venerdì 27 settembre 2019

10 - "Gli Occhi Verdi del Gatto" ("Clouds of Witness", 1927) di Dorothy L. Sayers

Copertina dell'edizione integrale,
pubblicata nel Giallo Mondadori
n. 2748
Più mi confronto con altri appassionati di crime story classica, più mi rendo conto di come questo genere letterario presenti una natura particolare. Da un lato, infatti, esso unisce un grandissimo numero di lettori con gusti molto diversi tra loro, grazie alla vastità di sottogeneri di cui è composto: ce n'è per tutti i tipi, da chi predilige romanzi in cui l'enigma viene trattato con rigoroso fair play dall'autore, a chi desidera semplicemente trascorrere qualche ora a provare sulla propria pelle i brividi di terrore, a chi si lascia affascinare dalle ambientazioni e dalla caratterizzazione dei personaggi, al punto da immedesimarsi nelle vicende che sta leggendo. Allo stesso tempo, tuttavia, poiché ognuno concepisce il "giallo" in modo differente dall'altro e sostiene che il proprio preferito sia il migliore, com'è comprensibile in una società variegata come la nostra, a volte questa "unità" viene meno e possono nascere agguerrite discussioni riguardo un certo titolo o autore, in cui il Tale loda e il Talaltro critica. Questa, per me, è forse la caratteristica più affascinante del genere mystery; quella che, assieme al suo essere intrinsecamente innovativo, gli ha permesso di restare popolare anche dopo un secolo dalla sua nascita: il continuo dibattito ha alimentato il suo sviluppo, dando vita a scambi di idee (accettabili se espresse nel segno di un'esposizione pacata) e a singolari incontri-scontri dai quali, talvolta, possono scaturire nuove conoscenze. Ad esempio, più di una volta mi è capitato di entrare in contatto con persone che, al contrario di quanto pensassi io, hanno bocciato il libro di uno scrittore che avevo promosso, o viceversa. Questo, però, non mi ha impedito di cercare di capire le ragioni del loro giudizio e, alla fin fine, tali occasioni si sono rivelate utili a comprendere un punto di vista diverso dal mio, hanno dato avvio a nuovi rapporti di amicizia e hanno messo in luce alcuni aspetti della trama e dello stile che non avevo colto, arricchendo il mio giudizio finale.

Anche con la mia ultima lettura, "Gli Occhi Verdi del Gatto" di Dorothy L. Sayers (Il Giallo Mondadori n. 2748, 2001), si è verificato un confronto di questo tipo. Mentre io l'ho apprezzato molto, un amico fan del giallo classico l'ha bocciato, pur ammettendo che le premesse facevano sperare in un romanzo migliore. Non che sia stata proprio una sorpresa; la Sayers è famosa per la sua capacità di dividere le opinioni dei lettori, visti l'uso di uno stile complesso (ma non per questo astruso), in cui i dettagli della vita quotidiana vengono descritti in modo dettagliato, e la scrittura di lunghe porzioni di testo che esulano dall'enigma in sé. Quindi mi aspettavo alcune critiche, tenuto conto pure del fatto che il mio amico predilige gialli in cui il focus è più concentrato sull'indagine. Eppure, da parte mia, sono del tutto convinto che anche stavolta lei abbia confezionato un romanzo giallo molto valido; forse non ai livelli di "Il Segreto delle Campane", ma comunque di alta qualità, con un investigatore dilettante simpatico, false piste in abbondanza, indizi disseminati tra le righe e un racconto affascinante. Se vi ho incuriosito, allora lasciate che mi spieghi meglio qui sotto, dopo aver delineato la trama a grandi linee. 

In apertura di romanzo, ci troviamo in Francia. Lord Peter Wimsey ha trascorso alcuni mesi di vacanza all'estero, per rimettersi dall'ultimo caso risolto, e con calma sta facendo ritorno in Inghilterra, dopo aver assaporato la bellezza della Corsica e i piaceri del dolce far niente assieme al fedele Bunter. Mentre alloggia all'Hotel Meurice di Parigi, tuttavia, Sua Signoria viene riportato alla realtà dall'improvvisa notizia che suo fratello Gerald, il Duca di Denver, è stato messo sotto accusa di omicidio da parte di un tribunale inglese. Da quanto spiega il resoconto del Times in cui Lord Peter ha appreso la scioccante notizia, il nobiluomo avrebbe presumibilmente ammazzato a sangue freddo un certo Denis Cathcart, il fidanzato della sorella minore Mary, mentre si trovava nella tenuta di Riddlesdale assieme a loro due e ad alcuni amici intimi, forse a causa di un regolamento di conti legato ai sensi di onore e onestà caratteristici dell'aristocrazia britannica. Wimsey è sicuro che ci debba essere stato un errore e vuole assicurarsi che l'indagine, affidata al suo amico Charles Parker e atta ad accertare chi sia il sicuro colpevole dell'omicidio di Cathcart, venga condotta con massimo rigore e attenzione; quindi prende un volo per Londra e si affretta a raggiungere la casa in cui sono ancora radunati tutti i testimoni del fattaccio, al fine di intraprendere un'inchiesta personale. Laggiù, i fatti che vengono alla luce dai primi interrogatori non prospettano nulla di buono. Innanzitutto, l'arma che ha ucciso Cathcart appartiene senza alcun dubbio al Duca di Denver; il ché non costituisce una prova schiacciante, poiché essa veniva riposta in un cassetto accessibile a tutti gli ospiti, ma lancia comunque un'ombra di sospetto sulla figura di Gerald. Poi, si scopre che il nobiluomo aveva litigato con la vittima la sera stessa del delitto, in presenza dei signori Marchbanks, Pettigrew-Robinson e del maggiore Arbuthnot. Pare che Cathcart fosse stato accusato di essere un baro, e che il duca avesse tutte le intenzioni di mettere fine alla relazione in corso tra lui e sua sorella.

Una brutta faccenda, che peggiora quando un'altra testimone afferma di aver sentito uno sparo più o meno nello stesso momento in cui Gerald si trovava fuori di casa, forse nei pressi della scena del delitto, davanti al padiglione di caccia, e lui stesso rifiuta di difendersi dall'accusa di omicidio e di dare alcuna spiegazione sui propri movimenti durante la serata fatale. Inoltre Mary Wimsey, dapprima desiderosa di aiutare i poliziotti, all'improvviso non sembra più così ansiosa di scoprire chi abbia ammazzato il suo promesso sposo e ha adottato la stessa tattica del fratello più vecchio; ovvero, non rispondere ad alcuna domanda. Stanno entrambi cercando di proteggere la propria famiglia da un terribile scandalo? Tuttavia, non tutto quadra con l'accusa rivolta al Duca di Denver: ad esempio, di chi sono quelle tracce che portano da un capo all'altro del bosco della tenuta? Forse dello sconosciuto che è passato rombando, a bordo di un sidecar, davanti al cancello sorvegliato dal guardiacaccia? Cosa dire, poi, di quel ciondolo a forma di gattino dagli occhi verdi che è stato rinvenuto sul luogo del delitto? C'entra forse col caso la figura di una bella signora, prigioniera in una fattoria non molto lontana da Riddlesdale? Wimsey sente che tutto quanto deve essere legato da una spiegazione semplice, razionale e comprensibile; compreso il comportamento ambiguo della vittima, Denis Cathcart, il quale ha fatto sparire dal proprio conto ingenti somme di denaro. Per questo motivo, affiancato da Parker, si lancerà in una caccia diversa da quelle che di solito avvengono a Riddlesdale, ma altrettanto pericolosa, e rischierà la vita più di una volta al fine di raggiungere la verità, alla ricerca di confessioni, di peccati segreti e di prove sfuggenti in Francia e in America; mentre Gerald si presenterà davanti a una Corte di suoi Pari per subire il giusto processo che la Costituzione inglese assicura ai nobili accusati. Tuttavia, bisognerà aspettare fino alla fine del procedimento giuridico per comprendere appieno quale sia la soluzione del caso, sorprendente, inaspettata e densa di colpi di scena.

Immagine della Camera dei Lord, in cui si svolge il
processo finale di "Gli Occhi Verdi del Gatto"
Proprio come gli altri mysteries di Dorothy L. Sayers, "Gli Occhi Verdi del Gatto" (attenzione: solo l'edizione con la traduzione di Grazia Griffini risulta completa) non fa eccezione e presenta una struttura articolata e complessa. Probabilmente alcuni di voi faranno fatica ad apprezzarlo, assieme al resto della sua opera: anche in questo caso, infatti, non ci troviamo di fronte a un semplice romanzo di genere, dove importano soltanto gli interrogatori degli indiziati e lo svolgimento dell'indagine, ma veniamo immersi in una narrazione in cui pure le descrizioni e le osservazioni della vita quotidiana, ritratte con uno stile caratteristico, brioso e mai banale da parte dell'autrice, conservano grande rilevanza ai fini della trama e del risultato finale. Senza dubbio, l'uso di questo linguaggio dettagliato e al limite del pedante costituisce uno dei punti di maggior forza della narrativa della Sayers, poiché capace di suscitare nella mente di chi legge immagini più vivide del solito; eppure, non si può fare a meno di notare che esso può pregiudicare il ritmo della storia e l'impatto che essa ha sui lettori, col risultato che alcuni finiscono per considerare noiose tutte queste digressioni. L'amico a cui facevo riferimento sopra, ad esempio, ha bocciato questo libro perché il resoconto del processo al Duca di Denver e la successiva introduzione dei testimoni principali dell'omicidio di Cathcart, riportati nella prima parte, gli sono sembrati pesanti da digerire e delineati con incuria, mentre il modo in cui è stato trattato il caso, a suo parere, ha contribuito a sbilanciare l'enigma dal centro del romanzo; tutto quanto gli è parso come sfocato, dalla delineazione a tutto tondo della psicologia dei personaggi alla presentazione degli indizi, con brevi momenti di svolta che, tutto sommato, finivano sempre per rivelarsi deludenti. Per non parlare della soluzione, "la peggiore che si potesse immaginare" secondo lui. Ora, forse le cose stanno davvero così: non mi leverei mai ad oracolo inconfutabile, sia ben chiaro.

Da parte mia, tuttavia, vorrei provare a mettere in luce perché la lettura di "Gli Occhi Verdi del Gatto", con tutte le sue piccole pecche, meriti comunque di essere presa in considerazione da tutti gli appassionati del genere giallo, grazie a due aspetti fondamentali del romanzo. Innanzitutto, desidero sottolineare quanto straordinario appaia ai miei occhi il talento della Sayers nel tratteggiare situazioni che, in altri frangenti, apparirebbero senza dubbio tediose. Le prime trenta pagine, ad esempio, in cui viene trattato a fondo il processo d'accusa al Duca di Denver, possono sembrare un po' fredde e schematiche e per questo motivo impedire alla storia di far presa fin da subito sul lettore, su questo sono d'accordo; ma dire che siano del tutto inutili mi sembra esagerato. I processi descritti in questo romanzo riescono ad essere piacevoli da seguire, anche se personalmente non nutro un particolare interesse per la pratica giuridica, che considero troppo ingessata e burocratica; essi vengono condotti con mano esperta e in modo da mantenere alta l'attenzione di chi legge, forniscono indizi utili per comprendere le azioni dei personaggi, a volte riescono addirittura a spezzare la tensione grazie all'intervento di qualche testimone indisciplinato. Inoltre, grazie al dibattito alla Camera dei Lord (pp. 114-115, insieme ai capp. 14-15-17-18), ci viene tramandato il dettagliato procedimento attraverso cui un Lord viene processato dai suoi Pari in Inghilterra. Una delle caratteristiche che preferisco delle crime novels classiche è proprio quella di riuscire a riportare ai giorni nostri un pezzetto di passato, con i suoi usi e costumi; perciò, come posso non apprezzare un coronamento all'indagine vera e propria come questo? Ma non è solo dal punto di vista tecnico che questi passaggi hanno suscitato il mio interesse; anche dal lato prettamente umano non sono da trascurare. L'atteggiamento dei giudici (soprattutto di Sir Impey) mette in luce l'astuzia innata di queste figure maniacali dal punto di vista del controllo delle prove e delle testimonianze; eppure, ciò non sovrasta del tutto l'affabilità e simpatia dei principi del foro che emergono nella loro quotidianità, al di fuori del ruolo istituzionale. Il delizioso scambio di battute riguardo una bottiglia di Porto (pp. 168-169), con i suoi riferimenti ironici e le amabili osservazioni, è solo una delle tante prove lampanti di questa doppia natura, che si possono trovare all'interno del capitolo 10 e, oltre tutto, mettono in mostra la capacità dell'autrice di tirare fuori dal cilindro inaspettati siparietti.

In secondo luogo, poi, vorrei evidenziare la moderna varietà della narrativa che Sayers è in grado di infondere in ogni suo libro: spesso, i personaggi viaggiano in lungo e in largo per il mondo, al fine di risolvere un caso (come accade per la trasferta di Parker in Francia, al capitolo 4, e la doppia traversata oceanica da parte di Lord Peter nel finale di "Gli Occhi Verdi del Gatto"); più di una volta vengono inseriti differenti tipologie di testo, quali articoli di giornale (p. 67), lettere (pp. 81, 112), resoconti giuridici (cap. 1) e tabelle (pp. 187-188); si contano innumerevoli citazioni letterarie (fondamentali quelle al Manon Lescaut di Antoine Francois Prévost), anche senza considerare quelle poste all'inizio di ogni capitolo; non manca il riferimento a personaggi e casi reali, come quelli di Earl Ferrers e il celebre patologo Bernard Spilsbury; le ambientazioni spaziano dalla tenuta di Riddlesdale a Rue St. Honoré e Rue de la Paix, per poi tornare a villaggi di campagna simili al Fenchurch St. Paul di "Il Segreto delle Campane" o a club di simpatizzanti comunisti duri e puri (che l’autrice mette alla berlina, con un’arguzia impareggiabile). Sicuro, tali elementi possono risultare pomposi e "ridicolmente snob", come osserva il critico Julian Symons nel saggio "Bloody Murder", se messi tutti assieme; ma indicano in modo indiscutibile anche cultura, voglia di innovazione, elasticità e scorrevolezza. Niente viene lasciato al caso da parte della scrittrice: le rilevazioni scientifiche sono proprio come quelle che ci si aspetterebbe di veder essere messe in pratica dagli specialisti, ogni brano viene soppesato e perfezionato, i dialoghi sono espressi con vivacità e un tipo di linguaggio consoni al tono; per non parlare dei temi che lei ha saputo trattare in questo romanzo. Insomma, Dorothy L. Sayers si dimostra capace di unire più elementi della crime story del suo tempo, amalgamandoli in modo sorprendente e mai banale; sia nel descrivere una piacevole colazione tra personaggi quanto meno alto-borghesi, sia nel momento di ideare un enigma che, pur ancora imperniato sul "come" piuttosto che sul "chi", si dimostra all'altezza delle aspettative. "Gli Occhi Verdi del Gatto" non è forse l'opera migliore della Sayers, poiché ancora legato alla sua ostilità nei confronti del cosiddetto "interesse amoroso", a uno stile acerbo e al superficiale approfondimento del carattere di alcuni personaggi; però non riesco lo stesso a non considerare questo libro come una prova più che valida di mystery classico, oltre che una storia stupenda dal punto di vista dell'esistenza personale della sua autrice.

Dorothy Leigh Sayers, nata nel 1983 e
morta nel 1957
La scrittura di "Gli Occhi Verdi del Gatto", infatti, risale a un momento molto difficile nella vita di Dorothy Leigh Sayers, nata a Oxford il 13 giugno 1893. Esso fu il frutto di un periodo di riposo forzato, durante il quale lei diede segretamente che alla luce nientemeno che un figlio illegittimo, nato dalla relazione con un tale di nome Bill White, il quale aveva già intrapreso un rapporto stabile con un'altra donna e non voleva avere niente e a che fare con lei e il bambino. Pur dotata di un precoce ingegno, che le permise di imparare il latino e il francese prima dei dieci anni, di diventare una poetessa esuberante (aveva un "fiammeggiante gusto nel vestire") mentre ancora studiava al Somerville College e di eccellere nel campo della pubblicità, Dorothy era pur sempre stata educata in una famiglia molto religiosa, da un padre e una madre che vedevano nel peccato la più grande sciagura; per questo motivo non disse loro niente a riguardo e prese la gravidanza inaspettata con un forte atteggiamento negativo. Vedeva in quel piccolo esserino, che amava con tutta se stessa, il frutto della propria cattiva condotta; e il complicato piano che riuscì a mettere in pratica per assicurare un avvenire al bambino servì ben poco a sollevare il peso dalla sua coscienza. Per tutta la vita serbò nel cuore il timore di essere scoperta e sbugiardata davanti al mondo intero, e non aiutò di certo il fatto che finì per sposarsi con un uomo dal carattere duro; soltanto la pubblicazione di raccolte, traduzioni e romanzi gialli con protagonista il suo aristocratico Peter Wimsey riuscivano a darle sporadici sprazzi di felicità, insieme agli eventi mondani cui partecipava ogni tanto, come la rappresentazione di una sua opera teatrale o una cena del Detection Club. Dorothy L. Sayers (pretese che la "L" del cognome della madre fosse sempre inserita tra nome e cognome sulla copertina dei suoi romanzi) prese molto a cuore quest'associazione e suoi membri: sostenne sempre fermamente che le opere dei suoi colleghi, come le sue, dovessero soddisfare alti standard in fatto di stile ed ingegnosità, così da "riportare la detective story al suo antico splendore", e strinse un forte legame di amicizia soprattutto con alcune delle sue colleghe più risolute, come Helen de Guerry Simpson. Tuttavia, nonostante ciò, non riuscì mai ad aprirsi con nessuno riguardo i propri tormenti personali e non rivelò mai ai suoi compagni di essere madre. Considerava quella gravidanza come un "amaro peccato", e trasformò l'esperienza disastrosa in un vero e proprio trauma: "Adesso sono spaventata da qualunque sentimento" avrebbe considerato più avanti. Quest'ultima, insieme al fallimento del proprio matrimonio, la frustrò a lungo finché, il 17 dicembre 1957, una trombosi coronaria mise termine alla sua movimentata esistenza.

Per quel giorno, tuttavia, aveva già smesso di scrivere crime novels; ma non di occuparsi dell'animazione del Detection Club e della sua attività di critico. Dimostrò un talento particolare nello stimolare gli altri a produrre il meglio che potevano, non da meno di quanto fece lei stessa. Tutti i suoi romanzi gialli dimostrano una capacità fuori dal comune nel capire le persone, i loro bisogni e i loro desideri; non ebbe paura di applicare la sua "straordinaria vitalità" per studiare gli ultimi ritrovati della scienza, e non si fece scrupoli ad inserire nei suoi libri tematiche e situazioni che, al momento in cui scrisse, dovettero fare molto scalpore; prime tra tutti quelle riferite al femminismo e alla fedeltà familiare. Proprio il concetto di famiglia risulta essere il punto cardine attorno a cui ruota "Gli Occhi Verdi del Gatto", allo stesso modo di come la semplice vita nelle campagne inglesi aveva costituito il pretesto e il fulcro della narrazione in "Il Segreto delle Campane". Oltre ad introdurre alcuni personaggi che sarebbero tornati nelle successive avventure di Lord Peter, come sua sorella Mary, Freddy Arbuthnot, Impey Biggs e altri, e a dare avvio all'idillio tra Mary e l’ispettore Parker, esso descrive appieno come i membri di un nucleo domestico sappiano relazionarsi l'uno con l'altro. Penso che, per la Sayers, sia stato un modo per tenere vivo nei proprio pensieri il ricordo del padre e della madre, per esprimere il desiderio di potersi costruire un focolare personale assieme all'uomo giusto e per sconfiggere la solitudine della sua forzata e volontaria segregazione. Il dramma familiare contribuisce a conferire al mistero un'aura di tensione e di drammaticità, che mette in luce il lato meno distaccato di Lord Peter e dei personaggi tipici della crime story classica. Sebbene quelli secondari non siano molto tratteggiati, infatti, i membri dei Wimsey vengono sviscerati a fondo, ci viene raccontato come essi reagiscono alla tragedia che si è abbattuta su di loro, ognuno con il proprio carattere singolare: Gerald e Mary, spaventati dal fatto di poter far del male alle persone che amano, decidono di non rivelare più alcun dettaglio riguardo al caso di omicidio; la duchessa madre, vero portento dell'età vittoriana trasportato a tempi più recenti, dimostra un atteggiamento risoluto ma comprensivo, come solo una madre può fare (da notare pp. 118-122 e 152-156); lo stesso Wimsey si trova a dover mettere da parte i propri sentimenti per portare a termine l'indagine di cui si è fatto carico e scagionare il fratello da tutte le accuse. Ma anche Parker, che mostra le prime avvisaglie di un interessamento più profondo nei confronti di Mary (pp. 215-216), e il fedele Bunter, con il suo comportamento sempre impeccabile ma non per questo freddo e distaccato, mostrano un'evoluzione nei loro sentimenti.

Proprio il maggiordomo costituisce uno dei personaggi più riusciti del libro, essendo a sua volta un segugio formidabile che raccoglie informazioni preziose dalla cameriera Ellen, grazie ai suoi modi affascinanti, e un elemento fondamentale per la sopravvivenza del suo signore. Il rapporto tra Bunter e Peter, infatti, è uno tra i più singolari della letteratura del mistero: a differenza di quello instaurato tra Poirot e Hastings, ad esempio, oppure tra Roderick Alleyn e "fratello" Fox, il legame tra loro non si basa solo su amicizia o complicità lavorativa, ma anche sul fatto che uno è tecnicamente padrone dell'altro. Eppure, ciò non sembra offrire ostacoli di alcuna sorta; Bunter è a tutti gli effetti alla pari con Peter, sia nel ruolo di investigatore sia di essere umano: un altro elemento che dimostra come la Sayers sia avanti sui suoi tempi. Anche se forse non ce ne accorgiamo spesso, lei ci ha consegnato numerosi personaggi non solo divertenti ma anche moderni, i quali si fanno veicolo di temi e messaggi molto profondi. Essi sono piccoli tasselli, all'apparenza insignificanti e molto spesso tediosi nel loro ruolo impettito, però ci parlano anche della vita reale e affrontano problemi senza dare facili risposte. L'amara riflessione sulla triste condizione della donna (soprattutto nelle campagne) ne hanno fatto un simbolo del femminismo (anche se lei odiava essere definita tale) e rappresenta uno degli elementi più importanti del romanzo, insieme al ruolo che questa figura può assumere all'interno della società (a mio parere, Mary Wimsey può essere vista come un prototipo di Harriet Vane, alter ego della stessa Sayers). "Gli Occhi Verdi del Gatto", insomma, risulta essere un giallo delizioso, con tocchi di humor e un ritmo che, seppur lento, non risulta sgradevole da seguire, con i suoi siparietti ben scritti e non irritanti, come ha osservato John Curran in "I Quaderni Segreti di Agatha Christie". Lo stesso finale, nella sua apparente semplicità, risulta coerente e suggestivo, con un pizzico di malinconia che me lo ha reso irresistibile. Mi rendo conto di essere forse troppo poco critico; però questo libro mi è piaciuto proprio tanto. E spero di avervi convinto di quanto esso, sotto sotto, sia meritevole di una lettura.

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venerdì 20 settembre 2019

9 - "Sei Oggetti Misteriosi" ("Six Queer Things", 1937) di Christopher St. John Sprigg

Copertina dell'edizione pubblicata
dalle Edizioni Lindau
In Italia, la collana che ha fatto da apripista alla crime story è stata senza dubbio quella del Giallo Mondadori, la quale proprio in questo 2019 compie novant'anni. Fin dagli inizi del Novecento, infatti, essa si è assunta il lodevole compito di presentare ai lettori validi esempi di narrativa del mistero, in una forma accessibile a tutti e, soprattutto, economica. È stato grazie ad essa che scrittori come Agatha Christie, Dorothy L. Sayers, John Dickson Carr, Ellery Queen e Patrick Quentin, hanno avuto la possibilità di raccogliere nuovi seguaci, per cui bisogna essere grati per il lavoro che Mondadori ha compiuto in tutto questo tempo. Tuttavia, se prima dell'avvento del nuovo millennio essa ha giocato in un terreno libero da avversari temibili, negli ultimi quindici anni la sua leadership indiscussa ha ravvisato una risoluta concorrenza da parte di un altro editore, il quale ha esercitato (ed esercita ancora) un ruolo molto importante nella diffusione del giallo tradizionale nel nostro Paese e si è assicurato la gratitudine dei fans più nostalgici ed accaniti; ovvero Polillo. Quest'ultimo, agendo nell'ambito poco sfruttato delle librerie, con la collana "I Bassotti" è riuscito a dimostrarsi al passo con i tempi e a conquistare la fetta di pubblico delusa dalla preponderanza di crime novels di stampo moderno, presenti tra le nuove uscite del suo diretto antagonista, grazie alla centellinata pubblicazione di uno o due titoli al mese, appartenenti all'età d'oro del mystery. In questo modo, ha ridato linfa a un genere che minacciava di venire sopraffatto dalle nuove tendenze e, allo stesso tempo, ha permesso a tanti neofiti (come era a quel tempo il sottoscritto) di addentrarsi in un mondo sorprendente e affascinante. A tutt'oggi, Polillo rappresenta la fonte principale per il recupero del patrimonio costituito dalla crime story della tradizione angloamericana classica, poiché ha riproposto valide traduzioni di romanzi reperibili soltanto nei mercatini dell'usato e (cosa più importante) ha introdotto nel mercato italiano inediti di qualità, facendo proprio il ruolo pionieristico che era stato del Giallo Mondadori e, a volte, riuscendo addirittura a precedere la riscoperta in lingua inglese di alcuni autori.

Un esempio può essere Milward Kennedy, del quale Polillo ha finora pubblicato "Il Mistero del Diario" (il cui titolo originale è "The Bleston Mystery") e "Il Caso della Zitella Acida" ("Poison in the Parish"); H.H. Stanners e il suo "Com'è Morto il Baronetto?", quasi introvabile in edizione originale; oppure Christopher St. John Sprigg. Di quest'ultimo, in particolare, Polillo ha dato alle stampe i suoi due gialli più famosi, per poi passare il testimone a Lindau il quale, a sua volta, ha tradotto altri tre titoli. Si tratta di libri che, fino a poco tempo fa, erano molto rari da ottenere in lingua inglese; forse a causa del fatto che Sprigg morì giovane e, come Dorothy Bowers, non ebbe il tempo materiale per promuovere a dovere la propria opera, al fine di evitare che essa venisse ingoiata dal vasto numero di gialli che a quel tempo venivano pubblicati. Quindi, la loro ripubblicazione risulta ancor più degna di lode di quanto accadrebbe con altri scrittori; anche perché, pur non essendo capolavori, i romanzi di Sprigg appartengono alla Golden Age e, di conseguenza, presentano enigmi deliziosi e ricchi di ironia, con personaggi divertenti ed ambientazioni esotiche. Solamente il suo ultimo sforzo letterario, "Sei Oggetti Misteriosi" (Edizioni Lindau, 2019), si differenzia dalla norma. Esso, infatti, venne pubblicato postumo, dopo che il suo autore adottò una convinta fede politica rigorosa e severa, per cui presenta una visione più cupa della realtà, un'umorismo nero molto spiccato e l'analisi di alcuni temi da un punto di vista tutt'altro che imparziale. In ogni caso, con questo non intendo affatto sminuire la qualità dell'opera; essa affronta argomenti interessanti e presenta comunque un racconto suggestivo, mostrando ancora una volta come il thriller possa essere accostato alla detection classica.

"Seduta Spiritica" di Giuseppe Bossa Kiniggia
La trama di questo romanzo si articola a partire dalla curiosa e inaspettata offerta di lavoro che Michael e Bella Crispin, fratello e sorella impegnati in una sorta di "ricerca" scientifica, rivolgono a Marjorie Easton, una giovane apprendista dattilografa. La ragazza, la quale mal sopporta di dover ancora condividere la propria vita con lo zio bisbetico e ha intenzione di coronare al più presto il sogno d'amore che condivide con il suo fidanzato, Ted Wainwright, sembra essere proprio la persona adatta a occupare il posto di assistente di Michael, tanto da venire letteralmente abbordata in una sala da tè per vedersi proporre di diventare loro socia, senza dover fornire alcun tipo di referenza, ma solo a causa della sua somiglianza con una certa Renée de Varennes. Dal canto suo, Marjorie è un po' dubbiosa: non capisce cosa vedano in lei i Crispin, per dimostrarsi così entusiasti nel caso decidesse di accettare la loro offerta, ma soprattutto sente che deve esistere qualche imbroglio in una faccenda tanto insolita. Infatti, il salario appare troppo sostanzioso per un semplice incarico da segretaria, e le garanzie per la sua assunzione appaiono tali da destare i suoi sospetti. Certo, la possibilità di acquisire una posizione ben pagata, che la impegnerebbe solo per poche ore del giorno e le permetterebbe di passare più tempo con Ted, la tentano come non mai. Tanto più che lo zio ha velatamente suggerito di allontanarla da casa. E poi, in fin dei conti, i Crispin le sono sembrati rispettabili, anche se un po' eccentrici. Lui, ad esempio, ha un aspetto fisico un po' sgradevole, parla pochissimo e ogni tanto assume un atteggiamento scorbutico; lei, invece, presenta un'aria sottomessa e docile, quasi smorta, ma nel momento del bisogno sembra capace di dimostrare una grande praticità. Peccato solo che non abbiano voluto sbilanciarsi troppo sulla natura dei loro studi...

Indecisa e incuriosita dal loro comportamento riservato, Marjorie decide di fare un sopralluogo al n. 7 di Belmont Avenue, dove i Crispin alloggiano, prima di decidere se accettare o meno il posto. Il colloquio con i padroni di casa, tuttavia, si rivelerà fonte di ben più di una sorpresa: laggiù, infatti, dove le stanze sono piene di specchi, strani mobili e drappi per oscurare le finestre, la ragazza scoprirà che Michael agisce come medium, per sedute spiritiche che attirano un gruppo di individui uno più strano dell'altro, mentre Bella si occupa dell'andamento domestico. E quando Marjorie, affascinata dai riti e fiduciosa di poter contare sulle capacità dei Crispin per contattare la madre defunta, si risolverà a mettere da parte i pregiudizi e ad accettare la loro proposta, si innescherà una lunga serie di guai: innanzitutto, la pressione delle sedute porterà la ragazza sul ciglio di un esaurimento nervoso, tanto da spingerla a chiede l’aiuto di uno dei partecipanti ai riti spiritici, il dottor Wood; ma soprattutto, ben presto si verificherà una morte impossibile, la quale implicherà Ted, intrufolatosi nella cerchia degli adepti dei Crispin per scoprire come mai Marjorie sia cambiata in così poco tempo. Toccherà all'ispettore Morgan il compito di sbrogliare la matassa, scacciare gli incubi che si sono addensati sul n. 7 e trovare le risposte che servono per risolvere l'enigma dell'omicidio e per spiegare la presenza, in un cassetto della scrivania della vittima, di sei oggetti misteriosi e insoliti.

Immagine del Grande Sciopero del 1926, a Londra
Tra i romanzi gialli di Sprigg, "Sei Oggetti Misteriosi" spicca in modo netto in mezzo al gruppo. Più che una detective novel tradizionale, esso appare come un qualcosa di sperimentale, una commistione di generi diversi, alla maniera di "Svanita nel Nulla", a cui viene accostato un enigma imbastito in modo da rappresentare una visione della realtà che definire pessimistica risulta quasi riduttivo. Poco prima di scrivere questo libro, infatti, l’autore aveva fatto proprio il severo idealismo marxista; quindi esso non presenta più la spensieratezza caratteristica dei gialli precedenti, ma in qualche modo intende farsi mezzo di diffusione dell'inflessibile credo comunista, usando un tono serio come accadde anche nelle opere di narrativa di Douglas e Margaret Cole, i quali si impegnarono a fondo per affermare il più diffusamente possibile la causa del loro Partito. Il fulcro centrale della narrazione di questo romanzo di Sprigg, in particolare, verte sugli effetti nefasti che l'interesse per i fenomeni immateriali sortisce sulla mente delle persone comuni e dei deboli, traviandola dall'affidabile materialismo predicato dalla sua nuova fede politica in favore di un "mondo spirituale", che ha come scopo quello di confondere e opprimere l'individuo, spingerlo a lasciarsi manovrare dal Sistema e a credere in cose che, in realtà, sono futili e inconsistenti. Si trattava di una battaglia, portata avanti in modo manifesto dal Partito Comunista ancor prima del famoso Sciopero Generale del 1926, che occupava le prime pagine dei giornali ed interessava più o meno tutta quanta la popolazione della Gran Bretagna; per cui Sprigg, deciso a promuovere la causa comune ai suoi compagni, si convinse a scrivere una crime story per dare un'ulteriore spinta alle innovative convinzioni che si andavano diffondendo tra la gente. E per mettere bene in luce la netta differenza tra la “sua” visione della società rispetto a quella degli avversari, non trovò di meglio che ideare una vicenda con cui scagliarsi contro lo spiritismo che furoreggiava in quegli anni, usandolo come capro espiatorio.

Quella dei riti per il contatto con i morti era una vera e propria mania, nata in America nel corso dell'Ottocento e diffusasi in seguito anche in Inghilterra, dove aveva fatto grande opera di proselitismo; soprattutto tra il 1914 e il 1930, quando la perdita di numerosissime vita nelle guerre mondiali indusse non solo il personale sanitario nei campi di battaglia, ma anche i familiari sopravvissuti delle vittime a cercare conforto nelle sedute attraverso cui parlavano con i cari defunti. In un paese scosso dalle conseguenze del conflitto a livello nazionale (non per nulla si parla di "Shell Shocked Britain"), non sorprende che in molti facessero affidamento in tali pratiche al fine di "aiutarsi a sollevare l'onere del dolore sopportato [...] sia a diffondere la "verità" della comunicazione spirituale". E stupisce ancora meno il fatto che molti personaggi pubblici avvalorassero i riti, come ad esempio Arthur Conan Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes, attirandosi in questo modo le ire di cattolici e anglicani, i quali accusarono i medium di essere ciarlatani aggressivi; di medici, che consideravano la faccenda come una minaccia che avrebbe favorito lo sviluppo delle psicosi, ed infine proprio dei marxisti. Nell'ottica di questi ultimi, lo spiritismo era raffigurato come uno strumento attraverso cui manovrare gli emarginati e i deboli; una messa in scena che implicava la corruzione morale e andava contro tutti i principi. "Un tentativo di sfruttare gli alienati [...] lo stanno facendo un po’ dappertutto a Londra, se per alienati non intendiamo solo quelli dichiarati tali, ma anche chi ha una mente più o meno debole, i disadattati o chi è emotivamente sconvolto per un grave lutto" osserva a riguardo Sprigg, nella parte finale di “Sei Oggetti Misteriosi”. Quindi, questo aperto attacco allo spiritismo deve essere interpretato come un'accusa consapevole da parte del comunismo contro l'influenza dei cosiddetti "poteri forti" (o "superfurfanti", come li definisce Sprigg nel romanzo). Grazie all'utilizzo di un linguaggio scarno e fatto di nozioni precise, l'autore mette in luce come non ci sia nulla di davvero suggestivo o spiritoso nelle allucinazioni di Marjorie, nelle sedute cui la ragazza partecipa e nella figura di Michael Crispin, come invece avviene in altri romanzi gialli della Golden Age, quali "Un Messaggio dagli Spiriti" di Agatha Christie e "Veleno Mortale" di Dorothy L. Sayers. E non sottolinea affatto il ruolo positivo dei riti spiritici nello smascheramento dei colpevoli: spesso, infatti, questi venivano adottati dagli investigatori al fine di influenzare personaggi suggestionabili; nel suo romanzo, invece, Sprigg conferisce loro una funzione del tutto diversa, quali meri espedienti per fare pressione sulla psicologia degli associati e indurli alla pazzia, così da eliminarli dalla società in quanto incapaci di intendere e di volere (a questo proposito, è significativa la descrizione della vita in manicomio ai capitoli 9, 10 e 11).

Con la storia di Marjorie, egli intende dare un monito al lettore: a partire dal desiderio della ragazza di un'esistenza romantica, lontana dalla monotonia di tutti i giorni, sviluppa pian piano una serie di vicende che intendono illustrare come sia più sicuro (e quindi preferibile) affidarsi a uno stile di vita basato sulla fiducia che deriva da fatti concreti e non da parole e promesse vuote. Ad esempio, viene più volte sottolineato come l'incontro tra Marjorie e i Crispin sembri studiato a tavolino (pp. 20-21); viene messo in evidenza il modo apparentemente affabile attraverso cui i due fratelli conquistano la fiducia della ragazza (pp. 53-55); vengono ribaditi gli inutili tentativi di Ted di riportare Marjorie "sulla retta via", in seguito al contatto con il mondo dello spiritismo (pp. 59-62), come pure il fatto che la ragazza appaia sempre più succube dell'influenza dei Crispin dal momento in cui Ted non costituisce più un punto fisso nella sua vita (pp. 70-73). Sprigg suggerisce che anche l'accettare il supporto di personaggi che ce lo offrono per puro spirito di carità (quali Mrs Threpfall e del dottor Wood) è qualcosa di cui bisogna diffidare, poiché non sappiamo quali possano essere i loro fini reali. Insomma, con questo romanzo Sprigg mette in rilievo come sia pericoloso affidarsi a un mondo che, attraverso facili inganni e speranze illusorie, può cambiare radicalmente la nostra personalità, attuando con fredda crudeltà una sorta di "lavaggio del cervello", e suggerisce che solo la guida di persone consapevoli può "guarire" chi si è assuefatto al "mondo spirituale" tanto odiato dallo stalinismo (vedasi p. 274). Tenuto conto di tutto ciò, dunque, quella di "Sei Oggetti Misteriosi" risulta una storia più complessa di quanto appaia a prima vista: non è soltanto un romanzo ibrido, con una prima parte costruita sul tipo del giallo tradizionale e una seconda impostata più sul genere thriller, ben intrecciate tra loro e caratterizzate da un'accurata gestione della suspense (pur tenendo conto che purtroppo non esiste fair-play e che la spiegazione dei sei oggetti misteriosi non è forse così centrale nella trama); è un libro che, sotto sotto, descrive la società del suo tempo e i cambiamenti che in quel momento erano in atto.

Christopher St. John Sprigg, nato
nel 1907 e morto nel 1937
Lo stesso Christopher St. John Sprigg, negli ultimi anni della sua vita, prese parte ad alcuni importanti avvenimenti della Storia. Nato nel 1907 a Putney, nella zona sud-ovest di Londra, dopo aver lasciato la scuola a quindici anni, a causa del licenziamento del padre dalla redazione del Daily Express, egli divenne prima giornalista per lo Yorkshire Observer, ed in seguito direttore di un giornale per conto proprio: l'Aircraft Engineering, una testata che si occupava di aviazione, argomento del quale lui era un grande appassionato. Lettore voracissimo, versatile romanziere, scrittore di poesie e opere teatrali, oltre che di trattati filosofici, scientifici, critici e ovviamente romanzi gialli, all'età di 27 anni Sprigg si appassionò alle teorie marxiste ed iniziò a studiarle a fondo, segnando la sua vita nel bene e nel male. Impiegò un decennio prima di pubblicare, sotto lo pseudonimo di Christopher Caudwell, il suo primo saggio a riguardo, "Illusione e Realtà", dove accostava la sua visione della società a quella dell'impegnata cerchia di poeti guidati a W.H. Auden; nel frattempo, tra un volume di poesie e un saggio sugli aerei, tra il 1933 e il 1937 si dedicò alla pubblicazione di sette crime novels, la maggior parte caratterizzate da uno stile brillante e personaggi vivaci che gli procurarono gli elogi di altri colleghi quali Dorothy L. Sayers (con la quale intrattenne uno scambio di corrispondenza per un breve periodo), Michael Innes e Nicholas Blake. Con quest'ultimo condivise l'impegno sociale e politico nel campo della narrativa: oltre a "Illusione e Realtà", infatti, avrebbe dato alle stampe ancora molti manuali e testi di critica in questi ambiti. Peccato che non ne avrebbe visto nessuno: a partire dal 1934, l'attivismo politico iniziò a consumarlo lentamente, tanto da capovolgere le sue idee riguardo le opere fittizie fino a considerarle come "spazzatura" da buttare giù solo per i soldi. Le opere più importanti, secondo lui, erano i tomi pesanti e seri sulla teoria del comunismo. Inoltre, l'attivismo per conto del partito e l'intenzione di lavorare attivamente per la sua Causa lo spinsero a recarsi, nel 1936, fino in Spagna, dove guidò un'autoambulanza e si fermò in modo stabile per essere di supporto ai compagni. Fu laggiù che, un anno dopo, venne ucciso il primo giorno della battaglia di Jarama, nonostante i disperati tentativi del fratello Theodore di convincere il segretario del partito comunista di richiamarlo in patria; ormai si era perso nella sua guerra personale, ma perlomeno morì combattendo per qualcosa in cui credeva con passione.

Lasciò in eredità ai posteri una grande quantità di opere di vario genere, ma al giorno d'oggi le più ricordate sono quelle appartenenti al genere della crime story: "Omicidio a Kensington" (1933), "Omicidio in Fleet Street" (1933), "L'Alibi Perfetto" (1934), "Morte di un Aviatore" (1934), "The Corpse with the Sunburnt Face" (1935), "Death of a Queen" (1935) e "Sei Oggetti Misteriosi" (1937), che ho recensito quest'oggi. I suoi personaggi sono sempre vividi e descritti a tutto tondo: ad esempio, Marjorie Easton, da tipica ragazza ingenua e un po' credulona, evolve dalla propria condizione di disperazione, dopo aver sperimentato incubi terribili ed essere stata sull'orlo dell'esaurimento nervoso, in una donna che ha preso coscienza di sé e che "ha imparato la lezione" (p. 274). L'ispettore Morgan, da investigatore per nulla fantasioso, sperimenta l'esperienza di confrontarsi con un caso insolito e si scopre capace di immaginare abbastanza per riuscire a risolvere l'indagine che gli è stata affidata. Ted, alter ego dell'autore, supporta Marjorie nel suo processo di evoluzione e le permette di raggiungere una vita felice. Queste tre figure condividono la scena all'interno del romanzo, affiancati dalla coppia dei Crispin, astuti, strani e insinuanti, ma anche molto affascinanti (una delle caratteristiche di Michael mi ha sorpreso non poco). Lo stile e la descrizione della ambientazioni, infine, danno un tocco di irrealtà alla vicenda, come se fossimo immersi in una sorta di incubo ad occhi aperti, dove la crudeltà la fa da padrone e l'oscurità può inghiottire le persone quasi senza che esse possano ribellarsi. Tutto ciò ho ricavato dalla lettura di questa prova letteraria, interessante ed insolita nel suo insieme all'interno del panorama della classica crime story. Sono i risvolti psicologici e mentali ad interessare l'autore, insieme alle sollecitazioni che vengono dall'esterno e influiscono sul ruolo in società dell'individuo. Grazie al tono cupo e a volte venato da uno spiccato umorismo nero, tutto ciò appare claustrofobico e minaccioso; è proprio un peccato che un autore come Sprigg, dotato di un raro talento nella narrazione e di uno stile tanto brillante, sia morto così giovane; se fosse vissuto e avesse deciso di allontanarsi dal marxismo, forse avrebbe potuto allietarci con altre storie. È proprio vero che le guerre sono deleterie per l'umanità.

P.S. Questo post è dedicato alla memoria di Marco Polillo, scomparso dopo che io avevo già scritto l'introduzione che trovate in cima alla pagina. Grazie ancora per tutto quello che hai fatto per il giallo in Italia.

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venerdì 13 settembre 2019

8 - "L'Insospettabile" ("The Unsuspected", 1946) di Charlotte Armstrong

Copertina dell'edizione pubblicata
nei Classici del Giallo Mondadori
n. 1391
Come ho osservato nella recensione di "Svanita nel Nulla" di Ethel Lina White, fin dai primi decenni del Novecento il sottogenere letterario delle women in jeopardy ha annoverato numerose discepole femminili tra gli ammiratori della sua formula, e ha riscontrato un largo consenso soprattutto in America. Proprio in questo Paese, infatti, esso era nato dai romanzi gialli di Mary Roberts Rinehart, con le sue infaticabili zitelle o fanciulle innamorate che rivivono i pericoli in cui sono incorse attraverso la filosofica frase "Se Solo Avessi Saputo...!", e nel corso degli anni ha saputo giungere a una piena evoluzione grazie all'opera di una nuova leva di autrici più o meno abili e originali, le quali, seguendo la strada tracciata dalle pioniere della suspense come Rinehart e la sua illustre collega Anna Katharine Green, hanno mantenuto con rispettosa deferenza i tratti fondamentali che le loro ispiratrici avevano stabilito, ma allo stesso tempo hanno impresso un marchio personale ai propri thriller, esaltando l'uno o l'altro di quegli stessi topos a seconda del proprio estro creativo e necessarie esigenze e iniettando linfa fresca alla crime story americana. Attraverso tale processo di innovazione, infatti, scrittrici come Mignon G. Eberhart, Helen Reilly e Dorothy Cameron Disney hanno operato grandi cambiamenti e prodotto molteplici risultati nel giallo delle "donne in pericolo", in modo tale che esso si è pian piano sviluppato dal circoscritto ambiente delle infermiere-segugio e degli aristocratici fino a comprendere un campo d'azione più vasto, spesso medio-borghese, popolato da personaggi meno artificiosi che vivono situazioni inattese e affascinanti, pur in qualche modo simili tra loro, e ha potuto conoscere un periodo di grande splendore; almeno finché la società non ha iniziato a cambiare punto di vista e l'attenzione si è spostata sul racconto della realtà di ogni giorno, con toni decisamente meno romantici.

In ogni caso, prima che ciò si verificasse inevitabilmente con il mutare dei tempi, queste donne risolute e talentuose riuscirono ad imporsi all'attenzione del pubblico e a radunare attorno a loro un largo numero di appassionati (tra i quali posso essere contato anch'io). E se la celebrità ha arriso più ad Eberhart e Reilly e ai loro detectives, senza dubbio una certa fama come autrice di suspense psicologici è riuscita ad ottenerla pure Charlotte Armstrong, della quale oggi recensisco "L'Insospettabile" (Classici del Giallo Mondadori n. 1391, 2016). Ripubblicato l'anno scorso in lingua originale dai tipi di Penzler Publishers, questo romanzo presenta i principali elementi del giallo delle women in jeopardy, tra cui la presenza della fanciulla in pericolo, dell'eroe che la salva, del "cattivo" subdolo e astuto che vuole dividerli e un'ambientazione familiare simile a un nido di serpi. A tutto ciò, tuttavia, Armstrong aggiunse uno studio mirato del tema della menzogna, delle sue manifestazioni e di come essa possa apparire verosimile quando inscenata da talentuosi artisti della finzione, e concentrò ancora una volta la propria attenzione sull'indagine dei sentimenti dei suoi protagonisti dal punto di vista psicologico ed emozionale, legandola agli enigmi puri del giallo americano, come aveva già sperimentato con la serie di MacDougal Duff. In questo modo, riuscì a tratteggiare i personaggi in maniera più veritiera del solito e, agli occhi del lettore, diede loro maggior spessore di carattere, infondendo un'impronta originale alla storia e, a lungo andare, al genere stesso di cui ho sopra discusso.

Scena tratta dal film "The Unsuspected", tratto dall'omonimo
romanzo
Tutto inizia con l'incontro in un ristorante di due persone, una signorina chiamata Jane e un giovanotto di nome Francis i quali, come si scoprirà, nonostante abbiano quasi la stessa età, sono zia e nipote. Sembrano una coppia come tutte le altre: lui è appena tornato dall'esercito, stanco e abbattuto dagli orrori della guerra; lei è una moglie affettuosa e premurosa. Eppure, fin da subito scopriamo che, dietro gli affettuosi saluti che si scambiano tra loro, si cela l'ombra di un pesante lutto: Rosaleen Wright, fidanzata di Francis e intima amica di Jane, si è da poco impiccata nello studio del suo principale, il famoso regista teatrale Luther Grandison. Ha lasciato un biglietto, come accade di solito, e le apparenze del caso, insieme alle testimonianze degli abitanti della casa, raccontano una storia che, per quanto triste, ha soddisfatto la polizia e i giudici. Anche Francis ha ormai affrontato la realtà: si è costretto a mettere il cuore in pace, e ha accettato di incontrare di nuovo la zia soltanto per capire il motivo del gesto estremo di Rosaleen. Tuttavia, Jane non ha risposte da dargli; anche lei non riesce a comprendere cosa abbia spinto la sua amica a togliersi la vita. Tutto quanto è assurdo, inspiegabile: la nota d'addio non sembra nemmeno scritta da lei, tanto lo stile è pretenzioso e ridondante, e i sottintesi nell'ultima lettera che la poveretta le ha scritto lasciano intendere che avesse dei progetti per il suo futuro con Francis. In compenso, però, Jane ha avuto l'opportunità di vedere di persona il grandioso Luther Grandison, quando si è recata con una cugina a Dedham per prendere in carico le spoglie di Rosaleen, e non si può proprio dire che quello le abbia fatto una buona impressione.

Certo; tutti conoscono l'uomo che ha messo in scena I morti non parlano, con Lilian Jellico, e il suo aspetto è apparso come quello che ci si sarebbe aspettati; però qualcosa non tornava nella sua aria tragica, da commediante, che sembrava studiata a tavolino per fare scena, tanto da indurre la ragazza a fingere di non essersi potuta recare fin laggiù e chiedere per sé, sotto falso nome, il posto lasciato vacante dalla sua amica. Francis, spazientito, non riesce a capire dove voglia andare a parare sua zia e teme di star perdendo il proprio tempo; finché Jane non cattura la sua attenzione accennando al sospetto che Rosaleen sia stata deliberatamente uccisa da Grandison. Il giovanotto è del tutto spiazzato da questa ipotesi: come avrebbe fatto un vecchio come quello a compiere un delitto del genere? Quale può essere il movente, e che prove ci sono a sostegno di questa tesi? In effetti, osserva Jane, gli elementi per incriminarlo scarseggiano; eppure, nella sua ultima lettera, Rosaleen ha accennato a un comportamento sospetto nel celebre drammaturgo, legato all'amministrazione del patrimonio di Mathilda (una delle sue protette, annegata di recente). Se avesse temuto di essere scoperto, Grandison non avrebbe esitato a servirsi del suo talento per la menzogna, acquistato grazie allo stretto rapporto col mondo delle maschere teatrali, al fine di convincere una giovane come lei a compiere certi gesti, prima di finirla. Inoltre, lui è un appassionato di delitti, e vanta di conoscere un individuo che può essere annoverato tra gli Insospettabili, ovvero coloro i quali hanno compiuto un crimine terribile e sono riusciti a scampare alla punizione. Che stesse parlando di sé? Pian piano, Francis si fa convincere dagli argomenti di Jane e, insieme a lei, decide di ideare un piano per smascherare Luther Grandison: la ragazza lo sosterrà in incognito grazie alla posizione privilegiata di segretaria del celebre drammaturgo, mentre lui fingerà di essere il marito vedovo di Mathilda e si impegnerà a raccogliere qualche prova concreta dell'assassinio di Rosaleen. Tuttavia, l'inaspettato ritorno di Mathilda nella casa di Grandison complicherà i loro progetti e le relazioni tra i personaggi; e quando sembrerà che le cose stiano finalmente volgendo al meglio, qualcun altro morirà e la situazione degenererà, in un crescendo di tensione che avrà il suo culmine in una scena di forte impatto alla discarica del distretto.

Copertina dell'edizione pubblicata da
Penzler Publishers
Con la pubblicazione di "L'Insospettabile" nel 1946, Charlotte Armstrong riuscì a far decollare sul serio la sua carriera di giallista, iniziata con la serie di MacDougal Duff. Probabilmente, la causa del considerevole successo di questo romanzo è da attribuirsi al fatto che esso presenta una sorta di struttura divisa in due parti, in cui la prima, più lenta, vede l'introduzione del "suicidio" di Rosaleen e la presentazione dei personaggi, con una graduale descrizione delle loro personalità e una maggiore concentrazione su ciò che pensano; mentre la seconda racconta in modo più frenetico e con grande enfasi le fasi del "risveglio" di Mathilda dal senso di torpore, in cui è caduta dalla rottura del suo fidanzamento con Oliver, e la sua ricerca della verità attraverso azioni pragmatiche e tutt'altro che passive. In quegli anni, infatti, lo schema del giallo di suspense prevedeva che la tensione fosse presente fin dall'inizio, impostata attraverso le atmosfere notturne o il racconto di minacciosi individui che si aggiravano nella notte; qui, invece, non viene subito percepita l'accentuata sensazione di essere precipitati in una storia in cui è in atto un'oscura macchinazione, ai danni della fanciulla di turno, ma si prova l'impressione di essere sospesi in un limbo inquieto, dentro la testa dei personaggi, e di leggere le loro sensazioni come se si trattasse di libri aperti. Si tratta di un espediente che era già stato usato dalle pioniere della crime story delle women in jeopardy per tratteggiare le figure delle loro protagoniste, ma che non era stato ancora esteso a tutti gli altri attori del dramma e messo in pratica con tale attenzione; Armstrong, invece, capì la forza del raccontare le vicende attraverso più punti di vista "interni" e sfruttò questo elemento per generare suspense in modo differente dal solito. Decise di soffermarsi in profondità sulle reazioni emozionali degli uomini e delle donne che inventava e muoveva a bacchetta, sforzandosi di far loro esprimere pensieri attinenti al modello reale cui si riferivano e rinunciando allo schema tradizionale per mettere in atto qualcosa di nuovo: concentrarsi sui legami, gli istinti e tutto ciò che i personaggi sentivano e provavano, quasi come se fossero quelli i "veri" enigmi che bisognava risolvere per capire come e perché un crimine fosse successo.

Fu un'intuizione significativa che, in sintesi, le permise di sviluppare una narrazione in cui l'indagine psicologica era sì presente fin dall'inizio, come avveniva negli altri gialli appartenenti a questo genere, ma in un primo momento essa si stemperava per farci meglio comprendere le cause che muovevano i protagonisti, in modo tale da trasformare il caso che seguiva in una diretta conseguenza dei moventi nascosti nella psiche; e tutto ciò senza rinunciare a generare tensione. Così, come Dorothy Cameron Disney e Helen Reilly fecero rispettivamente con stile e ambientazione, anche Armstrong innalzò un elemento del giallo (i soggetti) al di sopra degli altri: giocò con le percezioni e gli stati d'animo; dapprima dando spazio anche agli indizi fisici, come in "Un Cadavere al Giorno", in seguito concentrandosi sulla pura suspense. A partire da "L'Insospettabile", infatti, si percepisce un'evoluzione del mystery legato al ragionamento deduttivo-psicologico "alla Philo Vance" della serie di MacDougal Duff, dove le prove trovano significato solamente se accostate al comportamento dei personaggi, in un tipo meno pragmatico (se così si può definire) in cui conta l'esame dell'anima umana; un po' come se il famoso "sesto senso" avesse finalmente trovato una collocazione e un ruolo adeguato per poter influire sulla cattura di un criminale. L'attenzione per i sentimenti non tocca soltanto i personaggi, ma si riflette sullo stile, tanto nebuloso da apparire quasi confusionario, sulle ambientazioni, viste quali amplificatori di sensazioni, circondate da un alone di mistero simile a una nebbia dorata e immerse in un senso di pericolo incombente che rispecchia l'odio represso, e nello sviluppo dell'enigma e del tema principale sul quale ruota l'intero romanzo: la menzogna. Analizzata a fondo, con le sue molteplici sfaccettature, gli inganni sottili, le maschere sovrapposte, essa è il catalizzatore che scatena le tempeste, un mezzo che permette di influenzare ciò che le persone pensano, tanto da convincerle e manovrarle, e viene personificata nella figura più affascinante e angosciante di tutte; ovvero, quella di Luther Grandison. Appassionato di delitti celebri (come spesso avviene nei gialli classici), drammaturgo, egli può vantare trascorsi teatrali utili alla sua natura distorta, oltre a una reputazione rispettabile, che lo proteggono dai sospetti e gli sono d'aiuto per manovrare gli altri. Grazie alla sua arte affabulatoria, riesce a capovolgere le accuse che gli vengono rivolte come se per lui fosse naturale quanto respirare; può usare la manipolazione delle emozioni di quanti gli stanno attorno per scatenare crisi oppure per sollevare difese a proprio vantaggio; può dire qualunque cosa, anche improbabile, e sarà creduto più di un estraneo come Francis; può esagerare con le sue manovre, tanto gli altri penserebbero a una reazione della sua personalità drammatica, come se fosse un'espressione dei sentimenti e non qualcosa di calcolato, e crederebbero che nessuno potrebbe essere tanto sfacciato da mentire in modo tanto plateale. Addirittura, Francis risulta più sospettabile di essere un bugiardo a causa delle sue accuse a Grandison, che se lo stesso Grandison fosse davvero colpevole.

La menzogna, grazie al talento del drammaturgo, diventa una sorta di protezione fisica dal sospetto. Ciò sembrerà fin troppo fantasioso, ma in realtà non lo è: in fin dei conti, solo le prove stabiliscono con certezza se uno "lo-ha-fatto" oppure no; al massimo possono esserci pettegolezzi, ma se l'antagonista ha un ego abbastanza grande da sostenere (e sminuire) la situazione e una coscienza immune dai rimorsi, può considerarsi a posto per sempre. Si tratta di quello che la stessa Armstrong definisce, a pagina 16, come "Insospettabile": "Io conosco un uomo di questo tipo. [...] che ha commesso il più grave e il più interessante dei delitti, l'omicidio, e che non è mai stato sfiorato dal minimo sospetto. No, vive da anni con la maschera che porta per noi che dobbiamo avvicinarlo per le sue incombenze quotidiane, eppure ha ucciso. [...] Io lo so. Avrei fatto meglio ad aggiungere che anche le autorità lo sanno. Ma, ahimè, non c'è nulla che possa costituire una prova legale. [...] Vedete, con tutta la nostra intelligenza, noi non sappiamo come strappargli la maschera dal viso. Anzi, se io facessi il suo nome, lui potrebbe appellarsi alla legge e farmi condannare per calunnia. [...] Oh, sono in mezzo a noi. [...] Ci sono non soltanto delitti che non hanno trovato soluzione, ma anche delitti di cui mai nessuno ha sentito parlare, delitto ignoti... [...] Ci sono uomini e donne che sono scesi nella tomba senza che si facesse il minimo chiasso attorno al loro nome". In un certo senso, Grandison costituisce il prototipo del criminale perfetto, quello che "gioca a fare Dio" (p. 57) e che nella realtà si incontra pochissime volte e che gli autori della Golden Age come Anthony Berkeley (come dimenticare il dottor Bickleigh di "L'Omicidio è un Affare Serio"?) hanno provato a dipingere di volta in volta. Ognuno l'ha fatto a modo proprio, sondando con attenzione la mente traviata del suo cattivo attraverso l'ideazione di delitti all'apparenza perfetti; in questo caso, grazie alla formula dell'inverted story applicata al thriller e al superbo sviluppo del tema della menzogna, con "L'Insospettabile" Armstrong riesce a far entrare ancor più facilmente il lettore nel labirinto degli istinti e delle pulsioni costituito dai pensieri di Grandison (e degli altri personaggi), così che egli riesca appieno a comprendere non solo i conflitti interiori degli uomini e delle donne nell'America dei primi del Novecento, ma anche come sia facile, per chi è davvero abile, influenzare l'opinione di ognuno attraverso la menzogna; come se si trattasse di una sorta di "sfida spirituale" tra un mostro, che ha dalla sua la fortuna, e chi lo combatte, che deve spesso sforzarsi per farsi valere su un destino che sembra già scritto.

Charlotte Armstrong Lewi, nata nel 1905 e morta
nel 1969
Il concetto di "sconfiggere il Fato avverso" rappresenta uno dei nodi principali nei romanzi di Charlotte Armstrong Lewi, della cui vita si sa ben poco. Nata nel 1905 a Vulcan, nel Michigan, figlia di un ingegnere minerario, dopo gli studi e la laurea ottenuta al Barnard College iniziò a lavorare come giornalista, per poi passare alla scrittura di opere teatrali, per una compagnia che aveva fondato lei stessa, in seguito al matrimonio con Joseph Lewi. L'insuccesso in questo genere la indusse in breve tempo a cambiare registro e a cimentarsi nella crime story, dove esordì con il romanzo "Un Cadavere al Giorno" il cui protagonista era MacDougal Duff, un segugio dilettante ed ex-professore di storia che apparirà anche nei due gialli successivi. La serie presentava tutte le premesse per continuare a lungo e con un discreto successo; eppure, per ragioni sconosciute, essa venne accantonata, assieme al suo eroe, e dal 1946 Armstrong iniziò a progettare mysteries in cui le protagoniste erano donne. Giovani o anziane, nel ruolo di detectives oppure di vittime, esse costituivano tasselli di trame intricate e dai risvolti psicologici molto profondi, spesso caratterizzate da incursioni nei meandri delle menti dei personaggi e da sviluppi legati alla sfera emotiva; e nella maggior parte dei casi, da gentili donzelle in pericolo, le sue eroine assumevano nel finale ruoli che rimettevano in discussione i costumi che rivestivano della società del tempo. Proprio a partire da "L'Insospettabile" (per il quale l'autrice trasse ispirazione dai suoi trascorsi nel mondo del teatro), infatti, Armstrong iniziò a mettere in risalto il tema del Destino all'apparenza segnato, che rompeva lo schema adottato nei libri con Duff, grazie al quale le protagoniste vivevano una situazione di stallo e di insoddisfazione personale che, nel corso della narrazione, sfociava in una maggiore presa di coscienza di sé, in modo da mostrarsi meno disposte ad attenersi a ruoli inerti e apatici.

Da questa concezione della posizione della donna all'interno della società, l'autrice sviluppò un tipo di una narrativa che assunse una forte componente femminista, dove la famiglia giocava molte volte un ruolo negativo: in "Grazie per la Cioccolata", ad esempio, analizzò l'idea della difficile accettazione della parità dei sessi e, soprattutto, la rivalità tra parenti-serpenti a causa della gelosia e dell'odio; in "Mischief", Nell è causa della propria fortuna e della propria rovina grazie alle precedenti influenze della propria cerchia familiare; in "The Turret Room" la protagonista finalmente si è emancipata e si guadagna da vivere, però agli occhi della società ha ancora bisogno della protezione costituita dai tutori, che la osteggiano e tentano di corromperla. La soluzione, sembra suggerire Armstrong, è quella di evolvere per sopravvivere: la donna deve fare proprie le idee tradizionali e svilupparle in chiave moderna, e portò avanti questa convinzione anche nei romanzi seguenti, tra cui vanno ricordati "A Dram of Poison" (il quale vinse l'Edgar come "Migliore Romanzo" nel 1957) e "The Protégé". Allontanarsi dalla famiglia borghese, ancorata al passato e quindi malata, per costruire il proprio avvenire con fiducia in se stessi deve essere una priorità; anche Mathilda in "L'Insospettabile" compie un percorso simile. Il rapporto esistente tra lei e Grandison avrebbe finito per causarle un profondo conflitto interiore e malattie mentali (vedasi pp. 23-31 e 54-56, per esempio), fino a portarla alla distruzione, se non avesse incontrato Francis: la mente deviata del suo tutore l'aveva soggiogata (significativa la metafora dell'ago e della cera a p. 61, anche se applicata a un altro contesto), l'aveva convinta di non essere bella, di essere amata solo per il suo denaro, di essere considerata seconda in rapporto ad Althea (creata e distrutta a sua immagine e somiglianza, innalzata a dea ma ancora troppo umana da possedere desideri irrealizzabili), di essere caduta nelle trame di Francis perché sciocca, di non fidarsi di nessuno perché la gente mente, di stargli vicino perché solo lui la poteva capire. Il potere di Grandison (ed indirettamente di questa famiglia malata) viene espresso perfettamente da lui stesso in un passaggio del capitolo 19, alle pp. 106-107: "C'è qualcosa nella mia casa. Non puoi vederlo, naturalmente. Non puoi sentirlo. I cinque sensi non bastano a fartelo intendere, ma tu lo avverti lo stesso. È la Morte, credo. Non la Morte che ci è familiare, quella che viene a tempo debito per i vecchi e gli ammalati. Questa è la Morte che affascina. La Morte che è come un nero amante. Non vedi, anatroccola? [...] C'è un'attrazione, un impulso irresistibile. Ti è mai capitato, Tyl, di fermarti sull'orlo di un precipizio e di avvertire l'impulso di buttarti giù? [...] È la stessa cosa. Attrazione. Impulso. Che differenza c'è? Qualcosa vuole che tu ti butti giù e la faccia finita".

Con queste parole, Armstrong vuole mettere in guardia dalle influenze nefaste di chi circonda i suoi personaggi; non solo Mathilda, ma anche Jane e Francis sono in difficoltà. Eppure c'è un messaggio di speranza, alla fine: tutti loro riescono a far fronte alla situazione di disagio in cui si trovano (meraviglioso il confronto tra Mathilda e Jane alle pp. 138-141 e 169-173); persino la protagonista, da donna indifesa e insipida, acquista carattere, fiducia, forza d'animo, voglia di riscatto, e riesce ad affrancarsi dai suoi nemici, grazie alle esperienze e prove che la fanno crescere ed evolvere di pari passo con lo stile, da "impressionista" a sempre meno vago man mano che la storia prosegue. E qual è l'elemento di svolta, il motore di tale cambiamento? L'Amore, ovviamente, legato alla Fiducia; che salva non solo Mathilda, ma anche Jane dalla disperazione per il cugino e Francis dal dolore per la perdita di Rosaleen. Che proviene soprattutto da chi scegliamo di avere vicino. Il rapporto creato tra i due amati costituisce la proverbiale "ciliegina sulla torta" in una storia di cui, come accadde per "Mischief" e "Grazie per la Cioccolata", venne realizzato un film nel 1947, e che permise a Charlotte Armstrong di avviare una luminosa carriera che la portò, alla morte avvenuta nel 1969, a pubblicare nel corso di trent'anni un corpus di romanzi tale da ricevere la lode di numerosi colleghi, tra cui il critico e romanziere Anthony Boucher. Fu una scrittrice dal tratto vivido, atmosferico; usò il genere delle women in jeopardy per esplorare enigmi che andavano al di là del mondo fisico, per indagare il comportamento e i desideri degli uomini e delle donne. Aveva una grande considerazione del giallo tensivo: "Le persone che non leggono mai [storie di suspense] tendono a definirle tutte "mera evasione". [...] Se suppongono che un romanzo di suspense sia facile da fare e quindi in qualche modo economico, dovrebbero provare a farlo" osservò una volta; pertanto costruì intrecci molto curati, in cui le sensazioni dei personaggi erano gli unici elementi capaci di squarciare il velo della mistificazione, intessuto dagli antagonisti. Come se suggerisse che solo i sentimenti guidano l'uomo e gli permettono di vedere veramente, al di là del mondo onirico in cui si ritrova, dove le azioni si confondono, nulla è chiaro e i fantasmi dei rimpianti vagano senza meta. A me pare un bellissimo messaggio, che mi trova d'accordo.

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venerdì 6 settembre 2019

# - Aggiornamenti dall'Approvvigionatore Letterario (Settembre 2019)

Con la fine dell'estate, ecco a voi un nuovo appuntamento con "L'Angolo dell'Approvvigionatore Letterario". L'arrivo dell'autunno e l'accorciarsi delle giornate ci invogliano sempre di più a restare dentro casa, magari a leggere i libri che abbiamo accumulato durante i mesi più caldi, e che cosa c'è di meglio di un buon giallo per passare il tempo? Tanto più che si prospetta una stagione ricca di novità e di ristampe gradite. Quindi, bando agli indugi e diamo il via a questa nuova carrellata di titoli in arrivo.

Copertina di "Sei Oggetti Misteriosi"
pubblicato da Lindau
Per prima cosa, il 29 agosto (ovvero la settimana scorsa) Lindau ha pubblicato "Sei Oggetti Misteriosi" di Christopher St. John Sprigg. Si tratta del terzo volume di questo scrittore che la casa editrice torinese manderà in stampa, dopo "Morte di un Aviatore" e "Omicidio in Fleet Street", stavolta senza il nostro amato Charles Venables, giornalista di cronaca e investigatore dilettante. Evidentemente questi ultimi hanno avuto fortuna e, quindi, auspico che anche gli altri due inediti dell'autore ("The Corpse with the Sunburnt Face" e "Death of a Queen") saranno resi disponibili nella nostra lingua quanto prima. Per quanto mi riguarda, l'ho già ordinato in libreria visti i commenti letti in giro per Internet: viene descritto come "una complessa miscela di giallo, thriller e poliziesco combinato con sfumature occulte", oppure come un romanzo claustrofobico, con una storia dai colpi di scena bizzarri simili a quelli di un incubo ad occhi aperti. Insomma, sembrerebbe un po' diverso dalla "solita" crime story; l'aspettativa da parte mia, come penso si capisca, è molto alta.

Copertina di "Il Mistero della Vetreria"
pubblicato da Le Assassine
Per Le Assassine, invece, dal 30 settembre sarà disponibile "Il Mistero della Vetreria" di Margaret Armstrong. L'avevo già annunciato nel nostro scorso appuntamento, e adesso finalmente anche in Italia potremmo godere di una traduzione di questo romanzo che, già da qualche tempo, aveva suscitato la curiosità degli appassionati di giallo classico. Nel lontano febbraio 2012, infatti, l'esperto Curtis Evans aveva recensito questo titolo (qui la sua analisi) e, in seguito, si era adoperato affinché esso venisse ripubblicato in lingua originale (come è avvenuto nella collana "Lost Crime Classics" della Pepik Books); un tale sperticato elogio da parte sua, che se ne intende, vorrà pur significare qualcosa. In sintesi, si tratterebbe di un tipico giallo classico, con una tale signorina Trumbull come segugio dilettante (alla maniera della Miss Marple di Agatha Christie) che si reca in una villa di campagna come ospite di una vecchia compagna di scuola. Laggiù sono presenti anche altri parenti e congiunti, come la cugina Phyllis e Leo Ullathorne, noto artista del vetro. Tutto sembra andare per il meglio, finché non accade la proverbiale disgrazia: nel forno del laboratorio dove si producono le vetrate artistiche di Leo vengono trovati dei resti che all'apparenza sembrano appartenere a un essere umano. La conclusione a cui si arriva è che siano quelli del padre dell'artista, un uomo (ovviamente) gretto e sgradevole, e che il responsabile sia Leo; tuttavia Miss Trumbull non è convinta dalla teoria dei poliziotti e decide di indagare per conto suo. Questo romanzo è stato giudicato come appartenente al genere delle "Signorine Omicidi" americane, quelle della scuola "Se-avessi-saputo"; tuttavia le premesse fanno pensare che possa piacere un po' a tutti gli appassionati del genere giallo.

Copertina di "Goodnight Irene" di
James Scott Byrnside
Fin qui per quanto riguarda le uscite in lingua italiana. Infatti, da questo appuntamento, ho deciso di introdurre anche alcune menzioni speciali per uscite in lingua inglese. Posso immaginare che non tutti siano dei lettori tanto accaniti o esperti; eppure, trovo che in alcuni casi si sia costretti da forze maggiori ad adattarsi a questa soluzione. Mi spiego meglio, elencandovi i titoli che voglio prendere in esame.

Dando un'occhiata in altri blog sulla crime story classica, ad esempio, mi sono imbattuto in due libri che mi hanno ricordato immediatamente i romanzi di John Dickson Carr; ovvero, "Goodnight, Irene" e "The Opening Night Murders" di James Scott Byrnside. Si tratterebbe di veri e propri omaggi al Maestro della Camera Chiusa, con delitti impossibili avvenuti su di palcoscenici o davanti a un pubblico intero, che hanno ottenuto recensioni molto positive, per non dire entusiaste, e che meriterebbero di essere conosciuti di più. Il problema, però, è che questi due libri (e un terzo che uscirà a maggio 2020) sono stati pubblicati dall'autore stesso, senza l'appoggio di un grosso editore che possa provvedere a un battage pubblicitario massiccio o ad agenti incaricati dei diritti per l'estero; quindi, la possibilità di vederli tradotti nel nostro Paese è pressoché inesistente (anche se, da parte mia, mi auguro di essere presto smentito). Per questo motivo ho voluto segnalarveli anche se sono solo in lingua inglese; meglio prenderli così, che aspettare invano.

Copertina di "It Walks by Night"
pubblicato dalla British Library
E la stessa cosa, anche se un po' differente, vale per l'imminente ripubblicazione di "It Walks by Night", ovvero "Il Mostro del Plenilunio", da parte della British Library Crime Classics. Si tratta di un'edizione prestigiosa (copertina meravigliosa), tanto più che questo titolo non vede la luce da molti anni, poiché comprende anche il racconto "The Shadow of the Goat", di cui si è occupato come sempre l'inossidabile Martin Edwards e che vi segnalo con calore perché, a detta di alcuni esperti che ho letto negli ultimi tempi, probabilmente non verrà mai pubblicata in modo integrale in Italia. Certo, da noi esistono le versioni dei "Classici del Giallo Mondadori"; però si tratta di traduzioni parziali o addirittura errate (pare che ci sia un'inesattezza nella descrizione del luogo del delitto), che non competono assolutamente con l'originale integro. Da parte mia, l'ho già messo in lista tra i volumi da comprare.

Infine, una notizia che ho raccolto proprio stamattina. Gli eredi di Agatha Christie pubblicheranno una nuova raccolta di racconti della Signora del Crimine, dal titolo "The Last Séance", che comprenderà tutti i racconti del sovrannaturale scritti dalla Nostra. La data è quella del 24 settembre, secondo il sito di Harper Collins. Sembrerebbe l'ennesimo tentativo di far cassa, dopo la concessione a Sophie Hannah del personaggio di Hercule Poirot e delle recenti trasposizioni cinematografiche e televisive delle opere della Christie; la "novità" sta nel fatto che, a quanto pare, tra le altre ci sarà una breve storia mai pubblicata negli Stati Uniti, ovvero "The Wife of Kenite". Interessante, come ogni libro della zia Agatha.

Copertina di "The Last Séance"
di Agatha Christie
Detto ciò, vi auguro un autunno pieno di letture gialle. Al prossimo appuntamento!

Link ai titoli consigliati su Libraccio:
"Sei oggetti misteriosi" di Christopher St. John Sprigg;
"Morte di un aviatore" di Christopher St. John Sprigg;
"Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg;
"Il mistero della vetreria" di Margaret Armstrong.

Link ai titoli consigliati su IBS:
"Morte di un aviatore" di Christopher St. John Sprigg;
"Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg;
"Sei oggetti misteriosi" di Christopher St. John Sprigg;
"Il mistero della vetreria" di Margaret Armstrong;
"The last seance" di Agatha Christie.

Link ai titoli consigliati su Amazon:
"Morte di un aviatore" di Christopher St. John Sprigg;
"Omicidio in Fleet Street" di Christopher St. John Sprigg;
"Sei oggetti misteriosi" di Christopher St. John Sprigg;
"Il mistero della vetreria" di Margaret Armstrong;
"Goodnight Irene" di James Scott Byrnside;
"The Opening Night Murders" di James Scott Byrnside;
"It Walks by Night" di John Dickson Carr;
"The Last Séance" di Agatha Christie.