venerdì 27 novembre 2020

53 - "Sangue sul Monte Bianco" ("The Ice Axe Murders", 1958) di Glyn Carr

Copertina dell'edizione pubblicata
da Mulatero Editore

Ci siamo, ormai stiamo per addentrarci nel periodo dell'anno che preferisco: quello delle feste natalizie, che intercorre tra fine novembre-inizio dicembre e circa metà gennaio. Finalmente, aggiungerei. Soprattutto in questo maledetto 2020, infatti, nonostante percepisca meno lo spirito del Natale rispetto alle altre volte, sento impellente la voglia di calarmi in letture che sappiano rilassarmi ancor più del solito. Già mi immagino, seduto accanto alla stufa, mentre il fuoco arde e fuori dalla finestra soffia il vento (o magari nevica, chi può dirlo in quest'anno così strano?), con un libro fresco di stampa e pronto a tuffarmici dentro da sotto una calda coperta. Le preoccupazioni saranno messe da parte, la frenesia dei regali da comprare quasi del tutto scomparsa, di fronte alle restrizioni che presumo ci impediranno di fare resse alle casse e nei negozi. E per lenire le delusioni, cosa c'è di meglio di un buon romanzo che sappia sottrarci alla realtà un po' deprimente dei nostri giorni; meglio ancora se ambientato durante le feste o in inverno, quando un po' tutti ci lasciamo affascinare e suggestionare? Anche un bel film, come "La Vita è Meravigliosa" di Frank Capra, può andare bene, per carità; ma siccome questo blog si concentra sulla narrativa del mistero, da parte mia punterò su quelle letture che in qualche modo coccolano il lettore. In particolare, da appassionato di classica crime story, tornerò prepotentemente al giallo con la neve a fare da scenario, a quel "Christmas Murder Mystery" di cui ho già parlato l'anno scorso, dove non deve necessariamente essere presente qualche tipo di festività; ma di sicuro ciò può costituire un'aggiunta utile a dare fascino al tutto. In questo sottogenere, dove si mescolano affetto e brutalità violenta, sorrisi e coltellate alla schiena (spesso in senso letterale), si dà vita a qualcosa di perversamente gradevole, che vanta un enorme successo in tutto il mondo e affonda le proprie radici molto indietro nel tempo. Magioni o capanne isolate nel biancore accecante e a volte letale, nuclei familiari dove serpeggia il malcontento ma nessuno può ribellarsi al comportamento fin troppo civile che bisogna mantenere in riunioni con i congiunti, stili caratterizzati da toni a volte tanto confortanti, quanto altre taglienti come lame di rasoi affilate che lacerano l'anima: questo per me è il "vero" giallo all'inglese di carattere invernale, quello che amo di più in assoluto e su cui mi soffermerò anche quest'anno.

A partire da oggi, dunque, voglio recensire alcuni titoli a tema nevoso-festivo, sperando che apprezziate il mio intento. E lo faccio iniziando da un romanzo che, curiosamente, non doveva essere pubblicato in questo periodo, dal momento che è stato solo a causa del COVID che esso è slittato alla metà di novembre, ma è comunque risultato perfetto nella sua attuale uscita nelle librerie dettata dal Caso. Dovete sapere, infatti, che Mulatero Editore (sempre sia lodata per avermi introdotto a Glyn Carr) aveva programmato il nuovo volume della serie di Abercrombie Lewker, scritto da quest'ultimo, proprio per il mese di marzo di quest'anno, quando è scoppiata la pandemia mondiale. Poi come tutti sappiamo i piani sono stati sconvolti, i ritardi si sono accumulati l'uno sull'altro, ognuno ha visto la propria vita cambiare o comunque uscire da un percorso prestabilito e andare incontro a una serie di nuove circostanze. Ma adesso, pian piano, ogni cosa sta riprendendo i ritmi di quasi un anno fa; e anche Mulatero ha dato alle stampe "Sangue sul Monte Bianco" (2020). Si tratta dell'ennesimo mystery dell'autore a seguire i canoni che lo hanno reso celebre all'interno del genere giallo: ispirato al classico romanzo del mistero di tradizione britannica, sul sottogenere della camera chiusa, ma declinato secondo l'originale elemento di sfruttare un'ambientazione che non ha più solidi muri a fare da confini, trasportando chi legge lontano sia nel tempo sia nello spazio, in luoghi selvatici senza alcuna limitazione se non ripide pareti di roccia e il cielo delle quote più elevate. Se avete letto le altre recensioni che ho scritto sull'opera di questo autore, saprete infatti che lo scenario prediletto da Carr è quello dell'alta montagna, dove il suo investigatore dilettante, nonché capocomico e alpinista, Abercrombie Lewker, si diletta a risolvere enigmi. E questa volta, l'autore ha fatto trasferire il suo personaggio nientemeno che sul Monte Bianco, sul versante francese ai cui piedi si trova Chamonix. In questo luogo impervio e aspro, sulla cui cima si abbattono tempeste di neve pure in luglio, egli ha tratteggiato una storia in cui perfettamente si equilibrano i punti forti della sua narrativa: la descrizione della dura vita dell'individuo che intende praticare sport sui monti, e una serie di delitti che vengono spiegati e delineati seguendo un rigoroso fair play. In tal modo, Carr non si è allontanato dalla sua comfort zone che vede l'utilizzo della montagna come speciale luogo del delitto, ma non ha neppure deluso gli appassionati di crime e ha regalato loro un mystery coi fiocchi (in tutti i sensi). Ringrazio ancora Mulatero per avermi inviato una copia del romanzo affinché lo possa recensire: questo è di sicuro il migliore finora pubblicato, e come dicevo si adatta perfettamente ad introdurre il periodo invernale che stiamo per affrontare.

Una foto del Monte Bianco visto dal versante di Chamonix
La storia, infatti, nonostante si svolga nel mese di luglio, vede ben presto l'abbattersi di una furiosa bufera di neve sulla vetta del Monte Bianco, la quale muta l'atmosfera radicalmente e coinvolge nel profondo i personaggi. Ma andiamo con ordine. Tutto inizia sul treno che sta conducendo Jim Osborne, giornalista di "Feature", a Chamonix, località famosa in tutto il mondo come meta sciistica e che, in questo particolare frangente, sta per diventare celebre pure in ambito cinematografico. Il giovanotto, in effetti, ha intenzione di raggiungere il regista Leo Perren e il suo rissoso e scorbutico protagonista, Grieg Osborne, per scrivere un lungo articolo sul film che i due sono in procinto di mettere in lavorazione. Si tratterà di una storia vera trasposta su pellicola, la quale racconterà della prima ascesa sul Monte Bianco da parte di Paccard e Balmat, e lui ha tutte le intenzioni di ricavarne un ottimo articolo che gli permetta di fare carriera. Tuttavia, prima di giungere sul posto, è costretto ad ammazzare il tempo e non è che ci siano chissà quali alternative tra cui scegliere: potrebbe tentare di avviare una conversazione con Abercrombie Lewkre, il celebre attore teatrale che sta viaggiando sul suo stesso treno, assieme a sua moglie Georgie e a una coppia formata da una modesta ma bellissima attrice, Dagmar Lewis, e il suo tutore, il colonnello Pound; oppure trascorrere ore ed ore nello scompartimento che divide con due zitelle, miss Harriet Bristow e miss Elsie Semple. Però entrambe le alternative paiono sconfortanti: Lewker lo ha accusato di essere alla ricerca di un pretesto per strappargli un'intervista e lo ha allontanato, mentre Bristow è chiaramente ostile a qualsiasi tipo di interazione civile. Per fortuna, il viaggio in treno giunge al termine e tutto il gruppo si sposta verso Chamonix per sistemarsi in albergo. E in questa occasione il giovane Osborne si rende conto di come tutti quanti (compresi Perren e Grieg Osborne) siano in qualche modo legati tra loro. Le zitelle conoscono Dagmar, poiché quest'ultima è stata allieva nella scuola gestita da miss Harriet; Lewker ha instaurato alcuni rapporti legati all'esercito con Pound; e Grieg Osborne si è fidanzato nientemeno che con la giovane attrice che lo stesso Jim ammira in cuor suo.

Una bella coincidenza, non è vero? Tanto più che, la sera stessa del loro arrivo a Chamonix, tutti quanti vengono invitati a una cena per festeggiare la lieta unione tra Dagmar e Grieg. Al tavolo siedono le due zitelle, i coniugi Lewker, Pound, ovviamente i due promessi sposi, Jim, Perren, e due amici di Abercrombie e Georgie: il prefetto di polizia della cittadina, Marius Menier, e sua moglie. L'atmosfera è influenzata in senso alternato dalle chiacchiere allegre dei commensali e dall'umore turbolento e lunatico del celebre attore; ma è solo quando al cospetto del gruppo si presenta una guida alpina che la situazione, già surriscaldata, degenera. L'arrivo di Henri Cachat e il suo conseguente annuncio sull'essere pronto a portare, fin sulla vetta del Monte Bianco, miss Bristow e miss Semple il giorno dopo, scatena una discussione tra lui e Grieg Osborne, il quale sminuisce la sua esperienza come guida alpina a favore di quella di un altro individuo, Luigi Carrell. Quest'ultimo, afferma l'attore, lo porterà fin sulla cima della montagna con qualunque clima, nonostante la preoccupazione di Cachat e degli altri commensali. Ciò che consegue al litigio gela l'atmosfera, e Jim Osborne se ne va a dormire pensando a quanto sia odioso il suo omonimo. E il giorno dopo, quando tutti quanti (in cordate diverse) si accingono a salire sulla funivia che li porterà sotto ai Grands Mulets, egli è ancora dello stesso parere; condiviso per altro dai rimanenti componenti del gruppo. Nel corso dell'ascesa, infatti, Grieg si attira l'odio di ogni singolo individuo attorno a sé, e ben presto l'alta montagna fa cadere le maschere di civiltà che gli alpinisti indossano quando hanno i piedi per terra. In ogni caso, prima di raggiungere la capanna Vallot poco sotto la meta, gli incidenti di percorso che si verificano non hanno conseguenze fatali. Sarà mentre alcuni salgono fino a toccare la cima della montagna, che il tempo peggiorerà e costringerà i temerari a un rapido riparo alla Vallott... e ad assistere alla violenta caduta di una persona con un berretto rosso sul versante orientale. Con una morte sulle spalle, il gruppo si rifugia nella capanna, in attesa che il tempo migliori; quando il cadavere rispunta dalla tormenta e si scopre che la causa del decesso non è stato un semplice volo dalla cresta, ma nientemeno che una picconata sulla testa. Qualcuno deve averla sferrata, ma chi? Il sospetto si insinua nel gruppo, e nella ristretta stanza in cui sono rintanati tutti, ognuno inizia a fare ipotesi... Sarà però Abercrombie Lewker a dover risolvere il caso, prima che diventi troppo tardi e i morti aumentino.

Pianta della via per la vetta del Monte
Bianco dai Grands Mulets, disegnata da
Abercrombie Lewker

Ormai sembra una barzelletta: soltanto qualche settimana fa, recensendo "Il Picco delle Streghe", avevo affermato come a mio parere esso fosse il migliore romanzo giallo di Glyn Carr che avessi letto fino a quel punto. Ebbene, oggi mi ritrovo a smentire me stesso e a dire che è questo "Sangue sul Monte Bianco" a raggiungere la vetta di un mio ipotetico podio. E aggiungerei che, a quest punto, vedo molto difficile che l'autore riesca a superarsi con le uscite che arriveranno in futuro. Infatti, come dicevo poso sopra, l'equilibrio tra l'elemento dell'alpinismo e della vita di montagna, e quello del puro enigma da sciogliere che si trova solitamente all'interno di un classico romanzo del mistero, qui trova una manifestazione a dir poco perfetta (o almeno quanto di più simile alla perfezione ho trovato da quando ho iniziato la serie di Lewker). O meglio, si avvicina ad essere in tutto e per tutto IL romanzo giallo di Glyn Carr se teniamo da conto alcuni elementi. Infatti, pensandoci bene, "Il Picco delle Streghe" può essere considerato (contando i libri finora pubblicati) il più completo dal punto di vista dell'enigma; ovvero, è quello dove il mistero occupa la parte più estesa delle pagine e viene affrontato fin dal principio. In "Sangue sul Monte Bianco" e nei precedenti (a parte forse "Assassinio sul Cervino"), avevamo trovato più un racconto incentrato sulla vita dell'escursionista e scalatore, e di conseguenza l'indagine aveva occupato un ruolo un po' più marginale rispetto al fulcro attorno al quale si sarebbero sviluppate le vicende. D'altro canto, però, bisogna pensare pure che Carr intendeva scrivere i suoi libri non tanto per dare vita a complicati casi di omicidio, o almeno non era questa la sua principale meta da raggiungere; quanto per decantare quanto fosse bella la vita dell'appassionato di sport alpini e della vita all'aria aperta. Ecco perché, a mio parere, nonostante in "Sangue sul Monte Bianco" sia tornato a dare risalto ai paesaggi mozzafiato e alle tecniche per arrampicare spuntoni di roccia, questo romanzo è forse il migliore di quelli scritti dall'autore: per il fatto di essere riuscito a mostrare quanto più realmente cosa si prova a salire una via normale sul Monte Bianco, e allo stesso tempo imbastire un caso adeguato al tenore del libro, capace di dare soddisfazione al lettore ma senza usurpare il ruolo di fulcro di tutto alla descrizione della montagna. Forse la differenza si può trovare nel fatto che il titolo recensito oggi sia composto da un numero di pagine più numeroso dei precedenti: avendo a disposizione uno spazio più esteso, Carr ha potuto dare libero sfogo alla sua eloquenza sull'alpinismo, pur riuscendo a tratteggiare gli assassinii in modo esaustivo, ed equilibrando ogni cosa con maestria.

Nella prima parte del romanzo, fino a circa metà, si è concentrato sullo scenario e su quanto altro avesse a che fare con esso, tanto da quasi eliminare qualunque riferimento utile al tratteggio dell'indagine (anche se così non è, fate attenzione!): come in "Un Cadavere al Campo Due", ha destinato le sue osservazioni ai dettagli dei luoghi e a soffermarsi sulle piccolezze per contestualizzare l'insieme. Si percepisce l'urgenza dell'autore nel rendere vivaci i passaggi da un picco all'altro, da un lato del ghiacciaio fino a una sporgenza da intagliare con la piccozza, arrivando a delineare quali siano i movimenti e i pensieri dei personaggi, i quali si ingegnano a proseguire in un contesto di grande spessore e davvero autentico (da quanto ho potuto capire, infatti, Carr ha descritto come al solito il percorso reale per raggiungere la vetta, come era già accaduto nei precedenti gialli). Ci immergiamo negli sforzi che ognuno compie per portare il proprio corpo verso altitudini più elevate, per vincere la nausea e per assaporare ogni momento di un'esperienza unica; e lo facciamo, come dicevo, quasi dimenticando che quello che stiamo leggendo è un mystery, tanto l'elemento crime viene accantonato con sapienza. Insomma, l'impressione che ricaviamo dalla lettura di questa parte del racconto è quella di essere immersi in una sorta di sospensione temporale, dove la narrazione ci viene restituita densa e complessa. Nel resto del libro, tuttavia, è il mistero a farla da padrone: smettiamo di girovagare per creste e pendii ripidi a favore di una chiave di lettura focalizzata sull'indagine poliziesca. Dalla discesa dalla vetta del Monte Bianco in poi, è quest'ultima ad occupare il centro dell'attenzione; c'è un momento in cui i personaggi si allontanano dalla capanna Vallot, questo è vero, ma si tratta soltanto di un'espediente per alimentare la tensione e il terrore. Le descrizioni della vita dell'escursionista lasciano il posto a sospetti e teorie, a un'atmosfera che risente in minia parte del luogo in cui il gruppo è riunito. Ma soprattutto, in "Sangue sul Monte Bianco" troviamo una vera e propria applicazione del delitto impossibile, come mai finora era accaduto. Nelle precedenti avventure di Lewker, infatti, ci eravamo imbattuti in enigmi che, a mio parere, non erano sempre riusciti del tutto, per motivi differenti (poca cura nella costruzione, ingenuità legate all'inesperienza, ecc...); qui invece abbiamo il tratteggio di un caso investigativo dove ogni cosa è stata ponderate, approfondita, sviscerata e data in pasto al lettore, riuscendo comunque a sorprenderlo con una rivelazione finale alla quale si poteva giungere prestando attenzione ai cenni nascosti tra le righe. Più di una volta, mi sono domandato quale fosse la soluzione dell'enigma e se non ci fosse lo zampino di qualche entità demoniaca ad orchestrare il tutto; ma alla fine l'illuminazione è arrivata, poco prima che lo stesso Carr la svelasse, lasciandomi quindi una buona impressione generale. La follia si è manifestata ancora una volta, emergendo dei fiocchi bianchi che cadono furiosi sulla cresta del Monte Bianco. Sul serio, sono entusiasta di come sia risultato essere "Sangue sul Monte Bianco": al suo interno sono presenti la dolce claustrofobia dettata dalla bufera di neve, una serie di digressioni stupende sul paesaggio e l'alpinismo, un mistero congegnato ottimamente e una schiera di personaggi capaci di affrancarsi dagli stereotipi quanto basta per restare impressi. Dire che sono rimasto affascinato è poca cosa.

Frank Showell Styles (alias Glyn Carr)
nato nel 1908 e morto nel 2005
Ma chi fu Frank Showell Styles, vero nome di Glyn Carr, ovvero l'autore di questo straordinario libro? Nato a Birmingham nel 1908, dopo la scuola egli lavorò in banca per una decina d'anni, finché decise di mollare questo impiego che non lo soddisfaceva. Partì quindi per un lungo viaggio in giro per l'Europa, che dovette tuttavia interrompere allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Arruolatosi nella Royal Navy come artigliere, durante il conflitto riuscì a salire di grado fino a giungere a quello di comandante. Tornata la pace, Styles decise di rinunciare a tornare a lavorare nel mondo della finanza e si trasferì in Galles, dove trascorse il tempo ad arrampicare (fu da sempre la sua passione più grande), a dedicarsi al teatro e a progettare la sua nuova carriera di scrittore. Nel 1947, infatti, diede alle stampe il suo primo romanzo, "Traitor's Mountain", una spy story che mescolava il genere a quello umoristico, e il successo di quest'ultimo lo spinse a dare il via a una serie più convenzionale, sotto pseudonimo e con protagonista un divertente capocomico un po' sovrappeso e dalla citazione facile che si ritrova ad indagare su casi misteriosi ambientati in alta montagna. In realtà, già durante una scalata del Milestone Buttress gli balzò in mente come "fosse facile progettare un omicidio perfetto in quel luogo"; pertanto decise di "ideare un sistema [adatto] e costruirci attorno una trama adeguata". In questo modo, come Glyn Carr firmò "Morte Dietro la Cresta" (primo di quindici gialli classici, tra cui vanno ricordati "Assassinio sul Cervino" e "C'è un Cadavere al Campo Due") e Abercrombie Lewker fece il proprio ingresso nella letteratura del mistero, dopo tre romanzi più avventurosi. La serie fu accolta favorevolmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, soprattutto per la capacità dell'autore di descrivere con doverosa attenzione le scene di arrampicata e i luoghi in cui esse si svolgevano. Dopo "Fat Man Agony" (1969), Styles concluse le avventure di Lewker per dare il via a un'altra serie, il cui protagonista divenne un ufficiale della marina britannica al tempo delle guerre napoleoniche; nel frattempo, tuttavia, continuò a scalare e a fare escursioni, oltre a scrivere una quantità enorme di guide, manuali e racconti sulla montagna (in totale furono circa 160), finché non morì nel 2005.

I romanzi di Abercrombie Lewker (in parte ripubblicati dalla Rue Morgue Press, secondo la quale pare esista un romanzo inedito andato perduto) sono libri dove regna l'ironia e a volte gli stereotipi tendono ad abbondare, soprattutto nella delineazione dei personaggi. Eppure, come dicevo sopra, in "Sangue sul Monte Bianco" ho notato come questi ultimi siano risultati meno "prevedibili" di quanto fosse finora successo nelle altre storie (a parte "Il Picco delle Streghe"). Certo, restano tutti gli elementi che hanno caratterizzato i precedenti titoli della serie di Abercrombie Lewker: il gruppo di escursionisti che vengono in qualche modo riuniti/isolati in qualche luogo lontano dalla civiltà, sullo stile del circolo di sospettati che ha reso famosa nel mondo Agatha Christie; l'uso dell'ambientazione come elemento principale della storia per dare vivacità e realtà ai fatti raccontati, quasi paradisiaca nel suo essere incontaminata e indomabile, ma aspra e ostile nelle salite per i pendii ghiacciati e nelle frugali sistemazioni per la notte; il coesistere di momenti drammatici e terrorizzanti, alternati a scenette allegre e divertenti dove il protagonista è spesso Lewker. Nonostante qualche piccolo stereotipo sia duro a morire (penso al rapporto amoroso a triangolo), però, trovo che "Sangue sul Monte Bianco" sia stato assolutamente stupendo, e bisogna darne atto a Glyn Carr. Inoltre, trovo che siano sempre più coinvolgenti e meno "fuori posto" tutte le digressioni che l'autore fa a riguardo dell'alpinismo e dell'escursionismo, tanto da inserirle all'interno della storia così che esse giochino un ruolo importante nel mistero e nel tratteggiare la stessa psicologia dei personaggi, la quale si "riflette" in esse (pp. 16-17, 19-20, 26-27, 30-31, 38-40, 46-48, 50, 57, 60-61, 65-67, capp. 4-5-6-7-8, pp. 164-165, 171, 173, 211-214). La stessa ambientazione, tutto sommato, compie un'operazione del genere, facendo cadere le maschere degli attori sulla scena (pp. 25-28, 30-32, 81-82, 86, 113, 116...): abbiamo scenari indomabili e ancestrali, pur familiari per chi (come me e lo stesso Carr) abbia vissuto in montagna o alle sue pendici, nei quali ci caliamo con piacere per evadere dalla noiosa quotidianità o dal deprimente isolamento dovuto alla situazione sanitaria mondiale. Essi danno originalità agli assassinii inventati dall'autore, e ci fanno provare quel senso di inferiorità tanto familiare all'appassionato di sport estremi all'aperto; oltre a restare vividi ai nostri occhi, come se stessimo sfogliando una guida turistica in cui essi vengono descritti. L'attinenza alla realtà gioca un ruolo importante nel sottolineare i movimenti dei personaggi e nel farceli comprendere con maggiore chiarezza.

Infine, proprio sugli attori del dramma voglio soffermarmi (pp. 160-161). Si tratta di individui che spiccano grazie alla loro anima, che non restano imbrigliati dalle parole ma trovano una ragione d'essere. Ho notato un progressivo miglioramento in questa capacità dell'autore, da "Morte Dietro la Cresta" al titolo preso in esame oggi, e tra i protagonisti del primo e del secondo c'è una grossa differenza, a mio parere. Il narratore, Jim Osborne, è forse il più caratterizzato, dal momento che vediamo tutta la faccenda dal suo punto di vista e, di conseguenza, è sempre sulla scena: percepiamo le sue emozioni, osserviamo cosa pensa degli altri seguendo i suoi ragionamenti, ci immedesimiamo in lui e filtriamo gli eventi attraverso il suo sguardo acuto di giornalista. Il suo omonimo, Grieg Osborne, riesce a suscitare la nostra antipatia dall'inizio alla fine, oserei dire addirittura prima di entrare in scena; niente male! Incarna lo stereotipo dell'attore viziato ed egocentrico, che non si piega ad alcun compromesso e pretende di essere sempre al centro dell'attenzione; trasuda arroganza e qualcosa di velatamente violento. Sarebbe il cattivo ideale in un melodramma shakespeariano, con una paio di calzamaglia addossi e una gorgiera. Dagmar Lewis, al contrario, non impersona il ruolo dell'attricetta novellina dall'aria svanita e fatua, ma è una ragazza sveglia e per nulla spaventata dallo sforzo fisico, nonostante abbia ancora un'animo nobile che le impedisce di ribellarsi alle convenzioni della società. Suo zio, il colonnello Pound, appare quanto più simile a un soldato della vecchia guardia, ma lascia presagire come sotto sotto sia astuto e niente affatto sciocco come può sembrare a prima vista. Le zitelle Bristow e Semple, da parte loro, impersonano il ruolo assegnato loro con grande entusiasmo e, pur nella loro relativa prevedibilità, lasciano intravvedere una forza interiore che la "solita" signorina di un tempo per antonomasia non avrebbe. Pure miss Elsie, la quale viene angariata da miss Harriet, rivela una fibra robusta nei silenziosi sguardi inceneritori che indirizza all'amica. Marium Menier, invece, è il tipico poliziotto un po' ottuso che ragiona soltanto seguendo la logica ed è incapace di contemplare soluzioni fantasiose in base ai fatti di cui dispone. Però non bisogna pensare che sia uno sprovveduto. Henri Cachat e Luigi Carrell, le guide alpine, sono tanto simili nel ruolo quanto differenti nella personalità: il primo è integro, coscienzioso e realista, l'altro vanesio e corrotto. Persino Leo Perren, il quale appare nella vicenda soltanto fino a un certo punto, è stato caratterizzato con originalità. Tutti questi individui, insomma, hanno un'anima che li rende imprevedibili, sospetti e molte volte simpatici. A dominare, tuttavia, è sempre lui: Abercrombie Lewker, istrionico e padrone del palcoscenico fuori e dentro la finzione.

Originale, brillante, ironico, creativo, fantasioso, il capocomico incarna la figura del Grande Detective dedito alla cultura e all'arte (dal momento che cita Shakespeare a ogni piè sospinto, come alle pp. 23-25), ma allo stesso tempo non ha paura di mettere in moto il proprio fisico per cercare prove atte ad incastrare il colpevole. Pomposo e carismatico, ma capace di provare pietà, egli è consapevole del proprio personaggio e agisce come se si trovasse in una delle tragedie che è abituato a portare sulle scene dei teatri più importanti d'Inghilterra. Si lancia nell'indagine con il piglio del dilettante, ma è pure capace di comprendere quando la situazione si sta facendo seria. Insomma, si comporta come ci si aspetterebbe da un segugio da romanzo giallo, e di conseguenza il suo autore lo fa agire seguendo i passi che un tale personaggio dovrebbe compiere. Ma Lewker non si limita ad incarnare uno stereotipo; lo rifuggire allo stesso tempo. Infatti, se da un lato possiede il tipico carattere eccentrico del dilettante e abbraccia i metodi d'indagine più tradizionali, dall'altro ama intrattenersi con attività straordinarie rispetto ai soliti svaghi dei segugi del giallo: condivide con il suo autore la passione per la vita di montagna e per ciò che si può fare quando ci si trova all'aria aperta, ai piedi di una catena alpina. La vita dell'escursionista, presentata in un modo vivido e romanzato sul quale viene modellata la trama, si fa telo su cui proiettare il delitto fittizio, in un contesto in cui vengono inserite nozioni dettagliate, tra aneddoti sull'arrampicata, buone norme da seguire quando si scala una vetta oppure si intraprende un'escursione, piccoli dettagli sulla vita di montagna, accorgimenti e abitudini che gli alpinisti devono adottare e buone norme da seguire quando si decide di scalare una parete rocciosa. Se inseriamo tutto ciò in una narrazione dallo stile ironico, estesa ma coinvolgente, introspettiva in modo tale da approfondire numerosi temi ed argomenti e segnata da una gran quantità di dialogo, ricaviamo un romanzo stupendo e divertente che non ha nulla da invidiare a uno scritto da autori più celebrati. In modo simile alle precedenti avventure di Lewker, esso ci trasporta in un mondo quasi onirico, in un momento in cui non possiamo spostarci: continuerò a ribadire il fatto che leggere Glyn Carr durante la pandemia può essere il passatempo perfetto per trovare un po' di sollievo e svagarsi. Grazie Mulatero, adesso aspetto solo la prossima indagine di Abercrombie.


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