Copertina dell'edizione pubblicata dalla Polillo Editore |
Tutti questi romanzi, pertanto, hanno dato uno scossone non da poco alle convenzioni che volevano il giallo come una sorta di mero cruciverba, in grado di distrarre senza spendere troppe energie. Ed è stata una cosa molto buona; ma da un certo punto la faccenda è cambiata ancora e un'altra rivoluzione è giunta a scardinare le certezze del genere mystery. Infatti, alcuni autori hanno iniziato a veicolare messaggi importanti attraverso un tipo di letteratura "commerciale" come quella del giallo, innalzando questi libri alla pari con opere più pretenziose: così non solo ci si ritrovava a scorgere usi e costumi dell'epoca, ma pure convinzioni e cambiamenti che stavano avvenendo dentro alla società. E in molti hanno fatto tutto ciò attingendo dal passato e dando vita a una crime novel che mette insieme logica e psicologia, praticità e riflessione, creando opere senza tempo che resistono ancora oggi. Ad esempio, "Assassinio sull'Orient-Express" di Agatha Christie è ancora in vetta alle classifiche di tutto il mondo perché racconta una storia dove esiste un caso "tangibile", con tanto di indizi, ma pure mette in discussione il senso di giustizia. Cosa è Bene e cosa è Male? Questo è il punto cruciale del successo del romanzo. Stessa cosa per l'opera di Dorothy L. Sayers, la quale riesce ad andare molto più in profondità di qualsiasi altra nel declinare innumerevoli temi, trattandoli con serietà e rispetto. Oppure ancora certi gialli di John Dickson Carr, come "Le Tre Bare" e "Il Terrore che Mormora" che suscitano dibattiti accesi, oltre a presentare enigmi di prim'ordine. In questo numero di giallisti e di titoli immortali io personalmente aggiungo pure Nicholas Blake assieme alla sua opera. Blake è stato una delle stelle più fulgide del giallo di seconda generazione all'interno del Detection Club, assieme a Edmund Crispin, Michael Innes e Christianna Brand: nelle sue trame non sono mancate indagini improntate sulla raccolta di indizi tangibili, ma allo stesso tempo la ricerca della verità attraverso lo studio del comportamento umano ha avuto un enorme sviluppo, portando all'evoluzione di alcuni concetti considerati immutabili. Dilemmi morali e questioni esistenziali non sono mancate all'interno dei suoi gialli (basti pensare a "Quando l'Amore Uccide" che ho già recensito), e oggi voglio ribadire questo concetto presentandovi quello che viene considerato come il suo mystery più celebre e acclamato: "La Belva Deve Morire" (Polillo Editore, 2002), una storia di dramma, tormento, disperazione, vendetta, rancore e giustizia che trova pari esempio in pochissime altre occasioni e mostra fin dove ci si può spingere nell'innovare un genere letterario.
A Lane near Arles, Vincent van Gogh, 1888 |
Felix Lane ormai è certo che il suo uomo (e vittima designata) sia Rattery; per cui, con una scusa, si fa presentare alla sua famiglia da Lena e inizia a sondare il terreno per capire se i suoi sospetti siano fondati o meno. Al di là di questo discorso, comunque, George si rivela essere un uomo terribile: alza la voce e le mani con la moglie Violer e con il figlioletto Phil, asseconda le idee antiquate e rivoltanti della madre Ethel che governa la casa a proprio piacimento, flirta con la signora Rhoda Carfax, la moglie del socio in affari con cui gestisce un'officina per automobili. E poi assume comportamenti egocentrici e pretende di essere l'unico in grado di sapere come stare al mondo. Felix ha deciso che, anche se non fosse l'uomo che sta cercando, l'assassino del suo piccolo Martie, Rattery deve scomparire dalla faccia della terra per non rischiare di influenzare negativamente Phil e portarlo alla pazzia. Però le cose sono più facili a dirsi che a farsi: come ha insegnato il mite dottor Bickleigh di "L'Omicidio è un Affare Serio", non è semplice ideare un delitto e poi farla franca. Servono doti particolari quali sangue freddo, un cervello capace di prevedere le mosse degli investigatori, essere in grado di dimostrare di non poter essere sospettabili. Felix possiede tutto ciò? A quanto pare è così poiché, nonostante un tentativo andato a vuoto, adesso ha trovato il modo giusto per sbarazzarsi di George Rattery: un finto incidente in barca, dal momento che l'altro non sa nuotare. Così arriva il gran giorno, tutto è pronto fin nei minimi dettagli... Quando all'improvviso il Fato decide di metterci lo zampino ancora una volta: dopo aver favorito Lane, ora pare ostacolarlo. Ma le cose non sono così semplici e ci saranno ancora tanti colpi di scena, prima della scoperta della verità sul caso raccontato in "La Belva Deve Morire". Perché ci sarà davvero un delitto, ma non certo come il lettore si aspetterebbe; e nemmeno Nigel Strangeways, convocato d'urgenza da Felix per un aiuto disperato, assieme alla moglie Georgia. Il racconto, da psicologico puro, si trasforma in un misto affascinante che saprà catturare il lettore e non gli permetterà di chiudere il libro. "La belva deve morire" recita il titolo: chissà se le cose andranno davvero in questo senso.
Two Figures in a Boat, Eric Ravilious, c.1930s |
Il diario di Felix, tuttavia, non si limita a mostrarci come sia fatto il suo proprietario, cosa pensi, come intenda agire per vendicarsi, quali terribili piani stia facendo contro l'assassino del figlio; attraverso i ritratti che delinea Lane, ci facciamo un'idea ben precisa delle altre persone in cui egli si imbatte e che saranno poi parte integrale dell'indagine successiva. Da fine psicologo e conoscitore della natura umana, egli ci permette di fare il nostro incontro con Lena Lawson, questa attrice un po' sciocca ma decisa, descritta come volgare e appassionata amante in un primo momento, poi come leale amica e confidente. Assistiamo alla sua graduale evoluzione, all'attaccamento sincero che sviluppa verso Felix, ai suoi timori che lui possa considerarla simile a una donna di facili costumi, all'insicurezza nascosta sotto gli atteggiamenti impostati dell'attrice di professione. Anche lei, allo stesso modo del suo amato "Micetto", è sensibile e capisce che c'è qualcosa che non va in Lane, però non riesce ad essergli d'aiuto. Felix lascia emergere il suo lato più frivolo dal racconto, nonostante mostri la preoccupazione di Lena quando si rende conto di come lui la stia allontanando pian piano, mentre si avvicina il momento in cui dovrà mettere in atto il proprio progetto criminoso. Sarà poi in seguito, quando Lane lascerà il posto di narratore, che avremmo un quadro completo della ragazza, molto più benevolo di quello che era stato fin lì tratteggiato. Invece quello di George Rattery si dimostrerà ampiamente negativo: non solo da ciò che emerge dalle parole di Felix, le quali lo descrivono come un rozzo ignorante capace di tormentare il prossimo e abusare di quanti gli stanno intorno, ma pure dal racconto in terza persona che viene fatto in seguito. Rattery incarna allo stesso tempo l'assassino e la vittima ideali, mostrandoci ancora una volta come tutti quanti noi siamo duplici: tanto è spietato, crudele, spregevole, insolente, prepotente quando assume il ruolo del capofamiglia e del vessatore, quanto per queste stesse caratteristiche la preda ideale di un Fato giudizioso e benevolo che dovrebbe toglierlo di mezzo per fare un favore al resto del mondo. Un ritratto altrettanto dettagliato viene fatto per gli altri componenti della famiglia Rattery: la vecchia Ethel, la "matrona romana" che spadroneggia in casa e ritiene giustificato il delitto d'onore, pronta a servirsi di mezzucci e ricatti per ottenere ciò che vuole e spietata addirittura con Phil, ma indifesa e isolata; Violet con il figlio Phil, prede di individui più determinati di loro, costretti a sopportare le angherie e a una sottomissione totale, mentre covano nel proprio cuore il risentimento e l'odio senza sfoghi. Per non parlare dei Carfax, gli amici e vicini di casa che risultano la coppia meno ben assortita ma tutto sommato soddisfatta. Possono nascondere segreti l'uno all'altra, possono essere bugiardi oppure mistificatori, ma assassini? Questa è una domanda a cui Nigel Strangeways dovrà rispondere. Questo studio della psicologia dei personaggi, pertanto, costituisce il perno attorno a cui si sviluppa "La Belva Deve Morire" ed è una sorta di sorgente dalla quale la trama stessa trae vigore, poiché è dal disvelamento di nuovi aspetti caratteriali dei protagonisti che nascono piste da seguire, capovolgimenti e sorprendenti svolte nel racconto. Poche volte prima di questo caso si era verificato qualcosa di simile.
Cecil Day-Lewis, alias Nicholas Blake, nato nel 1904 e morto nel 1972 |
Un esempio a sostegno di questa argomentazione è costituito proprio da "La Belva Deve Morire", il quale (come abbiamo visto) riesce a fondere molti aspetti contrastanti della classica crime story. Non solo dal punto di vista della psicologia del personaggi, i quali vengono esaminati come attraverso una lente d'ingrandimento sotto l'aspetto emotivo, ma pure in numerose altre declinazioni possiamo riscontrare l'originalità di Blake nell'approccio al giallo e la sua intenzione nel voler creare opere originali nelle trattazione dei temi e nella composizione stilistica. La trama stessa e l'enigma, che si sviluppano proprio a partire dai risvolti che gli stessi protagonisti mettono in moto, mescolano riflessione e azione e sono centrali nella costruzione del risultato finale: la loro complessità alimenta la curiosità del lettore in modo straordinario, generano equivoci e danno vita a colpi di scena inaspettati poiché improvvisi e governati da un Fato che spesso, nell'opera dell'autore, è beffardo, ironico nella sua malvagità. Spesso mi è capitato di leggere qualche thriller contemporaneo e ho riscontrato come l'ossessione per la costruzione dei personaggi spesso porti a trascurare lo sviluppo della storia; ecco, bisognerebbe prendere esempio da Blake il quale riesce a portare avanti di pari passo entrambi questi aspetti, con equilibrio e soprattutto in modo egregio e diverso. Infatti, basta dare un'occhiata alla struttura del racconto: all'inizio abbiamo un diario che ci permette di avanzare lungo la linea temporale e, allo stesso tempo, di iniziare a comprendere le personalità degli attori sulla scena; poi, cambiando registro, Felix e gli altri personaggi ci vengono mostrati da un punto di vista impersonale; ancora, passiamo a osservare le vicende attraverso gli occhi di Nigel Strangeways, il quale getta una nuova luce su quanto credevamo di conoscere; infine, attraverso note e articoli di giornale, Blake corona il tutto tornando all'impersonalità (o quasi). Tutto ciò è assolutamente sorprendente, poiché permette a chi legge di farsi un'idea a 360 gradi delle personalità e del mondo all'interno di "La Belva Deve Morire": a un certo punto tutto diventa familiare, entriamo in sintonia con gli attori e comprendiamo i loro stati d'animo.
A questa divisione tra una prima parte forte dal punto di vista emotivo e le altre, dove invece lo stile è più impersonale e l'indagine assume una forza tradizionale pur giocando sull'uso della psicologia come punto di partenza per la raccolta di prove tangibili, si aggiunge poi la cupezza dei toni del racconto. "La Belva Deve Morire", allo stesso modo di "Quando l'Amore Uccide", non racconta una vicenda dai contorni frivoli oppure "leggeri" come accade in altri frangenti dentro la classica crime story britannica: qui ci troviamo di fronte a una tragedia umana, che parte fin dalle prime righe con un ritmo serrato e che pone enfasi sulla tristezza dei destini di Martie e di Felix. Se nel caso che coinvolse l'aviatore Fergus O'Brien, quest'ultimo assumeva atteggiamenti cinici verso le minacce di morte che gli venivano rivolte e nella conclusione rivelava quanto la sua esistenza fosse stata caratterizzata da rancori e odii radicati, allo stesso modo Felix Lane ci annuncia subito di essere un potenziale assassino senza scrupoli o riserve, deciso a farsi giustizia da sé e incurante delle conseguenze del proprio gesto. Come due facce di una stessa medaglia, due specchi che riflettono l'uno con l'altro, questi personaggi non aspirano a una forma di redenzione o di riscatto, non agiscono per un fine che appaia nobile ai loro occhi: fanno semplicemente quello che devono per una sorta di senso dell'onore distorto. Anzi, meglio ancora: compiono determinate azioni per ottenere ciò che spetta loro e il Fato ha negato. "Vendetta, il boccone più dolce che sia mai stato cucinato all'inferno" scrisse una volta Walter Scott; ebbene, Felix si ciba in gran quantità di questo piatto in "La Belva Deve Morire". Nutre questo sentimento terribile con gli abusi domestici di cui sono vittime Violet e Phil Rattery, con i flirt di George con Lena e Rhoda, con il ricordo ossessivo della sorte di Martie e i cocci della propria vita. Questo romanzo (come gran parte dell'opera di Blake) non è di facile comprensione dal punto di vista dei contenuti: il rancore, l'odio radicato nel profondo, la vendetta emergono in continuazione, mescolati con la natura meschina (ma sarà davvero così?) del protagonista che non esita a servirsi di qualsiasi mezzo per raggiungere il proprio fine; addirittura ingannando i sentimenti di Lena e la fiducia degli amici come il generale Shrivenham. Nonostante la presenza di toni quasi troppo enfatici soprattutto nella parte del racconto dedicato al diario, c'è un incredibile senso di realtà al fondo di "La Belva Deve Morire": ciò che conduce Lane non è uno scherzo oppure una facezia tipica di un giallo dell'inizio del Novecento, ma un gioco molto pericoloso che può vedere il suo trionfo come la propria caduta inesorabile.
Pertanto, questo giallo dipinge una situazione che potrebbe benissimo rispecchiare la realtà dei fatti, seguendo l'esempio che già in precedenza Dorothy L. Sayers aveva indicato come modello. E lo fa sfruttando non solo uno stile ricercato, complesso, melodrammatico nei toni e carico di una forte corrente di sensibile coinvolgimento interiore, il quale rivisita la poesia classica di Terenzio, Catullo, Ovidio e altri grandi autori più o meno classici (vengono citati Coventry Patmore, poeta ottocentesco, la "Ballata di Lord Randall" e "Vier ernste Gesänge" op. 121 di Brahms, pp. 17, 47, 49, 51, 53, 86, 119, 130, 134-135, 156, 160, 165, 170, 172, 185-186, 230, 232, 247, 253, 266); Blake decide di trattare temi seri e importanti come il senso di giustizia (pp. 11-13, 18, 30-31, 64, 87-89, 257), di coscienza criminale e di riflessione sul delitto (pp. 9-10, 19, 25-28, 31-38, 44, 54, 63, 70-71, 77-78, 81, 92-93, 103, 141-143, 149-150, 152-154, 160-164, 167-168, 195-199, 248-255). Quando una persona è giustificata nel commettere un omicidio? Cosa sono il Bene e il Male, di fronte alla cattiveria innata dell'uomo? Esiste il delitto "buono", quello che permette di liberare alcune vittime dalle angherie di un aguzzino altrimenti intoccabile? Può un assassino essere capace di convivere con la propria colpa, se questa è in qualche modo legittimata? E chi decide tutto ciò? L'autore si interroga su tutti questi quesiti e ci presenta la sua visione delle cose, senza banalizzare. Dimostra come la giustizia sia qualcosa che sta al di sopra dell'essere umano: nessuno di noi può esercitarla oppure governarla fino in fondo, poiché nonostante i nostri piani dettagliati può sempre accadere una coincidenza a scombinare la faccenda. Questo concetto è insondabile; come pure la coscienza di un assassino. Uno può sforzarsi di penetrare nei fili sconnessi di una mente malata, seguirli come dentro un labirinto in cui la perdita dell'orientamento sarà fatale, ma sarà sempre un'indagine condotta solo "fino a un certo punto". Nemmeno il criminale stesso riesce a capire fin dove si può spingere. Si tratta di concetti attuali ancora oggi, che giustificano il perdurato successo di "La Belva Deve Morire"; assieme alla costruzione di personaggi eccellenti, un'atmosfera cupa e terribile, una genuina tensione, un enigma che da solo potrebbe costituire il fulcro di un giallo molto più semplice ma comunque valido, l'esplorazione delle conseguenze della vendetta dà vita a un romanzo del mistero di prima classe. Un vero capolavoro, in cui la coscienza sporca la fa da padrone. Consigliatissimo.
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