venerdì 30 ottobre 2020

50 - "Il Picco delle Streghe" ("The Youth Hostel Murders", 1952) di Glyn Carr

Copertina dell'edizione pubblicata da
Mulatero Editore

Torna a farsi sentire la minaccia del Coronavirus in tutta Italia. Per domenica è prevista una conferenza del Presidente del Consiglio, e il mio pessimismo cronico (che per fortuna riesco a tenere a bada) mi suggerisce che non sarà certo un'occasione gioiosa. Detto ciò, però, non ho voglia di alimentare troppo le ansie e le preoccupazioni di me stesso e di voi lettori, che di sicuro vorrete leggere qualunque cosa tranne le mie riflessioni su un tema tanto triste. Già un paio di settimane fa mi sono dilungato a riguardo. Piuttosto, oggi voglio subito tornare ad allietarvi (come avevo anticipato nell'analisi di "La Casa Senza Porta" e già avevo fatto in marzo) con quella serie di recensioni che vi avevo promesso, così da suggerirvi alcuni titoli per svagare la mente ed evadere dalla situazione in cui ci troviamo tutti quanti. Il romanzo giallo classico, infatti, penso debba parte del suo successo al fatto di riuscire a trasportare chi legge lontano dalla realtà a volte triste in cui egli si trova immerso. La crime story, a mio modesto parere, è in grado di evocare un mondo suggestivo, che spazia dalla fine dell'Ottocento ai primi anni del Novecento, passando per i tumultuosi e imperfetti periodi in cui si verificarono quelle tragedie che portano il nome di Prima e Seconda Guerra Mondiale, e giungendo fino ai primi anni '60 (in qualche caso pure oltre, oserei dire). E lo fa attraverso le febbrili attività quotidiane di donne e uomini che ormai non ci sono più, ma sono rimasti vividi ai nostri occhi per mezzo di una sorta di incantesimo, permettendoci di calarci nei loro panni e di vivere per qualche tempo un'esistenza che ci è estranea, magari nel corso di un'indagine su un crimine efferato oppure un mistero da brivido. È questa una caratteristica peculiare del giallo, il quale riesce a ridare vita nuova al passato altrimenti noioso di libri di Storia; e sono più che convinto che esso, nel momento storico in cui ci troviamo, possa essere ciò di cui abbiamo più bisogno per allontanare la triste realtà in cui siamo stati catturati. Non solo per mio diletto e per tenermi occupato, ma proprio per questo continuo a recensire su Three-a-Penny: considero ciò come il modo migliore che possiedo per smorzare la tensione e dare il mio contributo al benessere di tutti, pur nel mio piccolo.

Come dicevo, quindi, oggi torno a concentrare le mie forze sul giallo che riesce a distrarre e svagare meglio: cioè quello che ci trasporta lontano nello spazio e nel tempo, in luoghi selvatici e senza alcuna limitazione. E quale scelta migliore poteva essere, dopo le atmosfere inquietanti e psicologiche di "La Casa Senza Porta" di Daly, se non l'ultimo romanzo di Glyn Carr che mi resta da leggere, con il suo illimitato senso delle distanze geografiche e della mancanza di isolamento? Questo autore, infatti, si è specializzato nell'ideare storie che prendono ispirazione dal classico mystery di tradizione britannica e filone narrativo che rese celebre John Dickson Carr: quello del mistero della camera chiusa e del delitti impossibile. Tuttavia, ha compiuto una sostanziale virata dal tipo più classico, dal momento che ha portato l'ambientazione a livelli più estremi, dove i confini non sono più costituiti da solidi muri, ma da ripide pareti di roccia il cui limite superiore è il cielo azzurro delle quote più elevate. Per il resto, si è attenuto ai canoni del genere; però quella speciale caratteristica di usare la montagna come luogo del delitto lo ha reso speciale, e legato ai misteri ben studiati ha dato vita a un piccolo miracolo del crime. Miracolo che, tra l'altro, l'editore Mulatero si appresta a rendere sempre più concreto per i lettori italiani: infatti, dopo che Rue Morgue ha abbandonato la ripubblicazione dell'opera in lingua originale, in seguito a numerose vicissitudini, proprio nel nostro Paese è partita questa iniziativa che prevede l'intero corpus letterario su Abercrombie Lewker in procinto di essere reso disponibile. Un compito che vede il riconoscimento degli appassionati di giallo e il mio personale; soprattutto, perché l'editore si è reso disponibile a darmi (finora) diversi volumi da recensire, e io lo faccio sempre con piacere perché si tratta di storie molto interessanti e divertenti. Pertanto, dopo "Morte Dietro la Cresta", "Assassinio sul Cervino" e "Un Cadavere al Campo Due", oggi è il turno di "Il Picco delle Streghe" (Mulatero Editore, 2019), in attesa del prossimo in procinto di uscire nel mese di novembre. Ambientato nel Cumberland, in un villaggio in cui splende il sole ma le atmosfere non sono mai scaldate a fondo, in questa storia troviamo un gruppo di escursionisti riuniti in un ostello della gioventù, sullo stile del circolo di sospettati che ha reso famosa in tutto il mondo Agatha Christie, nelle cui vicinanze si verificano strani eventi. Come di consueto, l'alpinismo e l'escursionismo giocano un ruolo importante all'interno di un mistero in cui la psicologia dell'assassino e dei personaggi viene sviscerata, con una corrente di invidie e segreti nascosti; però in questo particolare titolo, oltre ai tipici caratteri più classici della tradizionale partita tra lettore e scrittore e al rispetto del fair play, vi è un elemento molto intrigante che ha dato una marcia in più agli eventi e si accorda perfettamente con l'arrivo imminente di Halloween: la presenza di stregoneria e forze (all'apparenza?) oscure che agitano e acuiscono la tensione.

Cumberland Mountains, T.C. Steele, 1899, raffigurante un
tipico paesaggio delle ambientazioni che costituiscono lo
sfondo alle vicende di "Il Picco delle Streghe"

Tutto inizia con una perfetta scenetta famigliare, che vede il capocomico e investigatore dilettante Abercrombie Lewker e la sua dolce metà, Georgina, fare una pausa in un prato alle pendici dei monti del Cumberland. Con la loro auto, stanno andando a Birkerdale, uno di quei villaggi al confine della civiltà in cui si può ancora percepire l'atmosfera della vera campagna inglese e aleggia un'aura di velato bigottismo e superstizione, dove li attende una vacanza e il meritato riposo in seguito alla consueta stagione teatrale che ha visto entrambi molto occupati. Con la scusa di far ammirare alla moglie lo splendido paesaggio che si può scorgere nel passare la cima della collina che li separa dal minuscolo gruppetto di case, Lewker fa in modo di giungere a Birkerdale giusto in tempo per fare una tappa al pub locale, l'Herdwick Arms, in attesa dell'orario perfetto per ricongiungersi con un vecchio amico di Georgina, nientemeno che il celebre collezionista ed esperto di quadri Sir Walter Haythornthwaite, nella sua casa poco oltre il villaggio chiamata Riding Mount. Nel locale, mentre sorseggiano una bevanda, il capocomico e sua moglie scoprono tuttavia che nel villaggio c'è una strana diceria, alimentata da un pastore di nome Ben Truby, secondo la quale i monti a sud sarebbero infestati da entità maligne, le "Vecchie" che dimorano sul Picco delle Streghe. Lewker e Georgina, da cittadini del mondo e di una metropoli come Londra, non si lasciano impressionare dai racconti macabri che Truby propina loro, nonostante il gestore del pub insista nel voler minimizzare ogni caso; eppure, quando Vera Crump e Ted Somerset, una coppia di escursionisti, irrompe nel locale con la richiesta di organizzare una squadra di ricerca per una loro compagna di viaggio, una ragazza di nome Gay Johnson, i due non possono fare a meno di temere che sia accaduta qualche disgrazia. La giovane, infatti, è scomparsa da quasi due giorni, dopo aver annunciato la propria intenzione di scalare una parete pericolosa che si getta sul fiume Riggin Spout, in seguito a una lite furibonda col suo fidanzato Leonard Bligh. Già un altro escursionista e arrampicatore, appena qualche mese prima, aveva fatto una brutta fine in questo modo. Così, allertati alcuni uomini e istruito Truby e Roughten, il gestore dell'Herdwick Arms, Lewker si fa accompagnare dalla moglie e dai due giovani fino alla fattoria in cui sarebbe dovuto soggiornare, e si incammina di buon passo con Vera Crump e Somerset alla volta della Riggin Spout.

Giunti in prossimità di una cascata lungo il corso del fiume, i tre fanno la terribile scoperta. Gay Johnson giace ormai cadavere da tempo proprio dentro la pozza d'acqua in cui il Riggin Spout si getta, sotto alla parete del Black Crag. Si tratta di una tragedia considerevole, dal momento che getterà nello sconforto i due giovani e i loro compagni che sono rimasti all'ostello della gioventù in cui stavano tutti alloggiando, nella piana di Cauldmoor che sovrasta la valle di Birkerdale e si trova a pochi passi dal Picco delle Streghe. Però, mentre il cadavere viene portato a valle grazie a una barella approntata da Truby e sollevata dai suoi compagni, Lewker non riesce a fare a meno di notare come siano strane le ferite visibili sul corpo di Gay Johnson. A quanto pare, solo dietro la nuca il cranio è stato sfondato, come se la ragazza avesse battuto la testa su un sasso e fosse morta sul colpo; mentre nel resto del corpo si vede qualche graffio appena, impossibili da conciliare con una caduta rovinosa da una parete roccioso come quella del Black Crag. Così, Lewker immagina che dietro al decesso di Gay si celi qualche segreto che si deve portare alla luce e che può dare vita a un'indagine per omicidio. Oltretutto, lo stesso Ted Somerset dà l'impressione di sapere qualcosa che potrebbe incriminare i suoi compagni di viaggio, e gli accertamenti del medico legale indicano come un'inchiesta dovrebbe studiare la questione a fondo. Pertanto, fingendosi un appassionato di ostelli e abbandonando l'idea di una vacanza meritata, il capocomico svesta ancora una volta i panni del comune cittadino per indossare quelli del Geniale Dilettante, che già in precedenza ha avuto l'onore e l'onere di portare. E una volta giunto a Cauldmoor, Lewker si imbatte in una serie di personaggi che farebbero invidia a un palcoscenico e a un'opera teatrale di Shakesperare: oltre alla fumantina Vera Crump e al suo sottomesso Somerset, infatti, ci sono Janet e Hamish Macrae, fratello e sorella diversi come il sole dalla notte e specializzati rispettivamente in spettacolo (e bugie) e ingegneria; Leonard Bligh, scontroso come solo gli artisti sanno essere; un gallese dall'aria ambigua di nome Bodfan Jones; e il gestore pro tempore della baita, un viscido individuo chiamato Paul Meirion che nutre un'ossessiva mania per la stregoneria e le arti occulte. Forse uno di questi personaggi ha avuto qualcosa a che fare con la morte di Gay Johnson? All'apparenza, tutti quanti avrebbero avuto un movente per cui eliminare la ragazza, oppure l'opportunità per farlo; ma gli alibi si incastrano quasi alla perfezione ed è difficile capire quale sia la verità che si cela dietro il decesso di Gay. Abercrombie Lawker dovrà impegnarsi a fondo per scoprire dove si trova l'inganno, esplorando in prima persona gli scenari mozzafiato e gli abissi di follia in cui può cadere la mente umana; nonché sfidando forze oscure che paiono spuntare dalle ombre della pietra delle montagne che circondano Birkerdale.

Schizzo della valle di Birkerdale, disegnato da Abercrombie
Lewker
Arrivato al quarto volume della serie, penso che "Il Picco delle Streghe" sia il migliore romanzo di Glyn Carr, tra i suoi che ho letto. Qui, infatti, si sono riuniti tutti i caratteri che avevano giocato un ruolo di primo piano all'interno degli altri e l'autore ha perfezionato i loro difetti, pur continuando a dare la precedenza ad alcuni aspetti stilistici e tematici rispetto al mero enigma. Ad esempio, Carr ha ancora una volta concentrato il punto di forza del libro sulle descrizioni delle ambientazioni, che rimandano in qualche modo alla Zermatt di "Assassinio sul Cervino" ma declinandole attraverso una chiave più selvaggia e indomabile: in questo caso, infatti, non troviamo alberghi e nuclei abitativi sfarzosi, ma un villaggio di campagna il quale si avvicina all'idea che potrebbe emergere da un contesto "alla Agatha Christie", con abitanti meno costruiti e tutto sommato semplici. In tal modo, torniamo agli scenari indomabili e ancestrali di "Un Cadavere al Campo Due", ma non abbiamo quella soffocante preponderanza a ridurre ai minimi termini il mistero, fino a farlo quasi scomparire. Il contorno delle vicende si fa parte integrante delle stesse e riporta alla mente quelle di "Morte Dietro la Cresta", familiari all'autore e in qualche modo anche al lettore che, come me, vive alle pendici delle cime rocciose. È un piacere calarci in suggestivi paesaggi aspri e montuosi, che danno originalità agli omicidi inventati da Carr, ed immergersi in luoghi solenni e un po' spaventosi, coi loro pericoli nascosti dietro gli angoli e nelle fessure in ombra tra le crepe sulla pietra (pp. 17, 19, 21-23, 34-39, 41-43, 45-46, 55-56, 74-75, 77, 82-85, 92-96, 117-124, 132-133, 135, 139, 166-167, 176, 178-181, 189, 191-197, 200-201...). In essi, l'uomo si riscopre ad essere una misera parte del creato, cosa di cui l'appassionato alpinista ed escursionista è ben consapevole, e quello che dovrebbe essere solo un abbellimento alle vicende si trasforma nel punto focale della narrazione. L'ambientazione, infatti, è forse l'elemento più debole tra quelli che costituiscono un romanzo giallo, dal momento che necessita di essere affiancato da un altro elemento per poter esprimere al meglio il proprio potenziale; eppure qui lo scenario diventa qualcosa di più, tanto viene curato nelle descrizioni, al punto da tramutare all'occorrenza una storia fittizia in una sorta di guida turistica in cui vengono rispettate le caratteristiche reali dei luoghi tratteggiati (nei romanzi di Glyn Carr ogni paesaggio, proprio come Birkerdale e i monti ai quali si trova ai piedi, corrisponde al vero). Saliamo e scendiamo dal villaggio alla piana di Cauldmoor, percorrendo il sentiero che passa vicino alla Riggin Spout; ci abbarbichiamo sul Black Crag al seguito di Hamish Macrae e di Lewker; sediamo con il capocomico sulle rocce mentre osserva la valle di Birkerdale dal Picco delle Streghe; trascorriamo la serata all'interno dell'ostello della gioventù con i sospettati. Questa attinenza al vero permette di comprendere meglio i movimenti dei personaggi e contribuisce a calare chi legge all'interno della storia, oltre a tenerlo incollato alle pagine come per mezzo di un sortilegio miracoloso (come se le Vecchie ci avessero incantato), che non permette di stancarsi e di trovare noiose queste digressioni e rende giustificabili gli eventuali piccoli difetti della trama.

In questo romanzo in particolare, inoltre, l'importanza data al paesaggio va di pari passo con lo sviluppo dell'enigma e dà vita a un equilibrio perfetto in cui entrambi questi elementi coesistono. Se nei titoli precedenti spesso lo scenario dava l'impressione di quasi invadere lo spazio destinato al mistero, tanto era necessario trasportare tra le righe i dettagli dei luoghi e soffermarsi sui dettagli più piccoli per contestualizzare il tutto, finendo per pregiudicare la riuscita complessiva del romanzo, in "Il Picco delle Streghe" c'è meno urgenza nel rendere vividi i movimenti dei personaggi e dare spessore a ciò che li circonda, pur senza venir meno alla resa di autenticità di questi stessi. Ad esempio, c'è comunque la descrizione di un paio di ascese su parete e di un escursione di Lewker, ma queste sono confinate con sapienza come per dare una pausa a chi legge, per alleggerire una narrazione che sarebbe risultata troppo densa e complessa da affrontare tutta d'un fiato. Di conseguenza, è il mistero sulle morti di Peel e Gay Johnson ad occupare il centro dell'attenzione, con tutto quello che ne deriva, tra inchieste investigative più o meno ufficiali e approfondimento di temi affascinanti legati ad esso. La stregoneria accentua la tensione, soprattutto nelle scene notturne, e dà enfasi all'enigma, suggerendo a chi legge ipotesi al limite del concreto: attraverso i racconti grotteschi e macabri di Truby, essa cala dall'alto come i corvi di cui si servivano i negromanti e gli adepti dei culti spiritici per evocare le Vecchie, e influenza la logica e l'indagine della polizia e di Lewker (pp. 27-29, 34, 48-49, 79-82, 88-89, 94, 115, 137, 140-142, 161-163, 171-172, 175, 177-178, 203, 212-213). Mentre proseguiamo nella storia, ci domandiamo se per caso le morti violente non siano state davvero provocate da qualche spirito maligno, e iniziamo a sospettare che una profonda vena di follia si celi dove il sole non riesce a battere e l'acume degli inquirenti fatica a scavare. Tutto ciò, ovviamente, genera curiosità; ma non solo, dal momento che può costituire un motivo in più perché il pubblico si avvicini a "Il Picco delle Streghe": ho sempre avuto l'impressione, infatti, che questa ferma convinzione di Carr di soffermarsi sull'alpinismo e su una narrazione incentrata su di esso, potesse scoraggiare quelle persone che non sono interessate all'argomento. Con la scusa delle forze oscure e il loro indubbio fascino, invece, l'autore riesce a invogliare chi altrimenti avrebbe tentennato. Come se non bastasse, poi, questo tema si sposa magnificamente con altri elementi del romanzo. La stessa ambientazione, che contrasta nel suo apparire quasi paradisiaca (i prati verdi, le giornate soleggiate, i laghi cristallini, i monti solidi e maestosi) con l'atmosfera di follia che regna sovrana e pervade i più piccoli particolari, come una semplice passeggiata o una salita in solitaria; oppure il coesistere tra momenti drammatici oppure paurosi, suscitati da conseguenze delle azioni dei presunti demoni, con scenette allegre e chiaramente ironiche in cui Lewker oppure altri personaggi si scontrano e si azzuffano a parole. Insomma, nonostante la presenza di alcuni stereotipi (ma ormai penso proprio che saranno una costante a cui bisogna abituarsi e non mi pesano più di tanto), "Il Picco delle Streghe" si è dimostrato essere quanto di più vicino ho letto ai romanzi degli autori più blasonati della Golden Age, da parte di un outsider che, nel suo piccolo, ha saputo dare vita a una serie molto divertente, che appassiona e intrattiene con leggerezza.

Frank Showell Styles (alias Glyn Carr)
nato nel 1908 e morto nel 2005
L'ironia fu forse la caratteristica principale nella scrittura di Frank Showell Styles, vero nome di Glyn Carr. Nato a Birmingham nel 1908, dopo la scuola egli lavorò in banca per una decina d'anni, finché decise di mollare questo impiego che non lo soddisfaceva. Partì quindi per un lungo viaggio in giro per l'Europa, che dovette tuttavia interrompere allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Arruolatosi nella Royal Navy come artigliere, durante il conflitto riuscì a salire di grado fino a giungere a quello di comandante. Tornata la pace, Styles decise di rinunciare a tornare a lavorare nel mondo della finanza e si trasferì in Galles, dove trascorse il tempo ad arrampicare (fu da sempre la sua passione più grande), a dedicarsi al teatro e a progettare la sua nuova carriera di scrittore. Nel 1947, infatti, diede alle stampe il suo primo romanzo, "Traitor's Mountain", una spy story che mescolava il genere a quello umoristico, e il successo di quest'ultimo lo spinse a dare il via a una serie più convenzionale, sotto pseudonimo e con protagonista un divertente capocomico un po' sovrappeso e dalla citazione facile che si ritrova ad indagare su casi misteriosi ambientati in alta montagna. In realtà, già durante una scalata del Milestone Buttress gli balzò in mente come "fosse facile progettare un omicidio perfetto in quel luogo"; pertanto decise di "ideare un sistema [adatto] e costruirci attorno una trama adeguata". In questo modo, come Glyn Carr firmò "Morte Dietro la Cresta" (primo di quindici gialli classici, tra cui vanno ricordati "Assassinio sul Cervino" e "C'è un Cadavere al Campo Due") e Abercrombie Lewker fece il proprio ingresso nella letteratura del mistero, dopo tre romanzi più avventurosi.

La serie fu accolta favorevolmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, soprattutto per la capacità dell'autore di descrivere con doverosa attenzione le scene di arrampicata e i luoghi in cui esse si svolgevano. Dopo "Fat Man Agony" (1969), Styles concluse le avventure di Lewker per dare il via a un'altra serie, il cui protagonista divenne un ufficiale della marina britannica al tempo delle guerre napoleoniche; nel frattempo, tuttavia, continuò a scalare e a fare escursioni, oltre a scrivere una quantità enorme di guide, manuali e racconti sulla montagna (in totale furono circa 160), finché non morì nel 2005. I romanzi di Abercrombie Lewker (in parte ripubblicati dalla Rue Morgue Press, secondo la quale pare esista un romanzo inedito andato perduto), come dicevo, sono libri dove regna l'ironia e gli stereotipi tendono ad abbondare, soprattutto nella delineazione dei personaggi (pp. 23-29, 31-34, 36-38, 40-41, 46-48, 56-58, 77-82, 86-89, 91-92...). Eppure, in "Il Picco delle Streghe" ho notato come questi ultimi siano risultati meno "prevedibili" di quanto fosse finora successo nelle altre storie: il ruolo assegnato a Paul Meirion, ad esempio, è sì in parte modellato su quei trasparenti gestori di locande che si vedono a dozzine in giro, ma allo stesso tempo viene delineato come un appassionato di stregoneria e un semi-praticante negromante; cosa che non può far altro che dargli personalità e originalità. Bodfan Jones è un sorta di bardo gallese, un individuo che gioca moltissimo sulle sue peculiarità e che suscita la curiosità del lettore. Certo, Vera Crump e i suoi amici, con le loro storie d'amore così prevedibili, sono tratteggiati con meno spessore; però Ted Somerset dimostra di possedere uno spirito d'osservazione che si addice poco al classico Watson, e si rivela essere un ragazzo che spicca nella massa. Lo stesso Ben Truby, nonostante sia un comune pastore, grazie all'aura sinistra che lo circonda si staglia sulla scena e cattura l'attenzione; addirittura più di Sir Walter, il quale alterna ruoli in prima fila con altri sullo sfondo. Si tratta di personaggi che hanno un'anima, pur non essendo delineati abbastanza da uguagliare altri loro colleghi più illustri, la quale li rende imprevedibili, sospetti e molte volte simpatici.

In ogni caso, però, è Abercrombie Lewker, protagonista istrionico e padrone del palcoscenico fuori e dentro la finzione, a dominare ed emergere tra le righe: grazie alla sua originalità, al suo essere brillante e dotato di senso dell'umorismo, acuto e creativo, egli rappresenta un perfetto Geniale Detective da operetta (pp. 17-20, 31-33, 39, 42-43, 49-50, 53, 67-69, 73-74, 203-204). Carr teneva in alta considerazione la cultura e l'arte in generale (non per niente, in "Il Picco delle Streghe" occupano un ruolo importante un libro di incantesimi e alcuni acquerelli, come la collezione di Sir Walter); pertanto, anche il suo investigatore è un appassionato cultore della letteratura e del teatro, tanto da citare continuamente Shakespeare (pp. 18, 20-22, 28, 30, 36, 40, 49-51, 55, 57-59...). Pomposo e carismatico, ma capace di provare pietà, egli è consapevole del proprio personaggio e agisce come se si trovasse in una delle tragedie che è abituato a portare sulle scene dei teatri più importanti d'Inghilterra. Si lancia nell'indagine con il piglio del dilettante, ma riesce a comprendere quando la situazione si sta facendo seria e vorrebbe abbandonare il suo ruolo; però non può, e si costringe ad analizzare tutte le ipotesi per inchiodare il colpevole. Insomma, si comporta come ci si aspetterebbe da un segugio da romanzo giallo, e di conseguenza il suo autore lo fa agire seguendo i passi che un tale personaggio dovrebbe compiere, spesso prendendo in giro le rigide regole del genere e gli assurdi cliché inventati dagli altri scrittori (pp. 65, 68-69, 71-74, 106-107, 111, 141, 142, 187-188, 197, 203, 223, 240). Ma non solo; Lewker riesce ad incarnare uno stereotipo e a rifuggire da esso allo stesso tempo: infatti, se da un lato possiede il tipico carattere eccentrico del dilettante e abbraccia i metodi d'indagine più tradizionali, dall'altro ama intrattenersi con attività straordinarie rispetto ai soliti svaghi dei segugi del giallo: condivide con il suo autore la passione per la vita di montagna e per ciò che si può fare quando ci si trova all'aria aperta, ai piedi di una catena alpina. La vita dell'escursionista ci viene presentata in un modo tutt'altro che freddo e descrittivo, ma piuttosto da un punto di vita attivo sul quale viene modellata la trama (pp. 27, 33-34, 37-39, 41-43, 67, 84-85, 88, 90-91, 108-109, 114, 117-124, 149, 156-157, 180, 226-230, 233). Il delitto diventa qualcosa che possiamo proiettare in un contesto in cui vengono inserite nozioni dettagliate, pur senza estraniare queste ultime, tra aneddoti sull'arrampicata, buone norme da seguire quando si scala una vetta oppure di intraprende un'escursione, piccoli dettagli sulla vita di montagna, accorgimenti e abitudini che gli alpinisti devono adottare e buone norme da seguire quando si decide di scalare una parete rocciosa. A tutto ciò, infine, si aggiunge uno stile ironico e un enigma che, come dicevo, penso sia il migliore tra quelli ideati da Carr, nei suoi libri che ho letto. La costruzione del mistero, l'aggiunta dell'elemento di impossibilità e del tema delle forze oscure, l'alternanza tra momenti di azione e altri di riflessione, danno vita a un caso variegato in cui non ci si annoia mai e che possiede una certa solidità, rispettando oltretutto il fair play. Per concludere e tirare le somme, con "Il Picco delle Streghe" Glyn Carr fa centro e ci consegna un mystery di tutto rispetto, che non ha nulla da rimproverarsi e si dimostra una lettura affascinante e capace di intrattenere. Inoltre, grazie al fatto di riuscire ad evocare tanto bene la campagna del Cumberland, questo libro è perfettamente adatto come lettura nel periodo storico in cui viviamo: se non possiamo allontanarci più di tanto da casa, ci pensa Glyn Carr a farci fare un viaggio con la mente. Alla prossima, e buon Halloween a chi sta leggendo!

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