venerdì 10 luglio 2020

38 - "C'è un Cadavere dall'Avvocato" ("Smallbone Deceased", 1950) di Michael Gilbert

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore

Per me, il mondo della legislatura e della burocrazia è (e probabilmente rimarrà) un mondo ignoto e nebuloso. Pur avendo una mente logica, non sono mai riuscito a cogliere tutte le sfaccettature che caratterizzano la Legge e ad apprezzare il piacere nell'individuare cavilli e memorizzare frasi fatte, come alcuni invece fanno. Ad esempio, qualche anno fa ho provato a preparare un concorso per bibliotecario, per il gusto di tentare una strada diversa e mettere a frutto i numerosi anni in cui ho fatto volontariato in un ente pubblico: ebbene, dopo un mese di sforzi e mal di testa, ho deciso di rinunciare all'impresa, di fronte alla mia evidente incapacità di assimilare concetti espressi in un linguaggio astruso e assurdamente complicato. Finché si è trattato di concentrarsi su concetti che potevano essere espressi in altre parole, tutto è andato bene; è stato quando le definizioni hanno assunto un tono pomposo e al limite dell'indecifrabile che le cose si sono complicate. Forse il rifiuto di memorizzare non era dovuto solo al modo in cui erano state presentate le nozioni (immagino che tutto ciò sia un retaggio della tradizione, la quale vedeva il linguaggio giudiziario come qualcosa di riservato a pochi eletti, e quindi giustificato nel suo essere "elevato" fino all'esasperazione); forse si trattava di una predisposizione naturale che qualcuno nutre nella propria natura e modo di essere, oppure c'entrava il fatto che la mia esperienza come volontario di biblioteca non fosse stata del tutto caratterizzata da aspetti positivi, diminuendo così il mio interesse in ciò che studiavo.

In ogni caso, per quanto mi riguarda, questo sistema per tramandare i concetti appare ancora oggi tutt'altro che comodo e appetibile, per cui credo proprio che i dubbi piaceri della legislatura resteranno lontane ombre sul mio percorso di vita; eccezion fatta, ovviamente, nel momento in cui si tratta di imbattersi in essi durante la lettura di un romanzo giallo. Perché se c'è qualcosa che, contro ogni previsione, è riuscita ad avvicinarmi all'arcano sapere della solenne compilazione di atti notarili e della redazione di testamenti, e a provocare in me un genuino interesse, è stata proprio la crime story classica. Come abbiamo visto, all'interno di questo genere letterario, spesso vengono affrontati argomenti che non ci si aspetterebbe mai di trovare: dall'innovativo tratteggio del ruolo della donna, in tempi ancora relativamente oscuri (vedasi "L'Inquilino del Piano di Sopra" di Harriet Rutland), a temi considerati tabù ancora oggi, come l'omosessualità e l'amore platonico; dalla descrizione minuziosa della vita di città e campagna, tra scandali piccoli e grandi che potrebbero verificarsi ai nostri giorni ("Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers è un ottimo esempio), al resoconto puntiglioso di eventi storici come in "La Figlia del Tempo" di Josephine Tey, il mystery ci permette di immergerci in contesti disparati ma attinenti alla realtà, di "vivere" i ruoli dei personaggi come se fossimo loro stessi, in un linguaggio accessibile a tutti e trasmettendoci così una sorta di conoscenza diretta di quanto andiamo a leggere. Quando si tratta di giustizia, poi, il tradizionale romanzo giallo offre un vasto campionario di situazioni, e il mondo della legislatura e della Legge inglese occupa da sempre un posto molto importante all'interno del genere.

Forse, il motivo di questo successo è dato dal fatto che sono tantissimi gli autori provenienti da questo emisfero a me quasi sconosciuto, che si sono dedicati sia alla professione forense sia alla narrativa fittizia: oltre al famoso Erle Stanley Gardner, ideatore delle avventure dell'avvocato americano Perry Mason, ci sono il britannico Cyril Hare, con i suoi romanzi basati su questioni concernenti aspetti poco conosciuti della Legge inglese, come "Un Delitto Inglese", e in tempi più recenti il critico Martin Edwards, il quale ha iniziato conducendo una doppia carriera di avvocato e scrittore, per poi abbandonare la prima in favore della seconda. Costoro sono senza dubbio grandi esperti di legislatura e burocrazia, avendo conseguito studi approfonditi ed esperienze sul campo, e sanno per certo quello di cui parlano; per cui, quando ci apprestiamo a leggere qualche libro scritto da questi autori, mettiamo insieme la capacità del giallo classico di catapultarci con semplicità nelle situazioni che esso descrive e le conoscenze che ci trasmette chi lo scrive. Credo sia questo il motivo per cui, anche se mi imbatto in una questione legale complessa dentro una storia del mistero, riesco comunque a provare interesse riguardo a questioni che, se affrontate al di fuori della finzione, mi annoierebbero. Uno degli esempi più chiari di questa "magia" messa in atto dal classico romanzo giallo è costituita da un libro scritto da un altro celebre esponente di questi scrittori "dalla doppia vita": il britannico Michael Gilbert, infatti, nel 1947 diede vita a "C'è un Cadavere dall'Avvocato" (Polillo Editore, 2004), una storia deliziosa che racconta alla perfezione come dovesse essere la vita all'interno di uno studio legale della City di Londra, mettendo in mostra l'attività di un avvocato attraverso l'uso di termini specifici pur senza stufare chi legge. In mezzo alla frenetica redazione di atti e testamenti, infatti, troviamo un vivace ritratto di quella caotica quotidianità che caratterizza ogni ufficio che si rispetti, tra gossip e gelosie professionali; con l'aggiunta di un mistero astuto, che soddisfa allo stesso tempo l'appassionato di crime e l'occasionale lettore.

Piccadilly in Rain by Frederic Marlett Bell-Smith
(1846-1923), raffigurante uno degli scenari di "C'è un Cadavere
dall'Avvocato"
La storia inizia descrivendo una pomposa cena in un prestigioso ristorante di Londra, durante la quale sono stati riuniti i soci e i dipendenti del celebre studio legale Horniman, Birley & Craine e dei suoi satelliti minori. Accanto alle personalità più dimesse delle sedi di periferia e fuori città, spiccano quelle delle persone che quotidianamente si trovano a contatto con i capi dello studio; eppure, da alcune settimane si percepisce un grande vuoto nelle file della compagnia. Il fondatore storico della firma, Abel Horniman, è deceduto per cause naturali mentre si trovava alla sua scrivania di Lincoln's Inn, e la serata indetta per rinsaldare i contatti tra i dipendenti viene sfruttata come pretesto per celebrare il defunto egregio, con tanto di discorsi soporiferi e commenti sarcastici sotto i baffi. Seduto al suo posto, il giovane Henry Bohun ascolta gli uni e gli altri con pari interesse, poiché è appena arrivato ed è intenzionato a farsi un'idea più chiara possibile del campo in cui si è immerso. Con un passato da ricercatore statistico, si è dedicato agli studi di giurisprudenza e adesso è riuscito ad ottenere una sorta di apprendistato da Horniman, Birley & Craine, dove intende iniziare a costruirsi una carriera di tutto rispetto... sempre che ciò gli venga permesso. Fin dalle presentazioni con gli altri partecipanti alla festa, infatti, percepisce una sorta di scala sociale; niente di troppo snob, sia chiaro, però il fatto di essere l'ultimo arrivato si fa un po' sentire. Ovviamente Bohun ha già incontrato Birley (un vecchiaccio acido e ipocondriaco) e Craine (un tizio lascivo che si diverte a flirtare con le giovani segretarie) quando è stato assunto. Gli altri colleghi non sono da meno, in quanto a stranezze: il più affabile sembra essere John Cove, il braccio destro di Craine, un giovanotto tutto sarcasmo e cinismo che si impegna più a intrattenere brevi relazioni con le ragazze dello studio che a lavorare, e considera la sua esperienza come dipendente di una noia mortale; Eric Duxford, da parte sua, appare flemmatico e fin troppo sfuggente, dal momento che si vocifera si assenti spesso dal lavoro da un momento all'altro. Il nuovo socio della ditta, Bob Horniman, si presenta come un ragazzo nervoso e più che deciso ad appoggiarsi alla solida signorina Cornel, la segretaria del suo defunto padre, una donnetta pratica ed efficiente che mette in ombra il suo operato. Chiudono il gruppo le altre segretarie (la signorina Chittering, dedita al benessere dell'irritabile Birley; la signorina Bellbas, che tenta di sfuggire alle grinfie di Craine e Cove; e la signorina Mildmay, avvenente famme fatale dall'animo focoso alle dipendenze di Duxford) e un paio di uscieri/archivisti i cui uffici si trovano nei sotterranei dello studio.

"Una strana fauna" pensa Bohun, mentre torna a casa; "proprio quel tipo di ricettacolo in cui si mescolano odi e gelosie e possono scoppiare bombe da un momento all'altro". Infatti, già dal mattino seguente, in ufficio tira un'aria tesa: Bob Horniman viene redarguito da Birley riguardo un ritardo sulle verifiche di un fondo affidato al defunto Abel. Come mai nessuno si è preoccupato di rintracciare l'altro fiduciario del Fondo Ichabod Stokes, a cui è stato affidato mezzo milione di sterline? Eppure il signor Smallbone, un piccoletto viscido con la cattiva abitudine di scovare scandali all'interno della vita degli altri e renderli pubblici, nonostante si renda spesso irrintracciabile quando serve, si presenta puntuale a movimentare la vita da Horniman, Birley & Craine. Mentre vengono mobilitati mari e monti alla sua ricerca, si decide di dare un'occhiata agli incartamenti del fondo... con la conseguenza di inciampare nel suo cadavere, chiuso ermeticamente nella scatola destinata ai documenti relativi a Ichabod Stokes. Come egli possa essere finito lì dentro è un mistero; tanto più che il contenitore in cui è stato rinvenuto il cadavere si trovava nell'ufficio appartenente al defunto Abel Horniman, integerrimo esempio di avvocato sul quale non sembra essersi mai posato alcun sospetto di natura criminale. La faccenda, quindi, risulta molto imbarazzante per la gente che lavora da Birley, Horniman e Craine; sia perché un'ombra di dubbio viene a gettarsi sul buon nome dell'azienda, ma anche perché sembra proprio che nessuno al di fuori del defunto possa aver perpetrato il delitto, e calunniare un morto non è mai una bella cosa da fare. Tuttavia, ben presto le indagini dell'ispettore Hazlerigg (coadiuvato dall'aiuto ufficioso di Bohun) iniziano a suscitare nuovi sospetti... In un lento crescendo di tensione, inframmezzato da un altro delitto e dagli scontri-incontri tra i dipendenti dello studio legale, la faccenda si complicherà ancora di più, tra somme che non tornano e frivoli discorsi su borsette di coccodrillo e presagi funesti delle stelle; finché la verità non verrà alla luce e il colpevole si ritroverà a pagare una salata parcella.

Copertina dell'edizione inglese pubblicata
dalla British Library Crime Classics

È sempre un piacere immenso, quando capita di imbattersi in un classico romanzo giallo come "C'è un Cadavere dall'Avvocato". Questo tipo di mystery è il mio preferito in assoluto, poiché riesce a trasmettere al lettore una quantità di suggestioni e di aspetti della vita di inizio e metà Novecento, in modo vivace e ironico, che ben poca altra letteratura è stata in grado di tramandare. Una volta, P.D. James disse: "Puoi apprendere molto di più circa i costumi sociali dell'epoca in cui un giallo è stato scritto, di quanto tu possa fare dalla narrativa più pretenziosa". Non potrei essere più d'accordo con questo giudizio. A mio parere, infatti, il romanzo del mistero riesce a consegnarci un ritratto dettagliato e veritiero della società, degli usi e costumi, della vita e delle concezioni che si erano affermate (o lo stavano facendo) nel momento in cui esso si sviluppò in quella che viene definita come la sua "Golden Age", pur senza dare l'impressione di voler istruire e forzare il lettore ad apprendere. Questo è un discorso che è valso soprattutto quando ho presentato "Sotto la Neve" di J. Jefferson Farjeon, "Il Segreto delle Campane" di Dorothy L. Sayers oppure "L'Occhio di Osiride" di Richard Austin Freeman; ma potrebbe essere applicato pure all'insospettabile "Chi ha Ucciso Charmian Karslake?" di Annie Haynes, libro molto più ridimensionato degli altri tre titoli. Ognuno di essi racconta qualcosa e lo fa a modo suo: uno si sofferma sull'atmosfera misteriosa e rarefatta che aleggiava nelle case signorili di una volta, un altro sulla descrizione della vita nella campagna inglese tra gioie e dolori, un altro ancora sul rapporto tra due individui, immersi nella società vittoriana di una Londra che è scomparsa ma sopravvive nel ricordo tramandato. Nel suo piccolo, pure il libro di Haynes tratteggia una società stratificata in livelli sociali, popolata di individui aristocratici, arrampicatori che partono dal basso per raggiungere potere e gloria, e umili popolani che si accontentano della propria mediocrità. Tuttavia, fino a questo punto mi era capitato di imbattermi soltanto in questi "mondi" che, pur rappresentando un metro di giudizio attinente alla realtà del loro tempo, restano in qualche modo relegati a un passato che è irrimediabilmente antiquato (ad eccezione, forse, del romanzo di Sayers, poiché esistono ancora oggi realtà contadine come quella dei Fens).

Questa caratteristica peculiare della narrativa del mistero nel riportare in vita ciò che è trascorso attraverso piccoli gesti quotidiani, come la compilazione di un diario giornaliero, oppure con la rappresentazione del complesso rapporto tra conoscenti, fatto di inchini formali, parlandoci di un'epoca ormai cancellata dal passare del tempo, non si era mai spinta oltre. Giallisti quali lo stesso Freeman, ma anche Hare per restare in tema legislativo/notarile, si erano limitati a preservare questa eredità preziosissima e a farcela rivivere davanti ai nostri occhi, evitando che andasse dimenticata; il ché non è poco, sia chiaro. Nel romanzo di Gilbert, però, ho notato un aspetto davvero straordinario della storia che lui ci ha raccontato: ovvero, la capacità degli eventi (delittuosi e non) di poter essere trasportati e “vissuto” ai giorni nostri con ancor più naturalezza del solito. Mi spiego meglio. Molti di voi avranno qualche esperienza di come si lavora in un ufficio, pubblico o privato che esso sia. Conoscerete di sicuro il clima che di solito si respira in certi ambienti: le difficoltà a fare in modo che tutti vadano d'accordo, le gelosie professionali e i sottili sotterfugi attraverso i quali ognuno fa il proprio gioco e tenta di avvantaggiarsi sui colleghi, le pugnalate alle spalle e i pettegolezzi che vengono diffusi per screditare il prossimo, e molto altro ancora dovrebbero esservi in qualche modo familiari (se così non fosse, beati voi!). Ecco, la vicenda tratteggiata in "C'è un Cadavere dall'Avvocato" ricalca in pieno l'atmosfera di competizione e di doppiogiochismo che si respirerebbe in qualsiasi ente che più o meno chiunque di noi ha sentito sulla propria pelle (pp. 21, 25-30, 37-38, 48-56, 86-90, 113-120, 124-127, 134-150, 157-163, 176-178, 189-191, 202-203, 279-284). Ed è stata scritta nel 1950, più di mezzo secolo fa! Capirete quindi cosa intendo quando dico che, a mio modesto parere, il romanzo giallo classico riesce più di qualunque altra cosa nell'impresa titanica di trasportare ai giorni nostri quei microclimi che appartengono al passato.

Non si tratta di episodi accaduti nella realtà, altrimenti saremmo testimoni di innumerevoli delitti quasi perfetti e sarebbe un po' scoraggiante; però la finzione diventa uno strumento che trasferisce nel nostro presente qualcosa che è a tutti gli effetti reale, dal momento che noi ci identifichiamo nei personaggi e nelle situazioni che essi popolano e animano. Eppure, nel suo libro più di altri, Gilbert riesce a compiere il miracolo di rendere eterne le vicissitudini che si verificano attorno alla scoperta del cadavere di Smallbone; non soltanto, quindi, a tratteggiare un mondo reale che avremmo potuto "vivere" nel passato, se solo ci fossimo trovati in uno studio legale di Lincoln's Inn del 1950, ma addirittura uno che potremmo toccare con mano al giorno d'oggi, qualora decidessimo di servirci dell'opera di un pari di Horniman, Birley & Craine. In "Lord Peter e L'Altro", Sayers si è impegnata a tratteggiare l'immagine di un'agenzia pubblicitaria come Benson's con altrettanta cura di quella impiegata dal nostro esperto legale in "C'è un Cadavere dall'Avvocato"; eppure, nonostante tutta la sua abilità e competenza, non è riuscita a slegare questo luogo dal periodo storico in cui ha ambientato il suo libro. Gilbert, dal canto suo, ha invece reso immortale la creazione di Abel Horniman con un racconto tale da poter essere interpretato in qualunque epoca seguente alla sua pubblicazione. Forse ciò è dovuto al fatto che il tema principale su cui si snodano gli eventi, la legislatura e la redazione di atti, non sia cambiato più di tanto da un secolo a questa parte. Chi lo sa? In ogni caso, con "C'è un Cadavere dall'Avvocato" ci troviamo davanti a una storia che risulta sempre attuale, grazie alle strategie che il suo autore ha messo in atto.

Infatti, non solo abbiamo una descrizione della vita all'interno di uno studio legale, e la rappresentazione dei rapporti che si vengono a creare quando numerose personalità si ritrovano a condividere spazi chiusi in comunità, ma anche l'inserimento di scene di vita vivaci e ironiche, che magari non hanno alcun legame con la legge ma riescono comunque a dipingere al meglio quale debba essere l'atmosfera generale, e un fine tratteggio della psicologia di ogni individuo, delineata in modo da far risaltare ogni attore sulla scena e dargli vita propria. Paradossalmente (e questo può essere un punto a sfavore per qualcuno), in un primo momento il mistero sembra passare in secondo piano, rispetto allo sviluppo della vita da Horniman, Birley & Craine e alla dettagliata descrizione dell'operato della società. Tuttavia, io sono convinto che il caso debba gran parte del suo successo proprio all'attenzione che l'autore ha messo nel mostrare come fosse tribolata l'attività di un avvocato; l'indagine acquista ancora più spessore grazie alla trattazione veritiera e interessante dell'opera dei soci.

Michael Gilbert, nato nel
1912 e morto nel 2006

D'altro canto, non ci saremmo potuti aspettare niente di meno da un autore capace e versatile come Michael Gilbert. Nato nel 1912 a Londra, egli è stato uno dei massimi esponenti del giallo all'inglese e, come se questo non bastasse, pure un rinomato avvocato, capace di distinguersi sia in un campo che nell'altro. La legge e la letteratura furono nel suo destino fin da bambino, poiché era figlio di due scrittori e nipote di Sir Maurice Gwyer, presidente dell'Alta Corte di Giustizia in India, il quale fu la sua personale fonte d'ispirazione. Studiò giurisprudenza fino al conseguimento della laurea, nel 1937, e un anno dopo decise di mettere mano a un romanzo per tentare la carriera di autore; ma lo scoppio della guerra gli impedì di portarlo a termine e lo costrinse a mettere da parte i sogni, a favore di un posto come artigliere per l'esercito inglese. Tuttavia, ancora un volta il destino mise il suo zampino nel percorso del giovane Michael: mentre si trovava internato in un campo di prigionia italiano, egli si imbatté per caso in una copia di "Tragedy at Law" di Cyril Hare, un famoso mystery dove la parte da padrone la faceva proprio la giustizia e l'applicazione della legge, e ne rimase molto colpito. Una volta tornato in patria, infatti, ripensò a quella lettura fatta in Italia e, mentre svolgeva il proprio praticantato come avvocato, mise mano al suo romanzo incompiuto e lo portò a termine per il 1947, quando entrò a far parte dello studio Trower, Still & Feeling, col titolo "Close Quarters". In questo libro fece la sua comparsa l'ispettore Hazlerigg, il personaggio che accompagnò Gilbert per altre cinque avventure, e con esso iniziò la propria prosperosa carriera narrativa, la quale riuscì a conciliare con quella di avvocato scrivendo quasi sempre sul treno che lo portava dalla sua casa nel Kent fino all'ufficio di Londra. Come è naturale, nei suoi gialli una parte consistente della trama ruota attorno all'applicazione e allo svolgimento del ruolo dell'avvocatura: un esempio è dato dalla vicenda di "C'è un Cadavere dall'Avvocato", dove oltre ad Hazlerigg compare anche la figura dell'avvocato insonne Henry Bohun, poi ripreso in alcuni racconti, ma si possono citare pure quelle di "Death has Deep Roots" ("Il Caso Lamartine", "The Crack in the Teacup" e "The Queen Against Karl Mullen". Tuttavia, altrettanto degno di nota resta il resto della sua produzione mystery, che rivela una straordinaria versatilità: "Death in Captivity" racconta di un ingegnoso omicidio avvenuto in un campo di prigionia italiano; "The Etruscan Net" è basato sul contrabbando di oggetti d'arte; "The Night of the Twelfth" ruota attorno al classico delitto nella scuola, con una vena legata alla violenza nel mondo dell'infanzia. Senza dimenticare le numerose raccolte di racconti, come "Game without Rules", giudicata da Ellery Queen come la migliore in assoluto a tema spy dopo "Ashenden l'inglese" di Somerset Maugham, e la coppia dedicata al sergente anglo-spagnolo Patrick Petrella, in gran parte pubblicati pure sulla celebre "Ellery Queen Mystery Magazine".

Insomma, Michael Gilbert è stato uno tra i più capaci autori di romanzi gialli di sempre; si dedicò a lungo pure alla scrittura per il teatro, la televisione, la radio, e mentre si impegnava nel suo ruolo di avvocato (che gli consentì di rappresentare figure importanti come il Partito Conservatore, il governo del Bahrein e Raymond Chandler), vinceva premi su premi, dal Grand Master a Diamond Dagger. Se ne è andato nel 2006, dopo una vita lunga e piena di romanzi diversissimi tra loro. Tuttavia, "C'è un Cadavere dall'Avvocato" resta quello che viene ad oggi considerato come il suo capolavoro, inserito nelle liste delle migliori opere di genere da parte di H.R.F. Keating e Julian Symons. Il punto più forte della sua storia, come ho detto sopra, credo sia la capacità di riuscire a raccontare una vicenda capace di restare eterna nonostante gli anni che passano: potremmo immaginare che essa sia ambientata negli anni '50 del secolo scorso, oppure fare un balzo avanti di vent'anni, o ancora di trenta e accorgerci che, tutto sommato, la magia non si perde. Nella mia concezione, il compito di un avvocato o di un notaio è strettamente legato alla legislazione che, nella maggior parte dei casi, cambia di rado nel corso di un lustro; quindi il tratteggio dell'operato dei dipendenti e dei soci di Horniman, Birley & Craine, con l'assurdità tipica di un ente burocratico (costituito dal Sistema di Catalogazione Horniman) e la frenesia dettata dalla disperazione nello scovare una scappatoia, appare attinente alla realtà dei fatti del giorno d'oggi, pur tenendo conto del fatto che strumenti come stampanti, fax e fotocopiatrici sono entrate a far parte della routine da ufficio. Immagino proprio il socio di turno, occupato allo stesso modo di Bohun o di Craine, mentre deve impegnarsi a sbrogliare una questione legale, ricorrendo a qualche cavillo o al proprio ingegno e a una quantità indescrivibile di termini specifici, oppure nell'atto di scacciare la noia con un bel flirt con la segretaria, la quale probabilmente si farà sentire duramente.

"C'è un Cadavere dall'Avvocato", inoltre, non si limita al racconto veritiero dell'attività professionale degli affiliati allo studio, dimostrando una straordinaria capacità da insider dell'autore di dipingere un mondo ostico come quello dei fondi fiduciari e delle altre faccende burocratiche/legislative, con linguaggio sì complesso e specifico eppure comprensibile dal principiante (pp. 8, 10-12, 14, 16-19, 22-24, 31-34, 45-47, 56, 79, 81-84, 110-113, 123, 131-132, 146, 177-178, 193, 195, 198-202, 213-218, 221-223, 227-237); ma si addentra in una deliziosa e minuziosa descrizione di come dovesse essere la vita quotidiana (anch'essa attinente alla realtà) di un gruppo di lavoro occupato nella City, magari estranea alle questioni notarili. Penso, ad esempio, alle chiacchiere frivole e divertenti e ai battibecchi tra le segretarie, impegnate a scacciare la noia nel corso delle lunghe ore passate a battere a macchina e ad attendere l'ennesima chiamata per stenografare lettere: esse vengono tratteggiate in un modo che non può lasciarci indifferenti e suscita la nostra simpatia, soprattutto nei confronti delle signorine Chittering (angariata dal bilioso Birley, il cui passatempo pare quello di angustiare e tormentare chiunque gli si trovi a tiro) e Bellbas (impegnata ad analizzare l'oroscopo del giorno per mettersi in guardia dalle catastrofi). Oppure mi viene in mente la gelosia professionale tra John Cove ed Eric Duxford, dipinti con un carattere simile ma incapaci di simpatizzare l'uno per l'altro; nella mia personale esperienza, ho visto coi miei occhi qualcosa del genere e vi posso assicurare che niente potrebbe essere più vero di un simile resoconto tra scontri di personalità (per altri esempi, vedasi pp. 41-44, 67-74, 84-86, 91-93, 104-110, 127-130, 133, 164-166, 172-174, 179-186, 196-198, 209-212, 219-221, 223-226, 245-247, 258-264, 267-269, 278-279). Pur essendo un romanzo giallo solido e ben strutturato, mi spingerei ad affermare che il romanzo di Gilbert si potrebbe leggere soltanto per tutte queste piccole digressioni extra-enigma, le quali ci permettono di compiere un approfondito excursus tra episodi ironici e dialoghi talmente vacui da essere perfetti nel mondo della Legge. È questo che lo rende uno tra i più raffinati e astuti romanzi gialli ambientati in ambito legale: la capacità di dipanare la trama in mezzo a qualcosa di miracolosamente tangibile e reale, in bilico tra farsa e serietà. Non per niente, il critico Martin Edwards lo considera IL migliore in questo senso, alla pari con "Tragedy at Law" di Cyril Hare (per un sentito giudizio sull'autore, vi rimando a questo post del blog di Martin). Tuttavia, per alcuni può annoiare il troppo soffermarsi su temi pesanti. Questo influisce sul giudizio finale del romanzo? Affatto, poiché oltre alla riuscita descrizione della realtà di cui sopra "C'è un Cadavere dall'Avvocato" presenta tutto ciò che un appassionato del romanzo del mistero può chiedere; anzi, troviamo pure qualcosa in più. Abbiamo una resa delle ambientazioni magistrale, con il tratteggio di scenari chiaro e affascinante e un'atmosfera che richiama luoghi solidi e reali alla nostra mente, divisi tra allegria e tensione (per es. pp. 67-70, 166-169, 171); uno stile ironico, al limite del sarcasmo, il quale gioca sul dualismo tra l'astrusità del gergo burocratico e la frivolezza delle chiacchiere da gossip, e dà vita a un riuscitissimo matrimonio tra divertimento e serietà soprattutto nei dialoghi impeccabili all'insegna di uno humor accattivante; una rappresentazione dei personaggi azzeccata e, sebbene un po' caotica in un primo momento, approfondita così da permetterci di figurarceli ognuno con la propria spiccata personalità.

Anche questo tipo di descrizione, dove vengono alla luce particolari del carattere che nulla hanno a che fare col caso, contribuiscono a rendere veri e vivaci gli attori sulla scena e a sottolineare il senso di attinenza alla realtà che circonda il capolavoro di Gilbert (basti pensare alle manie di Birley, oppure al fin troppo reale maschilismo di alcuni tra i dipendenti maschi nei confronti delle sottomesse segretarie). In particolare, ovviamente, spiccano Hazlerigg e Bohun, caratterizzati il primo da un'empatia un po' insolita nel "classico" poliziotto da giallo classico e il secondo da una particolare malattia che gli impedisce di dormire per lungo tempo; ma sono soprattutto altri due i personaggi che lasciano il segno nel corso delle vicende. John Cove, da parte sua, si impegna a sottrarre la scena al nostra investigatore dilettante, compiendo azioni al limite della legalità, e a sferzare con i suoi commenti cinici le ipocrisie dei suoi colleghi; il sergente Plumptree, invece, costituisce il modello di agente dedito al proprio compito con la consapevolezza di essere un "pesce piccolo" ma, allo stesso tempo, la convinzione di poter fare la differenza tra il trionfo e la sconfitta della giustizia (e così sarà, infatti). Inoltre, l'attenzione data al lavoro della polizia (pp. 59-67, 101-104, 172, 179-188, 205-209, 212-213, 218-219, 238-242, 249-251) introduce un altro carattere peculiare del romanzo di Gilbert, poiché questo approccio dà vita a una vicenda in cui l'azione è divisa tra l'indagine di Hazlerigg, in forma di police procedural, e quella intrapresa da Bohun nella figura del tipico investigatore dilettante, più vicina alla tradizione. Ci troviamo di fronte a un tentativo di modernizzare un tipo di racconto che, nel 1950, stava iniziando a perdere mordente; e bisogna ammettere che l'autore ha fatto un buon lavoro, tra inserimento di elementi classici come la piantina della scena del delitto e un'attenzione all'innovativa trattazione psicologica della personalità dell'assassino, la quale dà vita a un mistero astuto che soddisfa sia l'appassionato sia il lettore occasionale. Il soffermarsi sulla descrizione veritiera dell'attività della polizia, comunque, si scontra con una certa tendenza a inserire alcuni momenti in cui viene parodiato il genere giallo (pp. 65, 93-97, 100-101, 108, 178-179); anche questo dovrebbe essere indice di cosa Gilbert intendesse costruire con il suo libro: ovvero, una storia che raccontasse qualcosa di attinente alla realtà, magari facendo leva su quegli aspetti che spesso tendono a diminuirne l'importanza e capovolgendoli così da trasformarli in punti di forza. Insomma, "C'è un Cadavere dall'Avvocato" è un romanzo stupendo, che si impegna a tracciare una vicenda che abbia un forte legame con la realtà dei fatti (il tema della Legge e quello della burocrazia, la vita caotica di un tipico ufficio londinese, il compito gravoso e serio della Giustizia incarnata dagli agenti di Scotland Yard, lo scoppiettante carattere dei personaggi) con un certo tono ironico e divertente e il gioco coi meccanismi del genere. Ogni volta che lo rileggo mi viene voglia di studiare diritto privato; poi mi ricordo che tutto ciò non fa per me, ma intanto l'intenzione torna. Anche questa è una delle magie che è riesce a compiere Michael Gilbert.


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