venerdì 27 dicembre 2019

19 - "Sotto la Neve/Morte nella Neve" ("Mystery in White", 1937) di J. Jefferson Farjeon

Copertina dell'edizione pubblicata
dalla Polillo Editore
La poesia e il romanticismo che permeano la classica crime story hanno saputo affascinarmi fin dal momento in cui, una decina di anni fa, mi sono avvicinato a questo genere per la prima volta. A dire il vero, forse sarebbe meglio specificare che mi sono appassionato al giallo classico proprio a causa della sua capacità di riuscire a evocare incantevoli scene appartenenti a un tempo ormai andato, ma ancora suggestive quando esse, durante la lettura, si dipanano davanti ai miei occhi. È questo il potere della nostalgica "sospensione temporale", che ci permette di calarci in un contesto antiquato (ma non ammuffito) e assistere a vicende di straordinaria quotidianità od ordinaria eccezionalità, come se si trovassimo in una favola. Non penso di essere l'unico a subirne l'attrattiva; anzi, sono convinto che ciò si verifichi per ognuno di noi lettori, grazie alla particolare capacità dell'autore di catturare la nostra attenzione e alla presa che le sue parole fanno nella nostra testa. Al di là di un'ambientazione confortevole, infatti, è soprattutto lo stile sognante, che ci avvolge con calore e ci culla tra le sue braccia, a dare originalità al mystery della prima metà del Novecento. Immaginate, ad esempio, una di quelle pensioni in cui è facile imbattersi quando si viaggia per la campagna inglese. L'edificio in sé magari non trasmette alcuna emozione particolare; eppure, uno scrittore abile con le parole potrebbe riuscire ad infondergli un'atmosfera singolare grazie al suo rodato eloquio. Potrebbe spiegare che sono le dieci di sera e che l'oste si è appena congedato augurando la buona notte. Che, nel salottino, il signor X attizza il fuoco del caminetto e appoggia lentamente, sul tavolino accanto alla sua poltrona preferita, il piatto di biscotti appena sfornati che gli è stato offerto e che ha portato con sé. Che, mentre si versa del tè caldo, ha del tutto dimenticato il freddo che preme contro le finestre; nei suoi pensieri c'è posto solo per il calore del fuoco e per il libro che si appresta a leggere. Che, oltretutto, la neve scende fitta sulla brughiera intorno all'ostello e si sentono le campane di una chiesa battere in lontananza.

Ecco, ora davanti a noi si è dipinta una scena forse un po' melensa, ma senza dubbio di grande suggestione e fascino, non solo per l'ambientazione intima ma soprattutto per ciò che trasmette e ci fa provare; una di quelle che trova nel giallo di Natale una carica ancora più potente, in cui il senso di isolamento che traspare da ogni cosa, il mistero si accentua nei silenzi della casa, il contrasto tra caminetti accesi che illuminano abeti decorati e calze appese e le gelide dita della bufera (fuori dalla finestra) e della gelosia (dentro nella stanza) vengono amplificati come se passassero attraverso un megafono. A questo tipo di ritratti ci ha abituato Agatha Christie, imbattibile nel dipingere qualunque cosa con una semplicità allo stesso tempo disarmante e carica di significato; oppure Joseph Jefferson Farjeon, che Polillo ha riportato in auge con coraggio. Lo stile rarefatto e perversamente gradevole di quest'ultimo, il quale mescola gioiosa ironia con un'ombra di dolorosa cupezza, rappresenta perfettamente il terzo elemento che, oltre all'enigma agitato dalle correnti emotive sotterranee (vedasi "Quando L'Amore Uccide"), ai variegati personaggi costretti a convivere in un luogo isolato, con le loro spiccate personalità (vedasi "Natale con Delitto") e all'ambientazione intrigante, caratterizza il "Christmas Murder Mystery". Quindi, colgo l'occasione per recensire il suo "Sotto la Neve" (Polillo Editore, 2008/Lindau Edizioni, 2018, col titolo "Morte nella Neve"); bistrattato da tanti, assieme al resto della sua opera, per la carenza in fatto di enigma e fair-play, quanto capace di evocare lo spirito del Delitto come se si trattasse di una presenza fisica, all'interno di una vicenda in cui giganteggiano un'ambientazione sognante e pregevole, ritratta con un certo senso di drammaticità, e personaggi originali nel loro essere normali. Io provo un affetto profondo per i libri di Farjeon (non per nulla, ho comprato anche l'edizione Lindau di questo titolo!): spero che, una volta finita questa recensione, anche voi possiate comprendere un po' della bellezza della sua opera

Una tipica casa immersa nel bianco della neve, isolata nella
campagna
È la Vigilia di Natale. Sei persone si trovano bloccate all'interno dello scompartimento di terza classe del treno da St. Pancras, nel bel mezzo della campagna inglese, a causa di una furiosa bufera di neve. Jessie Noyes, ballerina di fila, sta dirigendosi a Manchester per ottenere una disperata scrittura; Robert Thomson, impiegato dall'animo romantico e dalla vita monotona, è in viaggio per recarsi da una vecchia zia malata; David e Lydia Carrington, fratello e sorella, sono intenzionati a raggiungere Londra per festeggiare il Natale con alcuni conoscenti; Mr. Hopkins, uno di quegli scocciatori che spesso si incontrano e non fa altro che vantarsi di aver compiuto grandi imprese, apparentemente intende solo infastidire i suoi compagni di sventura; Edward Maltby, membro della Reale Società di Spiritismo, sta dirigendosi al villaggio di Naseby per mettersi in contatto con l'anima defunta di Carlo I. Ognuno di loro affronta la forzata pausa del convoglio come meglio può, immaginando di essere un eroico salvatore oppure facendo delle avances; oppure chiacchierando di fantasmi e spiriti incorporei, mentre sul paesaggio fuori dal finestrino i fiocchi bianchi continuano a cadere senza sosta. All'improvviso, però, Maltby dà l'impressione di scorgere qualcosa al di là del vetro e si getta nel bel mezzo della bufera, con grande sconcerto dei suoi compagni di viaggio. Di lì a poco, stanchi di aspettare, anche il resto degli occupanti dello scompartimento (al di fuori di Mr. Hopkins) decide di seguire il suo esempio, pur di arrivare in una stazione, e si immerge nel bianco vorticare del tardo pomeriggio. Dopo pochi passi, tuttavia, i quattro avventurosi finiscono per perdersi tra i fiocchi di neve che cadono sempre più fitti. La situazione sembra disperata, finché il gruppo non si imbatte per casualità in una grande casa isolata: la porta d'ingresso è aperta, il fuoco è acceso in ogni stanza e il tè è stato appena preparato. I viaggiatori del convoglio sono grati al Destino e si reputano fortunati di aver scampato il pericolo di dover trascorrere la notte nella tormenta...

Tuttavia nessuno sembra abitare tra quelle quattro mura, e ad accoglierli trovano soltanto il quadro di uno strano vecchio che pare osservarli dalla sua tela. Che fine hanno fatto i proprietari e la servitù? E come mai sul pavimento della cucina si trova un coltello da pane? Ben presto ai rifugiati nella casa deserta si aggiungono Maltby e un individuo dall'aspetto minaccioso e pericoloso, il quale afferma di chiamarsi Smith e sembra nascondere molti segreti. Che si stiano preparando grossi guai? Tutto sembra confermarlo, poiché il vento della tempesta non porta solo nuove aggiunte alla comitiva, ma anche un grido disperato dall'esterno dell'edificio... Inizia in questo modo una vicenda strabiliante, in cui porte chiuse vengono riaperte come d'incanto, spettri e fantasmi sembrano aggirarsi tra gli ospiti, sedie e letti traggono in inganno e turbano alcuni membri del gruppo; mentre il soggetto del quadro appeso sopra al camino tiene d'occhio e segue ossessivamente i movimenti degli ospiti della casa. Nel corso della notte più lunga della propria vita, ognuno farà il possibile per scongiurare la cupa e impalpabile minaccia che (questo è certo) si sta avvicinando sempre più; ma alla fine essa arriverà comunque, assieme a una storia complessa e straordinaria, forse rivelata grazie all'aiuto di uno spirito sarcastico simile agli Spettri della "Ballata di Natale" di Charles Dickens.

Ritratto di gentiluomo, simile a quello del vecchio di
Valley House
Come ho detto sopra, benché l'opera narrativa di Farjeon appartenga al periodo della Golden Age del giallo all'inglese, essa è stata fortemente criticata da numerosi lettori a causa della sua parziale differenza di struttura e contenuto, rispetto a quella della "convenzionale" crime story classica. Più di uno, ad esempio, ha osservato come essa sia carente dal punto di vista dell'enigma, adducendo come scusa il fatto che manchi la canonica applicazione del fair-play al rispettivo caso di ogni suo romanzo. Altri, invece, si sono soffermati sul fatto che le sue trame, a differenza di quelle tradizionali, compiano un percorso inverso: partendo cioè da premesse altissime e concludendosi con insulsi finali involuti, in cui lo svelamento del colpevole ha perso qualunque attrattiva e i presupposti non vengono mantenuti. Forse ciò è dato anche dal fatto che, in alcuni casi (come in "Sotto la Neve"), la presenza di elementi che rimandano a libri ben più famosi e celebrati abbia creato errate aspettative in questo senso (come non pensare, sostengono, ad "Assassinio sull'Orient-Express" di Agatha Christie, trovandoci davanti a un treno bloccato dalla neve?), quando in realtà le rispettive storie viaggiano su binari completamente diversi e non pretendono di assomigliarsi in alcun modo. In ogni caso, il risultato che consegue all'analisi di questi elementi conduce purtroppo a freddi giudizi negativi o perlomeno neutrali: i romanzi di Farjeon, infatti, sono stati spesso definiti come "simpatici" o "carini" oppure letture "decisamente meno impeccabili" di altre, a cui si aggiungono commenti sullo scrittore del tipo "non ho ancora capito se lo amo o lo detesto" o "resta un autore dai buoni propositi difficilmente mantenuti". Eppure, c'è qualcosa che colpisce quando vengono menzionati i libri di questo autore: ovvero, il loro grande successo presso la critica del tempo e il pubblico in generale. Mi spiego meglio.

Per cominciare, fin dagli inizi del Novecento, gran parte di questi volumi riscosse moltissimo successo, tanto da indurlo a produrne una quantità enorme (circa ottanta) toccando generi diversi tra loro. Qualcuno può osservare che egli si impegnò a scriverne così tanti perché gli permettevano di guadagnare denaro; tuttavia, se anche fosse, non gli sarebbe stato possibile farlo se le sue storie non fossero piaciute ai lettori. In secondo luogo, inoltre, va contato il fatto che anche in epoca contemporanea Farjeon ha ottenuto un successo inaspettato: nel 2014, quando la British Library Crime Classics decise di pubblicare proprio "Sotto la Neve" come titolo per le feste di Natale, nessuno (nemmeno Martin Edwards, che venne incaricato di scrivere una prefazione alla nuova edizione) poteva immaginare che "Mystery in White" avrebbe venduto in pochi mesi ben 60.000 copie in totale, diventando uno dei bestsellers di quell'anno. E la stessa cosa valse per altri due titoli ("Thirteen Guests" e "The Z Murders"), i quali confermarono il successo che aveva arriso alla sua opera quasi un secolo dopo la pubblicazione. Pure in Italia, dove il giallo non gode di una particolare fortuna o diffusione, i tre romanzi di questo autore pubblicati da Polillo ("La Casa dei Sette Cadaveri", "Gli Omicidi della Z" e questo "Sotto la Neve") devono aver riscosso un piccolo successo; altrimenti ci si sarebbe fermati al primo e si sarebbe puntato su altro. Tutto ciò è significativo, non trovate? Infine, va menzionato il grande rispetto con cui la critica ha sempre trattato i libri di Farjeon: non solo H.R.F. Keating, ma anche Dorothy L. Sayers, tanto rigida con i suoi colleghi quanto era con se stessa in fatto di giudizi, elogiò apertamente i suoi sforzi letterari per l'attenzione agli ambienti, la leggerezza narrativa, la dolcezza nel saper modellare intrecci e personaggi, confessando di esserne un'appassionata lettrice; in epoca più recente, poi, Curtis Evans ha più volte ribadito la propria ammirazione per i romanzi con protagonista il vagabondo Ben, oltre agli altri titoli già citati. Quindi, tutto ciò non vorrà dire qualcosa? Magari che, chi critica negativamente i libri di Farjeon, forse non ha del tutto ragione? Io penso sia così. Infatti, se è innegabile che le loro trame non presentino perfetti congegni ad orologeria come quelle dei gialli della Christie oppure leali partite tra chi legge e l'autore, al modo di quelle nei mysteries di John Dickson Carr, e non serva a nulla nasconderne i difetti, d'altra parte vorrei sottolineare come, in una classica crime novel, l'enigma occupi a mio sindacabilissimo parere una parte tanto importante quanto quella di altri elementi, come l'atmosfera che in esso si respira oppure la resa dei personaggi e ciò che essi riescono a manifestare. Il bello del giallo, insomma, non sta solo nella perfezione dell'enigma (il quale, nel caso dei libri di Farjeon, presenta evidenti mancanze in fatto di fair-play nei confronti del lettore), ma pure nella sua resa generale in fatto di stile e contenuti affrontati. Per alcuni questo discorso non vale; io invece sono convinto di quanto sostengo e voglio spezzare una lancia a favore. C'è molto di più in un giallo di quanto si pensi a prima vista, e "Sotto la Neve" lo dimostra.

Copertina dell'edizione pubblicata dalla
Lindau Edizioni
Prendiamo, ad esempio, l'aura di bizzarra attesa che pervade un po' tutto il romanzo: l'autore si è soffermato su di esso in modo da ricreare un'atmosfera di straordinaria piacevolezza, in cui la suspense del mistero e una grande quantità di interrogativi si mescolano al brio dei personaggi, costretti a vivere situazioni al limite del paradossale ma pur sempre "normali" nella loro ingenuità e disposti a prendere le cose con una certa filosofia. L'ambientazione, con l'immancabile casa isolata dalla neve (in questo caso la coltre bianca arriva addirittura ad ostruire porte e finestre del pianterreno!), è davvero meravigliosa (pp. 7-8, 21-25, 27, 47, 73, 106-107, 171-176, 187-188) e la storia, all'inizio, promette di essere più che scoppiettante, grazie anche a uno stile venato da un sottile humor e da un pizzico di suggestione. Proprio questa concentrazione sugli aspetti del soffuso melodramma del racconto e il volerli mescolare ad elementi della tradizionale crime story all'inglese (come la bufera, la casa isolata, l'investigatore dilettante) rappresenta, secondo me, l'originalità del libro e lo avvicina al "Christmas Murder Mystery": essi danno una marcia in più all'ingegnosità dell'intreccio (forse troppo contorto), inserendosi benissimo in una storia caratterizzata da un ritmo narrativo più lento del solito, ma allo stesso tempo adeguato, il quale permette al chi legge di immergersi in questa favola moderna e di assaporare ogni pagina, senza sentirsi spinto con urgenza ad arrivare alla fine del volume, mentre gli indizi gli vengono rivelati poco a poco nel corso della narrazione e lo accompagnano lungo un percorso tortuoso. Come in "Quando l'Amore Uccide", la psicologia dei personaggi gioca un ruolo di primo piano per comprendere l'enigma nella sua interezza (sebbene lo faccia in modo un po' diverso), e come in "Natale con Delitto" i personaggi covano emozioni contrastanti che di volta in volta minacciano di esplodere ed esercitano un movente nelle loro azioni. A tutto ciò, infine, viene accostato un enigma complesso, che può far provare una certa insoddisfazione a causa delle troppe cose lasciate al caso al momento della soluzione, ma che si pone perfettamente all'interno del filone del thriller di stampo anglosassone di cui fece parte anche l'opera di Ethel Lina White. Un'altra cosa che il lettore manca di notare, infatti, è proprio questa: ovvero che, sebbene l'anno di pubblicazione (1937) e le premesse facciano presagire un racconto in cui la detection tradizionale la fa da padrone, in realtà è la tensione che domina la scena dalla prima all'ultima pagina di questo libro; quella tensione che fece la fortuna delle Regine del Brivido americane e permise pure a White di dare vita a un connubio tra classico e moderno.

In questo modo, dunque, "Sotto la Neve" e gli altri romanzi di Farjeon si pongono meglio tra i mysteries della suspense e del brivido, che nel giallo della più stretta Golden Age; nel primo caso, l'aderenza al gioco pulito e alla perfezione dell'enigma non era stretta come nel secondo, per cui viene a spiegarsi anche per quale motivo questi elementi non siano stati trattati con maggior precisione dall'autore e nelle vicende regni una certa superficialità. Chi si avvicina all'opera di Farjeon, a mio parere non deve aspettarsi né indagini serrate, esami dal punto di vista scientifico oppure interrogatori e rilevazioni specifiche sulla scena del crimine; né romanzi sensazionalistici come quelli buttati già da autori come Sydney Horler o Sapper, in cui vengono esibiti razzismo e xenofobia: qui sono l'intrigante atmosfera pseudo-sovrannaturale, gli aspetti suggestivi ed ingentiliti (tratti dal giallo classico e da quello più psicologico) dei personaggi e la leggerezza della narrazione di fondo, al limite dell'inconsistenza, ad occupare le vicende del gruppo di ospiti improvvisati alla Vigilia di Natale. Questo libro, insomma, non fa per i puristi dell'enigma, ma per chi desidera provare qualcosa di diverso, non disdegna misteri meno curati e ama immergersi in una serie di situazioni in cui la suggestione (pp. 12-15, 34-37, 58-62, 102-106, oltre a cap. 15) riesce ad avvolgerlo; magari ambientate a Natale, quando il fascino e la magia delle feste raggiunge il suo culmine. Poiché io sono assolutamente un romantico, ho amato questa storia dall'inizio alla fine e ho cercato di cogliere il meglio da essa; sfido chiunque a dire che non sia stato un piacere seguire le vicende raccontate capitolo dopo capitolo, in un'atmosfera resa magnificamente e dove la tensione non viene mai a mancare, e tutto sommato credo che esse siano adeguate alle premesse (tralasciando in parte l'enigma, come ho detto sopra) e a loro modo straordinarie nel saper mescolare indagine tradizionale e suggestione, come in pochi altri casi. Su una cosa non ho dubbi: Jefferson Farjeon e la sua opera non lasciano mai indifferenti, nel bene e nel male.

Joseph Jefferson Farjeon, nato nel 1883 e morto
nel 1955
Alla pari dei suoi gialli, Joseph Jefferson Farjeon fu un personaggio insolito per il suo tempo. Nato nel 1883 a Londra, in una famiglia in cui la cultura era di casa (suo padre Benjamin Leopold fu un importante romanziere, sua madre Maggie fu figlia di un noto attore dell'epoca, i fratelli Harry, Eleanor ed Herbert rispettivamente un compositore, un'autrice di libri per bambini e un critico teatrale), studiò in città fino al 1910, quando iniziò a lavorare per la Amalgamated Press, una casa editrice specializzata in riviste umoristiche. Per dieci anni mantenne l'impiego, finché non riuscì a pubblicare il suo primo libro, "The Master Criminal" del 1924. Uomo schivo e mite, "Joe" (come lo conoscevano gli amici) iniziò così la sua carriera di esponente di pregio della Golden Age del giallo anglosassone, benché declinata al thriller piuttosto che al tradizionale mystery deduttivo. Il suo marchio distintivo era l'originalità, tanto che non si fece frenare dalla prolificità (pubblicò circa ottanta volumi, a volte usando lo pseudonimo di Anthony Swift) e, in barba al cliché che vede la produzione forsennata di romanzi come sinonimo di mediocrità, riuscì addirittura a stabilire un ottimo rapporto con la critica (oltre agli autori sopra citati, venne elogiato anche dal drammaturgo americano Paul Wilstach e dallo studioso William Lyon Phelps). Vegetariano e pacifista (il suo "Death of a World" è un'appassionata protesta contro la corsa al riarmo dopo la Seconda Guerra Mondiale), Farjeon si distinse nella moltitudine di scribacchini di mysteries sensazionalistici per la scrittura ingentilita e legata al proprio background familiare. Infatti, oltre ad essere stato un appassionato fotografo e disegnatore di animali buffi (buffi perché li disegnava lui, beninteso), fu sempre molto interessato agli umili; interesse che ereditò da suo padre, al punto di diventare un empatico sostenitore della povera gente, la quale spesso ottiene una rivalsa all'interno dei suoi romanzi. Ad esempio, in alcuni di essi il protagonista è Ben, uno strano vagabondo che risolve casi misteriosi, alla maniera di un prosaico emulo del colto investigatore dilettante della tradizione classica, il quale vide evolvere la propria personalità e diventò uno dei più improbabili detective della sua era. Lo stesso Ben, per giunta, apparve nell'opera più ricordata di Farjeon: l'adattamento a sceneggiatura per Hitchcock della piece teatrale "Numero diciassette". Quest'ultima gli permise di ottenere grande popolarità su entrambe le sponde dell'Atlantico, oltre da aprirgli le porte della collana Collins Crime Club fino al 1955, quando Farjeon morì di cancro a Hove, nel Sussex.

Per allora, l'autore aveva dato alle stampe numerosi e diversi romanzi: tra i più famosi, ricordiamo "The Windmill Mystery" (1934), ambientato presso un sinistro mulino a vento e dedicato alla memoria della madre; "Holiday Express" (1935), che sfrutta il classico delitto in treno per esplorare la figura le giovane ragazzo protagonista; "Thirteen Guests" (1936), in cui avviene un delitto in una casa di campagna durante una tipica festa; "End of an Author" o "Death in the Inkwell" (1938), per il quale Farjeon trasse spunto dalla sua stessa esperienza, in modo da tracciare un complesso caso in cui uno scrittore di thriller e la sua segretaria corrono pericoli di ogni sorta; "The Judge Sums" (1942), in cui l'autore si cimenta nel giallo giudiziario mescolandolo a un caso reale; "La Casa dei Sette Cadaveri", nel quale avviene un inspiegabile delitto di massa, e "Gli Omicidi della Z", dove ci sono sì più omicidi, ma sullo stile della catena da serial killer; oltre ai già citati romanzi su Ben (come "Ben on the Job" del 1952) e "Death of a World". Ognuno di questi libri si distingue per stile, ambientazione e personaggi; e "Sotto la Neve" non fa eccezione. In una vicenda in cui le sensazioni la fanno da padrone, sinistri presagi si accumulano sempre più a formare dubbi e i sospetti aleggiano come spettri tra le pagine, Farjeon dipinge situazioni caratterizzate da un'apparente tranquillità, in cui elementi del quotidiano si trasformano pian piano in inquietanti sintomi di un malessere diffuso e rendono il racconto simile a una favola venata da un pizzico di mistero, sullo stile dei racconti di fantasmi che tanto andavano di moda tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento (pp. 9-10, 58-59, 141, 202, 221). A differenza della narrativa delle Regine del Brivido americane o di sue colleghe britanniche (come Lorna Nicholl Morgan), egli mise insieme tradizione e psicologia senza calcare la mano sulla ricerca di un melodramma spiccato e fine a se stesso, ma piuttosto dando vita a un dualismo in cui il brivido e la tensione vengono soffusi in un racconto più classico, dove la suspense generata ha un impatto meno scioccante sul lettore (pp. 10-11, 29-31, 39-41, 48-49, 74-75, 94-96, 102-103, 115-118, 129-130, oltre ai capp. 17 e 25) e dominano l'idea di destino (p. 189) e una certa galanteria d'altri tempi (p. 122). Al cuore dello stile dell'autore, c'è il confronto della solidità con l'impalpabile e il fantastico, in cui avventure divertenti si affiancano ad oscure minacce che emergono dal passato. Questi è un fattore che gioca un ruolo non indifferente all'interno della storia: esso si affaccia tra le righe ad ogni piè sospinto, inesorabile, impossibile da sradicare, eterno e inscindibile dalla tradizione. Ben poche volte mi sono sentito tanto coinvolto sentimentalmente in un giallo convenzionale ma allo stesso tempo originale, in cui le percezioni non si limitano al campo dell'emozione, ma si estendono alle descrizioni di oggetti e luoghi con tono distinto e intimo e la sospensione temporale ne viene tanto gratificata. Grazie allo stile schietto eppure onirico e piacevole, il quale catapulta il lettore in una vicenda dai tratti irreali, attraversata da una minaccia invisibile (da notare il sogno febbrile di Thomson o la spedizione di David fuori dalla casa) e farcita di digressioni (pp. 42-43, 99-100...) legate ai temi del sentimento e dell'emozione, come solo Farjeon ha saputo fare (non per niente Dorothy L. Sayers ha osservato che lui "è del tutto insuperabile nella [sua] abilità da brivido in [fatto di] avventure misteriose"), l'autore esalta il senso di coscienza (pp. 27-28, 41, 74-75, 79, 98-101, oltre al cap. 9) in modo da gettare una potente luce sui personaggi e ce li dipinge come vivaci, benché segnati da una certa irrealtà e avvolti da una certa nebbia, la quale non permette di avere una visiona chiara del loro insieme pur facendoceli sentire vicini. Lydia e il suo atteggiamento forzatamente allegro per far fronte alle avversità, David e la sua inadeguatezza davanti alla forza interiore della sorella; il povero Thomson, dal ruolo più che marginale e la personalità incolore che non riescono a non strappare un sorriso; la piccola Jessie, con le sue paure e i pensieri frivoli riversati nelle pagine del diario (73, 76-77, 105-112, 132, oltre al cap, 27): ognuno di loro non presenta un carattere spiccato (a parte forse Maltby), ma riesce ad occupare un posto nel nostro cuore proprio grazie al suo essere normale, simpatico e un po' indifeso. È stata questa capacità nel saper esaltare con empatia "piccole persone" come sfortunati impiegati e segretarie pasticcione ad aver distinto Farjeon dalla massa.

Insomma, se ci si fa caso, "Sotto la Neve" a prima vista appare fin troppo convenzionale, date la normalità dei personaggi, l'uso della fin troppo classica casa isolata dalla neve e la banalità della soluzione dell'enigma. Ma, in realtà, lo è davvero? Io credo che, pur nella sua semplicità, esso riesca a toccare le corde giuste nell'animo del lettore e sia una lettura tutt'altro che anonima, ma qualcosa capace di incuriosire pur non prendendosi molto sul serio: come Maltby, il quale sembra godere un mondo nel prendere in giro i suoi compagni di sventura, tra il serio e il faceto, mentre racconta storie di spiriti e suggerendo nefaste conseguenze per ogni singolo fatto curioso avvenuto nella casa. Farjeon, per bocca del suo personaggio, sembra dire: "Smettetela di essere così tristemente prosaici e pratici, mentre indagate su un presunto delitto! Provate ad uscire dai soliti schemi e chiedetevi se ci sia bisogno di concentrarsi per forza solo sul'enigma, con tanto di prove da raccogliere e mostrare agli altri". L'autore si impegna dunque a tracciare un mistero doppio per il solo gusto di intrattenerci; meno riuscito nel finale a causa del troppo affidamento di Maltby sulle supposizioni, ma pur sempre degno di nota, poiché riesce a divertire fino allo svelamento degli ultimi capitoli, con la sua atmosfera ovattata e suggestiva che in qualche modo mi ha ricordato "Trappola per Topi" della Christie. Forse anche per questo motivo "Sotto la Neve" e l'opera di Farjeon riscuotono da sempre un grande successo: mettono in scena una vicenda che, pur senza prendersi troppo sul serio, fa trascorrere alcune ore in spensieratezza. Proprio come ci si aspetterebbe dalle più celebrate crime novels.


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