base relativamente reale per un delitto immaginario, e che permisero a Carr di dare sfogo a un'insaziabile sete di ricerca storica. Questa passione emerge dalla lettura di alcuni romanzi giallo-storici, come "La Sposa di Newgate", "Il Diavolo Vestito di Velluto" e "La Corte delle Streghe" (uno dei suoi capolavori) e viene spesso incarnata dai personaggi dei suoi gialli. Tuttavia, fu il Delitto l'argomento a cui Carr si sentì più legato; tanto che i suoi detective soffrirono di una vera e propria ossessione nei confronti della Storia del Crimine: Bencolin, Merrivale e Fell, infatti, di volta in volta si fecero portavoce dei pensieri dell'autore, attraverso semplici citazioni (pure di casi reali, come avviene proprio in "Occhiali Neri", pp. 32, 76-77, 113, 152, 195, 197, 201, 262, 263) ma anche con l'utilizzo di piccole "conferenze" sull'omicidio e la sua applicazione nei romanzi del mistero. Oltre agli avvelenatori celebri sopra citati, si possono aggiungere Edith Thompson e Frederick Bywaters che cospirarono per eliminare il marito di lei pur fallendo nel loro piano diabolico, e il celebre caso di Christiana Edmunds il quale vede proprio l'utilizzo di cioccolatini avvelenati come mezzo di eliminazione di massa e fu di ispirazione dieci anni prima per "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati" di Anthony Berkeley.
"Occhiali Neri" presenta pure un'altra caratteristica tipica della narrativa di Carr: l'atmosfera. Come era già accaduto in "Carte in Tavola" di Agatha Christie e nelle sue opere precedenti, ci troviamo di fronte a una narrazione molto cupa, quasi come se stessimo camminando dentro un incubo ad occhi aperti, dal quale ci è impossibile svegliarci (pp. 7-9, 20, 22, 38-41, 54-57, 59-60, 74-75, 81-83, 95-96, 162-163, 177-184, 187-190, 210-211, 243-247). Spesso l'ambientazione è notturna (gran parte dell'indagine sul delitto si svolge la notte stessa in cui esso si verifica), ma non mancano giornate uggiose dove la pioggia batte sui vetri delle finestre, e pomeriggi di sole nei quali niente farebbe presagire che qualcosa di terribile si stia per verificare; eppure, come recita l'adagio pronunciato dal sacerdote Stephen Lane in "Corpi al Sole", il male si annida pure sotto i caldi raggi della stella che ci illumina e riscalda. Pertanto, veniamo ingannati da questa finta aria di tranquilla quiete a Pompei, mentre i personaggi discutono di avvelenatori seriali, e nel giardino di Bellegarde dove si spande l'odore delle pesche e delle mandorle amare (pp. 23-24, 37-38, 41, 67-69, 102, 118, 127-128, 153-154, 200, 223, 238). Ma non è finita qui. "Occhiali Neri" è un giallo che riveste una certa importanza non solo sotto gli aspetti formali discussi qui sopra, ma anche nei temi in esso trattati. Soprattutto, è centrale la questione sulla validità dei testimoni (cap. 7). Quante volte ci siamo imbattuti, in un classico mystery della Golden Age, su teste indecisi e su prove e dimostrazioni che potrebbero rivelarsi fallaci? Ecco, nel suo romanzo Carr smaschera quanto ci si possa sbagliare nel valutare una faccenda nonostante siamo convinti della nostra percezione sensoriale. Non solo Marcus Chesney, ma pure Fell è scettico nel ritenere valida una testimonianza non suffragata da indizi concreti: sostengono entrambi che tutti noi portiamo dei metaforici occhiali neri, simili a paraocchi, i quali ci impediscono di renderci pienamente conto di quanto ci accade intorno. Io sono del tutto d'accordo, tra l'altro. Quello che importa, tuttavia, è il modo attraverso cui Carr dimostra la sua tesi: se Anthony Berkeley aveva messo alla berlina la possibilità per l'autore di stravolgere a piacimento una trama solo inserendo nuovi indizi in "Il Caso dei Cioccolatini Avvelenati", in "Occhiali Neri" il Maestro del delitto della camera chiusa evidenzia la nostra innata cecità di fondo, peggiorata da chi ci inganna volutamente.
La storia è incentrata sulla percezione che i personaggi (e il lettore) avvertono, sul punto di vista che decidono di adottare e sulla direzione che inevitabilmente si rivela erronea o comunque viziata da abbagli; proprio come in "Carte in Tavola", ci accorgiamo della verità sottoposta al nostro sguardo quando essa ci viene svelata. E non serve proprio a nulla possedere una prova video, poiché anche quella può essere manipolata: mai il detto "vedere per credere" è parso tanto errato. Ciò che dovrebbe dirimere i dubbi, scacciare le ombre, mettere i fatti nero su bianco (oppure a colori, se si tratta di una ripresa più recente), sottoporre al nostro sguardo inquisitorio ciò che è accaduto, in realtà confonde ancora di più le acque, genera nuovi sospetti (perché Tizio ha mentito? Come mai invece Caio ha detto la verità, dal momento che sarebbe il nostro indiziato numero uno?), ingarbuglia la matassa in un moderno Nodo Gordiano dove i lacci sono i ricordi differenti che i vari sospettati presentano alle forze dell'ordine. A chi credere? In fondo, i protagonisti delle storie di Carr sono individui turbati, non solo dal punto di vista mentale (gli assassini), ma anche da quello emozionale: tralasciando il risvolto sentimentale tra Elliot e Marjorie, il quale è un'aggiunta alla storia (pp. 128-129, 134-135, 164, 168-169, 174, 277), essi non suscitano la nostra fiducia a causa di comportamenti ambigui, di azioni melodrammatiche e teatrali che ci fanno pensare "questi stanno fingendo" pure nel momento in cui agiscono secondo la propria particolare natura. Se Marcus si mostra desideroso di stuzzicare un assassino, non vuol necessariamente dire che sia a sua volta un omicida; se Joe Chesney punta una pistola alla tempia a qualcuno forse non lo fa apposta; se Marjorie vuole comprare del cianuro magari lo impiegherà per sviluppare alcune fotografie; se George Harding lavora in un laboratorio chimico non è detto senta l'impulso irreprimibile di sottrarre qualche dose di veleno per scopi delittuosi; se il professor Ingram è appassionato di psicologia criminale, non è detto sia lui stesso un caso clinico. Eppure, il sospetto sorge spontaneo e chi legge non riesce a concedere fiducia con facilità, acuendo i dubbi di premessa dell'enigma. Si tratta di una faccenda di caratura non indifferente, soprattutto dentro a un romanzo giallo come "Occhiali Neri", il quale non è certo facile da interpretare nel modo corretto vista l'abilità del suo autore nel depistare chi legge. Da parte mia, non posso fare altro che ribadire quanto questo libro sia assolutamente strabiliante; forse per alcuni appare un po' troppo centrato sul mistero, con la conseguenza di tralasciare lo studio della psicologia come accaduto in Blake, ma resta una prova incredibile dell'abilità di Carr nel dare vita a racconti entusiasmanti e che meriterebbero di essere senza dubbio più conosciuti.
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